Le storie e i racconti
sulla licantropia (da
lycos che significa lupo
e anthropos che
significa uomo)
affondano le loro radici
nella notte dei tempi
quando l’uomo, vivendo
tra le braccia della
mater natura e
circondato dalla sua
immanenza che si
tramutava in alberi ed
animali, si sentiva
parte integrante della
stessa. Moltissime sono
così le tradizioni degli
uomini-cambiaforma, o
meglio degli uomini lupo
sparse in tutto il
mondo; forse la più
antica la ritroviamo
nella Bibbia ove re
Nabucodonosor, a causa
della sua vanità, fu
trasformato da Dio in un
lupo. Esempi di divinità
dalle sembianze
animalesche le troviamo
anche nella cosmogonia
egizia ove si parla di
Anubi, il dio sciacallo
o ancora il dio lupo
Ap-uat che aveva la
funzione di traghettare
i morti nell’aldilà
mentre nella cosmogonia
nordica, di cui
parleremo in seguito, e
dove il lupo è simbolo
di vita, troviamo come
fedeli compagni di Odino
i canidi Freki e Geri,
mentre simbolo della
apocalisse finale è il
lupo Fenrir. Il mito
narra che il dio Tyr,
per incatenare
definitivamente il
malvagio animale, lo
sfidò a rompere un
laccio sacro e
indistruttibile. Fenrir
fiutò l’inganno e disse
di accettare solo se
qualcuno avesse posto la
mano tra le sue fauci.
Ovviamente, come
previsto, il lupo non
riuscì a rompere il
magico laccio, ma Tyr
perse l’arto. Questo
particolare ci permette
di legare l’episodio a
quei riti di
smembramento tipici del
culto del lupo e già
incontrati in altre
civiltà, lo smembramento
e la seguente
dispersione nei campi
delle “parti” non e’
altro che un rituale di
fertilità: la morte
stessa genera rinascita
nella natura. E’ così
che in Irlanda alcune
dee madri sono
raffigurate in compagnia
di piccoli cani e in uno
dei santuari celti più
importanti, la fonte di
Haughey, nei pressi del
sito di Emhain Macha,
furono trovate delle
ossa di questo animale
mentre in Germania
nell’Europa centrale lo
ritroviamo come fedele
compagno della dea
germanica Holle che
guida i morti negli
inferi. Tracce di questi
antichi ricordi le
troviamo poi nella
cultura classica, ad
esempio nella cultura
greca ne parla Ovidio
nelle sue celebri
“Metamorfosi” o nei miti
riguardanti il re
dell’Arcadia Licaone,
che, per aver cercato di
ingannare Giove fu
trasformato dallo stesso
in un lupo. In realtà
sembrerebbe che questi
miti fossero legati ad
ancor più antiche usanze
di feste pagane di
tradizione sciamanica
ove era abitudine
consumare carne di lupo
e venerare l’animale
come un dio. Era infatti
l’animale che,
tramutatosi in guida per
il sacerdote, gli
suggeriva comportamenti
e rituali. Il cibarsi
della carne dell’animale
totemico così, non era
una gozzoviglia ma un
sacramento solenne, un
modo per il primitivo di
acquistare ed assorbire
una parte di divinità.
Lo stesso Apollo, dio
della luce, termine
caratterizzato dalla
stessa radice della
parola lupo, “luke”, fu
partorito da Latona che
assumeva spesso
sembianze di lupo e
sembra che la stessa
divinità, conosciuta
anche con il nome di
Apollo Liceo, avesse
potere su questi
animali. Tradizioni
legate all’adorazione
dell’animale le troviamo
anche nella cultura
romana, del resto i
fondatori dell’Urbe,
Romolo e Remo, furono
proprio allattati da una
Lupa che poi divenne lo
stesso simbolo della
città. La tradizione
voleva anche che i due
re avessero vissuto
proprio con un branco di
lupi e che, accoppiatisi
con tali belve, avessero
dato origine a creature
per metà umane e per
metà fiere. Petronio nel
suo Satyricon parla per
la prima volta dei “versipellis”,
uomini all’interno dei
cui corpi crescevano
folti peli e così che
bastava si rivoltassero
come un guanto per
cambiare il loro
aspetto. Inoltre nelle
date attorno al 15
Febbraio a Roma si
celebravano i famosi “Lupercali”,
feste in onore del dio
Lupesco protettore delle
greggi e degli armenti.
Questi rituali, basati
spesso su riti
orgiastici con sacrifici
animali erano stati a
loro volta ereditati dai
romani dalle popolazioni
autoctone che vedevano
nell’animale una
divinità. La scelta del
lupo, o delle fiere
locali come divinità non
era casuale, infatti
l’animale, che con i
suoi comportamenti era
considerato grande
predatore, era in
competizione con gli
stessi uomini cacciatori
e così il selvaggio, per
propiziare una buona
caccia, cercava di
onorare l’animale sia
per ingraziarselo e
evitare che gli
sottraesse il
sostentamento, sia per
poter ereditare dallo
stesso la sua stessa
capacità di caccia. Ecco
così che il lupo diventa
il
dio-protettore-cacciatore
adorato in moltissime
culture animiste e che
ritroviamo tra i
Germani, i popoli
nordici, i Mongoli, gli
Indiani d’America e in
moltissime altre
tradizioni. Il culto del
lupo lo troviamo anche
nelle tradizioni
sciamaniche-finniche
dell’area russa o slava,
le cui tradizioni legate
a uomini che si
trasformavano in lupi
furono descritte dallo
stesso Erodoto che ci
parla del popolo dei
Neuri e che ritroviamo
anche in un passo del
famoso “canto di Igor”,
ove si narra delle
trasformazioni in lupo
del principe Vseslav, e
nelle numerosissime
leggende locali.
L’antico nome che questi
popoli davano agli
uomini-lupo era
vulko-dlak, pelle di
lupo, forse per una
tradizione legata a
uomini che si vestivano
con le loro pelli e
dunque forse guerrieri
come nelle tradizioni
nordiche o sciamani. Del
resto per il primitivo,
secondo i principi della
magia empatica o
imitativa, travestirsi
con le pelli
dell’animale equivaleva
a trasformarsi nello
stesso acquisendo i suoi
poteri e le sue capacità
come testimoniato dai
cacciatori Pawnee o i
Mau-Mau, gli uomini
leopardi piaga e terrore
dei soldati inglesi o
ancora i guerrieri
nordici come i ulfhednar,
le teste di lupo o i non
lontani cugini Berseker,
i camici d’orso. Si
narra che questi
terribili guerrieri
andassero in battaglia
solo vestiti della pelle
del loro animale
totemico, urlando,
ringhiando e ululando
come lupi e che erano
presi da una furia così
devastante, definita poi
dai latini con il
termine di “furore” che
non sembravano avvertire
il dolore delle ferite
loro inflitte o che
uccidevano con disumana
forza sia i nemici che i
loro compagni per poi
morire spesso con il
cuore scoppiato.
Sicuramente per favorire
il connubio tra uomo e
bestia e dunque
assorbire tutte le
caratteristiche
dell’animale essi, come
in molte tradizioni
sciamaniche, facevano
sicuramente uso di
droghe come quelle
ottenute dal micidiale
fungo della Amanita
Muscaria, che provocava
visioni e grandi
scariche adrenaliniche e
che era poi mescolata
con delle bevande
alcoliche. Tradizioni di
guerrieri-lupi le
troviamo poi anche nelle
tradizioni italiche ove
si parla del popolo dei
Reti abitanti nell’area
che oggi è il Trentino e
il Veneto settentrionale
e che crearono numerosi
problemi alle mire
espansionistiche di
conquista dei romani e
dei popoli dei
Peleghetes, Lastojeres,
Cajutes, letteralmente
orsi, cani e lupi.
LA
MELANCONIA CELEBRALE
Il lupo e i suoi
sacerdoti così hanno
sempre avuto una valenza
benefica, essi erano
intermediari tra l’uomo
e le forze naturali
rappresentate appunto
dalle fiere dalle quali,
a scopo magico,
guerriero o
semplicemente per
caccia, l’uomo cercava
di acquistare la forza.
Successivamente però
avviene una
trasformazione, con il
passaggio dalla caccia
all’allevamento il lupo
subisce una prima
trasformazione, esso non
è più animale totemico
ma diventa nemico delle
greggi e dunque
dell’uomo, ma sarà nel
Medioevo che esso
assumerà sembianze
malvagie che lo
legheranno alla magia e
al demonio. Nel 1252 con
la bolla papale “Ad
extirpena”, Papa
Innocenzo IV autorizzò
la persecuzione dei
culti pagani, ma
soprattutto nel
1500-1600 la caccia alle
streghe diviene anche
caccia al licantropo
che, oramai perduto il
suo significato
sacerdotale, viene visto
come mostro o come
malattia. Moltissimi
malati di quella che
veniva definita
“melanconia celebrale”,
una forma di quella che
chiameremmo oggi
schizofrenia, furono
accusati di stregoneria
e condannati al rogo.
Nascono così le
tradizioni legate ai “lupomini”,
“werewolf” o “loup garou”,
uomini che si
trasformavano in lupi ma
il cui significato,
oramai demonizzato era
completamente differente
da quello dei sacerdoti
sciamani. Moltissime
sono le tradizioni
popolari e i racconti
sui licantropi, spesso
vecchi guaritori o
semplici malati di mente
venivano scambiati come
adoratori del demonio.
Successivamente queste
“malattie” furono legate
anche a timori e tabù,
così ecco che se un
paese veniva colpito da
peste o carestia
significava che in
questo era nascosto un
“lupomino” e così si
scatenavano terribili
cacce all’“untore”.
Stessa cosa dicasi per
violazioni di tabù, nel
materano ad esempio, ed
in particolare a
Grassano vi era la
credenza che chiunque
avesse sposato la sua
figlioccia si sarebbe
trasformato nelle notti
di luna piena in un
lupo, forse antico
ricordo di culti
autoctoni che veneravano
il sacro animale e
tradizioni simili le
ritroviamo nell’area
siciliana e nel
pugliese. La religione
Cristiana non poteva
rimanere a guardare, per
esorcizzare questi
antichi ricordi e per
guarire queste malattie
legate a satana iniziò a
introdurre nella cultura
popolare santi guaritori
come Sant’Antonio da
Padova e il più famoso
San Vito, legato al
famoso “ballo del
santo”,un modo per
esorcizzare epilessie e
malattie “lunari”, per
non parlare di San
Francesco d’Assisi e la
vicenda del lupo, un
modo per esorcizzare
antichi culti pagani
legati all’animale
totemico dell’area
umbro-abruzzese e
legarli alla nuova
figura cristiana, idea
che ritroviamo anche
nella versione
“abruzzese” dell’evento
e in particolare della
tradizione del paese di
Cocullo dove si narra
che San Domenico,
patrono del villaggio,
si trovava a combattere
contro un lupo che, la
tradizione voleva aver
rapito un bimbo in fasce
per poi portarlo con se
nel bosco. Fu il santo,
con le sue preghiere a
Dio, a far tornare
l’animale con il pargolo
e a renderlo mansueto,
un altro modo per
identificare il santo
con la signora delle
bestie, la padrona della
natura che può donare
vita e morte ai suoi
credenti. Sarà proprio
questo tentativo di
cancellare la cultura
popolare che ha permesso
la sua sopravvivenza
anche se camuffata da
false vesti, infatti
questi rituali
antichissimi sono
sicuramente eredità dei
culti autoctoni sciamani
europei poi
successivamente
assorbiti dal
Cristianesimo con una
vera e propria opera di
sincretismo che ci ha
permesso di conoscere
antiche tradizioni mai
del tutto dimenticate
che ancora oggi
combattono contro il
tempo e l’umana
dimenticanza. |