Le Origini,
l’Omphalos e il culto
della Dea Madre. Milano
viene spesso considerata
come una grande
metropoli senza storia
ove ogni giorno si
spostano centinaia di
migliaia di persone in
un travolgente e caotico
movimento che spesso,
con il suo turbinio,
sembra voler escludere
il passato della città,
il momento in cui un
sacro Nemeton, tra gli
ombrosi territori
insubri, divenne un
borgo. Sarà così che,
prima di parlare dei
misteriosi segreti
racchiusi tra le mura
cittadine, partiremo
proprio dalla sua mitica
fondazione e dal suo
stesso nome, che, come
novello Virgilio, ci
guiderà alla scoperta di
antiche memorie sopite
tra i tumulti quotidiani
della metropoli. Le
origini di Milano si
perdono nella notte dei
tempi, le prime notizie
storiche della città ci
vengono tramandate da
Tito Livio che ne parla
nel V libro della sua
Storia di Roma:
“…Mentre a Roma regnava
Tarquinio Prisco, il
supremo potere dei Celti
era nelle mani dei
Biturigi, questi
mettevano a capo di
tutti i Celti un re.
Tale fu Ambigato, uomo
assai potente per valore
e ricchezza, sia propria
che pubblica, perché
sotto il suo governo la
Gallia fu così ricca di
prodotti e di uomini da
sembrare che la numerosa
popolazione si potesse a
stento dominare. Costui,
già in età avanzata,
desiderando liberare il
suo regno dal peso di
tanta moltitudine,
lasciò intendere che era
disposto a mandare i
nipoti Belloveso e
Segoveso, figli di sua
sorella, giovani
animosi, in quelle sedi
che gli dèi avessero
indicato con gli àuguri.
A Segoveso fu quindi
destinata dalla sorte la
Selva Ercinia, a
Belloveso gli dèi
indicarono una via ben
più allettante, quella
verso l’Italia. Quest’ultimo
portò con sè il
sovrappiù di quei
popoli, Biturigi, Averni,
Edui, Ambani, Carnuti,
Aulerci. Partito con
grandi forze di fanteria
e cavalleria, giunse nel
territorio dei
Tricastini. Di là si
ergeva l’ostacolo delle
Alpi; e non mi
meraviglio certo che
esse siano apparse
insuperabili, perché
nessuno le aveva ancora
valicate […]Ivi, mentre
i Galli si trovavano
come accerchiati
dall’altezza dei monti e
si guardavano attorno
chiedendosi per quale
via mai potessero,
attraverso quei gioghi
che toccavano il cielo,
passare in un altro
mondo, furono trattenuti
anche da uno scrupolo
religioso, perché fu
riferito loro che degli
stranieri in cerca di
terre erano attaccati
dal popolo dei Salvi.
Quegli stranieri erano i
Marsigliesi, venuti per
mare da Focea. I Galli,
ritenendo tale
circostanza un presagio
del loro destino, li
aiutarono a fortificare,
nonostante la resistenza
dei Salvi, il primo
luogo che essi avevano
occupato al loro sbarco.
Essi poi, attraverso i
monti Taurini e la valle
della Dora, varcarono le
Alpi; sconfitti in
battaglia i Tusci non
lungi dal Ticino, avendo
sentito dire che quello
in cui si erano fermati
si chiamava territorio
degli Insubri, lo stesso
nome di un pagus degli
Edui, accogliendo
l’augurio del luogo, vi
fondarono una città che
chiamarono Mediolanum…”
In realtà il racconto di
Livio, forse a sua volta
riportato dalle memorie
di qualche storico
locale, posticiperebbe
di molto la reale data
di fondazione della
città, ponendola tra il
616 e il 579, il periodo
in cui regnò appunto
Tarquinio Prisco. La
descrizione del viaggio
di Belloveso inoltre,
più che uno spostamento
alla conquista di nuove
terre, idea alquanto
improbabile, sembra
quasi essere la
narrazione di uno
spostamento rituale,le
cui origini troviamo
nelle antiche tradizioni
del nomadismo
indoeuropeo, che si
tenevano di solito in
Primavera, nei giorni
prossimi a Beltane, una
delle più importanti
feste celtiche.
L’etimologia di
“Beltane” è alquanto
controversa, essa
deriverebbe dal termine
irlandese “bealtaine” o
dallo scozzese
“Bealtuinn” provenienti
a loro volta dalle
arcaiche parole “tene” e
“bel”, la stessa radice
da cui proverrebbe il
nome del condottiero
Bellisario e che si
rifarebbe ad un antico
dio gallese della
pastorizia conosciuto
sotto i nomi di Belinos.
Ecco così che, guardando
con occhi critici il
racconto di Livio si
potrebbe ipotizzare che
in un periodo
imprecisato un gruppo di
guerrieri e sacerdoti
celtici, guidati da un
suddito-guerriero di
Bel, iniziarono un
viaggio-rituale verso un
luogo sacro, un Medhelan.
Questa idea potrebbe
essere supportata anche
da altre considerazioni,
infatti Belloveso, si
stanzierebbe nel
territorio degli
Insubri, cosa abbastanza
difficile da credere,
soprattutto se poi si
parla di una fondazione
di una città in un
territorio già
colonizzato. E’ molto
più probabile così che
il borgo già esistesse,
fondato attorno al II
sec. a.C. proprio dal
popolo degli Insubri
che, penetrando
nell’area padana,
scacciarono le
popolazioni autoctone
dei liguri. Ed ecco che
per cercare le tracce
della vera origine di
Milano dobbiamo farci
aiutare da ciò che di
nascosto c’è nel suo
nome, derivante per gli
storici dal termine
latino “mediolanum”,
cioè medius planum, il
“paese in mezzo alla
piana”, descrizione che
ben si accosterebbe alla
città. In realtà molte
altre sono le ipotesi
che ci aprono anche
altre considerazioni,
infatti il nome potrebbe
provenire dalla lingua
celtica, da Mid-land, la
città in mezzo o ancora
da Mid-Lan, la città in
mezzo alle acque, o la
città delle acque, idea
non del tutto
improbabile dato che il
borgo si trovava in una
zona ricchissima di
acqua o proprio da
Medhelan, dove medhe sta
per "centro" e lanon
significa "santuario",
il “centro sacro”,
l’Omphalos delle regioni
iperboree, l’idea di una
proiezione in terra di
un centro celeste, il
“loco” ove dimorano gli
dei. Questo ci riporta
così ad antichi culti
legati alla grande
madre, la dea delle
acque, e a Milano il suo
tempio sacro ove si
recavano druidi e
guerrieri. Seguendo così
questa idea troviamo
sempre nuovi e più
interessanti indizi come
la scrofa-semilanuta,
primo simbolo della
città. La leggenda narra
che quando Belloveso
giunse in queste terre,
chiamò dei saggi perché
consultassero gli dei e
si facessero suggerire
dove costruire la città,
e l’oracolo suggerì che
sarebbe stata una scrofa
semilanuta a segnare il
luogo di fondazione del
borgo. La scelta
dell’animale non è per
nulla casuale, infatti
la scrofa bianca è da
sempre animale totemico
della grande madre, il
suo simbolismo ctonio è
poi anche legato alla
dea celtica Belisama, la
bianca signora delle
acque. Come di incanto
si aprono così nuove
simbologie e rituali
legati ad un antico
culto mai del tutto
scomparso, una religione
che, come mistico filo
di Arianna ci porta tra
le vie della città alla
ricerca dei suoi sacri
luoghi di sapere, i
Medhelan di un popolo
che ancora oggi ci
ricorda della sua
presenza. Seguendo così
questo culto delle acque
arriviamo alla chiesa di
S. Calogero, forse uno
dei luoghi più antichi
della città, ove scavi
della seconda metà
dell’ottocento portarono
alla luce quello che
presumibilmente poteva
essere un tumulo
golaseciano di forma
circolare databile tra
IX e VIII sec. a.C. con
chiari caratteri
rituali. Infatti questi
tipi di costruzioni
permettevano la condensa
della brina che si
accumulava durante la
notte tra le pietre, il
vitreo umore della dea
che garantisce la vita e
la fertilità. Oltre a
questo ritrovamento
nella stessa zona è
presente un altro pozzo
ove, secondo la
leggenda, fu affogato
San Calimero, santo che
da il nome alla omonima
chiesetta. In realtà si
tratta di un chiaro
esempio di
sovrapposizione di
culti, un modo da parte
della religione
cristiana di esorcizzare
antichi ricordi mai del
tutto sopiti. La
leggenda racconta
infatti che Calimero
venne affogato in un
pozzo dell’area sacra al
dio Belenos perché
voleva distruggerlo,
leggenda che ci viene
riproposta anche in
altri luoghi della
città.
MILANO E IL CULTO DEI
MAGI
Nel nostro viaggio
nelle tradizioni e nei
miti milanesi non si può
non soffermarsi su tre
misteriose figure i cui
ricordi ancora oggi sono
presenti nella antica
chiesa di Sant’Eustorgio:
i re Magi. La leggenda
narra che i resti
mortali dei tre sovrani
furono recuperati in
India da Sant’Elena e
poi portati a
Costantinopoli da dove
poi, nel 1034, furono
trasportate a Milano e
depositate proprio nella
chiesa di Sant’Eustorgio
ancora oggi luogo di
pellegrinaggio. In
realtà il sepolcro, che
oggi si può ammirare
insieme alla lastra
tombale sulla quale è
incisa la stella ad otto
punte, è vuoto dal 1162,
quando Federico
Barbarossa, dopo aver
sconfitto Milano, portò
a Colonia le sacre
reliquie, ma c‘è ancora
chi sostiene che le
“sacre ossa” sian
nascoste da qualche
parte nel capoluogo
lombardo. E’ così
seguendo la scia di una
mistica cometa che
andremo alla ricerca
delle vere origini dei
tre magi, una origine
che nasce in terre
esotiche e che narra di
stelle annunciatrici, di
una miracolosa nascita e
di tre mitici sovrani
che si misero in cammino
per venerare il nuovo
Salvatore. I tre re non
sono molto nominati
nelle Sacre Scritture,
essi vengono citati
inizialmente solo nel
Vangelo di Matteo
(2,1-12) da cui però non
abbiamo molte
informazioni, nè i loro
nomi, nè il loro numero
e il luogo di
provenienza che è
indicato genericamente
“da Oriente”. In tutto
questo silenzio fonti
importanti diventano i
Vangeli apocrifi e tra
questi in particolare
“il libro della Caverna
dei Tesori” e l’“Historia
Trigum Regum” di
Giovanni da Hildesheim.
La vicenda dei tre re è
legata alla “stella”
annunciatrice, l’evento
celeste che comunicava
la nascita del
Salvatore. Molte sono le
ipotesi su cosa sia
realmente questa stella,
per alcuni si
tratterebbe di una Nova
o Supernova, fenomeno
che però non si poteva
ripetere lungo il
cammino dei Magi come
invece ci narra la
tradizione. Un’altra
ipotesi è quella della
cometa, alcuni l’hanno
identificata con quella
di Halley ma oggi
sappiamo che essa si
ripropone ogni 76 anni e
quindi sarebbe passata
attorno al 12 a.C. data
piuttosto lontana da
quella indicata da
Dionigi il Piccolo per
la nascita del Cristo.
Molto più probabile è
che più che una stella
si fosse trattato di una
congiunzione e in
particolare la
congiunzione tra Giove e
Saturno avvenuta nella
costellazione dei Pesci.
Secondo calcoli fatti da
Keplero nel 7 a.C.
questa congiunzione si
sarebbe verificata ben 3
volte , il 28 maggio, il
1 ottobre e il 5
dicembre, fenomeno che
bene avrebbe potuto, con
la sua ripetitività,
guidare i magi nella
loro cerca. Tutto questo
non solo è importante
dal punto di vista della
datazione dell’evento,
ma fa sorgere altre
considerazioni. Infatti
i segno segreto con il
quale i cristiani si
riconoscevano durante le
persecuzioni era il
pesce, quando due di
essi si incontravano uno
di loro tracciava metà
del segno e l’altro lo
completava. Del resto la
parola Nazareni, oltre
che abitanti di Nazareth
significava “piccoli
pesci”, e i seguaci di
Gesù erano appunto i
Nazareni. Torniamo ai
Magoi, per conoscere il
loro rango e dunque
l’appellativo di Re
dobbiamo tornare al
“libro della Caverna dei
Tesori” ove essi vengon
definiti “re figli di
re”. Anche il numero dei
magi non è chiaro, se ci
rifacciamo a testi
apocrifi come il
“Vangelo dell’Infanzia
Armeno” troviamo che:
“..questi magi eran
tre fratelli..”
Il numero 3 ha una
forte valenza simbolica,
per alcuni indicherebbe
le tre razze umane, la
semitica, la cannitica e
la jafetica,
rispettivamente
discendenti dai tre
figli di Noè, Sem, Cam e
Iafef. Probabilmente ,
però, il 3 ha un altro
significato, infatti
nell’antico Egitto ,
“omphalos della Divin
Sapientia”, il tre,
pronunciato Khem, era
legato ai moti lunari e
in particolare
rappresenterebbe “la
manifestazione nel
concreto dell’Uno
trascendente , il dio
che da trascendente
diventa appunto
immanente e questo ben
si lega alle vicende del
Cristo, il Dio che si è
fatto uomo. Un altro
aspetto importante dei
magi è il loro nome,
secondo le tradizioni
Gaspare, Melchiorre e
Baldassarre, ma non
tutte le fonti sono
concordi. Se esaminiamo
l’etimologia degli
stessi troviamo alcuni
suggerimenti,
Baldassarre deriverebbe
da Balthazar, mitico re
babilonese, quasi a
suggerire la regione di
provenienza di quest’ultimo,
Melechior deriverebbe da
Melech, che significa
“re” e infine Gasparre,
per i greci Galgalath,
signore di Saba. Un
accenno a questi mitici
re lo troviamo anche in
Marco Polo:
“..in Persia è la
città che è chiamata
Saba da la quale
partirono tre re che
andaron ad adorare Dio
quando nacque..”
La città citata da
Marco Polo non sarebbe
proprio la mitica Saba,
ma Sawah, antica città
persiana dalla quale,
secondo il viaggiatore,
partirono i tre re. Per
capire così chi fossero
davvero questi tre
mitici personaggi
dobiamo un attimo
soffermarci sul culto
del Cristo, tralasciando
eventuali similitudini
tra le divinità arboree
e il Salvatore
importante in questa
sede è sottolineare il
forte legame tra il Gesù
e il sole, lo stesso 25
dicembre, data poi
istituita dalla Chiesa
come giorno di nascita
del Messia per
allontanare pericolose e
devianti festività
pagane ben radicate
nella comunità,
coincideva con il dies
natalis soli e del resto
un dio nato nel
solstizio d’inverno e
resuscitato
all’equinozio di
primavera non può non
essere una divinità
solare. Questa idea è
ben supportata da
numerose leggende e
tradizioni tra cui
quella dei doni del
Bambino ai magi. Si
narra infatti che prima
di partire per tornare
in patria i tre Re
ricevettero dalle mani
del Salvatore e della
Vergine alcuni doni, una
pietra staccata dalla
mangiatoia, un pane e le
fasce nella quali era
avvolto il Cristo. In
tutti e tre i casi, una
volta raggiunto il regno
d’origine, dai doni si
sprigionò uno strano
“fuoco sacro” che,
appunto, ben ricorda gli
antichi rituali legati
appunto all’astro, al
culto di Zarathustra e
successivamente ai “falò
di gioia” che dovevano
portare sulla terra quel
calore dell’astro
proprio nel periodo in
cui esso tendeva a
scomparire e morire per
poter poi risorgere,
tradizione che
ritroviamo anche
nell’usanza ancora oggi
presente in molte
nazioni “ceppo
natalizio”. Potremmo
così azzardare una
ipotesi: Originari
dell’altopiano iranico i
magi erano sciamani
legati al culto degli
astri e successivamente
sacerdoti di Mazda.
Seguendo la lettura del
cielo, avevano
riconosciuto in Cristo
uno dei loro “Saosayansh”,
il Salvatore universale,
diventando così loro
stessi “coniuctio” tra
la nuova religione
nascente e i culti
misterici orientali come
il mazdaismo e il
buddismo, dunque
adoratori di quel nuovo
culto “solare e
maschile” che affonda le
sue radici in rituali
ben più antichi e che
pian piano sarebbero
stati cancellati dalla
“nuova” religione.
Nell’atmosfera buia
della chiesa di Sant’Eustorgio
una pietra tombale con
sopra incisa una stella
rimane unico monito
all’ignaro visitatore di
un passato mai del tutto
sopito. |