Contrariamente
a quanto si può pensare
tuttavia l'etrusco,
circondato da tanta
ricchezza, non smette
mai di pensare a Dio.
Attento osservatore del
cielo ed esperto
conoscitore dei cicli
stagionali, come vuole
la sua professione
composita di navigante,
coltivatore ed
estrattore di metalli,
conserva un profondo
atteggiamento mistico
nei confronti dei
fenomeni naturali: in
tutto ciò che accade
vede il riflesso del
favore o della collera
divina ed è ansioso di
meritare un giudizio
positivo. Ritiene un
dovere non solo
rispettare la natura, ma
migliorarla dove può,
come quando bonifica una
palude o "purifica" il
territorio dove s'è
abbattuto un fulmine. La
religione etrusca è
rivelata da una zolla di
terra appena arata che
si muove da sola. Al
contadino accorso ad
ammirare il prodigio, un
minuscolo essere Tagete
predica non ardite norme
etiche, ma il corretto
modo di tracciare i
confini tra i campi,
d'osservare il volo
degli uccelli, di
proteggersi dai fulmini
e dai terremoti, allora
anche più frequenti
d'oggi. Più tardi la
ninfa Vegoia spiegherà
il corretto uso delle
acque e dei frutti
terrestri. In una
società urbana dalle
precoci aperture, in cui
anche i servi più
modesti avevano diritto
ad una vita propria, la
professione d'aruspice
resta rigorosamente
riservata agli
aristocratici, uomini e
donne. Le nostre
conoscenze in fatto di
religione etrusca
derivano da due fonti:
dati archeologici e
testimonianze
documentarie di
scrittori romani, che
ricorrevano loro per
proporre una "procuratio"
ossia per porre rimedio
ad eventi prodigiosi che
facessero sospettare la
collera degli dei e far
tornare la "pax deorum";
la religiosità degli
Etruschi era talmente
nota da suggerire anche
una curiosa etimologia
del nome Thyrrhenoi da "thyein",
che vorrebbe dire
sacrificare. Il segno
divino, definito con
linguaggio tecnico "ostentum"
viene analizzato in
maniera estremamente
minuziosa e se ne studia
in forma altrettanto
accurata la "procuratio"
o rimedio. Mentre per
ciò che riguarda la
sfera privata e
familiare non abbiamo
alcune testimonianze,
tutti i prodigi
riguardanti il potere
erano fatti oggetto
d'un'analisi
particolarmente attenta
e fu proprio questo
ruolo politico a
guadagnare agli aruspici
etruschi un ruolo
ufficiale nella scena
politica romana.
Tuttavia i Romani
avevano un carattere
troppo pratico per
capire le motivazioni
profonde della religione
etrusca, che come quella
celtica aveva una forte
componente sciamanica e
si basava
sostanzialmente
sull'apprendimento
orale, custodito da una
casta sacerdotale
chiusa. L'osservazione
attenta di fenomeni mai
capiti fece nascere
tante leggende strane,
come quella che i
sacerdoti etruschi
potessero evocare a
piacimento tempeste e
tuoni. Certamente
l'attenta osservazione
della natura e la
comunione con piante ed
animali produceva una
simbiosi con l'ambiente
maggiore di quella
verificata e pianificata
dalla ragione, ma questo
non comporta
necessariamente l'uso di
pratiche magiche. Il
buco nell'ozono,
l'inquinamento e la
mucca pazza stanno a
dimostrare che
l'approccio tecnico
scientifico non è ne'
l'unico ne' il migliore
possibile! Per secoli ci
si è dovuti accontentare
delle testimonianze
romane e quindi poco
obbiettive, ma oggi
l'archeologia ha fatto
grandi passi, abbiamo in
particolare due
documenti eccezionali,
senza mediazioni: si
tratta del "liber
linteus" di Zagabria, un
calendario sacrale
realizzato in lino e
compilato nel II a.C. in
area cortonese o
perugina, tagliato e
riadoperato per far
bende in una mummia
d'Egitto ed il "Fegato
di Piacenza" un
modellino di bronzo di
fegato di pecora, sempre
del II a. C. recante
indicazioni epigrafiche
atte a trarre auspici.
Gli Etruschi infatti
condividevano con gli
Ittiti la concezione
d'una perfetta
corrispondenza magica
tra gli organi degli
animali ed il cielo,
tanto da realizzare
questa specie di "mappa"
per trovare subito gli
spazi celesti ed inferi
legati alle varie
divinità. Veniamo così a
conoscenza delle
principali divinità
etrusche: Tinia=Zeus
Giove (divinità legata
anche al
culto celtico del Dio
Thor), Uni=Hera Juno,
Turan=Afrodite Venere,
Turms=Hermes Mercurio,
Nethunus=Poseidone
Nettuno, Menerva=Athena
Minerva e Maris=Ares
Marte. Non sempre però
esiste questa completa
corrispondenza: il
principale dio Etrusco,
venerato nel santuario
federale di Volsini col
nome di Voltumna non
corrisponde ad alcuna
figura greca o romana,
mentre, al contrario,
Ercole è completamente
importato da Cartagine
insieme ad Astarte, che
si fonde non già con
Turan, bensì con Uni,
principale dea
femminile, infine
Artemide ed Apollo
verranno direttamente
dalla Grecia, senza
nessuna fusione locale.
Le dee etrusche sono
comunque più dolci delle
sorelle greche,
introducendo anche a
Roma la stessa visione
bonaria: Ercole sarà
praticamente adottato da
Giunone, attraverso il
famoso espediente del
latte da cui
scaturiranno i gigli e
le stelle della Via
Lattea, mentre Ippolito,
che nella tragedia greca
muore, trova seconda
vita nelle selve del
Lazio dove, col nome di
Virbio, sposerà la ninfa
Aricia. Tornando ai
reperti archeologici,
che son poi quelli da
cui traggono alimento le
storie mitologiche, c'è
il "Tegolo di Capua",
risalente al V sec. a.
C. un rituale relativo
alla sfera infera da
osservarsi per i mesi
che vanno da marzo ad
ottobre, inciso su una
tegola rinvenuta appunto
a Capua, per molti
secoli capitale della
Campania etrusca ed
infine la lamina di
Santa Marinella, del VI
sec. a. C. testo forse
oracolare di un
santuario cerite. Si
tratta sempre e comunque
di testi religiosi, che
vanno ad affiancarsi
alle iscrizioni delle
tombe e si riducono in
ogni caso a semplici
norme per la misurazione
del tempo e dello
spazio. La prescrizione
vera e propria era
sempre dominio esclusivo
dell'aruspice, che data
la situazione
consigliava di volta in
volta il da farsi. Il
rigoroso rispetto delle
norme non deve tuttavia
far pensare ad un rigido
fatalismo, al contrario
l'idea era appunto di
sottrarsi
progressivamente al peso
delle leggi materiali
per vivere in una
dimensione più
spirituale attraverso la
pratica religiosa.
Qualsiasi destino poteva
essere mutato da un
opportuno rituale ed un
eventuale debito
contratto con gli dei,
che comportasse una
pena, poteva essere
rimandato di almeno
dieci anni, fino al
raggiungimento del
settantesimo anno d'età,
quando l'uomo era
considerato una specie
di "sopravvissuto" ed il
suo destino apparteneva
ormai agli dei, senza
nessuna possibilità
d'intervento o modifica.
Le immagini inserite
nell'articolo provengono
dalla Mostra sugli
Etruschi di Palazzo
Grassi
www.palazzograssi.it
Visita il sito personale
di
Mary Falco
|