Nonostante il fatto che
gli assassini seriali
siano sempre esistiti,
l’espressione “Serial
Killer”, comunemente
usata oggi, è stata
coniata solo
recentemente. In passato
o venivano identificati
in altro modo o non
venivano riconosciuti
come tali. Nel corso
della storia infatti,
l’uccisione “in serie”
di più di una vittima,
era definita
genericamente come una
forma di omicidio di
massa. Soltanto alla
fine degli anni
Cinquanta i criminologi
hanno iniziato a tentare
di distinguere diversi
tipi di omicidio
multiplo.
1957: Il
primo passo importante
venne effettuato dal
criminologo James
Reinhardt, che nel suo
libro
Sex Perversions and Sex
Crimes coniò
l’espressione “killer a
catena”;
1966:
L’inglese John Brophy fu
il primo a parlare di
assassino seriale nel
suo libro
The Meaning of Murder;
1974:
L’agente dell’FBI Robert
Ressler conia
l’espressione “omicidio
seriale” mentre si trova
in Inghilterra (forse
dopo essersi imbattuto
nel precedente lavoro di
John Brophy?);
1976: Lo
psichiatra legale Donald
Lunde iniziò a parlare
di omicidio seriale di
massa in
Murder e Madness;
1988: Dopo un
lavoro di ricerca durato
dal 1979 al 1983 l’FBI
raccoglie in
Sexual Homicide:
patterns and motives
(John E. Douglas, Robert
K. Ressler) i risultati
di uno studio effettuato
su 36 soggetti colpevoli
di omicidi a sfondo
sessuale. I profili
psicologici di killer
con moventi di tipo
sessuale, a seconda
delle caratteristiche
personali e delle prove
trovate sulla scena del
crimine, vengono divisi
in:
·
Organizzati:
agiscono pianificando i
loro omicidi, assumendo
un controllo totale
sulla scena del crimine.
Il killer organizzato ha
in genere un buon
livello di intelligenza,
ha un partner ed è
competente dal punto di
vista sessuale.
Analizzando la sua
infanzia emerge una
posizione privilegiata
in ambito familiare (è
il figlio maggiore o è
figlio unico),
affiancata da una
disciplina impartita in
modo incoerente. In
genere ha un lavoro
qualificato, ed è
disposto a cercarne uno
nuovo o a cambiare città
se le indagini lo
mettono sotto pressione.
Sceglie sconosciuti come
vittime, le sottomette
spesso utilizzando mezzi
di costrizione durante
lo stupro o le torture.
Agisce quasi sempre
seguendo lo stesso
copione quasi fosse un
rituale, spesso
trasporta i corpi
lontano dalla scena del
crimine per nasconderli
in modo da ritardare la
loro scoperta, e cerca
di nascondere eventuali
prove. L’organizzazione
e l’attenzione nel
commettere il crimine
rende complicata
l’identificazione del
colpevole, che spesso
viene catturato per
semplici sue
distrazioni.
·
Disorganizzati:
sono svantaggiati
rispetti ai killer
organizzati, agiscono
impulsivamente lasciando
dietro di sé una scena
del crimine caotica e
disseminata di indizi.
In genere il killer
disorganizzato ha
un’intelligenza media o
bassa ed è socialmente
immaturo, vive da solo
ed è inesperto dal punto
di vista sessuale,
potrebbe essere ancora
vergine. Ha un lavoro
instabile e passa da un
impiego all’altro. Non
pianifica i suoi crimini
ma piuttosto uccide in
maniera impulsiva,
agisce in genere vicino
alla zona in cui vive e
di frequente le vittime
conoscono il loro
aggressore. Raramente le
vittime vengono legate o
torturate visto che
vengono uccise in pochi
istanti, i corpi vengono
poi in genere lasciati
nel luogo dove sono
caduti, difficilmente
vengono rimossi visto
che il killer non pensa
alla possibile cattura,
non viene fatto neanche
alcun tentativo di
ripulire la scena del
crimine allo scopo di
rimuovere eventuali
tracce o indizi.
Nonostante il fatto che
quanto detto possa far
supporre che la cattura
di un killer di questo
genere sia facile ed
immediata, a volte sono
comunque necessari
parecchi omicidi prima
di raccogliere un numero
sufficiente di prove per
accusare il colpevole.
1988: Il
National Institute of
Justice definisce
l’omicidio seriale “una
serie di due o più
omicidi, commessi come
eventi separati,
solitamente, ma non
sempre, da un criminale
solo. I crimini possono
verificarsi in un
periodo che va da alcune
ore ad anni. Il più
delle volte il movente è
psicologico, e il
comportamento del
criminale e le prove
concrete osservate sulla
scena dei crimini,
riflettono connotazioni
di tipo sadico e
sessuale”.
1992: Il
Crime Classification
Manual (John
E. Douglas, Ann W.
Burgess, Allen G.
Burgess, Robert K.
Ressler) dell’FBI divide
gli assassini multipli,
ad eccezione di quelli
che uccidono due vittime
nello stesso tempo e in
un luogo solo (double
killer) oppure tre
vittime nelle stesse
condizioni (triple
killer), in tre
categorie:
a)
Mass Murderer (assassino
di massa):
uccide quattro o più
vittime nello stesso
luogo e in un unico
evento; di solito, il
soggetto non conosce le
proprie vittime e la
scelta è per lo più
casuale.
b)
Spree Killer (assassino
compulsivo):
uccide due o più vittime
in luoghi diversi e in
uno spazio di tempo
molto breve; questi
delitti, spesso, hanno
un’unica causa
scatenante e sono tra
loro concatenati in un
certo periodo; anche in
questo caso, il soggetto
non conosce le sue
vittime e, dato che non
nasconde le sue tracce,
viene catturato
facilmente.
c)
Serial Killer:
uccide tre o più
vittime, in luoghi
diversi e con un periodo
di intervallo emotivo (cooling
off time) fra un
omicidio e l’altro; in
ciascun evento
delittuoso, il soggetto
può uccidere più di una
vittima; spesso, ritiene
di essere invincibile e
che non verrà mai
catturato.
Oggi la definizione
di Serial Killer data
dall’FBI, in
una realtà molto più
complessa di 20-30 anni
fa,
non è da ritenersi più
completamente valida,
in primo luogo perché
basata sull’esame di
campioni particolarmente
ristretti. Inoltre i tre
elementi su cui si basa,
ovvero l’uccisione di
almeno 3 vittime, in
luoghi diversi, e con un
intervallo di durata non
chiara, non rispecchiano
la vera immagine
dell’omicida seriale. E’
probabilmente migliore e
decisamente valida la
definizione data da
Ruben De Luca, basata
sullo studio di 1200
serial killer di tutto
il mondo.
1998:
DEFINIZIONE DI SERIAL
KILLER di RUBEN DE LUCA
“L’assassino seriale è
un soggetto che mette in
atto personalmente
due o più
azioni omicidiarie
separate tra loro (nello
stesso luogo o in luoghi
diversi) oppure
esercita un qualche tipo
di influenza psicologica
affinché altre persone
commettano le azioni
omicidiarie al suo
posto. Per parlare di
assassino seriale, è
necessario che il
soggetto mostri una
chiara volontà di
uccidere, anche se poi
gli omicidi non si
compiono e le vittime
sopravvivono: l’elemento
centrale è la “ripetitività
dell’azione omicidiaria”.
L’intervallo che separa
le azioni omicidiarie
può andare da qualche
ora a interi anni e le
vittime coinvolte in
ogni singolo evento
possono essere più di
una. L’assassino seriale
agisce preferibilmente
da solo, ma può agire
anche in coppia o come
membro (o capo) di un
gruppo. Le motivazioni
che spingono
all’omicidio seriale
sono varie, ma c’è
sempre una componente
psicologica interna al
soggetto che lo spinge
al comportamento
omicidiario ripetitivo.
In alcuni casi, vanno
considerati assassini
seriali anche i soggetti
che uccidono nell’ambito
della criminalità
organizzata (quando un
movente psicologico
personale li spinge ad
uccidere al di là degli
interessi
dell’organizzazione), i
terroristi (quando
uccidono per soddisfare
un proprio piacere
personale e non solo per
confermare l’ideologia
in cui credono), i
soldati (quando il gusto
di uccidere subentra al
fatto di eseguire solo
degli ordini)”.
La prima cosa evidente
di questa definizione è
la sua chiarezza, che si
contrappone
all’ambiguità della
definizione data
dall’FBI. Il numero di
vittime necessarie ad
identificare un serial
killer scende a due:
l’interesse, più che sul
fatto compiuto, si
sposta sulla reale
intenzione di ripetere
l’azione omicidiaria,
che questa vada a
termine o meno. Un
esempio, restando in
Italia, è il caso di
Luigi Chiatti, meglio
conosciuto come il
Mostro di Foligno,
colpevole di aver ucciso
due bambini di 4 e 13
anni, Simone Allegretti
e Lorenzo Paolucci, con
i quali aveva tentato di
avere rapporti sessuali.
Anche se studiando la
sua biografia si fa
fatica ad inquadrarlo
come serial killer, già
dopo aver commesso il
primo omicidio, inviò
questo messaggio agli
inquirenti: “Aiuto!
Aiutatemi per favore. Il
4 ottobre ho commesso un
omicidio. Sono pentito
ora, anche se non mi
fermerò qui.” Da queste
parole si nota la sua
probabile intenzione a
continuare la catena di
omicidi, due vittime
sono già sufficienti ad
identificare una
personalità complessa e
la sua pericolosità.
Un’altra novità
introdotta dalla
definizione di De Luca è
l’omicidio seriale “per
induzione”. Spesso una
personalità forte e
carismatica è in grado
di spingere una
personalità debole e
dipendente a compiere
azioni di qualsiasi
genere. Per fare un
esempio, va senza dubbio
menzionato il caso di
Charles Manson, capace
di attirare a sé giovani
emarginati di entrambi i
sessi, la sua
“Famiglia”, e spingerli
a compiere efferati
omicidi.
Ma chi sono davvero i
serial killer? Solo
leggendo una seppur
chiara definizione è
impossibile farsi
un’idea di quali
personalità possano
nascondersi dietro poche
righe di spiegazione.
Studiare non basta,
indagare non aiuta
abbastanza. Trovarsi
faccia a faccia con un
assassino non è
sufficiente. E’
necessario entrare nella
loro mente, pensare come
loro, trasformarsi in
loro, restando però
nella normalità di tutti
i giorni, fin quasi ad
impazzire. E’ questo che
fa chi da loro la
caccia, è questo che fa
chi per bloccarli e
salvare vite umane deve
prevedere ed anticipare
le loro azioni. Per
capire chi sono bisogna
sapere cosa pensano,
come pensano, cosa
fanno, come lo fanno e
perchè, sempre che un
perché… ci sia.
BIBLIOGRAFIA
·
Consultare la
bibliografia della
sezione, raggiungibile
dall'indice degli
articoli
|