Intervento tenuto
dall’Autore
nell’Occasione della
Mostra Internazionale
MILLENNIUM, I Misteri
Dell'uomo E
Dell'universo In Lui.
Brescia - Palazzo
Bonoris
La Dea Madre è stata
probabilmente la prima
divinità immaginata
dall’uomo e, anche se
così non fosse, è
indubbiamente quella più
presente in tutte le
culture del mondo
antico.In tutto il
Bacino del Mediterraneo,
includendo anche l’area
Mediorientale sono state
ritrovate statuette,
terracotte, incisioni,
raffiguranti la Grande
Dea già a partire da
30.000-25.000 anni prima
di Cristo, usanza poi
pian piano scomparsa
verso il 3.000 a.C. con
l’avvento delle
popolazioni Indoeuropee
veneratrici delle
divinità maschili
padrone delle armi e
delle fucine. Prima di
questa “invasione” la
rappresentazione della
dea trova sua massima
espressione nelle
rappresentazioni delle
Veneri Preistoriche,
figure femminili dai
prosperosi seni ricchi
di latte, dagli
abbondanti glutei e dai
ventri smisurati e
gravidi.
Se questa era l’immagine
della Grande Generatrice
dobbiamo capire da dove
nasce il suo culto di
fertilità e
procreazione. L’uomo dei
primordi è
fondamentalmente
cacciatore e
raccoglitore dunque la
sua vita è strettamente
correlata a quei cicli
naturali per i quali da
sempre ha mostrato
interesse, conoscere i
loro segreti non
significa dominare la
natura ma esserne parte
integrante, entrare in
perfetta sintonia con la
Grande Madre e crescere
prosperando con lei. Il
primitivo non è così un
“unicum”, come invece il
pensiero dell’uomo
moderno porta a credere,
che vive nella natura ma
è parte della stessa e
in essa, tra tabù e
rituali, cerca e trova
sostentamento e
prosperità, felicità e
dolore, vita e morte.
Carichi di fascino così
dovevano essere per lo
spaurito uomo i segreti
naturali che portavano
allo sbocciare di un
fiore, alla sua
trasformazione in
frutto, alla nascita di
un animale, pargoli di
una divinità immaginata
come androgina, dalla
quale e nella quale
tutto nasce, cresce e
muore. All’inizio è il
bosco con i suoi frutti
a dare sostentamento al
primitivo che, proprio
per questo, vede in esso
e negli stessi animali
che vi abitano una sorta
di divinità immanente
che lo governa, così il
rapporto che l’uomo
instaura con la natura
non è quello di
dominatore ma di
creatura che vive nel
suo divino, lo stesso
animale non è solo preda
e fonte di
sostentamento, ma anche
divinità e dunque sacro.
Egli così cerca e trova
nella natura i segni
della Grande
Generatrice, la mater il
cui ventre diventano,
nell’immaginario
primitivo, grotte e
antri, ma assume anche
le sembianze di animali,
poi definiti “totemici”
che altro non sono che
la stessa dea che si
materializza nella sua
immanenza.
Successivamente nel
Neolitico le popolazioni
mediterranee, dedite
alla caccia, entrano in
contatto con popoli
asiatico-orientali già
agricoltori. Avviene
così una grande
trasformazione
culturale, l’uomo non è
più sottomesso alla
natura, ma comincia a
produrre frutti e
ortaggi, il suo rapporto
con la divinità non
cambia, essa piano piano
si sposta dai boschi ai
campi, ma è sempre
dipendente dai cicli
naturali e dai rituali
di fertilità che, mentre
prima erano legati alla
produzione spontanea,
adesso vengono visti
strettamente correlati
all’agricoltura e al
raccolto. L’uomo inizia
a esaminare con sempre
più interesse i cicli
naturali, l’andamento
delle stagioni e i
periodi in cui seminare
per avere un buon
raccolto. Intuisce che
la terra non è sempre
fertile, ma lo diventa
solo quando è
“ingravidata” da quello
che poi sarà definito il
principio maschile, il
sole. E’ in questo
momento che al culto
della Mater si affianca
quello del suo Compagno
e spesso anche Figlio
perché generato dal
ventre Universale della
dea. Se dunque la dea è
la madre terra che deve
esser resa gravida in
particolari periodi
dell’anno, il suo
Compagno sarà soggetto
ad una serie di cicli di
morte e rinascita che
vanno proprio a
rappresentare la nascita
e la morte della natura.
L’idea del sacro
accoppiamento come
RITUALE APOTROPAICO che
rende fertile e gravida
la terra è però molto
più antica dello stesso
mito e la troviamo
espressa nella PRIMITIVA
IDEA delle SACRE GROTTE
immagine delle
profondità uterine della
dea dove l’elemento
maschile, il priapos
universale,
rappresentato dalla
Sacra Stalagmite, è
generato esso stesso nel
metaforico ventre della
dea, Esso è così sia
Figlio (perché generato
dalla dea) che suo
Compagno (perché ne
assicura la fertilità) e
poi del SACRO BETILE, la
roccia infissa nella
bruna terra, l’elemento
maschile che, come
mistico priapos, la
rende fertile.
LE SACRE NOZZE DELLA
DEA: I RITUALI DI
ACCOPPIAMENTO
Successivamente sarà il
“ricordo” di queste
antichi culti che
ritroveremo, ben
camuffati, nelle società
e culture successive per
dar vita a quello che
oggi definiamo MITO.
Quello che adesso faremo
sarà così un breve
excursus alla ricerca
delle tracce lasciate da
questo antico culto di
fertilità e prosperità
nelle culture successive
del Bacino del
Mediterraneo. In
Mesopotamia nel III
millennio a.C. erano
venerati la dea Inanna (
successivamente Ishtar)
e la sua unione con il
Figlio-Compagno-Dio
pastore Dumuzi
(successivamente Tammuz).
Il mito di Dumuzi
richiama il raccolto che
viene festeggiato dai
popoli della Mesopotamia
come fonte di vita e di
fertilità. Essi,
infatti, erano convinti
che la natura rinascesse
ogni anno attraverso un
matrimonio sacro che era
consumato tra le due
divinità. Il mito è
racchiuso nel poema
della discesa agli
inferi di Inanna che
ritroviamo nell’Epopea
di Gilgamesh. Si narra
che la dea fosse stata
imprigionata negli
inferi e la sua assenza
provocava il blocco
delle nascite sulla
Terra. Intervengono così
gli dea ma neppure loro
possono violare una
regola ferrea degli
Inferi: ogni anima che
torna in vita deve
essere sostituita agli
Inferi. Così Inanna
offre in cambio del
proprio rilascio il
povero Dumuzi. Il dio
non può sfuggire ma,
ecco che appare la
sorella Geshtinanna che
intercede per il
fratello ottenendo che
venga trattenuto nel
"mondo di sotto" solo
sei mesi l'anno ed
offrendosi di
sostituirlo agli inferi
per gli altri sei.
Secondo una visione che
potremmo definire alla
“Frazer” di “magia
simpatica” questa unione
era realmente celebrata
tra una sacerdotessa d'Inanna,
rappresentante la dea,
ed il re della città,
che assumeva le funzioni
di Dumuzi in una
tradizione che
successivamente darà
vita alla pratica della
Prostituzione Sacra. Il
culto Inanna e Dumuzi
poi lo ritroviamo nella
Grecia Classica con il
mito di Tammuz, il
giovane eroe nato da una
corteccia d’albero nella
quale era stata
trasformata sua madre
Mirra e che, conteso da
due dee, Afrodite e
Persefone, fu ucciso da
quest’ultima per
gelosia, e
successivamente nel
mondo romano sotto il
nome di Attis, lo
“sposo” e compagno della
dea Cibele che lo
seguiva nelle sue
spedizioni di caccia e
del quale si innamorò
perdutamente. Così il
giorno delle nozze del
fanciullo, la dea,
vistasi defraudata del
suo amore, fece
impazzire tutti i
partecipanti al
banchetto, tra cui la
sua bellissima moglie e
così Attis, per
disperazione, si evirò
sotto un pino.
"…stimulatus ibi
furenti rabie.vagus
animi,devolsit ilei
acuto sibi pondera
silice…”
(fuori di sé, in preda a
rabbia furiosa, si
recise il sesso)
Sarà così la stessa
divinità che, avendo
compassione del suo
amato, lo trasformerà in
un albero e indirà una
festa funebre in suo
onore. La ricorrenza che
si teneva durante il
giorno dell’equinozio e
legata ai cicli
riproduttivi di morte e
rinascita della natura
ove l’albero “adonico”
altro non rappresenta
che il simbolo fallico
del dio, idea che
ritroveremo anche in
Egitto. Se infatti ci
rifacciamo al mito di
Osiride, si narra che
sulla cassa dove fu
rinchiuso il dio, crebbe
un albero di Melograno,
poi, rappresentato dallo
zed, antichissimo
disegno per tradizione
associato al suo culto,
ma, in realtà, molto più
antico, dato che si
trova raffigurato anche
in tombe del periodo
predinastico, mentre il
nome del dio non lo
troviamo prima della V°
dinastia. L'albero
cresciuto sulla cassa
costruita da Tifone e
dunque un simbolo
fallico di resurrezione,
spesso rappresentato nei
sarcofagi, proprio con
il compito di riportare
in “vita” il defunto. In
Egitto le funzioni
vivificatrici erano
esercitate da Hathor, la
dea vacca con le “corna
uterine” tra le quali
sorge il sole, quasi ad
identificare la dea
dalla quale nascono e
provengono tutte le cose
e il cui nome significa
proprio “Casa di Horus”.
“…Madre, colei che
partorì il sole, che
partorì prima d’ogni
altra, prima ancora che
fosse partorita…”
Nei primi miti è proprio
la dea e madre di Horus
e per questo, quando
successivamente il dio
sarà identificato come
il figlio postumo di
Osiride e Iside la dea
sarà confusa con quest’ultima
che acquisirà proprio da
Hathor le sue
rappresentazioni munite
di corna di vacca. Sarà
proprio in questa
confusione che le sacre
nozze saranno così
successivamente
associate a Iside e
Osiride, divinità
arborea morta e
successivamente
resuscitata proprio
dalla Dea. Se torniamo
alle prime scritture
Hathor è però sia madre
che compagna di Horus
proprio in una visione
simile a quelle
precedentemente
descritte. Horus non
subisce una vera e
propria morte, a
differenza delle
divinità precedenti,
però perde un occhio
grazie al quale può far
rinascere il proprio
padre Osiride, simbolo
della vegetazione e
dunque del ciclo
naturale. Come nel caso
del culto
precedentemente
descritto di Inanna,
anche in questo caso era
il Faraone stesso ad
accoppiarsi con la sua
regale moglie ( la
Hathor) e le sue sacre
concubine (o
sacerdotesse della dea).
L’accoppiamento avveniva
in quello che oggi
definiremmo Harem, il
luogo della sacra
prostituzione derivante
dalla parola araba Haram
che significa sia sacro
che proibito. Nell’area
siriaco-palestinese il
culto della dea e del
suo compagno è legato
alle figure di Anat e
del suo
fratello-consorte Baal.
La dea è spesso
rappresentata da una
vacca selvatica, animale
totemico che ritroveremo
in moltissime altre
raffigurazioni della
Grande Madre, sotto le
quali sembianze,
appunto, la divinità
maschile si sarebbe
accoppiata nel deserto.
La sacralità della vacca
la troviamo anche in una
tradizione sacra
fenicia, secondo quello
che ci riporta Tirio
Porfirio, filosofo
neoplatonico, verso la
metà del III sec. A.C.,
un fenicio non avrebbe
mai mangiato carne di
vacca. Ovviamente la
tradizione riportata è
molto più recente del
periodo esaminato ma è
sicuramente una
“traccia” della
sacralità dell’animale.
Il ciclo mitologico è
costituito da vari
episodi non sempre
coerenti, ( in molti
casi Anat è prima sposa
di El che, poi, diventa
suo padre, e spesso
confuso, come nel
Vecchio Testamento, con
Baal stesso. Dunque se
Anat è Moglie del dio
supremo da lei derivano
tutte le cose così,
oltre che sorella è
anche madre di Baal.)
connessi con culti della
fertilità. Il dio Baal è
così ucciso da Mot dio
degli inferi, ma la
sorella Anat lo ritrova
e lo fa rivivere e con
lui rinasce la natura,
un mito molto simile a
quelli esaminati in
precedenza e a quelli
che ancora esamineremo
proprio a sottolineare
la matrice comune di
questi racconti. Anche
in questo mito la
divinità maschile è
legata al sacro albero.
Un esempio sarebbe
quello di EL, primo
consorte di Anat e
spesso confuso, anche
perché i miti non sono
ben definiti e
presentano spesso, come
già detto confusione,
con BAAL. Spesso il
simbolo di El, il dio
con le ali, è posto
sopra il SACRO ALBERO,
altro emblema di Asshur.
In raffigurazioni più
particolareggiate sopra
lo stelo, a differenza
della foto in questione,
i fiori erano a volte
sostituiti da melograni
o coni di pino. Inoltre
la sacralità dell’albero
visto come divinità la
ritroviamo nei rituali
di Primavera, durante i
quali, ogni anno, veniva
abbattuto un grande
albero (abbattimento -
morte) e poi alzato nel
sacro recinto per
successivamente coprirlo
di drappi e doni (un po’
il nostro albero del
Maggio). Un altro
interessante mito è
presente proprio qui in
Italia, quello tra
VIRBIO E DIANA, le cui
tracce ritroviamo nello
studio di Frazer sul
Ramo d’Oro.
“…Sulle sponde
settentrionali del lago
[di Nemi, N.d.A.] si
erigeva il bosco sacro e
il santuario di Diana
Nemorensis, la Diana del
Bosco…In questo bosco
sacro cresceva un albero
attorno a cui e
probabile vedere, anche
a notte inoltrata, una
truce figura. Nella
destra teneva una spada
sguainata e si guardava
continuamente d’attorno…Quest’uomo
era un sacerdote e
quando un nuovo
individuo voleva
occupare il suo posto
per prendere il
sacerdozio doveva
uccidere il suo
predecessore…non prima
però di aver strappato
un ramo dal succitato
albero…La strana regola
non ha alcun riscontro
in tutta l’antichità
classica e non si può
spiegare per mezzo di
essa…”
Queste le parole del
noto antropologo James
Frazer. Il mito ivi
presente si rifà alla
leggenda di Virbio,
giovane cacciatore che
trascorreva la vita nei
boschi a caccia di
belve, avendo come unica
compagna la vergine
cacciatrice Artemide.
Fiero di quella divina
compagna, egli
disdegnava le donne e
questa fu la sua rovina.
Afrodite, offesa dalla
sua indifferenza, fece
innamorare di lui la
matrigna Fedra; e quando
il giovane respinse le
turpi offerte della
donna, lei lo accusò
falsamente presso il
padre Teseo, il quale
credette alle menzogne
di Fedra. Teseo si
rivolse allora al
proprio padre Poseidone
perchè vendicasse
l'immaginario affronto.
Mentre Virbio guidava il
suo carro lungo le rive
del golfo Saronico, il
dio del mare gli mandò
contro un toro feroce
scaturito dalle onde. I
cavalli, terrorizzati,
si impennarono
scaraventando Ippolito
giù dal carro e lo
trascinarono nel loro
galoppo uccidendolo. Ma
Diana, che amava il
giovane, convinse il
medico Esculapio a
riportarlo in vita. Il
mito è del tutto simile
a quello già citato di
Adone, Virbio è senza
alcun dubbio l’immagine
del Dio-Compagno della
Dea precedentemente
incontrato, l’archetipo
di quei re-sacerdoti
descritti nell’opera di
Frazer, la cui vita,
sempre spezzata da morte
violenta, era legata ad
un albero. Se la
tradizione del re del
bosco è vista
nell’ottica dei miti
delle “Sacre nozze” ecco
spiegato il perché del
legame del dio-sacerdote
ad un albero e il suo
dover perire di morte
violenta. L’elenco
potrebbe continuare
ancora con le divinità
Hittite Hepatu e Teshub,
o con la dea Ma e il
figlio-compagno dio
delle tempeste, venerata
nell’area della
Cappadocia e poi
arrivata tramite i
romani in Italia e alla
quale verrà dedicato il
culto di Ma o Mamede la
cui tracce possiamo
trovare ancora oggi nel
folklore italiano.
Divenuto infatti un
santo cristiano con una
vera e propria opera di
sincretismo, il culto di
San Mama lo troviamo ad
esempio a Ca’ Campo, in
provincia di Bergamo ove
“la cappella è
ufficialmente dedicata a
San Pantaleone ma in
realtà il culto popolare
è tutto per san Mama,
raffigurato come santo
barbuto e con la palma
del martirio, nella mano
destra stringe una
mammella. Terminiamo il
nostro viaggio tra la
mitologia con la venere
cretese, la dea dagli
opulenti seni, associata
a divinità maschili
scarsamente importanti
tanto da non avere un
nome preciso come il dio
delle asce bipenni di
Creta o il toro bianco
di Minosse. La leggenda
vuole infatti che
Minosse, re dell’isola,
chiedesse a Poseidone un
bellissimo animale da
immolargli. Il dio del
mare mandò così al
sovrano uno splendido
toro bianco, ma l’avido
re decise di tenerlo per
se sacrificando alla
divinità un altro
animale, così, la
divinità, colta da ira,
fece infuriare la bestia
che ingravidò Pasifae,
la moglie del regnante,
facendole procreare una
creatura mostruosa. Al
di là della veste
classica del mito
ritroviamo in esso
l’accoppiamento della
dea, rappresentata dalla
regina e del dio
raffigurato nel toro.
Proprio per capire
meglio lo strettissimo
legame tra il toro e la
dea dobbiamo soffermarci
di più su questo animale
e sul suo simbolismo.
Molti han pensato che
l’associazione del toro
o del bisonte con
l’aspetto femminile sia
dovuto al periodo di
gestazione che per
entrambi è nove mesi, in
realtà Dorothy Cameron,
in un suo lavoro,
ipotizza l’associazione
delle corna del toro con
l’organo genitale
femminile, le trombe di
Falloppio, scoperte
sicuramente dal
primitivo durante
operazioni di
scarnificazione sui
corpi dei morti.
Immaginiamo lo stupore
del selvaggio quando,
aprendo per la prima
volta il ventre
femminile, il “loco” dal
quale proviene la vita,
vede al suo interno un
organo simile alle corna
di un toro, e del resto
questa “scoperta” la
troviamo raffigurata in
diversi vasi
antropomorfi ove,
rappresentante proprio
all’altezza del bacino
ci sono le corna
taurine. Ecco che il
mito del Minotauro
potrebbe esser
considerato in questa
nuova ottica, il
labirinto altro non
rappresenterebbe che
l’utero della dea madre
nel cui interno dimora
il “toro universale”,
l’organo genitale
femminile che permette
la vita e la
procreazione. Dopo
questo breve excursus
cerchiamo di tirare
alcune ipotesi
conclusive,
soffermandoci su una
analisi dei PUNTI COMUNI
presenti in essi
cercando di dare qualche
spiegazione:
·
Il Dio maschile è sia
Compagno che Figlio
della dea
·
La dea assume spesso le
sembianze o possiede gli
attributi della vacca,
suo animale totemico
Erodoto stesso ne “Le
Storie” ci descrive come
le donne di Babilonia
almeno una volta nella
vita dovevano
prostituirsi nel tempio
della dea come somma
offerta alla divinità:
“…è d’obbligo che
ogni dona del paese, una
volta durante la vita,
postasi nel recinto
sacro di Afrodite [il
nome con cui lo storico
identifica Inanna o
Isthar N.d.A.] si unisca
con lo straniero…[…]
quando una donna si
asside in quel posto non
torna più a casa se
prima qualche straniero,
dopo averle gettato del
denaro alle ginocchia,
non si sia congiunto a
lei nel tempio…”
o come nel caso della
prostituzione sacra
dell’isola di Pafo che,
secondo la leggenda,
deriverebbe proprio
dalle stesse sorelle di
Adone che, fatta adirare
la dea, furono
condannate a darsi agli
stranieri, e ancora in
molte comunità dell’area
cipriota ad esempio, una
vergine, prima di
potersi sposare e dunque
“diventare donna” doveva
prostituirsi ad uno
straniero per denaro e
poi offrire tali denari
alla dea. A Biblo
invece, come riportato
da Luciano, durante i
giorni di lutto per la
morte di Adone le donne
dovevano tagliarsi i
capelli e, se si fossero
rifiutate, avrebbero
dovuto concedere per un
giorno intero i loro
favori agli stranieri
presenti e cedere i
guadagni al tempio.
Sicuramente quest’ultima
tradizione è posteriore
ai rituali di
prostituzione
precedentemente
descritti, infatti
l’offerta della
capigliatura sarà una
forma più mitigata della
stessa. Il perché della
capigliatura nasce
dall’idea che essa era
messa in relazione,
nell’antichità, con la
vegetazione palustre. Ed
ecco ancora una nuova
traccia, i capelli come
vegetazione, il loro
taglio come morte della
generazione per
propiziare la rinascita.
Nelle tradizioni
ebraiche il ricordo di
queste usanze è ancora
molto forte, così, ad
esempio solo le ragazze
vergini possono andar in
giro con il capo
scoperto e una volta che
esse si sposano devono
rasare i capelli e
sostituirli con una
parrucca. E’ da questa
concezione che deriverà
poi l’idea di Dote,
infatti senza dote
nessuna donna si poteva
sposare, e per
ottenerla, una povera
fanciulla poteva solo
offrire il proprio corpo
per procacciarsela.
· Il dio subisce
sempre un ciclo di morte
e resurrezione in
relazione con quello
naturale e la sua
novella vita è sempre
legata alla dea
· Il dio è sempre legato
all’elemento arboreo
Per spiegare questi
cicli dobbiamo fare
delle osservazioni:Tra i
fenomeni naturali non vi
è uno come quello della
morte e della
resurrezione che più si
avvicina alla sparizione
e alla ricomparsa della
VEGETAZIONE. L’idea del
ciclo solare è
scarsamente applicabile
o comunque successiva
perché, anche se esso
subisce un indebolimento
durante il periodo
invernale non subisce
una vera e propria
morte, idea smentita
ogni giorno dal suo
risorgere. Il dio è così
un dio vegetazionale,
come poi sottolineato
dal suo stretto legame
con l’ALBERO. Se dunque
ipotizziamo che la
“comparsa” del Dio sia
in qualche modo
successiva all’Androgino
e legata
all’agricoltura, si
potrebbe così pensare
che alla base del ciclo
di morte e resurrezione
sia il ciclo naturale
dei campi, con la loro
semina, crescita e
morte. Anche la stessa
morte, sempre violenta,
del Dio potrebbe così
essere messa in
relazione con la
VIOLENTA DISTRUZIONE da
parte dell’UOMO dei
prodotti dei campi,
falciati, battuti e poi
ridotti in polvere.
Qualunque possa però
essere la visione
interpretativa di questi
PUNTI COMUNI, la loro
esistenza in miti di
culture anche molto
lontane tra loro
avvalorano l’ipotesi di
un culto UNICO, diffuso
in un periodo che
potremmo definire “Età
dell’Oro”, ove le
divinità erano la Grande
Dea Generatrice e il suo
Sposo.
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