Era una tersa giornata
di settembre, l'aria era
ancora calda ed
assolata, ma senza
arsura. Una giornata
perfetta... ed ora anche
importante per la storia
della famiglia: poche
ore prima era nato il
suo quarto maschio.
Astarte sorrise languida
alle frange e dietro a
loro al cielo
azzurrissimo: aveva
parti facili e dopo
assaporava una felicità
pigra. Gli unici momenti
completamente tranquilli
di una vita spesa tutta
per gli altri. Ma ora,
all’improvviso, il suo
riposo fu interrotto dal
latrare di un cane.
Rabbrividì un poco: una
certa trepidazione che
non era più paura nei
confronti di quelle
bestie adorate dai
cristiani, era tutto
quello che le restava
delle sue origini arabe.
Inoltre il latrare di
quel cane non le era del
tutto ostile: annunciava
una visita d’Adrion e
chissà, forse anche di
Nezia... «No, è
ammalata, mi dispiace»
disse suo cognato
entrando «ella non ha
certo la tua tempra,
purtroppo...» e, come
consolazione, stese sul
letto un bel po’ di
regali... ed uno
splendido cesto di
clematidi bianche, rosa
e viola…
… Qui in occidente gli
uomini non proibivano
alle loro mogli di
parlare liberamente, ma
in compenso non le
ascoltavano mai... Anche
adesso, dopo i primi
complimenti per la
nascita del bambino,
s’erano messi a parlar
del prezzo dello zenzero
e della produzione delle
viti, dimenticandosi
completamente di lei.
Che strano! Quando
parlavano così fitto tra
loro, pur non essendolo,
sembravano fratelli. D’Astarte,
delle sue parole,
neppure un ricordo e ben
presto la salutarono e
se ne andarono col cane.
Astarte si levò a sedere
e guardò fisso quei
fiori rosa e viola che
le parlavano ancora,
dopo tanti anni, il
linguaggio della sua
terra...
Da: “Adrion cerca
Nezia” di Aurora
Prestini, pagg. 21-23
Certo
è un po’ strano che per
Astarte, a vent’anni
dalla partenza, il mazzo
di clematidi parli la
lingua della sua terra…
la clematide non è una
pianta araba! Non la
vitalba, erbacea,
rustica, perenne e
rampicante, che cresce
indisturbata anche nel
terreno calcareo e
d’autunno si copre di
semi bianchi e piumati,
soprannominate
familiarmente “barbe di
vecchio” e spesso, col
calo delle nevi degli
ultimi inverni, questo è
tutto il bianco che si
vede ormai nei boschi.
Ma tornando alla nostra
eroina, va giustificata
dal fatto che le
clematidi, pur essendo
presenti da millenni in
territorio europeo,
comparvero nei nostri
giardini soltanto nel
medioevo… e proprio al
ritorno dei crociati.
Probabilmente i
coltivatori più o meno
professionisti ( una
bella fetta di terra era
una ricompensa ambita
per chi si ritirava
dalle armi) pensarono di
riprodurre con le
clematidi nostrane i
padiglioni che in
Oriente erano realizzati
col gelsomino, vedremo
più avanti quante
difficoltà Astarte
incontrò a far crescere
gelsomini a Venezia, che
quanto a clima è tanto
più mediterranea
dell’Europa Occidentale,
soprattutto in certe
terribili giornate di
scirocco…
Certo edera e rose,
piante nostrane,
s’arrampicano bene e
resistono al freddo, ma
sono anche lente, tenaci
e l’edera è addirittura
sempreverde! Perfetta
per mascherare un
vecchio muro o
l’ingresso di una
cantina, ma del tutto
inadatta ad un
padiglione estivo, da
rimuovere ai primi venti
autunnali. La clematide
invece è perfetta e fa
ombra solo quando serve,
cioè nel cuore
dell’estate. Così venne
coltivata in abbondanza
(ne esistono 250 specie)
ed i contadini
presero l’abitudine di
tagliarne i rami ed
adornarne i campi,
assicurando che la cosa
favoriva i raccolti. In
Inghilterra fu
soprannominata
addirittura “gioia del
viandante” perché
cresceva libera anche
nei boschi ed ai margini
delle strade. Una
curiosità culinaria: i
germogli servono a
preparare ottime
frittate!
Adrion poggia sul letto
clematidi bianche, rosa
e viola… probabilmente
quest’ultime erano
imparentate con la
clematide alpina, detta
anche azzurra, per
quanto la tinta tenda a
virare verso il
violetto. I montanari
infatti furono tra i
primi a coltivare questo
fiore in giardino,
perché ne usavano le
foglie per curare le
piaghe di difficile
cicatrizzazione, le
ulcere e addirittura i
tumori ulcerati cutanei,
sia degli uomini che
degli animali domestici.
Troppo amata nel
medioevo per non finire
sul rogo delle streghe
nella così detta età
della Ragione!
Studiando metodicamente
ci si accorse infatti
che la pianta appartiene
alla famiglia delle
ranuncolacee, ed è
quindi potenzialmente
velenosa. Le clematidi
che oggi crescono
nei nostri giardini (che
più nessuno usa per
frittate e men che meno
per curare le ferite),
provengono tutte
dall’America, dalla
Siberia, se non
addirittura dalla Cina,
perché, dopo tre secoli
abbondanti d’oblio,
furono reintrodotte come
piante ornamentali
esotiche, esclusivamente
per la suggestione dei
colori; i fiori, come
spesso accade, sono
leggermente più grandi
di quelli nostrani ed
oggi si trovano sul
mercato anche specie
sempreverdi. I
mendicanti di Parigi
s’accorsero presto che
le barbe di vecchio sono
urticanti e producono
delle escoriazioni che,
a prima vista, possono
far pensare ad una piaga
vera. Questo non giovò
alla reputazione della
pianta, poveretta, che
da “gioia del viandante”
fu retrocessa a simbolo
d’artificio e menzogna.
Che Astarte sapesse già
allora tutto questo?
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