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Andrei Romanovich Chikatilo: Il mostro di Rostov
Quando i comunisti mangiavano davvero i bambini. Il caso “striscia di bosco”
a cura di Laura Quattrini

LA “COSTRUZIONE” DI UN SERIAL KILLER

Questa è la storia di un uomo timido e impacciato, che, come molti altri “figli del piccolo padre Stalin”, aveva fatto del comunismo la sua ragione e modello di vita. Suo padre Roman era un soldato sovietico fatto prigioniero dai tedeschi e liberato dagli alleati alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e come tanti altri ritenuti probabili spie, al ritorno in patria era stato eliminato. Andrei nacque nell’ottobre del 1936 nel paese agricolo di Yablochnoye, in Ucraina. Negli anni Trenta milioni di contadini furono condannati a morire di fame dall’”agricoltura collettiva” di Stalin… la famiglia di Andrei era povera e viveva in una capanna, e oltre alla fame, il piccolo Andrei venne a conoscenza di un fatto che lo sconvolse profondamente e che con molta probabilità fu una delle cause che scatenarono le sue turbe da adulto. Sua madre Anna, una donna che non aveva mai mostrato affetto ne’ per lui ne’ per la sorella Tatyna, infatti, gli raccontava spesso che un suo fratello maggiore (o cugino – “I serial killer”, Mastronardi-De Luca) era stato ucciso e mangiato durante la carestia. Nonostante il fatto che non si siano trovati dati certi sul fatto, Andrei crebbe con la convinzione che si trattasse di un avvenimento realmente accaduto. Trascorse un periodo in un orfanotrofio sovietico, e qui imparò a vergognarsi di suo padre e ad amare Stalin, riconoscendo in lui il suo vero padre. Già da questo fatto viene spontaneo immaginare che genere di conflitti possano crearsi in una personalità in fase di crescita, portata ad odiare il suo vero padre e ad amare il suo assassino. Andrei si rivelò essere un serial killer tardivo, che ricondusse i suoi crimini agli avvenimenti della sua prima infanzia. Era un bambino timido, introverso e riservato, non riusciva a fare amicizia, pensava che gli altri bambini fossero tutti antipatici. Inoltre aveva paura di stringere rapporti per timore che si scoprissero i suoi piccoli segreti: era miope (riuscì a nascondere la sua miopia fino a 30 anni!) e faceva la pipì a letto (ne soffrì fino ai 12 anni). Durante l’adolescenza i compagni di scuola lo prendevano in giro dicendo che era effeminato, e per questo motivo anche le ragazze lo evitavano. Andrei si trovò a non poter soddisfare le proprie pulsioni sessuali sempre crescenti, diventando una persona aggressiva, che picchiava gli altri per dimostrare di essere “il più forte”. Tentò di avere varie esperienze sessuali ma ogni volta era un disastro, aumentando in lui la frustrazione, la disperazione e la convinzione di essere impotente. Nonostante questi problemi si rivelò comunque essere uno studente modello, e nel 1971 si laureò in filologia e letteratura Russa all’Università di Rostov. Subito dopo trovò lavoro come insegnante a Novoshaktinsk, ma lasciava intendere a tutti che era una persona goffa ed irritabile.

ISTINTO INCONTROLLABILE

Nel 1973 importunò un’allieva quindicenne mentre nuotava in piscina, e nel 1974 venne obbligato a dimettersi dall’incarico, spostandosi a lavorare in un istituto tecnico a Shakhti. Ma dietro le ancor pacifiche apparenze di serio professore e padre di famiglia (Andrei era infatti sposato con Fayina, una donna con la quale non ha mai avuto più di 4 rapporti sessuali all’anno, ed era padre di due figli: un maschio e una femmina) iniziavano ad aumentare le incontrollabili pulsioni che fino ad allora non erano state sufficientemente sfogate. Nel 1978 sembra fosse entrato nel dormitorio dei ragazzi, si fosse intrufolato durante la notte nel letto di un quindicenne ed avesse iniziato a succhiargli il pene. Ancora una volta si trovava ad essere isolato e ritenuto sgradevole da alunni e colleghi. In quello stesso anno commise il suo primo omicidio: Lena Zakotnova, 9 anni. Adescò la bambina mentre tornava a casa da scuola e la convinse a seguirlo fino ad una baracca nel bosco. “Lì la gettò a terra e cominciò a strapparle i vestiti, ma anche quando la ebbe sottomessa non riuscì a raggiungere un’erezione per fare sesso con lei. Eiaculò comunque, e le spinse il seme in vagina con le dita, rompendole l’imene. La vista del sangue lo eccitò enormemente, inducendolo a tirar fuori un temperino e a colpirla ripetutamente. Dopodichè, trascinò il cadavere a un vicino torrente e ve lo gettò”. (Il libro nero dei Serial Killer, Wilson-Seaman). Nonostante anche Chikatilo venne interrogato insieme ad altri sospettati, per questo omicidio venne accusato un ex detenuto, Alexander Kravchenko. Nonostante il fatto che anche durante la detenzione del presunto colpevole fossero stati scoperti i cadaveri di altre giovani vittime, Kravchenko venne in seguito condannato a morte e fucilato. C’era bisogno di un colpevole. E intanto che i bambini continuavano a sparire e le famiglie confidavano nella giustizia, Andrei Romanovich Chikatilo diventava uno dei più feroci serial killer della storia. Dal 1978 al 1990 uccise 55 vittime tra bambini di entrambi i sessi e giovani ragazze, seguendo quasi sempre lo stesso modus operandi. Adescava le vittime senza usare violenza, faceva in modo che fossero loro a seguirlo; poi le picchiava, le accoltellava a morte e la vista del sangue gli faceva raggiungere l’orgasmo; infine occultava i cadaveri ricoprendoli di foglie o seppellendoli in una buca poco profonda. Con il susseguirsi degli omicidi diventò più sadico, accoltellando per decine di volte senza provocare ferite mortali, staccando la lingua a morsi, evirando i ragazzi… vennero inoltre rinvenuti corpi con organi mancanti, lasciando supporre che praticasse anche il cannibalismo. Le mutilazioni non seguivano un’organizzazione stabilita, ma i cadaveri presentavano sempre un’elevata concentrazione di pugnalate al volto. Il picco del delirio omicida venne raggiunto nel 1984 quando, nel solo mese di agosto, uccise otto vittime.

Alcune delle giovani vittime del mostro di Rostov.

L'ARRESTO

Il 20 novembre 1990 Andrei viene arrestato vicino alla stazione ferroviaria di Rostov con mani e faccia sporche di sangue. In seguito ad un interrogatorio durato otto giorni confessa 55 omicidi descrivendone anche i particolari. Dopo l’arresto, sottoposto ad un esame, mostrò un’attività elettrica cerebrale anormale. Si dimostro sempre collaborativo con coloro che indagavano sul caso, ricostruendo ogni singolo omicidio anche con l’aiuto di manichini, e aiutando a ritrovare i corpi delle vittime che risultavano ancora “scomparse”. Il 15 febbraio 1994 viene giustiziato con un colpo di pistola alla nuca, incriminato di 53 omicidi.

Andrei Chikatilo mentre ricostruisce gli omicidi con l’aiuto di manichini.       Andrei Chikatilo mentre ricostruisce gli omicidi con l’aiuto di manichini.

(Il testo che segue è tratto dal libro di David Greco “Il comunista che mangiava i bambini”, Elleu 2004)

Quella che segue è la testimonianza del maggiore di polizia Viktor Denisenko. Denisenko era a capo della scorta che ha accompagnato per mesi Andrei Romanivich Chikatilo nei luoghi dei suoi delitti. Abbiamo arrestato Andrei Romanovich Chikatilo il 20 novembre del 1990, alle ore 15 e 40. Lo abbiamo preso a Novocerkassk, in strada. Gli abbiamo chiesto le generalità. Chikatilo ha risposto. Allora lo abbiamo afferrato e sono scattate le manette. L’arrestato non ha accennato alcun tentativo di resistenza, non ha detto una parola, non si è neppure meravigliato di quanto stava accadendo. Ha continuato a tacere anche in macchina. Sembrava non lo interessasse il perché del fermo. Era distaccato, chiuso in se stesso. Solo quando eravamo a metà strada per Rostov, ha pronunciato una frase singolare: “Questo conferma ancora una volta che non bisogna litigare con i capi”. Poi è rimasto in silenzio fino a Rostov. Siamo dunque arrivati al Dipartimento Affari Interni. Qui si è svolto il primo interrogatorio. Chikatilo faceva una strana impressione. Era totalmente bloccato. Gli ponevano le domande e lui cominciava a rispondere, ma era come se parlasse tra sé e sé. I suoi erano discorsi incoerenti, illogici. Si autodefiniva un vigliacco, diceva di meritarsi la punizione più dura, ma non ammetteva nessun delitto, nessun fatto concreto. È stato solo dopo nove giorni che ha cominciato a confessare. Molti mesi dopo, in primavera, è cominciata la verifica delle deposizioni sui luoghi dei delitti. Noi le chiamiamo “uscite”. L’accusato deve indicare personalmente il luogo in cui ha commesso il delitto e deve mostrare come ha agito, dove ha lasciato il cadavere, l’arma del delitto, eccetera. Naturalmente, occorre la scorta. E io sono stato messo a capo della scorta. La geografia dei delitti era talmente estesa che abbiamo girato in lungo e in largo il paese per oltre un anno. È molto difficile spiegare le mie impressioni. Mentre cercavamo l’assassino, lo odiavamo tutti. Ci sembrava un mostro, una figura orribile, demoniaca. E invece, una volta catturato, Chikatilo si è rivelato una persona grigia, insignificante. Non suscitava orrore, ma ripugnanza e scetticismo. Come aveva potuto un uomo così insignificante seminare il terrore in tutto il paese e agire per oltre dieci anni impunemente? Questa domanda non ha ancora trovato risposta e forse non la troverà mai. Secondo me, molto si può spiegare se si ammette una doppiezza della sua natura o, se volete, uno sdoppiamento della personalità. Ed è uno sdoppiamento che non si manifesta esteriormente, è celato nel profondo della psiche. Le persone che hanno lavorato con lui hanno sempre rilevato che Chikatilo non aveva memoria. Eppure, lui è riuscito a trovare ad anni e anni di distanza i posti esatti dove aveva commesso gli omicidi. Un esempio. Nella regione di Bagaevsk un investigatore aveva sepolto un “galleggiante” nel luogo in cui era stato trovato un cadavere in mezzo alle sterpaglie. Il galleggiante è una bottiglia vuota in cui si infila un foglio con i pochi dati a disposizione: la descrizione delle sembianze della vittima, del suo eventuale abbigliamento, e la data del ritrovamento. Quindi, si annota su una mappa il punto preciso dove è stato seppellito. Quando siamo arrivati sul posto, Chikatilo ha detto senza esitazioni: “E’ qui”. Poi c’è stata un po’ di confusione, perché l’agente che aveva sotterrato il galleggiante aveva smarrito la mappa. “Non importa, è qui – sosteneva Chikatilo – cominciate a scavare”. Quando alla fine il galleggiante è stato trovato, ci siamo resi conto che Chikatilo aveva sbagliato di appena 6 metri. Un’altra volta, a Revda, cercavamo una vittima di cui non era mai stato trovato il cadavere. Si trattava di un bambino, scomparso cinque anni prima, proprio nel periodo in cui Chikatilo si trovava in quella zona per motivi di lavoro. Siamo partiti dalla stazione di Revda, abbiamo camminato per quattro chilometri attraverso il fiume Ciusovaja e poi su per il monte Volcikha ricoperto di boschi. Quell’area è tutta uguale, ma nonostante ciò Chikatilo a un certo punto si è fermato e ha detto “Credo sia qui. Ma posso sbagliare. Cercate nel raggio di cento metri”. Si era sbagliato. Per l’esattezza, di centotrentasei passi. Dopo aver scavato un bel po’, abbiamo ritrovato i resti di un bambino e un calzino che la madre ha riconosciuto. Ho sentito descrivere Chikatilo nei modi più diversi. Sgradevole, scontroso, intrigante, chiuso, taciturno, da un lato. Intelligente, affabile, colto, dall’altro. Credo che abbiamo ragione sia gli uni che gli altri. Durante i nostri viaggi, spesso Andrei si intrometteva nei nostri discorsi, sugli argomenti più disparati, ma non brillava mai per originalità. I suoi giudizi, il suo stesso linguaggio, provenivano pari pari dalla lettura dei giornali, di cui aveva sempre le tasche strapiene. Ovunque andassimo, la prima cosa che cercava era un giornale. E chiedeva sempre di lasciargli gli occhiali per la notte. Invece, quando il discorso verteva sui suoi crimini, improvvisamente si chiudeva. Balbettava, commetteva errori di sintassi quasi infantili. Tuttavia, a giudicare dal suo comportamento non credo si possa parlare di rimorsi di coscienza o di pentimenti. Secondo me, lui dimenticava la ragione per cui viaggiavamo, dove andassimo, e a fare cosa. Chikatilo non ha mai perduto né il sonno né l’appetito. In treno, ci chiedeva di non attaccargli le manette al tavolino. Perché con le manette non riusciva a dormire. Senza, si poteva addormentare nel giro di pochi secondi. E nel sonno non si muoveva, non sembrava mai tormentato da incubi o ricordi. Riusciva persino a scherzare. Un umorismo molto particolare. […] Definendosi un disadattato, Chikatilo ha persino tentato di spiegare i delitti commessi. Ma penso che lui non avesse bisogno né di spiegazioni, né di giustificazioni. Non era mai dispiaciuto di quello che aveva fatto. La sensazione è che entrasse nel bosco e ne uscisse un uomo, mentre all’interno del bosco, a tu per tu con la vittima, ci fosse un altro uomo, molto più simile ad un animale. Lo ha detto lui stesso una volta “quando uscivo dalla striscia di bosco tutto rimaneva dietro di me, dietro una chissà quale linea immaginaria e inviolabile”. […]
(“l’Unità”, 16 ottobre 1992)

“Io non riuscivo a fermarmi. Non sapevo più cosa facevo. So che nessuno mi crede. So che i nostri giornali e quelli stranieri hanno scritto di me, che non c’è posto per me su questa terra. Ma io non ho niente da nascondere. Sono già morto una volta. E’ successo nel 1978. Ho avuto un trauma cranico. Mi hanno portato in ospedale, mi hanno curato. Ma poi ho avuto mal di testa, svenimenti. Svengo continuamente. Non dormo. Ormai tutti si sono stancati di me. E’ tempo di liberarsi di me. Non bisogna tormentare la gente. Non so… Non so perché mi hanno mandato su questo pianeta a portare dolore”.
(Andrei Romanovich Chikatilo. “L’Unità”, 16 ottobre 1992)

BREVE ANALISI PSICOLOGICA

Analizzando la vita e le azioni di Andrei, si potrebbe ipotizzare una sociopatia di tipo evitante, ovvero una timidezza patologica. Si tratta infatti di una persona goffa ed insicura, che probabilmente già da bambino quando doveva confrontarsi con gli altri si trovava di fronte ad una situazione di ansia difficilmente controllabile. Probabilmente per la paura di essere criticato, disapprovato o rifiutato. Anche avere dei genitori distaccati può portare un bambino ad essere timido ed insicuro. Non sentirsi mai gratificato, senza una carezza, una coccola o un incoraggiamento, non ricevere mai un rimprovero o un apprezzamento impedisce di crearsi dei punti di riferimento. Inoltre l’essere dominato e tiranneggiato da un gruppo di coetanei più forti o più grandi può determinare l’insorgere del disturbo evitante, specie nel caso di Andrei, che aveva paura si scoprisse che soffriva di enuresi notturna e che era miope. Questo nasce da un probabile complesso di inferiorità acquisito nell’infanzia o nell’adolescenza. Il complesso di inferiorità può scatenare meccanismi di compensazione che portano l’individuo ad desiderio di emergere, di affermarsi, il desiderio di primeggiare può portare alla cosiddetta volontà di potenza e all’estremo desiderio di dominare gli altri. Un quadro di questo tipo si adatta perfettamente all’evoluzione comportamentale di Andrei, prima timido e impacciato, e poi crudele dominatore e padrone di individui indifesi.

TALE PADRE, TALE FIGLIO…?!

(Le informazioni seguenti sono tratte dal libro di David Greco “Il comunista che mangiava i bambini”, Elleu 2004)

“Lo sai chi sono io? Io sono il figlio del mostro di Rostov. Sono come lui. E devo portare a termine la sua missione”. All’età di vent’anni, Yuri Andreievic Chikatilo ha appreso che suo padre era il mostro di Rostov. Temendo rappresaglie da parte dei parenti delle vittime di Andrei, Yuri era stato immediatamente allontanato dalla sua città natale e gli erano stati forniti un nuovo cognome, un nuovo passaporto, una nuova identità. In pratica, Yuri aveva subito lo stesso trattamento di Andrei. Lo Stato si era sostituito alla sua famiglia e lo aveva obbligato a rinnegare suo padre. Ma poiché Yuri, a differenza di Andrei, era già un uomo adulto, il modello paterno ha resistito e ha finito col prevalere, spingendolo a ricalcarne le orme. Venne arrestato da una pattuglia della polizia mentre torturava e tagliuzzava un camionista che lo aveva raccolto mentre faceva l’autostop. Ha confessato spontaneamente una ventina di omicidi, dichiarando di essere orgoglioso di suo padre. Anche lui divorava le sue vittime, ma mentre Andrei sceglieva bambini e ragazze, Yuri si accaniva su uomini di mezza età.

BIBLIOGRAFIA

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· Le foto sono state tratte dal sito www.francesfarmersrevenge.com/stuff/serialkillers