L’archeomitologia è una
nuova disciplina fondata
nel secolo scorso dalla
ricercatrice Marija
Gimbutas e basata sullo
studio comparato fra
mitologie “non scritte”,
tradizioni orali
popolari, folklore,
manifestazioni
magico-religiose e
archeologia, che ha
portato a impensati
sviluppi nella ricerca
archeologica. La chiave
di volta è l’interdisciplinarità
delle ricerche, infatti
l’Archeomitologia nasce
dall’esigenza di cercare
fonti per lo studio di
periodi protostorici
poco conosciuti per
l’esigua mancanza di
documenti, ma non per
questo meno affascinanti
ed inte ressanti. Per
scandagliare il remoto
passato, non potendoci
basare solo sui reperti
archeologici, diventa di
rilevante importanza lo
studio delle tradizioni
orali che si manifestano
nella cultura popolare
sotto il nome di
Mitologia, Cosmogonia e,
successivamente nel
Folklore di un popolo.
Strumento importante
dell’Archeomitologia
diventa così
l’Antropologia Culturale
tanto da poter far
pensare anche ad una
nuova terminologia “Archeoantropomitologia”,
cioè lo studio delle
mitologie arcaiche
attraverso il Foklore,
le Tradizioni e la
religione popolare,
dunque attraverso il
sistema di credenze,
superstizioni, opinioni
e modi di vivere,
l’unico “quod superest”
di culture primitive mai
del tutto scomparse i
cui ricordi e le cui
tracce si trovano ancora
oggi in quella cultura
che molti antropologi
definiscono
“subalterna”.
L’elaborazione e
l’interpretazione degli
antichi rituali e delle
conoscenze “primitive”
(termine utilizzato non
in senso dispregiativo
ma da intendere come
derivante da “primis”)
si basano così su un
esame trasversale delle
conoscenze di un popolo
tentando di eliminare
quella fittizia e
formale denominazione
settoriale delle
Discipline che è invece
rigido rifiuto ad un
esame ed ad una analisi
dell’Unica realtà umana
e sociale: L’Uomo e le
sue Tradizioni. |
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LA TRADIZIONE DEL
MAGGIO E IL CULTO
ARBOREO
a cura di Andrea
Romanazzi |
Un Elemento che permea
l’intero substrato della
cultura e delle
tradizioni popolari
d’Europa è il culto
dello spirito arboreo,
filo d’Arianna
nell’impervio e
intricato sentiero del
folklore. Tra le sue
numerose manifestazioni
esso si presenta ancora
oggi tra le pieghe di un
rito molto antico, la
festa del Maggio,
espressione popolare di
una figura che, dall’
Animismo al
Cristianesimo, ancora
resiste alle spire del
tempo e delle religioni.
Varie sono le ipotesi
sull’origine etimologica
del nome “Maggio”, per
alcuni studiosi esso
scaturisce da una antica
dea della fecondità,
Maja, per altri dal mese
stesso in cui questa
festa si celebrerebbe,
coincidente con quella
di Beltane, che a sua
volta proverrebbe dal
termine “bel”,
brillante, forse legato
ai numerosi falò che si
accendono in questa
data, o da un antico dio
gallese della pastorizia
conosciuto come Belinos,
o “grande albero sacro”,
denominazione che
suggerisce uno stretto
rapporto tra la divinità
e il Maggio nella figura
dello spirito arboreo.
Per capire cosa si
nasconde realmente
dietro questa tradizione
dobbiamo esaminare le
caratteristiche
essenziali della festa.
In realtà data la sua
notevole diffusione vi
sono diversità peculiari
per ogni luogo, il
Frazer nel suo libro “Il
ramo d’oro” descrive
tantissime tradizioni
europee, narra che
usanza più diffusa era
quella di portare al
villaggio un enorme
albero per poi adornarlo
con i frutti della
terra, animali e piante,
come ringraziamento alla
divinità ma anche come
gesto basato sul
concetto di Magia
Simpatica molto caro al
contadino per il quale
“il simile produce il
simile”: L’esporre
frutti e vivande altro
non era così che un modo
per propiziare fertilità
e abbondanza. Queste
tradizioni molto antiche
e sicuramente derivanti
dall’area nordico -
celtica ove il culto
arboreo era molto
diffuso, le troviamo
anche nelle tradizioni
romane, nei “floralia”
che si tenevano durante
le Calende di Maggio,
quando, dopo canti e
balli, si propiziava
l’abbondanza con rituali
a sfondo orgiastico,
usanze che ancora
ritroviamo ...
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