Il termine strega nasce
da molto lontano, da un
immaginario uccello
notturno, simile ad un
gufo, chiamato
strix dai
latini, che, secondo la
tradizione, penetrava
nelle case per cibarsi
del sangue dei bambini.
Questa è l’origine del
successivo termine
striges e
dunque
strega. Ma
chi erano veramente le
streghe. La stregoneria,
come documentato nei
primi scritti sulla
materia, affonda le sue
radici nel paganesimo, e
in particolare negli
atavici ricordi di un
culto mai del tutto
scomparso, quello della
Dea Madre i cui rituali
di fertilità e
procreazione, andarono
lentamente mutando nel
tempo, perdendo così la
loro antica origine
religiosa. In questa
ottica vedremo le
“streghe” come quello
che resta delle antiche
sacerdotesse della dea,
donne legate ad antichi
rituali tramandati dalle
madri alle figlie da
tempo immemorabile e
legati ai rituali di
campagna. La religione
cristiana ha da sempre
cercato di opporsi alle
forme di paganesimo che,
mai dimenticate,
rimanevano ben radicate
negli usi e nelle
abitudini dei paesi di
campagna. Nel 452 il
concilio di Nicea
condannò ufficialmente
il culto delle pietre,
ma questo non bastò per
cancellare pratiche
religiose ben radicate
tra le popolazioni,
successivamente nel 789
il Concilio di Tours
proibì nuovamente
qualunque rituale legato
ai culti naturali, ma
anche queste norme
rimasero disattese. Una
data piuttosto
importante è il 314,
dove al Concilio di
Ancira il monaco
Graziano presenterà il
Canon Episcopi,
fino al 1000 il più
importante riferimento
nella lotta al
paganesimo. E’ qui che
troveremo una ulteriore
traccia di quei riti
popolari di cui
successivamente si
traviserà la memoria. A
differenza dei trattati
successivi, infatti, si
collega la stregoneria
al culto pagano di
Diana, retaggio di una
antica religione mai del
tutto cancellata, le
streghe erano
considerate semplici
donnine superstiziose e
l’accusa non era tanto
di malefici quanto di
essere ritenute della
pagane legate a rituali
falsi e menzonieri. Se
dunque fino al Medioevo
i processi erano di poco
interesse e forte era la
tolleranza, nel 1500 il
modus agendi
cambia radicalmente, i
processi entrano nei
tribunali e nel 1525
viene autorizzata dal
Papa la tortura per
estorcere le
confessioni, il rogo
come punizione finale.
Le streghe non sono più
semplici superstiziose e
donne ignoranti ma
spesso gente di basso
ceto accusata per
semplici gelosie o
inimicizie, o come capro
espiatorio di strane
malattie, alluvioni,
siccità e di qualunque
evento dannoso colpiva
la comunità. Era questo
il segno che in essa si
annidava la serpe del
diavolo: la strega. Nel
XIII secolo nasce la
vera e propria caccia a
questa “novella strega”.
Nel 1484 sarà papa
Innocenzo VIII a dar
inizio, con la sua bolla
Summis desiderantes
affectibus,
alla infausta caccia,
ratificata poi dal
tristemente famoso
Malleus Maleficarum
dei due domenicani Jacob
Sprenger e Heirich
Kramer. Tra il XIV e il
XVII sec. nove milioni
di donne furono
trucidate spesso perché
colpevoli di semplici
superstizioni. E’ forse
nel gotico borgo di
Nogaredo che troveremo
un chiaro esempio di
questa “lamia”, non
l’amante del diavolo,
bensì una semplice donna
di campagna la cui
ignoranza e le cui
invidie saranno la sua
condanna al rogo. La
vicenda ha inizio il
XXIV Novembre del 1646,
data in cui si diede
inizio a quello che sarà
denominato “Processo
Criminale per la
Distruzione delle
streghe”. In questa data
infatti Maria di
Nogaredo, nota con il
soprannome di Mercuria,
accusata di stregoneria
per aver aiutato ad
abortire una ricca donna
del paese, la marchesa
Bevilacqua, addita
Domenica Chemelli, nota
con il soprannome
Menegota, e sua figlia
Lucia, moglie di Antonio
Cavaden di esser anche
loro ree. In realtà,
come si può ben leggere
tra le righe delle
numerose confessioni poi
estorte alla Mercuria,
tra le donne vi era solo
una forte inimicizia
nata da un battibecco
pubblico nella piazza
del paese su della
canapa che, secondo
Domenica, era stata
rubata lei proprio dalla
sua accusatrice.
Epidemie, carestie, ma
spesso complotti e
gelosie, erano il vero
inizio di processi
interminabili che
portavano a torture e
alla morte di molti
abitanti di piccole
comunità dove ancora
forte regnava la paura e
il soprannaturale.
Mercuria pensava di
poter denunciare e
dunque vendicarsi delle
due donne senza che per
lei ci sarebbe stato
alcuna accusa, ma la
verità è ben lontana,
tra i tormenti e il
crepitio delle sue ossa
sottoposte alla tortura
della corda, durante
l’interrogatorio del 15
Novembre, confessa di
esser una strega,
iniziata proprio da
Domenica e la figlia
Lucia, per le quali
aveva rubato anche il
Santissimo Sacramento
“…quattro ostie mi ho
levate fora de bocca,
una delle quali ho data
alla Menegota, una a
quella di Nogarè, e con
le altre due
m’insegnarono che
dissipassi delle
creature…”.
Tra gli omissis presenti
nel manoscritto che ne
descrive le confessioni,
che verosimilmente
coincidevano con
tremende torture patite
da Mercuria, ella
confessa anche di aver
partecipato a sabba
notturni sotto le
sembianze di gatto e di
essersi unita con il
diavolo. Queste sono le
accuse e i moventi di un
processo che vedrà
indagati a catena
moltissimi abitanti del
paese, questo lo
scenario dei molti
processi del XVII secolo
in una consuetudine
tipica dei processi di
campagna, ove sempre più
spesso, più che di
fronte a streghe e
fattucchiere, siam in
presenza di misere donne
che, per invidia, ignare
dei rischi delle loro
confessioni, accusavano
e denunciavano altre
loro compaesane. Il 27
Novembre, al cospetto
del Giudice viene
portata Domenica
Chemelli a rispondere
delle accuse a lei mosse
e il 29 la figlia Lucia
che non fanno altro che
confermare l’astio tra
loro e Mercuria sfociato
nel litigio per la
canapa rubata. Ma il
“tratto di corda” doveva
ancora far sentire i
suoi effetti e così
Lucia racconta come lei
e altre donne del paese
stregarono il signor
Cristoforo Sparamani, “…e
divenni piccola piccola
in forma di gatto, et
andassimo di compagnia
in casa Sparamani,
entrando per la parte
della stalla di sotto…et
arrivate dove detto
Cristoforo era in letto
solo, che dormiva,
cominciò ad ontarlo
aiutandola sempre la
Mercuria, et
incominciarono dal capo
sino alii piedi, né mai
esso si mosse dal sonno,
né io mai le aiutai…e
fornito che avessimo, ci
partissimo e
ritornassimo a casa
della Domenica
[si tratta di
Domenica Graziadei,
donna accusata
successivamente,
precisazione da farsi
per non entrare in
confusione con la stessa
madre di Lucia, Domenica
Chemelli n.d.A],
et
incominciaron a ridere e
a trar fuori del pane…”,
e di come partecipavano
agli incontri
stregoneschi in
compagnia del demonio “…vi
son andata più volte in
compagnia della
Mercuria, di Domenica,
qualche volta vi veniva
mia madre e Morandina di
Maran, col diavolo in
forma d’huomo, che ci
abbracciava tutte, e poi
andavamo a spasso
facendo festa e
ballavamo…”.
Con il proseguo del
processo scopriremo
ancora una volta la
triste verità che si
cela dietro a questi
racconti, infatti il 6
Dicembre, Cecilia
Sparamani, in
interrogatorio,
descriverà come il
figlio Cristoforo era
soggetto ad attacchi
epilettici, la medicina
non aveva avuto effetti
su di lui e così
“…deliberai di mandarlo
a Padova da Sant’Antonio
ma…fu condotto a
Brontolo, ad un Vescovo
dal qual fu scongiurato;
poi l’ho fatto condurre
a Trento da Padre
Macario a ricever alcuni
bollettini contro le
fatture…”. Ancora una
volta, dietro alle
accuse e alle denunce di
stregoneria veniva
riproposto alla
comunità, o al singolo,
il capro espiatorio
degli eventi che la
razionalità umana non
riusciva a spiegare. Il
2 Dicembre era ancora la
corda a parlare, durante
gli interrogatori alla
domanda se aveva altre
accuse da fare, Lucia
Cavaden risponde che
“…se vostra Signoria mi
dimanderà, dirò quel che
saprò: ma di grazia non
mi faci dar tormenti!…”.
L’orrore dell’infamia si
stava spargendo, furono
interrogate
successivamente la
Menegota, madre di Lucia
e Domenica Gratiadei,
che, se in principio
erano pronte a negare di
aver partecipato a
simili rituali, “…Vostra
Signoria scriva che l’ho
fatto, non so però
d’averlo fatto…”
successivamente, tra
torture e prigionia,
confessarono le orribili
accuse. Molte altre
persone sarebbero così
state accusate ed
arrestate, Benvenuta
Graziadei, figlia della
già citata Domenica,
Cecilia Sparamani, madre
di quel Cristoforo
stregato dalle donne,
Madonna Maria e sua
figlia, il fabbro
Gratiadei, il signor
Santo Pertellino,
Caterina Fitola, Ginevra
Chemola, Isabetta e
Paolina Brentegani,
Maddalena Andrei (detta
la filosofa), Valentina
Andrei e Pasqua
Bernardini. La comunità
cade nella trappola
dell’inganno, e così
molti degli eventi
negativi avvenuti, degli
incedenti e delle
malattie nel paese
vengono attribuiti e
imputati alle
stregonerie delle donne,
il tetro sipario della
superstizione e della
paura calava
terribilmente su
quell’inverno del 1646.
Ecco così che al
tribunale si presenta
Antonio Ferrari, “…già
alcuni anni mi morseron
alcuni bovi, una vacca
ed una manza con mio
gran danno; sebbene però
non ho avuto sospetto di
alcuno. Mia moglie
l’altro giorno mi ha
raccontato che Lucia
Cadavena, che hor si
trova qui prigioniera,
vene una volta in casa
mia a pregarla ch’io
volessi tenerle una
creatura a battesimo…”
e anche la morte
prematura della figlia
del Giudice e
Cancelliere del processo
Frisighello fu
attribuita ad un’erba
velenosa portata lei da
queste streghe. Non ci
volle molto a far
confessare anche queste
nuove accuse, il 7
Dicembre, sotto tortura
Lucia parla “…d’un
insalata mandata alla fu
Lisabetta, figlia del
Cancellier Frisinghello,
per farle fare il mal
fine…”, il 18
dello stesso mese, al
suo sesto interrogatorio
in richiesta della sua
complicità per il
tragico incidente delle
vacche la ragazza
risponde “…signor
sì ch’è vero e io lo
ratifico, e lo mantinirò
anche nei tormenti…”
e lo stesso farà
Benvenuta Graziadei. Il
processo durò ben un
anno, a nulla valsero le
difese degli avvocati
delle donne, il fatto
che il Cancelliere era
coinvolto direttamente
nel processo per
giudicare le donne che
avrebbero ucciso la
figlia e la moglie, che
le accuse iniziali erano
mosse da chiara
diffamazione tra donne
che, si accusavan l’un
l’altra pur di salvarsi,
che molte delle
testimonianze furono
suggerite dagli
inquisitori durante le
torture, che i medici
affermarono che i molti
“marchi del diavolo”
ritrovati sui corpi
delle giovani durante
gli interrogatori ove
veniva così denudata e
rasata completamente per
scrutare le parti più
intime e segrete, al
limite di una morbosità
sessuale, erano di
origine naturale, che,
come si legge dagli atti
della difesa “…se
ad aprir una inquisizion
criminale ponno bastare
indizi ancor lievi, per
carcerare se ne
richiedono di fondati,
per tormentare di ugenti,
per condannare di chiari
come la luce del sole…”.
Il XIV Aprile 1647
Domenica Chemella, Lucia
Cadaven, Domenica
Graziadei, Caterina
Baroni, Ginevra Che
mola, Isabetta e Polonia
Graziadei e Valentina
Andrei, furono
condannate alla
decapitazione e al rogo
dei loro corpi tenuta in
località Giare e alla
quale dovette assistere
tutta la popolazione,
pena un'ammenda di 25
ducati. Ignoranza,
pregiudizi, vendette e
crudeltà, questi furono
le vere imputazioni di
un processo terminato
nel sangue e che scosse
l’intera comunità di
Nogaredo ma che allo
stesso modo colpì molti
altri paesi, come Triora,
o Rovereto per citarne
qualcuno. Sarebbe
bastato accusare qualcun
altro per avere nuovi
sviluppi e nuovo dolore,
“…ed
arduo sarebbe
conghietturare quai
gigantesche dimensioni
quel formidabile dramma
avrebbe potuto assumere
mercè gli'influssi, e
dietro la spinta d’una
volontà inflessibile…” |