Fumetto. Un termine che
pochi conoscono nel suo
significato reale.
Troppo spesso infatti il
termine viene usato come
sinonimo di giornaletto.
E l’uso del diminutivo
non è casuale, perché
nelle intenzioni di chi
per primo ha usato
questa parola c’era la
volontà di associare
questo prodotto al
giornale (anche il
giornale è fatto di
pagine da sfogliare e
leggere), ma un giornale
più “piccolo”, in ogni
senso. Piccolo di
dimensioni, piccolo di
qualità, piccolo di
spessore culturale. Ma
tutto questo è solo ciò
che per troppo tempo
l’opinione comune ha
pensato o voluto
pensare. Finalmente,
dopo anni di
oscurantismo, oggi
comincia a farsi strada
l’idea che il fumetto
non sia un prodotto di
serie b, ma una vera e
propria forma d’arte.
Nella concezione comune
infatti l’arte è solo la
scultura, la pittura,
l’architettura, la
letteratura, e via
dicendo. Ma sfido
chiunque a non
considerare un’opera
d’arte un vestito di
Giorgio Armani, un film
di Roberto Rossellini, o
un fumetto di Neil
Gaiman. Ma non è per
fare un’elencazione di
banalità che scrivo.
Piuttosto vorrei portare
l’attenzione sul fatto
che negli ultimi anni ci
sono stati alcuni
artisti che hanno messo
in luce degli aspetti a
mio avviso
particolarmente
interessanti e complessi
di tematiche che
riguardano l’esoterismo
e il paranormale, e ai
quali artisti forse non
è stato dato il giusto
riconoscimento, almeno
in quest’ambito. Le
ragioni di questo
mancato riconoscimento
sono secondo me da
ricercare proprio nel
fatto che questi artisti
si esprimono attraverso
il fumetto. E spero di
non sembrare arrogante
dicendo che alcune
manifestazioni delle
arti maggiori (quali
alcuni esempi di
letteratura) sono di
pregio di gran lunga
inferiore a quello di
alcune opere a fumetti.
Una considerazione
importante che va fatta
immediatamente è quella
di stabilire quali siano
i parametri da
analizzare nella
valutazione di un
fumetto di qualità,
considerazione da tenere
presente per non
rischiare di cadere
nell’errore di chi
considera il fumetto
come un semplice insieme
di disegni in sequenza.
Sicuramente la capacità
narrativa dello
sceneggiatore e la
qualità grafica del
disegnatore sono cose
fondamentali, anche se
molto opinabili e
soggette al gusto
particolare del lettore.
Ma il parametro
fondamentale da valutare
è secondo me la sinergia
tra il messaggio che
vuole comunicare
l'autore della storia e
la rappresentazione
grafica che di questo
messaggio viene data dal
disegnatore. E in
effetti bisogna
riconoscere che nella
vastità delle opere che
il mercato dei fumetti
offre, solo una parte di
questa realizza appieno
questa sinergia. Ricordo
infatti che nelle prime
occasioni in cui ho
avuto a che fare con la
produzione a fumetti
commettevo l'errore di
giudicare un fumetto che
non conoscevo
sfogliandone una copia
presa dallo scaffale
della mia fumetteria. Mi
sono ritrovato in questo
modo a comprare fumetti
che avevo considerato
alla prima occhiata
molto belli e che poi ad
una lettura attenta e
non affrettata
risultavano invece di
scarsissima qualità.
Questo perché non sapevo
ancora che cosa cercare
per riconoscere un
fumetto di qualità. La
rappresentazione grafica
infatti gioca un ruolo
fondamentale nel
catturare l'attenzione
del lettore, e non c'è
dubbio che i fumetti
realizzati con l'ausilio
delle più moderne
tecniche di colorazione
e di stampa "abbagliano"
più di altri, meno
appariscenti in questo
senso. In particolare,
alcune case editrici
hanno assunto come
politica editoriale
quella di ingaggiare
disegnatori di livello
altissimo, dotarli di
uno staff di
collaboratori
d'eccezione e di
tecniche
all'avanguardia, senza
però poi affiancare a
tutto ciò degli
sceneggiatori di uguale
spessore artistico e
culturale. Risultato:
disegni spettacolari e
storie assolutamente
deludenti (quando ci
sono, le storie, perché
spesso non c'è neanche
una parvenza di quella
che si chiama
sceneggiatura). E questo
tipo di opere sono
quelle che
contribuiscono a creare
la visione dell'opera a
fumetti come di qualcosa
di scarso valore che si
limita solo
all'apparenza e non al
contenuto e ai messaggi
profondi.
Con l'esperienza però
sono riuscito a superare
questi inconvenienti, e
ora posso dire si essere
in grado di individuare
un fumetto di qualità in
mezzo a tanti di scarso
valore artistico.
Non bisogna quindi
fermarsi alle apparenze,
anche nel giudicare
un'opera a fumetti.
Sarebbe come scegliere
un vino per
l'accuratezza artistica
dell'etichetta. Un
fumetto va letto,
riletto, guardato in
ogni suo tratto, ogni
sua sfumatura, ogni suo
colore. E nella lettura
bisogna prestare
attenzione non solo alle
parole scritte, ma anche
alle parole disegnate.
Sì, perché
contrariamente a quanto
si pensa, le scene senza
dialoghi non le inventa
il disegnatore, ma lo
sceneggiatore. I filoni
narrativi delle serie
più lunghe non vengono a
delinearsi per caso, ma
li pianifica lo
sceneggiatore. Spesso
infatti un gesto, uno
sguardo, un'espressione
di un personaggio
possono rivelare più
aspetti di un dialogo di
dieci vignette. Mi è
capitato personalmente
di leggere serie a
fumetti in cui un
personaggio protagonista
di un certo periodo
faceva la sua prima
apparizione in un albo
di due, tre, anche
cinque anni prima, e
magari era semplicemente
un malato in un letto
d'ospedale, o un
passante per la strada,
che non diceva una sola
parola, ma si limitava a
lanciare uno sguardo che
a prima vista sembrava
del tutto casuale. Poi
in una nota di un albo
di parecchio tempo dopo
si leggeva "vedi albo
x". E allora mi rendevo
conto che uno
sceneggiatore di qualità
non lascia mai niente al
caso, ma programma con
decine e decine di albi
di anticipo quello che
andrà a scrivere, magari
a tre anni di distanza.
E non è raro trovare
filoni narrativi
accennati e lasciati in
sospeso dal cambio di
sceneggiatore per una
testata. Quindi, solo un
approccio attento e
appassionato ad un
fumetto ci può
permettere di rivelarne
tutti i significati,
quelli manifesti e
quelli celati. E se dopo
una lettura di questo
tipo ci si accorge che i
messaggi ci sono
davvero, allora il
fumetto è veramente di
qualità, altrimenti non
lo è. Ma non è una
valutazione, questa, che
può essere fatta
basandosi solo su alcune
tavole o peggio ancora
sulla copertina.
Il mondo dei fumetti è
un mondo che certamente
nasce dalla fantasia
degli autori, e non può
essere ricondotto a
fatti realmente accaduti
o a persone realmente
esistite. Però i
personaggi protagonisti
delle storie possono
essere considerati in
qualche modo vivi. Hanno
personalità, hanno idee
e opinioni, devono fare
delle scelte. Proprio
come succede a tutti noi
che viviamo su questa
terra. Forse l'unica
differenza tra gli
uomini della vita reale
e i personaggi dei
fumetti sta nel fatto
che i secondi si trovano
spesso in situazioni al
di là di quella che è la
realtà quotidiana.
Demoni, streghe, alieni,
mutanti, maghi, dei,
sono comprimari
comunissimi nelle serie
a fumetti. Non c'è eroe
dei fumetti che, in un
modo o nell'altro, non
si sia trovato a fare un
viaggio nello spazio,
non abbia dovuto
affrontare un demone o
una strega, non si sia
trovato faccia a faccia
con dei misteriosi.
Persino Tex, icona del
fumetto realistico, ha
avuto a che fare con
fenomeni paranormali.
In definitiva quindi il
paranormale ha sempre un
ruolo di primo piano nel
mondo dei fumetti, ma
non deve essere inteso
come qualcosa fine a se
stesso. Infatti gli
avvenimenti in cui gli
eroi dei fumetti si
trovano catapultati sono
per la maggior parte una
metafora di situazioni
che si sono verificate o
si potrebbero verificare
nel nostro mondo. Il
nemico è sempre metafora
di un vero nemico contro
cui noi stessi siamo
chiamati a lottare in
prima persona. Il
demone, la strega, il
mostro, sono davanti a
noi ogni giorno, pronti
a sfidarci e a colpirci.
Purtroppo però molti di
noi non sono in grado di
riconoscerli, perché li
hanno avuti sotto gli
occhi da troppo tempo, e
loro sanno mimetizzarsi
bene. Le storie a
fumetti possono quindi
farci da guida e
abituarci ad aprire gli
occhi contro queste
minacce, o farci capire
che molte cose di cui
abbiamo paura in realtà
sono assolutamente
innocue, o addirittura
nostre amiche.
La produzione a fumetti
è quanto di più
variegato si possa
immaginare, in quanto a
stili grafici, metodi
narrativi, impostazione
spaziale e temporale. Ma
per fare un po' d'ordine
in questo mare di idee,
si possono ricondurre
tutte le opere a fumetti
a tre scuole di
pensiero, o modelli di
narrazione, se si
preferisce. Un primo
modello è quello
rappresentato dal
fumetto italiano, che ha
caratteristiche
particolari comuni a
tutti i suoi prodotti,
anche se con una certa
variabilità legata alla
personalità dei vari
autori. Il tipico
personaggio di un
fumetto italiano è un
personaggio che nasce
già adulto, e si
mantiene pressoché
inalterato nel tempo.
Voglio dire che Dylan
Dog aveva trentatré anni
nel primo numero e ne ha
trentacinque nel numero
duecentodieci, cioè dopo
diciassette anni di
vita. Il personaggio del
fumetto italiano si
veste sempre allo stesso
modo, ha sempre le
stesse idee e lo stesso
modo di affrontare gli
eventi e le situazioni
in cui si trova immerso,
e esce sempre
invariabilmente uguale,
anche se in parte
segnato, dalle sue
avventure. Infine, in
genere è un personaggio
solitario, o al massimo
ha una spalla, un
comprimario che lo
accompagna nelle sue
avventure. Riguardo
all'organizzazione delle
storie, sono in genere
autoconclusive, e
abbracciano un solo albo
in genere, talvolta due,
al massimo tre.
Naturalmente oggi le
tendenze si sono un po'
modificate, e dei filoni
narrativi e sequenziali
si cominciano a vedere
anche in fumetti
tipicamente "fermi" nel
tempo. Un secondo
modello è quello dei
manga, i fumetti
giapponesi. Nella
impostazione del Sol
levante, il fumetto è
concepito come una serie
di eventi, riguardanti
un personaggio, che
hanno un inizio e una
fine ben definiti (anche
a livello di numero di
albi). Il personaggio
inizia la sua vicenda
nel primo albo, e la
porta a termine
nell'ultimo, nel quale
fa la sua uscita di
scena. Il suo aspetto e
la sua personalità
possono cambiare nel
corso degli avvenimenti,
ma in genere il
personaggio rimane
solidale con
l'impostazione iniziale.
Inoltre, siccome nei
manga l'autore (quasi
sempre uno, alcune volte
due) rimane lo stesso
per tutta la durata
della serie, non si
assiste in questi
fumetti al cambiamento
dovuto all'alternarsi di
diversi autori, come
accade in altro tipo di
fumetti. Le storie
possono seguire un
filone comune che si
dirama per tutta la
serie, oppure avere
carattere più ristretto
e circoscritto a uno
solo o a due albi.
Dulcis in fundum, i
comics, i fumetti
americani. I personaggi
dei fumetti americani
sono, tra tutti quelli
che popolano le pagine
dei fumetti, i più
complessi e i più
soggetti al cambiamento.
Intanto i personaggi dei
comics, almeno di quelli
che sono i protagonisti
di lunghe serie,
crescono, nel senso che
Ciclope aveva quindici
anni quando iniziano le
avventure dei primi
X-Men, e negli albi che
escono oggi ne ha
ventisei o ventisette.
Inoltre, il tempo non è
qualcosa di indefinito
in questi fumetti, che
non si sa quanto duri:
un anno nelle storie
dell'universo Marvel
equivale a circa quattro
o cinque anni nel nostro
tempo, e quindi di
storia editoriale. Ma
non è certo solo questa
l'unica cosa a cambiare
in questi fumetti. Non è
raro infatti vedere un
personaggio morire, e
non una, diciamo così,
comparsa, ma un
protagonista in prima
linea. Magari poi il
personaggio resusciterà
in seguito, o verrà
resuscitato da qualcuno
per averlo come alleato.
Un personaggio come
Magneto è stato dato per
morto almeno cinque o
sei volte, ed è sempre
ritornato. "L'unica
costante della vita è il
cambiamento", come ha
commentato il professor
Xavier, che dopo
quarant'anni di storie
passate sulla sedia a
rotelle ha da poco
riacquistato l'uso delle
gambe. Ma a cambiare non
è solo l'aspetto fisico
(ad esempio l'età e le
uniformi) dei
personaggi, ma anche la
loro personalità, i loro
rapporti con i compagni,
con i nemici e con i
personaggi di altre
serie. Alcuni si sposano
e vanno a vivere insieme
lasciando il gruppo per
poi tornare quando muore
uno dei vecchi compagni;
altri li vediamo entrare
nel gruppo quasi per
forza e con una spiccata
personalità
isolazionista per
ritrovarli poi come
leader indiscussi e
cuore pulsante del
gruppo stesso; altri
ancora passano da un
gruppo a un altro di
eroi, intrecciando
amicizie e alleanze che
poi avranno conseguenze
nel corso delle storie.
E tutto questo non
accade certo nell'arco
di due, tre o cinque
albi. L'evoluzione è
qualcosa che si
manifesta gradualmente,
nel corso di anni di
storie, che se lette in
sequenza costituiscono
un unicum indissolubile,
nelle quali nulla rimane
com'era in origine.
Purtroppo però c'è un
prezzo da pagare per
tutto questo: il
turnover degli autori.
Se infatti nei primi
tempi un autore seguiva
la serie per molti anni,
come è stato con
Claremont per gli X-Men
o con Hama per
Wolverine, col tempo gli
autori hanno cominciato
a cambiare più di
frequente, per ragioni
strettamente legate al
mercato e alle offerte
di lavoro delle case
editrici concorrenti. Si
sono così delineate le
cosiddette ere, l'era
Lobdell, l'era Davis,
l'era Morrison, e così
via. E questo vale sia
per gli sceneggiatori
che per i disegnatori.
Così, alcuni filoni
narrativi appena
accennati non venivano
mai continuati e
sviluppati, oppure un
albo veniva disegnato da
un artista e il
successivo da un altro,
magari con un tratto e
una impostazione
completamente diversi
dal predecessore. Ma
come dicevo, è il prezzo
che si paga ad avere a
che fare con un'opera
davvero coinvolgente e
appassionante, e se
posso esprimere la mia
opinione personale
preferisco un
personaggio che evolve,
anche se si perde di
unicità, ad un
personaggio che è sempre
coerente a se stesso, ma
che è immobile nel tempo
e indifferente o quasi a
qualsiasi cambiamento. |