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Il Tempo dei Celti
Alexei Kondratiev

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L'erbario Celtico: la quercia
a cura di Mary Falco

Sono molte le specie di Quercia in Italia, alcune con foglie caduche come il Rovere, la Roverella, la Farnia, il Cerro, altre con foglie sempreverdi come il Leccio e la Quercia da sughero. Il Rovere è senza dubbio la specie più famosa, tanto che per molti è la quercia per eccellenza; può raggiungere grandi dimensioni, con portamento maestoso specie nei soggetti isolati. Albero longevo che può arrivare bene a 1000 anni di vita. In Danimarca, dove fino al XVI secolo esistevano grandi foreste di querce, vi sono tuttora esemplari di 1500 anni di età. Le foglie di Rovere, molto consistenti, hanno il margine ampiamente lobato (cioè arrotondato come il lobo dell'orecchio). Il frutto è la notissima ghianda, che in caso d’emergenza è commestibile anche per l’uomo, un "pane dell'alica" preparato con grano duro, farina di ghiande ed argilla, secondo le ricette degli antichi romani, era ancora reperibile nelle campagne del Lazio negli anni sessanta. Rimedio d'emergenza nei tempi di carestia era pesante da digerire, ma aveva un altissimo valore nutritivo. Normalmente la ghianda è molto appetita dai suini, eredi domestici dei cinghiali che un tempo proliferavano appunto in questo tipo di foresta. In alcune incisioni del 1400 e 1500 sono appunto rappresentate mandrie di maiali, che cercano ghiande sotto grandi piante di quercia. In una novella del "Cunto de li cunti" di Basile la madre del tempo, dietro cui s'indovina una divinità agreste, lamenta appunto che i suoi frutti da alimento per gli uomini si sono trasformati in cibo da porci. Il legno, ancora oggi pregiatissimo, trova una vasta gamma di impieghi: traversine ferroviarie, doghe delle botti, listelli per palchetti, mobili di pregio. Ed è pure un ottimo combustibile. Dalla corteccia si ricavano sostanze usate per la concia delle pelli. Sin dagli albori dell'umanità ha assunto un ruolo di primo piano nella vita della comunità ed il culto di quest’albero era praticato da molti popoli. Frequentemente citato nella Bibbia: Abramo incontra per la prima volta Jahvè in un bosco di querce, è collegato dai Greci col sommo dio Zeus e dai Romani con Giove, la divinità della pioggia e del fulmine. In realtà i fulmini colpiscono forse più frequentemente i frassini, per cui in questa preferenza c’è già la riflessione d’un popolo che ha fatto una scelta tra l’oscura soggezione alle forze della natura ed il riferimento ad un’autorità olimpica e solare, come appunto Giove, divinità sostanzialmente bonaria, sempre alla ricerca d’una soluzione pacifica tra le mille contese degli altri dei, che ha come unico debole la passione per le belle donne. Anche questa strettamente legata, da galantuomo, al riconoscimento della prole e talvolta alla ricerca d’un accordo da parte della moglie legittima, come nella vicenda di Ercole, forse il suo rampollo più famoso, che riesce addirittura ad ottenere l’adozione olimpica. Lo stormire delle foglie di quercia faceva parte del misterioso linguaggio degli oracoli. La più antica quercia sacra si trovava a Dodona, nell'Epiro e Pausania riferisce che le prime sacerdotesse erano donne, mentre Erodoto racconta la versione più popolare, secondo cui si trattava di due colombe nere giunte in volo dalla magica città di Tebe, in Egitto, affrettandosi ad aggiungere che forse si trattava di due sacerdotesse rapite dai Fenici che gli indigeni paragonassero a colombe perché parlavano in modo strano. Come spesso accade ad Erodoto la spiegazione è meno razionale della leggenda iniziale! Callimaco invece spiega che i sacerdoti avevano appeso alla quercia parecchi paioli di bronzo, per potenziare l'effetto del suono prodotto dal vento. In ogni caso la quercia restò una pianta amata, anche quando non forniva oracoli e molti villaggi, anche in epoche recenti, avevano la loro quercia protettrice della comunità. I Celti la collegavano al culto di Thor (legato anche al culto della divintià etrusca Giove-Tinia citata nel mio capitolo sulla religione Etrusca), dio armato di un martello che evocava la folgore ed era il nemico giurato dei demoni, dei giganti ed antagonista di Odino per la supremazia celeste. Nel Medioevo il culto di quest'albero si è attenuato, tuttavia l'idea che le querce fossero qualcosa di più di semplici alberi è rimasta radicata nel pensiero popolare. Una leggenda racconta che il diavolo aveva ottenuto da Dio il permesso di possedere completamente il bosco quando gli alberi fossero spogli e che proprio per salvarlo le querce, con supremo sforzo, s'impegnarono a trattenere sui rami le foglie secche ed avvizzite, senza lasciarle cadere. Nei pressi di Viterbo è venerata anche una "Madonna della quercia" un'icona antica fatta dipingere su una tegola da un devoto, tale Battista, a maestro Martello, detto Moneto ed appesa poi ad una quercia sulla pubblica via, che dalla contrada del Mandriale conduceva a Bagnaia. Dopo cinquant'anni, nel 1447, il santo eremita Pier Domenico Alberti decise che la Madonna sarebbe stata più a posto nel proprio oratorio, ma per quanto di giorno la trasportasse, durante la notte spariva da sola ed al mattino si trovava sempre sulla quercia. Il santo vide in questo segno la volontà divina e rinunciò al suo progetto, non così una pia donna di nome Bartolina, che vent'anni più tardi ripeté l'esperimento, sempre con lo stesso risultato. In quegli stessi giorni un cavaliere assalito dai briganti s'abbracciò alla quercia, supplicò la Madonna d'aiutarlo e vide i suoi assalitori proseguire cercandolo altrove, come se fosse diventato invisibile. Nell'agosto di quell'anno, 1467 scoppiò la peste e gli abitanti di 14 contrade, circa 30.000 uomini, donne e bambini, mossero in processione verso quella che ormai era nota come "Madonna della quercia" e nel giro d'una settimana il flagello abbandonò la città. Ora sul luogo sorge un bel santuario rinascimentale, con soffitto ligneo d'Antonio di Sangallo il Giovane e la seconda domenica di settembre gli abitanti di Viterbo si recano in processione a ringraziare la Madonna. Purtroppo tradizioni religiose e leggende popolari non hanno certo saputo impedire massicci abbattimenti per utilizzare l'ottimo legname, impiegato in maniera particolare nelle costruzioni navali e nelle opere di fortificazione di cui medioevo, età comunale e rinascimento furono straordinariamente ghiotti. Quando i terreni incolti cominciarono a franare si preferì sostituire la quercia con alberi ritenuti più utili: come gli ulivi, i pioppi o i pini rossi, a secondo dell'ubicazione del terreno. Le querce hanno infatti una crescita molto lenta e nessuno più alleva maiali all'aperto. Ora in Italia sono frequenti altre querce introdotte dall'America, per lo più appartenenti al gruppo delle cosiddette "Querce rosse" perché il loro fogliame assume in Autunno colorazioni rosse. Le proprietà nutrienti, rinfrescanti ed antiemorragiche sono tuttavia le stesse.

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