’“…In più vi era una
bassa siepe di mirto
dietro cui s’ergeva una
piccola macchia di rose
selvatiche letteralmente
invase di api operose:
la padrona se ne
occupava personalmente e
le mostrò…”
Da: “Adrion cerca
Nezia” di Aurora
Prestini, pag.40
Il mirto (Myrtus
Communis L. per chi ama
le definizioni
scientifiche) è una
delle prime piante che
Astarte riconosce
arrivando a Venezia da
Gerusalemme e ciò non fa
meraviglia, perché è una
specie rustica diff usissima,
dato che si adatta
abbastanza ai terreni
poveri e secchi, ma trae
vantaggio sia dagli
apporti idrici estivi
sia dalla disponibilità
d'azoto manifestando in
condizioni favorevoli
uno spiccato rigoglio
vegetativo e
un'abbondante produzione
di fiori e frutti…
insomma l’ideale per un
orto senza pretese, come
quello che la nostra
protagonista s’affannerà
a trasformare in
giardino. Passando dal
romanzo alla scienza
possiamo dire che il
mirto è una
pianta sempreverde
della famiglia delle
Myrtaceae, che
comprende circa 100
generi e 3000 specie
diffuse nelle regioni
temperate, tropicali e
subtropicali. Chiamato
comunemente mortella,
è un arbusto non
spinoso, dal portamento
cespuglioso e arbustivo,
alto da 50 cm. a 3 metri
di altezza a secondo
delle condizioni
climatiche e dello
spazio che ha a
disposizione; ha
foglie di un verde
brillante, opposte,
persistenti, ovali-acute,
coriacee, glabre e
lucide, di colore verde
scuro superiormente, a
margine intero, con
molti punti traslucidi
in corrispondenza delle
glandole aromatiche.
Quando vengono
spezzate, emettono
una gradevole
fragranza
somigliante a quella
dell'arancio, che è
dovuta alla presenza del
mirtenolo, un olio
dotato di proprietà
balsamiche. Vegeta
preferibilmente nei
suoli a reazione acida o
neutra, in particolare
quelli a matrice
granitica, mentre soffre
i terreni a matrice
calcarea… il che vuol
dire, in parole povere,
che prospera in Liguria
ed in Sardegna e si
trova un po’ in
difficoltà nella laguna,
dove Astarte ritrova una
bassa siepe e non certo
un esemplare di tre
metri d’altezza!
Più
genericamente si può
dire che è una specie
spontanea delle regioni
mediterranee, comune
nella macchia
mediterranea. In Italia
è diffusissimo in
Sardegna e in Corsica,
dove cresce spontaneo
insieme a varie altre
essenze quali, ginepro,
corbezzolo ecc. Il mirto
è l'unico componente
delle mirtacee ad essere
presente in Europa,
mentre gli altri
esemplari sono invece
diffusi in Australia e
nelle regioni tropicali.
È presente in tutto il
sud d’Europa,
specialmente in
Grecia, Italia,
Spagna e nella
Francia mediterranea
fino a 1000 m di
altitudine. Talvolta lo
troviamo nelle contee
sud-occidentali dell'Inghilterra,
e persino dell'Irlanda.
L'"Orto del Mirto" è un
settore dell'Orto
botanico di Pisa, così
denominato per la
presenza di un vetusto
esemplare di Myrtus
communis, che ospita
circa 140 specie di
piante officinali.
Ma tornando all’aspetto
della pianta: la
corteccia è rossiccia
nei rami giovani, col
tempo assume un colore
grigiastro ed i fiori
di color bianco crema o
roseo, sbocciano da
giugno a settembre e
sono dotati di vistosi
stami dorati; sono
solitari, molto leggeri
d'aspetto, semplici di
forma, e molto
profumati. La fioritura,
abbondante, ha luogo
nella tarda primavera e
all'inizio dell'estate,
da maggio a luglio. Un
evento piuttosto
frequente è la seconda
fioritura che si può
verificare in tarda
estate, da agosto a
settembre e, con autunni
caldi, in ottobre. Il
fenomeno è dovuto
principalmente a fattori
genetici.
I frutti sono piccole
bacche ovoidali di
colore nero-violaceo,
nero-azzurrastro, o
rosso-scuro e di
consistenza carnosa, del
diametro di circa 1 cm.
Maturano da novembre a
gennaio persistendo per
un lungo periodo sulla
pianta.
La parola mirto in
Sardegna è sinonimo di
liquore, infatti
in ogni ristorante, a
fine pasto, si ordina o
viene offerto un mirto e
in molte case, ancora
oggi, il mirto viene
preparato
artigianalmente. A
Venezia non succede
nulla del genere, perché
all’epoca della
maturazione cominciano
le nebbie e raramente le
bacche riescono ad
acquistare colore e
sapore!
Ma poic hé
i fiori sbocciano
comunque, esistono in
tutt’Europa numerose
varietà coltivate a
scopo ornamentale come
il Myrtus communis
variegata alta fino a
4,50 m, con foglie dalle
eleganti striature
colorate di bianco-crema
e fiori profumatissimi.
Nella nostra storia la
disposizione vicino alle
arnie suggerisce
un’altra utilizzazione,
oggi quasi dimenticata:
il mirto è bottinato
dalle api per ottenere
il polline. Il miele
monoflora di mirto è
oggi piuttosto raro: per
definizione il 90% del
polline di un miele
monoflora deve essere
costituito da polline di
mirto, ma va precisato
che il mirto non produce
nettare, essendo il
fiore privo di nettari.
Trattandosi di una
specie comunemente
presente in associazioni
fitoclimatiche questa
pianta contribuisce alla
produzione del miele
millefiori o di altri
mieli monoflora.
Ma più avanti nella
storia scopriamo anche
altre utilizzazioni:
“…poi la
trasportarono nel talamo
nuziale, che per
l’occasione era parato a
festa, con lenzuola
nuove, finemente
ricamate, ed una coperta
di scarlatto e, per
quanto facesse caldo,
c’era un braciere
acceso, con legni di
mirto e rosa mescolati
ad incenso.”
“Adrion cerca Nezia”
di Aurora Prestini, pag.
114
L’uso di bruciare legno
aromatico per purificare
gli ambienti giunge
direttamente dal mondo
Arabo con le Crociate,
ma il mirto è una
pianta molto antica, e
si trovano testimonianze
di essa sin dai tempi
più remoti ed è
stata da sempre
associata all'universo
femminile e alla
femminilità.
Secondo la leggenda, il
nome “myrtus”
deriverebbe da quello di
Myrsine, una
fanciulla dell’Attica
invincibile nelle gare
ginniche che, dopo aver
battuto un suo coetaneo
in una gara, fu uccisa
dall’amico del ragazzo,
accecato dalla rabbia in
un impeto di gelosia. Ma
la dea Pallade,
impietosita, trasformò
il suo corpo esanime in
un delizioso arbusto che
fu chiamato Myrsine e
che oggi noi tutti
chiamiamo mirto.
Nella mitologia
greca il mirto era
considerato uno dei
simboli dell’amore e
della bellezza,
essendo sacro ad
Afrodite più nota come
Venere: si narra
che la dea, quando uscì
nuda dalla schiuma del
mare, si rifugiò dietro
un cespuglio di
mirto, per nascondersi
dagli sguardi
concupiscenti di un
satiro.
Nell'antica
Grecia i nomi di molte
eroine ed amazzoni
avevano tutte la stessa
radice: Myrtò, Myrsìne,
Myrtìla. Myrtò era
un'amazzone che aveva
combattuto Teseo come
Myrìne era la regina
delle Amazzoni, in
Libia. Si chiamava
Myrsìne una profetessa
del santuario di Dodona
che per un responso
nefasto morì
tragicamente. In
particolare Ateneo narra
un'antica leggenda che
vede come protagonista
Erostrato, fedele ad
Afrodite, che durante un
viaggio in mare fu
sorpreso da una
tempesta. Allora la dea
gli apparve sotto forma
di piccole foglioline di
mirto spuntate
improvvisamente dalla
sua statueta che
Erostrato aveva con se’.
Questo fatto diede
coraggio ai marinai ce
così riuscirono ad
approdare in un porto
sicuro e salvarsi. Una
volta a terra Erostrato
depose la statuetta con
le foglie di mirto nel
tempio di Afrodite ed
intrecciò una corona di
rami di mirto che da
allora venne chiamata "Naucràtis"
ovvero "signora delle
navi".
I rami fioriti del
mirto, venivano
usati a scopo
ornamentale per
decorare le case in
occasione dei matrimoni
e solo a Cinquecento
inoltrato venne
sostituito dagli attuali
fiori d’arancio. La
nostra storia,
ambientata nel XII
secolo, si pone un po’
all’avanguardia in
questo passaggio, perché
Nezia sorprenderà
Astarte chiedendo
d’intrecciare mughetti
per la sua corona
nuziale:
“…Si mise subito al
lavoro, ma non poté far
a meno di notare che le
spose di solito si
coronavano di mirto. «Tu
ti sei sposata in
estate» protestò
l’interessata «ed il
mirto era in fiore, ma
adesso farei proprio una
figura misera con una
coroncina di
sempreverdi, mentre il
giardino pullula di
fiori meravigliosi!» ed
intrecciò abilmente i
mughetti e le perle,
ricavandone…”
pag. 145
Il mirto è stato da
sempre il simbolo della
fecondità tanto che
Plinio lo aveva
soprannominato "Myrtus
coniugalis" in quanto si
usava nei banchetti di
nozze come augurio di
una vita serena e ricca
di affetti. Nei canti
cretesi rappresenta da
sempre una pianta
afrodisiaca tanto che si
esorta chi vuole essere
amato a raccoglierne un
ramo. È anche
considerata una pianta
di buon augurio e di
buona fortuna tanto che
quando si doveva partire
per fondare una nuova
colonia ci si cingeva il
capo con una corona di
mirto come augurio
appunto di buona sorte.
Però ha an che
un significato funebre.
Infatti nell'antica
Grecia si raccontava che
Dioniso, quando era
sceso nell'Ade per
liberare la madre Semele,
aveva dovuto lasciare in
cambio una pianta di
mirto. Da allora il
mirto ha rappresentato
l'oltretomba ed i
defunti. Questa doppia
valenza del mirto, da
una parte pianta solare
e ben augurale
dall'altra pianta
funebre, non deve
stupire, infatti la vita
e la morte sono sempre
stati un tutt'uno
nell'universo e
l'aspetto funebre non è
da vedersi in senso
negativo, ma
semplicemente come
l'evolversi della vita.
Per i Romani il mirto
era, unitamente
all’alloro, simbolo
di pace e di vittoria:
i generali reduci dalle
battaglie vittoriose, al
pari dei poeti e dei
letterati, venivano
premiati dal Senato con
corone di mirto. Tra gli
amanti c’era l’uso di
cogliere rami di mirto
al solstizio d’estate
per stringere un patto
di reciproca fedeltà. Ma
come abbiamo detto
spesso i giardini
medioevali erano troppo
poveri per coltivare
delle piante solo per il
loro aspetto estetico o
la simbologia floreale!
Le proprietà
medicinali del mirto
erano conosciute dai
Romani che lo
usavano per combattere:
leucorrea, ulcere,
dermatosi, emorroidi,
affezioni alle vie
urinarie e delle vie
respiratorie.
Secondo la medicina
popolare, inoltre,
il mirto avrebbe
proprietà curative
nelle cistiti, nei
disturbi genitourinari e
come sedativo nervoso e
stomachico: i frutti
svolgono azione
carminativa,
astringente, aromatica,
tonica. Il mirto
contiene tannino, olio
essenziale formato
principalmente da
mirtolo e geraniolo,
resine, acido citrico e
acido malico, vitamina
C. Le sue proprietà
sono: astringente,
balsamiche,
antinfiammatorie ed
antisettiche. Con le
foglie di mirto si
praticano degli infusi
usati esternamente per
detergere la pelle e le
mucose esterne, nonché
come rinforzante del
cuoio capelluto.
L'olio essenziale
di mirto svolge
attività antisettica e
balsamica ed è
indicato contro le
affezioni alle vie
respiratorie e viene
usato, oltre che in
farmacia, come
componente aromatico dei
profumi. Il
mirtolo è presente
nelle formulazioni di
sciroppi per la tosse.
Il consumo del mirto
allo stato fresco può
considerarsi
inesistente, ma le
foglie e le bacche
sono molto usate anche
oggi, per insaporire i
piatti di carne (famoso
il porchetto arrosto al
mirto) e pesce, e
aromatizzare salumi;
nel Lazio si
utilizzano per preparare
il "mortatum"
romano, una salsiccia
al mirto.
In Sardegna è molto
diffusa la
trasformazione
industriale delle bacche
in liquori, vini,
marmellate e dolciumi:
con questa bacca, si
ottiene anche un
ottimo infuso,
ponendo poche foglioline
di mirto nella teiera
insieme alla solita
miscela di tè. In
autunno presso i
mercati, si trovano
facilmente le bacche
di mirto pronte per
essere messe in
macerazione per la
preparazione casalinga
del liquore, e i
rametti di mirto
sono frequentissimi come
ornamento nei banchi
delle macellerie e delle
rosticcerie.
In Sardegna il liquore
di mirto è ormai
diventato il digestivo
per eccellenza, offerto
al termine di ogni
pasto; sono oltre 2
milioni all’anno le
bottiglie di liquore di
mirto prodotte da parte
di decine di produttori,
alcuni dei quali sono
riusciti ad ottenere la
Certificazione di
Prodotto del “Liquore
Mirto di Sardegna
Tradizionale”.
L'impiego fitocosmetico
del mirto risale al
medioevo: con la
locuzione di Acqua degli
angeli, s'indicava
l'acqua distillata di
fiori e destinata
all’industria dei
profumi, inoltre si
utilizzavano le
bacche mature per
fabbricare inchiostri
e coloranti naturali,
utilizzati soprattutto
nelle concerie.
Non ci resta che
coltivarlo a nostra
volta!
Il mirto può essere
riprodotto per talea o
per seme. La
riproduzione per seme,
per la sua semplicità e
per i costi bassissimi,
è consigliata per
un'attività amatoriale
da eseguire in ambito
domestico.
Le
piante ottenute da seme
sono meno vigorose e
difficilmente entrano in
produzione prima dei
quattro anni. La semina
va fatta nel periodo di
maturazione delle
bacche, nei mesi di
dicembre-gennaio, in
quanto i semi perdono
ben presto il potere
germinativo. Per
realizzare un piccolo
semenzaio si può
utilizzare una cassetta
da riempire con
terriccio. Si
sbriciolano le bacche
semiappassite,
distribuendo
uniformemente il seme
con una densità di 3-4
semi per centimetro
quadrato e ricoprendolo
con uno strato leggero
di terriccio, dopo di
che ci si deve
preoccupare di irrigare
frequentemente e
moderatamente. La
cassetta va mantenuta in
un ambiente riparato,
all'aperto nelle regioni
ad inverno mite, in
serra nelle zone ad
inverno rigido. Le
piantine vanno
trapiantate in vasetti o
in fitocelle della
capacità di mezzo litro
quando hanno raggiunto
un'altezza di 4-6 cm. La
maturazione e l’utilizzo
delle bacche dipende dal
clima e
dall’esposizione, ma le
foglioline sempre verdi
e l’esplosione dei fiori
“a mezz’estate” è
garantita! |