"Secondo il folklore
tibetano, ai malvagi
dopo la morte è
riservato un destino
terribile, che si compie
in una cripta infestata
da mostri".
Nella
liturgia tibetana è
fondamentale
l'accompagnamento dei
trapassati nel Bardo,
luogo in cui essi devono
vagare per 49 giorni,
attraversando i diversi
stadi prestabiliti, fino
al momento di una
incarnazione. Perchè il
passaggio sia facile, è
indispensabile conoscere
in anticipo il
meccanismo della morte:
solo in questo modo,
infatti, non si rimarrà
sorpresi, ma si riuscirà
a mantenere, anche di
fronte a un'esperienza
così straordinaria, la
lucidità e la serenità
di spirito necessarie
per scegliersi una buona
reincarnazione. Appena
il morente esala
l'ultimo respiro, il
lama che lo assiste
aiuta il suo spirito a
uscire dal punto più
alto del corpo, cioè
attraverso un'apertura
che si produce nel
cranio per effetto di un
grido acuto, composto da
due sillabe magiche: "hik"
e "phet". Al soffio
vitale dei malvagi, non
assistiti adeguatamente
può capitare però un
tremendo destino. In
nessun monastero del
Tibet si respira un'aria
tanto permeata di magia
come in quello di Samye,
sito presso Lhasa.
Costruito nell'VIII
secolo d.C. dal mago
Padmasambhava, è
destinato a scomparire,
sommerso dalle sabbie
accumulate dal vento
intorno alle sue mura.
Una leggenda racconta
che quando il mago
decise di innalzare il
monastero, i dèmoni del
luogo presero a demolire
sistematicamente di
notte ciò che lui
costruiva il giorno, e
le mura non riuscivano a
innalzarsi dal suolo....Padmasambhava
non si perse d'animo:
ingaggiò con gli spiriti
maligni una lotta senza
quartiere e li obbligò a
costruire, sotto il suo,
il monastero che avevano
fino allora ostacolato.
Accadde però che i
dèmoni non lo
abbandonarono e presero
dimora in esso, in modo
particolare nel tempio
in cui è custodita una
sinistra cripta chiamata
Ugs-khang (casa del
soffio vitale) dove i
soffi esalati dai
moribondi vengono
portati da esseri umani
ignari della propria
attività e operanti in
stato di trance. Perchè
i soffi vitali a Samye?
E' presto detto: quì
abitano le sing-dongmo,
demoni femminili dalla
testa irta di zanne, c he
in una stanza
sotterranea il cui
accesso è vietato a
chiunque non sia il
grande Lama in persona,
martirizzano i soffi
vitali delle persone
malvagie, e li assorbono
avidamente. Nella
lugubre sala destinata a
tale attività devono
sempre essere presenti
un grande ceppo di legno
e un coltello affilato;
una volta l'anno, il
capo del monastero
penetra nella sala per
cambiare i due oggetti
affinchè i mostri
femminili li abbiano
sempre efficienti. Col
tempo, era stato
permesso ai grandi Lama
di farsi aiutare da un
giovane monaco nel
faticoso lavoro di
sostituire il ceppo. Un
macabro incidente lì
convinse però a
ripristinare l'antica
usanza di penetrare da
soli, armati solo delle
proprie difese magiche,
nella sala delle
Sing-dongmo. Un monaco
infatti, dopo aver
assistito il maestro nel
cambio rituale del
ceppo, stava già
dirigendosi verso
l'uscita quando si sentì
trattenuto e tirato
indietro. "signore,
signore! Qualcuno mi
tira per il mantello!"
gridò il poveretto
terrorizzato. Il Lama si
volse verso la sala, ma
non vide altro che la
cripta silenziosa e
vuota. Riprese a
camminare col monaco che
lo seguiva, dirigendosi
verso la porta, ma
appena l'ebbe
oltrepassata udì un
grido: si voltò e scorse
il suo giovane
accompagnatore morto
sulla soglia stregata,
senza una goccia di
sangue nelle vene. Da
allora quel monastero
divenne luogo dei
dèmoni.
BIBLIOGRAFIA
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I MISTERI anno IV
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