Sono
molte le specie di
Quercia in Italia,
alcune con foglie
caduche come il Rovere,
la Roverella, la Farnia,
il Cerro, altre con
foglie sempreverdi come
il Leccio e la Quercia
da sughero. Il Rovere è
senza dubbio la specie
più famosa, tanto che
per molti è la quercia
per eccellenza; può
raggiungere grandi
dimensioni, con
portamento maestoso
specie nei soggetti
isolati. Albero longevo
che può arrivare bene a
1000 anni di vita. In
Danimarca, dove fino al
XVI secolo esistevano
grandi foreste di
querce, vi sono tuttora
esemplari di 1500 anni
di età. Le foglie di
Rovere, molto
consistenti, hanno il
margine ampiamente
lobato (cioè arrotondato
come il lobo
dell'orecchio). Il
frutto è la notissima
ghianda, che in caso
d’emergenza è
commestibile anche per
l’uomo, un "pane dell'alica"
preparato con grano
duro, farina di ghiande
ed argilla, secondo le
ricette degli antichi
romani, era ancora
reperibile nelle
campagne del Lazio negli
anni sessanta. Rimedio
d'emergenza nei tempi di
carestia era pesante da
digerire, ma aveva un
altissimo valore
nutritivo. Normalmente
la ghianda è molto
appetita dai suini,
eredi domestici dei
cinghiali che un tempo
proliferavano appunto in
questo tipo di foresta.
In alcune incisioni del
1400 e 1500 sono appunto
rappresentate mandrie di
maiali, che cercano
ghiande sotto grandi
piante di quercia. In
una novella del "Cunto
de li cunti" di Basile
la madre del tempo,
dietro cui s'indovina
una divinità agreste,
lamenta appunto che i
suoi frutti da alimento
per gli uomini si sono
trasformati in cibo da
porci. Il legno, ancora
oggi pregiatissimo,
trova una vasta gamma di
impieghi: traversine
ferroviarie, doghe delle
botti, listelli per
palchetti, mobili di
pregio. Ed è pure un
ottimo combustibile.
Dalla corteccia si
ricavano sostanze usate
per la concia delle
pelli. Sin dagli albori
dell'umanità ha assunto
un ruolo di primo piano
nella vita della
comunità ed il culto di
quest’albero era
praticato da molti
popoli. Frequentemente
citato nella Bibbia:
Abramo incontra per la
prima volta Jahvè in un
bosco di querce, è
collegato dai Greci col
sommo dio Zeus e dai
Romani con Giove, la
divinità della pioggia e
del fulmine. In realtà i
fulmini colpiscono forse
più frequentemente i
frassini, per cui in
questa preferenza c’è
già la riflessione d’un
popolo che ha fatto una
scelta tra l’oscura
soggezione alle forze
della natura ed il
riferimento ad
un’autorità olimpica e
solare, come appunto
Giove, divinità
sostanzialmente bonaria,
sempre alla ricerca
d’una soluzione pacifica
tra le mille contese
degli altri dei, che ha
come unico debole la
passione per le belle
donne. Anche questa
strettamente legata, da
galantuomo, al
riconoscimento della
prole e talvolta alla
ricerca d’un accordo da
parte della moglie
legittima, come nella
vicenda di Ercole, forse
il suo rampollo più
famoso, che riesce
addirittura ad ottenere
l’adozione olimpica. Lo
stormire delle foglie di
quercia faceva parte del
misterioso linguaggio
degli oracoli. La più
antica quercia sacra si
trovava a Dodona,
nell'Epiro e Pausania
riferisce che le prime
sacerdotesse erano
donne, mentre Erodoto
racconta la versione più
popolare, secondo cui si
trattava di due colombe
nere giunte in volo
dalla magica città di
Tebe, in Egitto,
affrettandosi ad
aggiungere che forse si
trattava di due
sacerdotesse rapite dai
Fenici che gli indigeni
paragonassero a colombe
perché parlavano in modo
strano. Come spesso
accade ad Erodoto la
spiegazione è meno
razionale della leggenda
iniziale! Callimaco
invece spiega che i
sacerdoti avevano appeso
alla quercia parecchi
paioli di bronzo, per
potenziare l'effetto del
suono prodotto dal
vento. In ogni caso la
quercia restò una pianta
amata, anche quando non
forniva oracoli e molti
villaggi, anche in
epoche recenti, avevano
la loro quercia
protettrice della
comunità. I Celti la
collegavano al culto di
Thor (legato
anche al culto della
divintià etrusca
Giove-Tinia citata
nel mio capitolo sulla
religione Etrusca),
dio armato di un
martello che evocava la
folgore ed era il nemico
giurato dei demoni, dei
giganti ed antagonista
di Odino per la
supremazia celeste. Nel
Medioevo il culto di
quest'albero si è
attenuato, tuttavia
l'idea che le querce
fossero qualcosa di più
di semplici alberi è
rimasta radicata nel
pensiero popolare. Una
leggenda racconta che il
diavolo aveva ottenuto
da Dio il permesso di
possedere completamente
il bosco quando gli
alberi fossero spogli e
che proprio per salvarlo
le querce, con supremo
sforzo, s'impegnarono a
trattenere sui rami le
foglie secche ed
avvizzite, senza
lasciarle cadere. Nei
pressi di Viterbo è
venerata anche una
"Madonna della quercia"
un'icona antica fatta
dipingere su una tegola
da un devoto, tale
Battista, a maestro
Martello, detto Moneto
ed appesa poi ad una
quercia sulla pubblica
via, che dalla contrada
del Mandriale conduceva
a Bagnaia. Dopo
cinquant'anni, nel 1447,
il santo eremita Pier
Domenico Alberti decise
che la Madonna sarebbe
stata più a posto nel
proprio oratorio, ma per
quanto di giorno la
trasportasse, durante la
notte spariva da sola ed
al mattino si trovava
sempre sulla quercia. Il
santo vide in questo
segno la volontà divina
e rinunciò al suo
progetto, non così una
pia donna di nome
Bartolina, che vent'anni
più tardi ripeté
l'esperimento, sempre
con lo stesso risultato.
In quegli stessi giorni
un cavaliere assalito
dai briganti s'abbracciò
alla quercia, supplicò
la Madonna d'aiutarlo e
vide i suoi assalitori
proseguire cercandolo
altrove, come se fosse
diventato invisibile.
Nell'agosto di
quell'anno, 1467 scoppiò
la peste e gli abitanti
di 14 contrade, circa
30.000 uomini, donne e
bambini, mossero in
processione verso quella
che ormai era nota come
"Madonna della quercia"
e nel giro d'una
settimana il flagello
abbandonò la città. Ora
sul luogo sorge un bel
santuario
rinascimentale, con
soffitto ligneo
d'Antonio di Sangallo il
Giovane e la seconda
domenica di settembre
gli abitanti di Viterbo
si recano in processione
a ringraziare la
Madonna. Purtroppo
tradizioni religiose e
leggende popolari non
hanno certo saputo
impedire massicci
abbattimenti per
utilizzare l'ottimo
legname, impiegato in
maniera particolare
nelle costruzioni navali
e nelle opere di
fortificazione di cui
medioevo, età comunale e
rinascimento furono
straordinariamente
ghiotti. Quando i
terreni incolti
cominciarono a franare
si preferì sostituire la
quercia con alberi
ritenuti più utili: come
gli ulivi, i pioppi o i
pini rossi, a secondo
dell'ubicazione del
terreno. Le querce hanno
infatti una crescita
molto lenta e nessuno
più alleva maiali
all'aperto. Ora in
Italia sono frequenti
altre querce introdotte
dall'America, per lo più
appartenenti al gruppo
delle cosiddette "Querce
rosse" perché il loro
fogliame assume in
Autunno colorazioni
rosse. Le proprietà
nutrienti, rinfrescanti
ed antiemorragiche sono
tuttavia le stesse.
Visita il sito personale
di
Mary Falco
|