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Spedizione nella selva della Rondonia: la scoperta della Fortezza del Rio Madeira

mercoledì, 7. marzo 2012 21:02

Sono vari gli scrittori spagnoli del XVI e XVII secolo che descrissero l’espansione degli Incas verso l’Amazzonia, verso un poderoso regno, o forse una confederazione di tribù, denominata “Paititi”.
Questa terra leggendaria, la cui etnia dominante era alleata dei Moxos, si situava a nord-ovest del Rio Guaporé, oggi territorio brasiliano.
Il primo testo che descrive le conquiste di Pachacutec nella selva bassa amazzonica è la Relazione dei Quipucamayos a Vaca de Castro (1544), dove si menziona la costruzione di due fortezze nelle pianure amazzoniche allo scopo di delimitare l’impero e controllare i popoli che vivevano oltre la frontiera.
Il vescovo spagnolo di La Paz Nicolas de Armentia (1845-1909), descrisse la costruzione di due fortezze nel suo libro “Descrizione del territorio delle missioni francescane di Apolobamba”. Eccone un passaggio:

…(El Inca) terminó comunicarse com el Gran Senor del Paititi y por via de presentes, y mando el Inga que lê hiciesen junto al Rio de Paititi dos fortalezas de su nombre por su memória de que habia llegado allí su gente…

Quando morì Pachacutec, siccome i popoli della selva si rifiutavano di pagare il tributo al Cusco, il nuovo inca Tupac Yupanqui, decise di organizzare una spedizione militare per sottomettere i popoli amazzonici e poter accedere cosi alle loro risorse (coca, oro ecc.). Lo scrittore spagnolo Sarmiento de Gamboa descrisse questa seconda campagna militare nella sua Historia de los Incas (1572). Ecco un passaggio del suo libro:

E per il camino che adesso viene chiamato Camata, [Tupac Inca Yupanqui] inviò un altro gran capitán chiamato Apo Curimache, che andò fino a dove nasce il Sole e camminò fino al Rio del quale adesso si ha avuto notizia di nuovo, chiamato “Paititi”, dove vi sono i Moxos del Inca Topa.

Nel libro di Sarmiento de Gamboa si specifica che il generale Otorongo Achachi fu incaricato di presidiare le due fortezze che erano state costruite da Pachacutec.
Vi sono poi altri documenti antichi (Felipe de Alcaya e Francisco Sanchez Gregório nelle croniche di Lizarazu del 1635), che narrano della presenza permanente di alcuni discendenti della famiglia reale inca presso il Rio Guaporé (vedi mio articolo: La fuga del inca Guaynaapoc nella misteriosa terra del Paititi).

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=1GnD0u2a7_U[/youtube]

In seguito a studi di vari archeologi, tra i quali il finlandese Parsinnen, si individuò la prima fortezza incaica nella selva bassa amazzonica. Si tratta della Fortezza di Las Piedras, ubicata non lontano dalle sponde del Rio Beni, quase alla confluenza di questo fiume con il Rio Madre de Dios, in territorio boliviano. All’interno della Fortezza Las Piedras furono trovati molti resti ceramici di chiara derivazione inca.
Dopo l’indivuduazione di Las Piedras rimaneva pertanto l’interrogativo: dove era situata la seconda fortezza inca della quale accennano le cronache antiche?
Nel mio recente viaggio in Rondonia ho potuto portare a termine due spedizioni nelle quali ho approfondito la possibilità che queste antiche cronache abbiano una corrispondenza nella realtà archeologica.
Insieme ad alcuni ricercatori brasiliani ho approfondito lo studio della città perduta di Labirinto, luogo enigmatico che potrebbe essere stato utilizzato da alcuni discendenti della famiglia reale incaica per scopi cerimoniali.
In seguito sono venuto a conoscenza della possibilità di trovare alcune strane rovine nella selva situata nel versante nord del Rio Madeira, sempre nello Stato della Rondonia. Ho deciso pertanto di organizzare una seconda spedizione in terra brasiliana.
Ho inizialmente viaggiato fino ad Abuná, un paesello ubicato sulle rive del Rio Madeira, dove sono venuto in contatto com alcuni anziani che mi hanno confermato la presenza di rovine non ben identificate in un luogo situato a circa un giorno di cammino dalla sponda opposta del fiume.
Quindi ho conosciuto la guida locale Francisco Chogo dos Santos che ha acconsentito ad accompagnarmi, insieme all’aiutante Saviano Bebizao.
L’indomani mattina abbiamo raggiunto la sponda del Rio Madeira e, con l’aiuto di un barcaiolo, abbiamo navigato fino ad un punto situato al di là del fiume, a circa un’ora di navigazione da Abuná.
Da quel punto abbiamo iniziato a camminare in direzione nord-est, nella selva adiacente al Rio Madeira.
E’una zona di selva densa e inondata, infatti in molti punti avevamo l’acqua alle ginocchia. Dopo circa un’ora di camminata, avanzando a colpi di machete, ci siamo trovati di fronte ad un fiume abbastanza profondo detto Simauzinho (Simoncello). L’attraversamento del fiume è stato molto complicato perché la prondità raggiungeva il metro e sessanta centimetri e l’acqua era limacciosa, mentre il fondale era fangoso.
L’ho attraversato con l’acqua al petto, sostenendo il mio zaino in una posizione elevata in modo che non si bagnasse, temendo un attacco di serpenti, caimani o razze di fiume, numerosissime in quella zona.
Quindi abbiamo continuato a camminare per tutta la giornata fino a giungere in un luogo dove vi erano vari macigni giganteschi nel bel mezzo della selva. L’impossibilità di raggiungere il nostro obiettivo in giornata ci ha convinto sulla necessità di approntare un campo base nella prossimità di quei macigni, soprattutto perché nella zona vi era un ruscello dove scorreva dell’acqua fresca e pura.
Mentre le mie guide accendevano il fuoco per cucinare ho proceduto ad esplorare la zona rendendomi conto di star camminando al di sopra della cosidetta terra preta amazzonica, un suolo ricco di resti antropici, come ossa triturate di animali da cortile e pezzi di ceramica utilitaria, segno di un’antica presenza umana nella zona.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=-S1u7RF_9bU[/youtube]

L’indomani mattina abbiamo continuato ad avanzare verso il nostro obiettivo, un’alta collina di origine vulcanica situata a circa 15 chilometri dal Rio Madeira.
In due ore di camminata siamo giunti alle falde dell’alta collina rocciosa. Subito mi sono reso conto di trovarmi in un luogo particolare, dove antichi popoli vissero in passato, sfuttando la posizione elevata sulla selva bassa amazzonica.
Nella cima della collina rocciosa, abbiamo avvistato una alta muraglia, spessa fino ad un metro, ed in alcuni punti alta fino a due metri.
Dopo essere entrati all’interno dell’antica costruzione ho potuto rendermi conto della sua grandezza ed estensione. Si tratta di una muraglia difensiva che circonda l’intera collina rocciosa. Il diametro della muraglia è di circa 200 metri, mente la sua lunghezza totale, ovvero la sua circonferenza, raggiunge i 600 metri.
Dall’interno della costruzione si può osservare la selva bassa amazzonica da una posizione elevata e privilegiata. Si può inoltre riuscire a scorgere una parte del lontano Rio Madeira, situato a circa 12 chilomentri in linea d’aria.
Questa edificazione, che ho denominato “Fortezza del Rio Madeira” (alcuni abitanti di Abuná la conoscono come Serra da Muralla, individuando così la collina, e non il sito archeologico), è, a mio parere, precolombiana, per vari motivi.
Innunzitutto bisogna specificare che i portoghesi giunsero stabilmente presso l’attuale territorio del Rio Madeira solo intorno al 1750. Nel 1776 iniziarono la costruzione del Forte Príncipe da Beira, presso le rive del Rio Guaporé. Se la fortezza del Madeira fosse stata costruita dai portoghesi l’atto di fondazione sarebbe stato registrato in alcune cronache del secolo XVIII, ma non vi è traccia alcuna di tale cronaca.
Escludo inoltre che sai stata costruita da spagnoli perché troveremmo l’atto di fondazione in qualche resoconto dell’impero spagnolo.
Inoltre il tipo di costruzione non è europeo e i portoghesi non avrebbero avuto necessità di costruire una fortezza difensiva cosi distante dal Rio Madeira.
Resta pertanto l’ipotesi che la fortezza sia stata costruita da popoli indigeni amazzonici. La nostra esperienza, però indica che i popoli amazzonici non solevano costruire fortificazioni in pietra, salvo casi rari.
L’ipotesi pertanto che la fortezza del Madeira sia una costruzione inca si rafforza, anche considerando le cronache antiche, che ho citato all’inizio di questo articolo.
Se ulteriori studi archeologici comprovassero la mia ipotesi avremmo trovato la seconda fortezza costruita da Pachacutec, una prova in più che la terra leggendaria del Paititi si situava nell’attuale territorio brasiliano della Rondonia.
Inoltre la Fortezza del Madeira amplia verso occidente la zona d’influenza inca, che fino ad oggi si credeva giungesse solo fino alla fortezza di Las Piedras, presso l’attuale città de Riberalta, in Bolivia.
Dopo aver esplorato la zona, siamo rientrati verso il campo base. Il giorno sucessivo abbiamo camminato verso il Rio Madeira dove nel primo pomeriggio abbiamo incontrato il nostro barcaiolo, che ci stava aspettando per condurci nuovamente ad Abuná.

YURI LEVERATTO
Copyright 2011

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Qumran: giare svelano comunità Esseni aperta a donne

martedì, 6. marzo 2012 16:59

Le grotte di Qumran, dove nel 1947 furono ritrovati i famosi rotoli del Mar Morto, furono, nel I secolo d.C., un importante centro di spiritualita’ e di culto del gruppo ebraico degli Esseni, una sorta di monastero non solo maschile ma aperto anche alle donne, come dimostrerebbe il recente studio di una serie di antichi contenitori utilizzati per conservare gli unguenti e i profumi ed anche piatti e brocche. Se i rotoli negli ultimi 65 anni sono stati studiati a fondo, finora non era mai stato compiuto un’indagine approfondita sulle ceramiche di Qumran, ritrovate nelle grotte vicino al Mar Morto, tra cui anche le giare (diverse decine) che contenevano proprio quei manoscritti.

Questo studio e’ stato compiuto adesso da un’equipe di studiosi italiani guidata dai professori Marcello Fidanzio e Riccardo Lufrani nei sotterranei del museo Rockfeller di Gerusalemme.

La Facolta’ Teologica dell’Italia Centrale ha partecipato a questo progetto in collaborazione con l’Ecole Biblique et Archeologique Française di Gerusalemme ospitando due sessioni preparatorie nella propria sede di Firenze e inviando due dei suoi studenti di teologia biblica, Diletta Rigoli e don Bledar Xhuli, che oggi hanno riferito, in una conferenza stampa nel capoluogo toscano, dei risultati emersi durante il ”Qumran Seminar”.

– Le ”giare-manoscritto”, hanno spiegato Rigoli e Xhuli, sono cilindri di ceramica alti circa un metro, di fattura molto raffinata, che vanno dal II secolo a.c. al 70 d.C., anno della distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei romani. La ‘lettura’ delle giare, e dell’altro materiale ceramico ritrovato nel sito archeologico (molti piatti, che probabilmente servivano per la offerte votive, ma anche brocche, vasi, unguentari) secondo i due ricercatori potrebbe confermare che Qumran (su cui esistono ancora molti misteri e punti di controversia tra varie correnti di pensiero) sia stato un importante centro di spiritualita’ e di culto esseno, di cui le grotte (in cui le giare sono state ritrovate) costituivano una specie di ”biblioteca” per la conservazione del testo sacro nella sua purezza, anche per difenderlo da eventuali saccheggi da parte dei soldati Romani.

I nuovi studi sulle giare sembrano confermare molte delle ipotesi avanzate da Roland De Vaux, domenicano dell’Ecole Biblique di Gerusalemme, che condusse gli scavi delle grotte di Qumran e dell’insediamento adiacente. Fu De Vaux a formulare la celebre teoria che interpreta il sito archeologico come un ”monastero esseno”.

De Vaux propose nel 1959 la sua teoria: Qumran era il sito comunitario degli Esseni, una setta che intorno al 150 a.C. si era staccata da Gerusalemme, in opposizione all”’empia” ellenizzazione dell’ebraismo, per praticare il lavoro, la preghiera e l’osservanza della purita’ rituale; e i rotoli erano la loro ”biblioteca”, nascosta nelle grotte per metterla in salvo, al tempo della rivolta antiromana culminata nella distruzione del Tempio, nel 70 d.C.

Nel periodo successivo la prematura morte di De Vaux nel 1971, gli studi si approfondirono e la teoria dell’archeologo subi’ le prime forti critiche: si constato’ che solo una parte dei documenti rimandava agli Esseni, gli altri attestavano tendenze religiose diverse e anche divaricanti. Tuttavia mentre i manoscritti furono completamente pubblicati negli anni ’90, i materiali di scavo, rimasti ‘dormienti’ dalla meta’ degli anni ’50, nel 1987 furono affidati dall’E’cole Biblique all’archeologo domenicano Jean-Baptiste Humbert, sotto la cui supervisione ha operato la squadra italiana nelle ultime settimane.

Fonte: http://mikeplato.myblog.it/archive/2012/02/28/gle-esseni-e-le-donne.html

PER APPROFONDIRE

Qumran – I segreti della misteriosa setta ebraica degli esseni
Massimo Centini

Regole di vita, riti esoterici, frammenti poetici: una raccolta di testi tratti dagli antichi manoscritti di Qumrân, straordinario testamento spirituale degli Esseni.Un giorno del 1947, sulla sponda occidentale del Mar Morto, un pastore giordano scoprì casualmente l’ingresso di una grotta; vi si calò e trovò alcuni rotoli manoscritti di pelle di pecora. Fu una scoperta eccezionale. I ‘Rotoli del Mar Morto’ portarono infatti alla luce la storia e i segreti della misteriosa setta ebraica degli Esseni, vissuta tra la seconda metà del I secolo avanti Cristo e la prima metà del secolo successivo. Gli Esseni furono i precursori del cristianesimo? È un’ipotesi che molti avallano. Lo storico israeliano David Flusser ha scritto: “Gli Esseni si consideravano i figli della Luce con il compito di salvare l’umanità dal male”. Dagli scritti presentati in questo libro, una scelta tra quelli di più facile e accattivante lettura, emerge tutta la loro straordinaria potenza profetica.

MAGGIORI INFORMAZIONI

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Scoperta tomba anomala presso la Piramide del Sole

martedì, 26. luglio 2011 12:23

Il 22 luglio è stata scoperta una tomba, di una tipologia mai vista prima, all’interno di uno dei tunnel Ravne nei pressi della Piramide del Sole del famoso gruppo di piramidi scoperte nel 2005 a Visoko (Bosnia-Erzegovina).

La Fondazione Bosniaca (Archaeological Park: Bosnian Pyramid of the Sun), che cura gli scavi sulle piramidi a Visoko, si avvale da poco più di un anno della collaborazione di un gruppo italiano di ricerca (SB Research Group) capitanato dal Prof. De Bertolis dell’università di Trieste.

La settimana scorsa la redazione di Runa Bianca è stata contattata dal Prof. De Bertolis per avvalersi della collaborazione dell’Arch. Vincenzo Di Gregorio e di alcune apparecchiature tra cui anche un georadar sofisticato costruito nelle officine di Pisa.

Già in passato negli stessi luoghi altri avevano tentato di scandagliare con dei georadar il terreno, ma con poca fortuna. Grazie invece al georadar in dotazione e con l’esperienza di Di Gregorio si è riusciti ad individuare un’anomalia posta sotto il piano di calpestio di un tratto dei tunnel Ravne.

Ad un primo esame la struttura rilevata potrebbe essere una sepoltura composta da due corpi posti a profondità differenti: il primo a 1, 5 metri di profondità ed il secondo a 3 metri. Due camere sovrapposte interamente in pietra con una morfologia simile a due rombi, al loro interno il tracciato del georadar mostra delle aree bianche corrispondenti ad aria. Si può presumere la presenza di due salme sospese nel mezzo. Le dimensioni delle sepolture risultano essere quelle canoniche di 1 x 2 metri circa. La profondità dell’intero complesso però arriva a circa 4, 3 metri.

Gli scavi sono iniziati il 25 luglio e sono tutt’ora in corso. Se venisse accertato che la struttura sia realmente una sepoltura doppia sarebbe un unicum nella storia dell’archeologia. La struttura a “rombi” contrapposti evidenziata dal tracciato del georadar, e illustrata da uno schizzo prospettico 3D indicativo, non è stata sinora mai osservata in un complesso funerario. Poiché la metodologia di sepoltura è strettamente connessa alla cultura del popolo che l’ha creata, questa particolarissima tomba potrebbe gettare luce su un periodo storico poco conosciuto e addirittura su di un popolo probabilmente ancora sconosciuto.

Da studi effettuati con tecniche non invasive dallo staff della redazione della rivista Runa Bianca è emerso altresì che la tomba è intatta, e quindi se arricchita da un corredo funerario, lo stesso è in loco esattamente come è stato messo dai suoi costruttori. Lo studio del corredo funerario servirà, forse per la prima volta, per ottenere importantissime informazioni sugli utilizzatori dei tunnel di Ravne, del loro periodo, della loro cultura e della loro religione, che si sospetta fosse legata al culto della madre terra e per questo avessero scelto dei tunnel per deporre i loro personaggi di maggior spicco.

Ai primi di Settembre a Sarajevo verranno comunicati i risultati dei lavori effettuati quest’anno presso le piramidi bosniache, e la redazione di Runa Bianca con questa sua eccezionale scoperta, avrà un posto di rilievo in questo convegno.

Per maggiori informazioni e aggiornamenti si può contattare la redazione di Runa Bianca all’indirizzo redazione@runabianca.it oppure visitare il sito www.runabianca.it e www.antikitera.net che seguiranno da vicino lo sviluppo della scoperta.

Fonte: http://www.antikitera.net/news.asp?id=10712&T=2

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Scoperta in Turkmenistan la più antica Chiesa Cristiana dell’Asia centrale

domenica, 3. luglio 2011 12:01

L’edificio risale al II secolo e fa parte di un grande complesso monumentale di Haroba Kosht che fu distrutto nel 1221 da Gengis Khan. Lo scopritore, Gabriele Rossi Osmida: era il più antico tempio cristiano di tutta l’Asia centrale.

La struttura arcaica di un’antichissima domus cristiana è stata scoperta nell’oasi di Merv nel deserto del Turkmenistan, in Asia Centrale, da un archeologo veneziano: l’edificio risale alla fine del regno dei Parti (che terminò la sua esistenza nel secondo secolo dopo Cristo). Lo scopritore, appena rientrato in Italia dall’ultima missione, si chiama Gabriele Rossi Osmida, il quale ha individuato la chiesa paleocristiana incastonata nella struttura più antica di Haroba Kosht («Castello in Rovina», in lingua turcomanna), un rudere devastato dal tempo e da millenni di guerre (la distruzione definitiva si deve alle orde di Gengis Khan, nel 1221). È una scoperta clamorosa. Ma l’edificazione di quel tempio cristiano così indietro nel tempo nel cuore dell’Asia centrale, come spiega Rossi Osmida in un’intervista pubblicata dal mensile telematico «Scienzaonline.com», trova riscontro nelle testimonianze registrate da alcuni testi del IV e VI secolo che parlano della predicazione dell’apostolo Tommaso (o dei suoi discepoli) nell’oasi di Merv, dove era giunto nella sua missione di evangelizzazione che infine sarebbe arrivata fino all’India. Nel corso del restauro del «Castello in rovina» commissionato dal governo del Turkmenistan, la missione dell’archeologo italiano si è imbattuta prima in una croce nestoriana in bronzo e poi, in successione, sono emersi «diversi reperti di «ceramica sigillata» di notevole interesse che offrono un ampio ventaglio di simboli paleo-cristiani: croci, pani, pesci, uva, tralci, agnelli che si abbeverano, eccetera. «Con queste scoperte – afferma Rossi Osmida – ora non sussistono più dubbi: Haroba Kosht è stata la più antica chiesa cristiana dell’Asia Centrale».

In realtà, l’obiettivo principale affidato dal Governo del Turkmenistan a Gabriele Rossi Osmida, responsabile del progetto internazionale «Antica Margiana», era il recupero e restauro del monumento architettonico medioevale di Haroba Khosht, un complesso anomalo la cui struttura esce da ogni canone fin qui noto per il medioevo turkmeno; nemmeno ne era chiara la destinazione d’uso. Lo scavo era diventato ancora più difficile a causa dei danni devastanti provocati su quel sito da archeologi sovietici, i quali avevano rifiutato l’ipotesi che potesse trattarsi di una chiesa paleo-cristiana. Ma il primo impianto è stato alla fine faticosamente identificato dall’archeologo italiano: «Non era molto ampio – spiega Rossi Osmida – e riflette il sistema delle cosiddette “chiese a sala” diffuse in Oriente nei primi secoli della nostra era. Un secondo impianto, più massiccio, risale all’arrivo di un nucleo cristiano nestoriano a Merv (V secolo) che, come rileviamo da documenti dell’epoca, costruì una basilica nella cittadella e un monastero (il nostro «Castello in rovina») accanto al palazzo reale sasanide. Gli antichi documenti ci trasmettono anche il nome del fondatore: BarGheorghys». I Nestoriani abbracciavano l’eresia di Nestorio, patriarca di Costantinopoli fra il 428 e il 431, il quale attribuiva a Cristo due nature distinte, l’umana e la divina. Con l’uccisione dell’ultimo re sasanide (nell’anno 652), privi della protezione reale e perseguitati dagli zoroastriani, i Nestoriani abbandonarono il sito riparando in Siria da dove vennero richiamati sul finire del X secolo dagli arabi Abassidi che cercavano, loro tramite, di favorire la distensione con la vicina Bisanzio. Questa politica fu accentuata dalla dinastia turca dei Selgiuchidi, che provvide a un restauro massiccio del monastero e, grazie ai Nestoriani, instaurò un rapporto privilegiato con la Repubblica di Venezia.«A quell’epoca – spiega Rossi Osmida – Merv era la più grande città del mondo (contava ben 200.000 abitanti), ricca di palazzi e monumenti di cui oggi si ammirano le rovine. Qui si realizzò il massimo livello raggiunto in passato di civiltà e di tolleranza religiosa. Vi convivevano pacificamente cristiani, ebrei, buddisti e musulmani. Qui aveva sede una delle più grandi università dell’Oriente, dove il grande Omar Khayyam (1048-1131, padre fondatore dell’algebra e noto poeta) insegnò matematica e astronomia». Ma dopo la discesa delle orde di Gengis Khan, che distrussero Merv per ben tre volte nel giro di pochi mesi, l’oasi venne abbandonata per due secoli e non tornò più agli antichi splendori. I Nestoriani si spostarono definitivamente in Irak e in Siria, dove trasferirono il loro archivio. E finì la storia di quella chiesa lasciata nel deserto.

Fonte: http://www.ilgiornale.it/cultura/archeologia_italiano_scopre_chiesa_paleo-cristiana_turkmenistan/arte-attualit-archeologia-chiesa_paleo-cristiana-turkmenistan-gengis_khan/02-06-2011/articolo-id=526976-page=0-comments=1

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Stonehenge Italiana: scoperto enorme ed antichissimo cerchio di pietre nel bresciano

venerdì, 10. giugno 2011 15:23

Inghiottito da una fitta vegetazione dalle parti di Nuvolera, sul monte Cavallo, un cocuzzolo che fa da confine con la località di Virle, dorme di un sonno millenario il leggendario e semi dimenticato “Sercol”: un magico cerchio di pietroni allineati con una figura umana incisa con un sole che punta al tramonto. Protetto dal suo sottobosco impenetrabile, è di fatto isolato. In pochissimo possono dire di averlo visto: arrivarci è un’impresa ardua, che in inverno diventa impossibile. L’unico momento buono è l’inizio della primavera, quando la vegetazione non è ancora rigogliosa. Non esiste un sentiero percorribile: rovi e massi aguzzi sbarrano più volte l’ascesa sul ripido pendio e non è raro sentire sibilare le vipere. È un posto fuori dal tempo e non alla portata della semplice curiosità dei camminatori domenicali.  Queste difficoltà non hanno fermato due giovani studiosi desenzanesi, Armando Bellelli e Marco Bertagna, entrambi appassionati di storia bresciana e archeologi dilettanti. Qualche voce era giunta alle loro orecchie, ma a incuriosirli sono state le misteriose geometrie visibili tramite programmi di immagini satellitari come Google Earth, così, strumenti alla mano, hanno deciso di sfidare il monte Cavallo e tra boschi di castagno e rovi spinosi hanno mirato al segreto cocuzzolo. Armando Bellelli racconta:

“Un antichissimo luogo sacro,fuori dal tempo. Un gigantesco ed arcano cerchio di pietre vestigia di una civiltà sepolta. Protetto e custodito per millenni da un impenetrabile boscaglia,in cima ad un monte. Un luogo maledetto, considerto dagli abitanti locali addirittura un tabù..Una leggenda sussurrata per generazioni e generazioni,fino ai nostri giorni..E noi, seguendo il mito, lo abbiamo, co così crediamo e speriamo, riportato alla luce.

Questa storia d’avventura non si svolge nelle inaccessibili foreste dello Yucatan né tantomeno nell’Africa Nera.

Armando Bellelli nel cerchio in pietre a Nuovolera

Il mitico “Sercol”, questo il nome dato dalla leggenda al grande cerchio di pietre,  si trova sul cucuzzolo del Monte Cavallo, a Nuvolera, nella civilissima e civilizzata (forse anche troppo urbanizzata) provincia di Brescia. E lì sarebbe rimasto, dimenticato, se io e Marco, abitanti di Desenzano del Garda, da sempre amici e da sempre ricercatori di storia e archeologia, non avessimo deciso di indagare e gettar luce sulle antiche dicerie della zona. Il primo passo è stato scandagliare il Monte Cavallo e le colline dall’alto,palmo a palmo, avvalendoci di programmi che mostrano foto satellitari come Google Earth e Visual. Ed ecco apparire,proprio sulla cima,le inconfondibili linee curve formanti un cerchio di enormi dimensioni,circa 42 m di diametro, perfettamente regolare ed ingoiato letteralmente del bosco.

Per un ricercatore, una volta ottenuto un indizio concreto quale la visualizzazione di quella grandiosa geometria ,che naturale proprio non può essere,è d’obbligo la verifica sul campo: così,armati di fotocamera ed equipaggiamenti vari abbiamo deciso di sfidare la montagna,e dopo una lunga ascesa per un ripido sentiero, siamo giunti finalmente al Sercol. Qui effettivamente abbiamo potuto riscontrare i segni di un’antica presenza umana: centinaia e centinaia di tonnellate di rocce bianche, accuratamente disposte in circolo attorno alla cima spianata del Monte Cavallo. Tante  domande hanno cominciato ad accavallarsi una sull’altra nelel nostre menti. Ci siamo emozionati di fronte a simile resti: quella con tutta probabilità era un’antica fortezza dell’età del bronzo.  O forse in quell’area venivano

celebrati i riti per divinità oramai dimenticate? La foltissima vegetazione e la presenza di grandi massi con vistose erosioni di certo non ne rendeva facile l’identificazione. Erano necessari,ed urgenti,approfondimenti. Ma il destino ci è venuto incontro. La notizia, uscita sulla stampa locale, è arrivata alle orecchie di un grande ricercatore: Alberto Pozzi, segretario della prestigiosa Società Archeologica Comense e, soprattutto, tra i massimi esperti italiani in “megalitismo e civiltà preistoriche e protostoriche” , autore di diverse importanti pubblicazioni a riguardo. Alberto Pozzi ci ha contattato e così abbiamo organizzato un altra ricognizione in quel luogo avvolto dal mistero. Il professor  Pozzi non ha avuto il minimo dubbio: la grande struttura non aveva scopo difensivo: troppo basso l’ammasso di pietre. E, secondo l’insigne studioso, il grande cerchio litico in realtà delimita un zona sacra con probabile funzione di osservatorio astronomico, di fondamentale importanza per le primitive civiltà agricole che necessitavano di calcolare il periodo più adatto a semine e raccolti in base a solstizi ed equinozi. Quella che abbiamo trovato è con tutta probabilità un’antichissima Stonehenge italiana,per quanto costruita con tecniche diverse e in periodi diversi dalla sua “cugina”inglese. Vi è anche la seria possibilità che una volta ripulito dagli sterpi che lo coprono quasi totalmente, il sito possa rivelare la presenza di “pietre di traguardo”, ovvero di indicatori del sorgere e tramontare del sole, così come non è

da escludere la presenza di antiche sepolture. Per Alberto Pozzi sono “necessarie analisi specialistiche della zona,che merita tutta l’attenzione possibile”. La notizia si è diffusa in fretta: il Giornale di Brescia ci ha dedicato ampi spazi e il quotidiano nazionale “Il Giorno” ha riservato alla scoperta del “Sercol” nientemeno che l’intera pagina della cultura. Siamo solo agli inizi, continueranno gli studi e le ricerche al misterioso sito. Io e Marco Bertagna siamo felici. Abbiamola soddisfazione impagabile,come i grandi avventurieri del passato,di aver riportato alla luce un luogo leggendario”.

Fonte: https://millaprandelli.wordpress.com/2011/06/09/brescia-come-stonehenge-ritrovato-grazie-a-due-appassionati-un-cerchio-di-pietre-il-reportage-di-armando-belelli/

http://www.bresciaoggi.it/stories/Provincia/249182__il_sercol_nascosto_di_nuvolera_va_alla_ricerca_di_nuova_luce/

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Le donne libertine del Pliocene

sabato, 4. giugno 2011 11:38

Prima di entrare nel dettaglio analizziamo il periodo storico in cui và collocato:

La comparsa dei dinosauri sulla terra e’ oggi collocata nell’era Mesozoica, da 200 a circa 60 milioni di anni fà, a seguito di questa c’e’ l’era Cenozoica, nota anche come era dei mammiferi, che va dall’estinzione dei dinosauri (fine dell’era Mesozoica) a circa un milione e mezzo di anni fa’, e’ divisa in due periodi Paleogene e Neogene.

Il periodo Neogene e’ diviso a sua volta in tre epoche: Oligocene, Miocene e Pliocene.

Riassumendo:

Era Cenozoica

Periodi: Paleogene e Neogene

Le tre Epoche del Neogene: Oligocene, Miocene e Pliocene

Dopo questa piccola ma doverosa precisazione temporale serve a collocare meglio il periodo in questione.

Durante il Pliocene ci fù un innalzamento dei mari, molte terre furono sommerse e tornarono a riemergere solo alla fine di questa epoca.

E’ propio in questo periodo che si fanno risalire i primi ominidi comparsi sulla terra, eretti e bipedi, tra questi la specie che ha destato sempre piu sospetto da parte degli scienziati e’ Australopithecus afarensis, ritrovati in Etiopia.

Da questa specie discese l’Australopithecus africanus, acora più simile all’uomo come struttura ossea, in particolare i denti sono molto piu’ simili all’uomo rispeto al suo progenitore genetico, viene considerato un importante anello nella catena dell’evoluzione umana, sembra quasi tracciare la linea di confine tra uomo e scimmia.

Una curiosa ricerca recente sembra fornire alcune informamzioni sulle abitudini di questo essere, stravolgendo alcune credenze comuni, infatti dalla ricerca emerge che gli uomini era decisamente più casalinghi delle donne, le quali erano abituate a girare nella savana.

Ciò e’ stato dedotto dal ritrovamento dei denti degli uomini, quasi per la totalita’ ritrovati all’interno, mentre quelli delle donne erano quasi tutti all’esterno.

Molto interessante la dichiarazione del Dott. Sandi R. Copeland, tra i principali autori della ricerca, ha commentato: “Uno degli scopi del nostro studio era quello di analizzare l’uso del territorio da parte di questi primi ominidi. Qui abbiamo scoperto i primi indizi diretti degli spostamenti geografici dei primi ominidi ed essi mostrano che le donne preferivano muoversi al di fuori dell’area del loro gruppo originario”.

Per chi volesse approfondire l’argomento degli Australopithecus africanus, segnalo un link in cui si parla delle cause della morte di un piccolo di questa specie, di cui sono stati ritrovati i resti, questo può mettere in luce i pericoli a cui questa specie era sottoposta, link : http://www.southafrica.info/about/science/taung-skull-130106.htm

Notizia tratta da: http://www.nextme.it/rubriche/previousme/2158-ominidi-maschi-stanziali-femmine-vagabonde

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La piramide di Cheope e lo ZED

domenica, 15. maggio 2011 10:01

Non tutti gli studiosi sono convinti che le Piramidi di Giza siano edifici funebri; secondo R. Bauval, sono parte di un progetto unitario che riproduce sulla Terra la Cintura di Orione; secondo l’italiano M. Pincherle, Cheope cela al suo interno un pilastro di granito alto 60 metri, lo Zed. Queste ipotesi, mai prese in considerazione dagli egittologi, trovano in nuovo libro molto interessante (CUSTODI DELL’IMMORTALITA’ di Piero Magaletti), una conferma straordinaria.

Perché le tre piramidi riprodurrebbero la Cintura di Orione? Perché i tre sarcofagi sono collocati ad altezze diverse? E la costellazione di Orione riproduce davvero una figura maschile? Sono solo alcune delle domande che trovano risposta in questo testo, un appassionante viaggio tra i misteri dell’Antico Egitto che, unendo archeologia, astronomia, filologia, linguistica, mitologia e simbolismo esoterico, rivela l’autentico scopo delle tre piramidi: garantire l’immortalità all’anima del sovrano. Il sospetto che la Piana di Giza nascondesse dell’altro è vivo ormai da decenni; ciò che mancava è la spiegazione definitiva di cosa avvenisse.

Nel 1603, l’Uranometria di J. Bayer, uno dei padri dell’astronomia moderna, assegnava ad ogni stella una lettera dell’alfabeto greco; le tre lettere delle stelle della Cintura di Orione formano il nome Z, E, D. un richiamo esplicito al pilastro che secondo M. Pincherle è custodito nella piramide di Cheope. L’esatta etimologia di Piramide e di Medjedu, il nome egizio di Cheope, è per entrambi “dimora del membro maschile”; lo Zed è quindi il membro di Osiride e il suo scopo era condurre l’anima del faraone nel grembo della costellazione di Orione, che non raffigura un uomo, ma la dea Iside. La prova che le piramidi costituissero tre livelli di un percorso iniziatico di passaggio dalla morte alla vita deriva dall’osservazione dell’altezza crescente delle tre camere che contengono i sarcofagi, da Micerino a Cheope. E non è tutto. L’inizio del rito necessitava di un sacrificio umano, quello del faraone; la complessa cerimonia era scandita da due importanti fenomeni astrali; la sua conclusione suggellava la rinascita del re defunto nelle sembianze di una stella in cielo e l’incoronazione del nuovo Horus sulla Terra. Qualcuno, nei secoli, è sempre stato a conoscenza di questo segreto e ne ha nascosto le prove nei luoghi più impensabili: atlanti stellari, monumenti, dipinti… Ora, per la per la prima volta, CUSTODI DELL’IMMORTALITÀ svela e commenta questi messaggi e ricostruisce dettagliatamente i passaggi della Cerimonia della Rinascita. La divulgazione di questa scoperta (assicura l’autore), frutto di 15 anni di lavoro, cambierà per sempre il nostro modo di intendere l’Antico Egitto e i suoi misteri.

Maggiori informazioni: http://www.custodidellimmortalita.it

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Stranezze sulla civilta che abitava le coste Californiane “Università dell’Oregon”

domenica, 17. aprile 2011 14:22

“Una serie di utensili e resti animali di circa 12.000 anni fa, trovati sulle Channel Islands al largo della California, ha fornito importanti informazioni sulla vita dei primi americani.

I ritrovamenti hanno delineato particolari caratteristiche di una economia marittima, mentre gli strumenti sono risultati essere notevolmente diversi da quelli utilizzati dalle civiltà dell’epoca sul continente. Le scoperte, riportate su Science, suggeriscono anche che le prime popolazioni d’America potrebbero aver viaggiato fino al Sud America navigando sulle coste.” Questi strumenti sono datati circa 11.000 anni fa’, questo potrebbe cambiare le odierne teorie sulle popolazioni autoctone.

Fonte: ilfattostorico.com/2011/03/07/gli-scavi-sulle-channel-islands-svelano-la-diversita-dei-loro-abitanti/

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