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														La Sindone è un lenzuolo 
														in lino cucito a “spina 
														di pesce” di 442 
														centimetri di lunghezza 
														per 113 di larghezza 
														conservato nella 
														cappella del Guarini, 
														vicino al Duomo di 
														Torino. Presenta, 
														stampata come se fosse 
														il negativo di una 
														fotografia, l’immagine 
														di un uomo con barba e 
														capelli lunghi: in 
														questa immagine, molti 
														hanno visto impresso, 
														per qualche misterioso e 
														divino motivo, il volto 
														di Gesù Cristo. Insomma, 
														la Sindone sarebbe il 
														sudario di Cristo, il 
														lenzuolo nel quale 
														sarebbe stato avvolto 
														dopo la Crocifissione ed 
														abbandonato nel sepolcro 
														dopo l’Ascensione. Prima 
														di vedere quali siano i 
														motivi che fanno a 
														supporto di questa 
														“teoria”, è opportuno 
														tracciare una breve 
														storia di questo telo, 
														ripercorrendo le tappe 
														che l’hanno o 
														l’avrebbero portato 
														dalla Palestino a 
														Torino. Non abbiamo 
														testimonianze, nelle 
														Scritture, di ciò che 
														accadde al sudario di 
														Cristo dopo 
														l’ascensione. Ciò è 
														dovuto al fatto che, in 
														abiente giudaico, ogni 
														indumento o oggetto 
														venuto a contatto con un 
														cadavere era considerato 
														impuro. E' quindi 
														plausibile che, per 
														salvare il telo, i 
														discepoli abbiano 
														nascosto la reliquia. 
														Una ricerca che sembra 
														avvalorare questa 
														ipotesi è stata condotta 
														dal prof. Michele 
														Salcito, secondo il 
														quale le macchie d'acqua 
														più vistose, causate 
														dall'acqua utilizzata 
														per spegnere l'incendio 
														di Chambery, non 
														corrisponderebbero al 
														sistema di piegatura del 
														telo in quell'occasione, 
														ma ad una piegatura 
														"grossolana" e 
														frettolosa fatta per 
														inserire il lenzuolo in 
														una giara di terracotta 
														del I secolo. Da un 
														Vangelo Apocrifo, però, 
														sappiamo che Gesù, 
														resuscitato, consegnò la 
														Sindone ad un servo del 
														sacerdote del Tempio. 
														Nel 33 d.C., a 
														Gerusalemme, il lenzuolo 
														diventa subito oggetto 
														dell’adorazione dei 
														fedeli, che lo 
														custodiscono per più di 
														500 anni. Nel 544, 
														infatti, il telo si 
														sposta a Edessa, in 
														Turchia meridionale, 
														dove, le cronache 
														riportano, si ha la 
														prima apparizione di 
														un’immagine “non fatta 
														da mano d’uomo”: la sua 
														esposizione è ancora 
														parziale, viene mostrata 
														solo la parte frontale, 
														quella recante 
														l’immagine del volto. 
														L’identità della Sindone 
														si confonde, qui, con 
														quella di un altro 
														oggetto simile, recante 
														l’immagine del volto di 
														Cristo: il Mandylion, 
														che, vuole la leggenda, 
														sarebbe un fazzoletto (mandylion 
														in greco) sul quale Gesù 
														impresse il suo volto. 
														L’ipotesi che un 
														“fazzoletto” sarebbe la 
														Sindone è spiegabile con 
														l’ipotesi che il 
														lenzuolo fosse piegato 
														in maniera tale da 
														mostrare solo il volto. 
														Da Edessa, i bizantini 
														la portano a 
														Costantinopoli, dove 
														viene esposta 
														integralmente. Nel corso 
														del XIII secolo 
														nell’arte bizantina la 
														raffigurazione della 
														morte di Cristo e della 
														sua deposizione nel 
														sepolcro si modifica: 
														vengono raffigurate 
														caratteristiche che 
														sembrano sottintendere 
														la conoscenza di 
														particolari della Sacra 
														Sindone. Qui rimane fino 
														al 1204, quando i 
														crociati entrano in 
														città e la saccheggiano. 
														Il soldato crociato 
														Robert De Clari riportò, 
														nella sua cronaca, di 
														aver visto “la Sindone 
														del Signore”, “la figura 
														di nostro Signore”, 
														conservata nella chiesa 
														di Santa Maria delle 
														Blacherme. Cosa succeda 
														alla Sindone tra il XIII 
														secolo ed il XIV rimane 
														un mistero. Un documento 
														del 1204, conosciuto 
														soltanto in una copia 
														ottocentesca tratta da 
														una copia antica andata 
														dispersa durante la II 
														Guerra Mondiale, ci fa 
														ipotizzare che la 
														Sindone, nel suo lungo 
														peregrinare per il 
														Mediterraneo, abbia 
														compiuto anche tappa ad 
														Atene: si tratta di una 
														lettera indirizzata di 
														Teodoro Angelo, parente 
														dei deposti imperatori 
														bizantini, a Papa 
														Innocenzo III 
														all’indomani del sacco 
														di Costantinopoli. Nella 
														missiva, Teodoro Angelo 
														si scaglia contro il 
														comportamento dei 
														crociati, conquistatori 
														e razziatori senza 
														scrupoli e senza 
														rispetto per gli oggetti 
														sacri, tra cui la 
														Sindone, che egli sapeva 
														essere conservata ad 
														Atene. Il nuovo signore 
														feudale di Atene, nel 
														1204, è Ottone de La 
														Roche, uno dei capi 
														della crociata, che 
														durante la presa di 
														Costantinopoli ebbe il 
														quartiere dove sorgeva 
														la chiesa delle 
														Blacherne, dove era 
														custodita la Sindone. Il 
														telo ricompare poi nel 
														1353 in Francia, a Lirey, 
														donata a Geoffrey de 
														Cherny, grande generale 
														francese, dopo un 
														successo conseguito in 
														battaglia. Il nuovo 
														“padrone” della Sindone 
														era parente, si diceva 
														all’epoca, di un 
														Cavaliere Templare e 
														proprio i Templari, 
														vuole la tradizione, 
														adoravano il viso di un 
														uomo con la barba. E’ 
														dello stesso periodo 
														storico un dipinto, 
														presente a Templecomb, 
														raffigurante un volto 
														molto somigliante a 
														quello della Sindone, 
														posto su un pannello di 
														legno: sarebbe stato il 
														coperchio, si dice, del 
														contenitore della 
														Sindone. Alla sua morte, 
														avvenuta nella battaglia 
														di Poitiers, il 19 
														settembre 1356, si 
														scatenò una disputa sul 
														possesso della reliquia 
														tra il figlio di 
														Geoffrey de Charny ed i 
														canonici di Lirey ed il 
														vescovo di Troyes, nella 
														quale disputa venne 
														coinvolto anche 
														l’antipapa avignonese 
														Clemente VIII. A metà 
														del XV secolo, 
														Marguerite de Charny 
														ritirò la Sindone dalla 
														chiesa di Lirey, dove 
														era custodita, e la 
														portò con sé attraverso 
														l’Europa. Nel 1452 il 
														lenzuolo viene ceduto a 
														Ludovico di Savoia, alla 
														famiglia del quale erano 
														stati legati sia il 
														padre della nobildonna, 
														sia il suo secondo 
														marito, Umbert de La 
														Roche. La famiglia 
														Savoia stabilisce che la 
														si conservi a Chambéry, 
														capitale dell’allora 
														ducato di Savoia. A 
														partire dal 1471, Amedeo 
														IX detto “il Beato”, 
														figlio di Ludovico, 
														decise di collocare 
														Sindone nella chiesa 
														francescana di Chambery. 
														In seguito, la Sindone 
														venne definitivamente 
														riposta in un’urna 
														d’argento in una nicchia 
														della sagrestia della 
														Sainte Chapelle du 
														Saint-Suaire. I Savoia, 
														nel 1502, chiesero ed 
														ottennero dal Papa il 
														riconoscimento di una 
														festa liturgica 
														apposita, per la quale 
														fu scelto il 4 maggio. 
														Nel 1532, precisamente 
														il 4 dicembre, il 
														sudario rischia di 
														venire distrutto da un 
														incendio sviluppatosi 
														all’interno della Sainte 
														Chapelle: saranno le 
														suore clarisse, nel 
														1534, a ripararla con 
														toppe triangolari. 
														L’inizio della guerra 
														tra Francesco I e Carlo 
														V, nel 1536, costringe 
														il duca di Savoia a 
														fuggire portando con sé 
														la Sindone: la Sindone 
														passa per Torino, 
														Milano, Nizza, Vercelli, 
														per fare poi ritorno 
														ufficialmente nella 
														Sainte-Chapelle di 
														Chambéry il 4 giugno 
														1561, in seguito alla 
														pace di Caveau-Cambrésis, 
														che permetteva al nuovo 
														duca Emanuele Filiberto 
														di riottenere i suoi 
														Stati. Nel 1578 i Savoia 
														la fanno trasportare a 
														Torino, nuova capitale 
														del ducato, e la fanno 
														porre nella cappella del 
														Guarini, sua attuale 
														sede. Questo, si dice, 
														più che altro per 
														abbreviare il viaggio 
														dell’arcivescovo Carlo 
														Borromeo, che da Milano 
														voleva recarsi ad 
														adorare la Sacra Sindone 
														a piedi, in base ad un 
														voto fatto in occasione 
														della peste del 1576. 
														Inizialmente, la Sindone 
														fu collocata nella 
														chiesa di San Francesco 
														d’Assisi; in seguito fu 
														spostata nella cappella 
														ducale dedicata a San 
														Lorenzo. Nel 1583 fu 
														trasferita in una 
														cappella rotonda 
														dell’antico palazzo 
														ducale e, nel 1587, 
														venne collocata in 
														un’edicola del duomo. II 
														1 giugno 1694 la Sindone 
														fu collocata nella 
														cappella della Sindone 
														nell’altare-reliquiario 
														ideato da Antonio 
														Bertola. Sarà quella la 
														sua sede fino al 1996, 
														quando, in occasione dei 
														lavori di restauro della 
														cappella, fu collocata 
														nel coro del duomo. Fu, 
														questo, un fatto 
														provvidenziale, in 
														quanto le permise di 
														scampare all’incendio 
														scoppiato tra l’11 e il 
														12 aprile 1997. Nel 1706 
														la Sindone fu spostata 
														momentaneamente a 
														Genova, a causa 
														dell’avvicinarsi dei 
														francesi, che si 
														accingevano ad assediare 
														la città. Ancora, tra il 
														1939 ed il 1946, in 
														previsione dei fatti 
														della Seconda Guerra 
														Mondiale, fu trasportata 
														nel santuario di 
														Montevergine, presso 
														Avellino. Nel 1983, su 
														volere testamentario di 
														Umberto II, viene donata 
														al Vaticano. A questo 
														punto, è opportuno 
														analizzare da vicino 
														questo lenzuolo, per 
														comprendere quali siano 
														i dettagli che lo fanno 
														ritenere il sudario di 
														Cristo. Questa è 
														l’immagine totale della 
														Sindone. 
														
														  
														
														Un’analisi condotta più 
														da vicino aiuta a 
														riconoscere particolare 
														importanti. Partiamo dal 
														busto, anteriore e 
														posteriore: 
														
														  
														
														Tronco dorso presentano 
														moltissime ecchimosi 
														escoriate di forma 
														tondeggiante 
														(1): 
														potrebbero essere 
														lesioni provocate dal 
														flagrum taxillatum, 
														strumento di tortura 
														costituito da un manico 
														corde al termine delle 
														quali sono fissati dei 
														piccoli piombi a forma 
														di manubrio affiancati a 
														due a due. Su entrambe 
														le zone scapolari si 
														possono osservare 
														ecchimosi a forma 
														quadrangolare 
														(2), 
														provocate da un oggetto 
														che può essere 
														identificato con il 
														patibulum, l’asse 
														orizzontale della croce 
														che il condannato 
														portava su di sé sino al 
														luogo dell’esecuzione. 
														Sul fianco destro del 
														petto si nota una grande 
														chiazza di sangue 
														(3) 
														che fuoriesce da una 
														ferita di forma ovoidale 
														all’altezza del quinto 
														spazio intercostale. Le 
														caratteristiche di 
														questa ferita (che 
														presenta, sul tessuto, 
														un alone sieroso 
														costellato da macchie 
														rossastre, come avviene 
														per il sangue uscito da 
														un cadavere in cui la 
														parte sierosa si è già 
														separata da quella corpuscolata) mostrano 
														che essa fu provocata 
														dopo la morte dell’uomo. 
														Continuiamo con gli arti 
														superiori. 
														
														
														  
														
														L’immagine delle braccia 
														non è più visibile a 
														causa della strinatura 
														del tessuto dovuta 
														all’incendio di Chambéry. 
														Gli arti, comunque, sono 
														distesi, con una leggera 
														flessione 
														(4) verso 
														l’interno per la 
														contrazione 
														dell’articolazione del 
														gomito. Sono visibili 
														lunghe macchie di sangue 
														
														(5), colato 
														probabilmente dalle 
														ferite presenti sul 
														dorso. La mano sinistra 
														è sovrapposta alla 
														destra: sul polso è ben 
														visibile una 
														caratteristica chiazza 
														di sangue 
														
														(6), formata 
														da due colature 
														divergenti, il cui 
														angolo è riferibile alle 
														due diverse posizioni 
														del condannato sulla 
														croce: accasciata e 
														sollevata. Il sangue 
														fuoriesce dal polso da 
														una ferita di forma 
														ovale, riconducibile 
														alla lesione da uno 
														strumento da punta, come 
														può essere un chiodo. La 
														ferita provocata dal 
														chiodo, dunque, non è 
														collocata sul palmo, ma 
														sul polso, esattamente 
														in uno spazio libero tra 
														le ossa del carpo, 
														chiamato “spazio di Destot"; il chiodo, 
														penetrando nel polso, ha 
														anche reciso il nervo 
														mediano. La scelta di 
														inchiodare le braccia in 
														quel punto è dettata da 
														motivi di stabilità e 
														fissaggio sulla croce: i 
														tessuti del palmo della 
														mano non possono reggere 
														il peso del corpo senza 
														lacerarsi. Tale pratica 
														è stata anche confermata 
														dal ritrovamento, vicino 
														Gerusalemme, dello 
														scheletro di un 
														crocifisso del I secolo. 
														Concludiamo la nostra 
														analisi con gli arti 
														inferiori, visti da 
														davanti e da tergo. 
														
														  
														
														Sono evidenti i 
														caratteristici segni del 
														flagello 
														(8), la forma 
														dei quali è già stata 
														descritta in precedenza. 
														Entrambe le ginocchia 
														presentano delle 
														escoriazioni 
														
														(9), molto 
														probabilmente dovute a 
														cadute: in 
														corrispondenza di questi 
														punti e sulle piante dei 
														piedi sono state 
														individuate tracce di 
														terriccio. Il ginocchio 
														sinistro è stato fissato 
														dal rigor mortis in 
														posizione più flessa 
														rispetto al destro, e 
														perciò l’arto sinistro 
														risulta nell’immagine 
														più corto del destro. 
														Nell’immagine 
														posteriore, i piedi sono 
														ben visibili, mentre su 
														quella anteriore risulta 
														evidente una macchia di 
														sangue, ma non 
														l’impronta dell’arto. 
														Tutto questo è dovuto al 
														fatto che il piede 
														sinistro, al momento di 
														piantare il chiodo, 
														sovrastava il destro, 
														che era a contatto con 
														la croce. Sulla pianta 
														del piede destro si nota 
														il foro di uscita del 
														chiodo 
														(10), 
														dal quale partono rivoli 
														di sangue verso le dita, 
														mentre altri scendono 
														verso il calcagno: è 
														probabile che siano 
														fuoriusciti al momento 
														della deposizione, 
														quando il corpo si 
														trovava in posizione 
														supina. Veniamo ora al 
														viso. Questa è la 
														visione che ne abbiamo 
														direttamente come appare 
														sul tessuto. 
														
														  
														
														Queste, invece, sono le 
														immagini “trattate”, 
														“positivo” e “negativo”. 
														
														  
														
														E’ evidentemente il 
														volto di un uomo 
														picchiato: si possono 
														notare tumefazioni, 
														lividi, macchie di 
														sangue 
														(11) (famosa è la 
														macchia a forma di 3 
														rovesciato 
														(12), la cui 
														forma dipende dalla 
														rughe d’espressione 
														della fronte); sulla 
														fronte, sulla nuca e 
														lungo i capelli, 
														disposte a raggiera 
														intorno al capo, sono 
														evidenti numerose 
														macchie di sangue ad 
														andamento sinuoso 
														(13), 
														sangue fuoriuscito da 
														ferite da punta di 
														piccolo diametro. Il 
														naso è leggermente 
														storto 
														(14), a causa, 
														forse, di una frattura. 
														 
														La Sindone, da sempre, 
														lascia stupiti e 
														perplessi tutti coloro 
														che vi si avvicinano. E’ 
														davvero il volto di 
														Cristo? O si tratta di 
														una delle tante 
														mistificazioni di 
														oggetti sacri realizzate 
														nel Medio Evo? I pareri 
														divergono. E le analisi 
														che vengono condotte ad 
														intervalli irregolari da 
														studiosi o pseudo-tali 
														non aiutano di certo, 
														visto che, puntualmente, 
														emergono fatti nuovi a 
														suffragare l’una o 
														l’altra ipotesi. Vediamo 
														i fatti. Una prima 
														“scoperta” che pare 
														avvallare l’autenticità 
														del lenzuolo viene 
														fatta, per caso, nel 
														maggio del 1898 da un 
														avvocato con la passione 
														per la fotografia, tale 
														Secondo Pia. Una 
														fotografia del telo, 
														fatta dell’uomo durante 
														la sua ostensione, 
														mostrava il volto 
														“positivo” di un uomo e 
														non, come logica 
														suggerirebbe, il 
														“negativo”. Questo 
														voleva dire che era la 
														figura sul telo ad 
														essere in “negativo”, il 
														che significava, ancora, 
														un eventuale falsario 
														medioevale aveva 
														volontariamente dipinto 
														i lenzuolo in 
														“negativo”. Cosa poco 
														probabile, visto che 
														l’invenzione della 
														camera oscura era 
														parecchio successiva. 
														Questo, però, non fu 
														sufficiente a far 
														desistere i sostenitori 
														della teoria del 
														“dipinto”. Nel 1939 il 
														professor Romanese, per 
														esempio, dimostrò che un 
														corpo trattato con aloe 
														e mirra è in grado di 
														lasciare sul tessuto di 
														lino un’impronta simile 
														a quella della Sindone. 
														L’esperimento pratico 
														condotto dal professore, 
														in effetti, portò a 
														questo risultato, 
														tuttavia senza la 
														perfezione di 
														impressione che si nota 
														sulla Sindone. Nel 1969, 
														ancora, Noemi Gabrielli, 
														soprintendente delle 
														Gallerie ed opere d’arte 
														medioevali in Piemonte, 
														affermò che il corpo di 
														Gesù era stato disegnato 
														da un artista su una 
														stoffa bagnata e poi 
														trasferita sulla tela 
														con una procedura assai 
														comune nel Medio Evo. 
														Nello stesso periodo, lo 
														studioso Walter McCrone 
														affermò che si trattava 
														di un doppio dipinto: la 
														prima immagine era stata 
														realizzata con colori 
														ricavati dalla terra e 
														le macchie di sangue 
														ricavate da spruzzi di 
														vermiglio. Prove 
														pratiche iniziarono a 
														compiersi nel 1975, 
														quando due ricercatori 
														della NASA, J. Jackson e 
														E. Jumper, utilizzando 
														un analizzatore spaziale 
														denominato VP8, crearono 
														un modello 
														tridimensionale del 
														corpo avvolto nella 
														sindone, realizzato, 
														poi, materialmente con 
														leggeri strati di 
														cartoni di vetro. Cosa 
														simile fu fatta tre anni 
														più tardi dal prof. 
														Giovanni Tamburelli, il 
														quale, analizzando vari 
														punti del tessuto nei 
														quali, a suo dire, erano 
														contenute informazioni 
														che davano la distanza 
														fra il tessuto e la 
														pelle, dimostrò che il 
														lenzuolo aveva davvero 
														avvolto un corpo umano. 
														Tamburelli, poi, fece di 
														più, ricavando al 
														computer l’immagine 
														tridimensionale del 
														volto stampato sulla 
														Sindone. Volto che ha 
														impressionanti 
														somiglianze con quello 
														descritto da tutti i 
														Vangeli, con tumefazioni 
														causate dai colpi di 
														bastone, con profondi 
														segni causati dai 
														flagelli, con tracce 
														delle tre cadute fatte 
														da Gesù nel tragitto 
														fino al colle del 
														Golgota, con gocce di 
														sangue rappreso. Oltre a 
														questo, una cosa nuova: 
														una fossetta lasciata 
														sull’occhio sinistro da 
														una moneta. Questa 
														pratica, secondo gli 
														esperti, era cosa comune 
														nei primi anni dell’era 
														cristiana, non in 
														seguito. Inoltre, la 
														tradizione delle 
														scritture ci tramanda un 
														Gesù morto vestito solo 
														da una specie di 
														pannolino: l’uomo della 
														Sindone, invece, è nudo. 
														Un artista medioevale 
														non avrebbe mai 
														rappresentato Cristo in 
														maniera diversa da 
														quella tramandata. 
														Dunque, l’ipotesi della 
														falsificazione 
														medioevale diventava 
														sempre più flebile. 
														Questa ipotesi veniva 
														demolita, anche, da 
														altri fatti, più 
														propriamente anatomici 
														ed appartenenti ad una 
														cultura “medica” 
														solamente moderna. 
														Vediamo quali sono. 
														Sulla fronte del volto 
														della Sindone compare 
														una macchia di sangue a 
														forma di 3, cosa che 
														corrisponde 
														perfettamente con 
														l’incisione sulla fronte 
														causata dalla corona di 
														spine. Le mani, inoltre, 
														non presentano 
														l’immagine dei pollici 
														
														
														(7): Baima Bollone, 
														esperto di fama mondiale 
														nella medicina legale, 
														dedicatosi per anni allo 
														studio della Sindone, 
														spiega che, durante la 
														crocifissione, i chiodi 
														vanno ad incidere un 
														tendine adibito proprio 
														al movimento del 
														pollice, che rimane, 
														così, bloccato 
														all’interno della mano. 
														Nel 1981, il già citato 
														Baima Bollone esaminò 
														alcuni frammenti di fili 
														estratti dal telo. Ciò 
														che scoprì fu molti 
														interessante: sui 
														frammenti c’erano tracce 
														di sangue, del gruppo 
														AB. Oltre a questo, 
														l’”esame autoptico” 
														condotto da Bollone 
														stabilì che il viso era 
														asimmetrico, tumefatto 
														da numerose percosse, 
														che un occhio era gonfio 
														e le labbra erano gonfie 
														a causa di un colpo. 
														Insomma, l’immagine 
														stampata sulla Sindone 
														rappresentava senza 
														dubbio un uomo morto per 
														crocifissione mediante 
														chiodi, pratica di morte 
														presente soprattutto 
														nell’Impero Romano 
														(altri popoli 
														preferivano 
														l’impalamento o la 
														crocifissione mediante 
														anelli a bloccare le 
														braccia).  
														Recentemente, il 
														botanico Max Frei ha 
														avviato una nuova 
														ricerca, basata su un 
														metodo diverso: la 
														botanica, appunto. 
														Alcune fibre di tessuto, 
														notò l’uomo, sembravano 
														contenere granuli o 
														spore di polline. La 
														loro analisi rivelò che 
														si trattava di polline 
														di faggio e tasso tipici 
														dell’Europa 
														settentrionale e 
														centrale. Questo provava 
														che la sindone era stata 
														esposta (all’aperto) in 
														Francia ed in Italia. 
														Altri pollini erano, 
														invece, di altre piante, 
														tipiche della Turchia 
														meridionale, di una 
														particolare verità dell’Assueta 
														che cresce solo in 
														Palestina, del Paganum 
														Hamala, tipico del 
														deserto tra il Mar Morto 
														e Gerico, e di altri sei 
														arbusti endemici di 
														quella zona. Insomma, il 
														telo era stato nelle 
														terre del Vangelo. Nel 
														1988 la Chiesa autorizzò 
														tre laboratori (in 
														Arizona, ad Oxford ed a 
														Zurigo) a compiere 
														analisi al Carbonio 14 
														sulla Sindone. Il 
														Carbonio 14 è una 
														sostanza che viene 
														assorbita da tutti gli 
														esseri viventi (piante 
														ed animali) che 
														respirano, fin quando 
														questi sono in vita, e 
														che si deposita sulle 
														ossa; è una sostanza che 
														decade ad intervalli 
														regolari di tempo, 
														dunque, con alcuni 
														semplici calcoli, è 
														possibile risalire al 
														periodo in cui l’animale 
														o la pianta ha cessato 
														di assorbire carbonio, 
														in cui, cioè, è morta. 
														L’analisi di alcuni 
														piccoli frammenti del 
														tessuto della Sindone 
														rivelò che il sudario di 
														Gesù era ben più recente 
														dei 2000 anni che le si 
														attribuivano, risalendo 
														ad un periodo compreso 
														tra il 1260 ed il 1390. 
														E’ probabile, però, che 
														il frammento di tessuto 
														utilizzato per l’analisi 
														sia quello utilizzato 
														dalle clarisse per il 
														restauro in seguito 
														all’incendio del ‘500. 
														
														Recentemente, 
														l’interesse degli 
														studiosi si è 
														concentrato 
														sull’immagine della 
														moneta stampata in 
														corrispondenza di un 
														occhio, di cui abbiamo 
														già parlato. L’analisi 
														della moneta ha rivelato 
														che si tratta di una 
														moneta presente in 
														Palestina tra il 29 ed 
														il 30 d.C., come il 
														profilo di una coppa e 
														le lettere TIB, iniziali 
														di Tiberius, Tiberio, 
														l’imperatore sotto quale 
														Cristo morì, 
														testimoniano. La verità 
														riguardo alla Sindone, è 
														probabile, non la 
														sapremo mai. Ma in 
														fondo, è davvero la 
														verità che ci interessa 
														scoprire? O è forse 
														meglio lasciare la 
														risposta a certi quesiti 
														solamente alla nostra 
														anima ed alla nostra 
														fede? Ognuno, in base 
														alla propria 
														personalità, cerchi la 
														risposta come meglio 
														crede.   |