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L'ultimo volo della squadriglia 19
a cura di Stefano Tansini

5 dicembre 1945, Fort Lauderdale, Florida (USA). Cinque aerei della marina degli Stati Uniti d’America, modello TBM Avenger, decollano dalla base di Fort Lauderdale, costa orientale della Florida. Fanno rotta verso l’Atlantico per un normale volo d’addestramento... nessuno dei 14 uomini della “Squadriglia 19” ha mai fatto ritorno...

La scomparsa dei cinque TBM Avenger (e di un PBM Mariner con 13 uomini d’equipaggio impegnato nelle operazioni di ricerca) mise in moto la più vasta e complessa operazione di soccorso della storia, coinvolgendo centinaia tra navi ed aerei per un tratto di mare vasto oltre 22.000 metri quadrati tra l’Oceano Atlantico ed il golfo del Messico, e oltre…
La drammatica vicenda della Squadriglia 19 è forse la sintesi estrema delle nebulose vicende che, nel corso degli anni, hanno avuto come protagonista il famigerato Triangolo delle Bermuda. Triangolo… Invero non si tratta di una reale entità geometrica: non è altro che una vasta porzione di mare, soprattutto, e terra, in minima parte, delimitata, con buona approssimazione, a nord da una linea immaginaria che procede dai confini meridionali della Virginia fino alle Bermuda, a sud dalle Bahamas e ad ovest dalle Florida Keys. E, già dal 1840 si racconta che, in questa regione dell’Atlantico, uomini, navi e aerei scompaiano con inesplicabile regolarità…

La versione dell’intera vicenda che generalmente si tramanda è, nei suoi tratti essenziali, la seguente:
Nel primo pomeriggio del 5 dicembre 1945 cinque aerei della Marina degli Stati Uniti modello TBM Avenger sorvolano l’oceano al largo delle coste della Florida. Il tempo è buono ed il sole alto nel cielo. La missione non è altro che un normale volo d’addestramento sulle acque dell’Atlantico della durata di poco più di due ore con partenza e arrivo a Fort Lauderdale, in Florida. Tutti i cinque piloti della squadriglia sono uomini di grande esperienza e i loro velivoli in perfetta efficienza.
Circa tre quarti d’ora dopo il decollo la torre di controllo di Fort Lauderdale riceve una comunicazione radio dal caposquadriglia: “Non possiamo vedere la terra. Siamo fuori rotta”. Poi, dopo attimi di silenzio: “Non possiamo essere sicuri di dove ci troviamo. Ripeto: non possiamo vedere terra”. Un’altra decina di minuti di assordante silenzio, poi un vociare indistinto, confuso e disorientato: “Non possiamo trovare l’ovest. Non siamo sicuri di alcuna direzione. Ogni cosa sembra strana, anche l’oceano”. E ancora silenzio. Di nuovo una voce, diversa da quella del caposquadriglia: “Non posso dire dove ci troviamo… ogni cosa è… non come dovrebbe essere. Penso che potremmo essere a circa 225 miglia a nord est della base…” Nuovamente silenzio. “Ci siamo completamente persi”. Poi ancora silenzio.
In pochi minuti un aereo di soccorso, modello PBM Mariner decollò in soccorso della Squadriglia 19 verso la loro ultima posizione nota. Una decina di minuti più tardi anche il Mariner e i suoi 14 uomini di equipaggio scomparvero nel nulla.  Navi ed aerei tanto della Marina quanto della Guardia Costiera intrapresero una vastissima operazione di ricerca, ma tutto ciò che trovarono furono il mare calmo, il cielo limpido, una leggera brezza e niente altro…
Al termine di una accurata indagine condotta dalla Marina degli Stati Uniti, la conclusione ufficiale alla quale pervenne un’apposita commissione fu sconfortante e nessuna valida ipotesi su quanto accaduto poté essere fatta. I sei aerei erano, di fatto, scomparsi senza lasciare traccia e senza perché alcuno.
Ma, analizzando l’intera questione in profondità, l’intera vicenda appare ben diversa da come viene tradizionalmente ricordata…

Innanzitutto la denominazione “Squadriglia 19” è, in realtà, impropria. I cinque aerei decollati dalla Florida quel giorno di dicembre non formavano una vera squadriglia trattandosi, invece, di un volo di addestramento, composto da un istruttore, quattro piloti con un grado di preparazione avanzato e nove membri d’equipaggio, con diverse mansioni e qualifiche, così formato (FT. Seguito dal numero indica l’identificativo di ciascun velivolo):
FT. 28: Lt. Charles Carroll Taylor, G.F. Devlin, W.R. Parpart;
FT. 36: Capt. Edward James Powers, Sgt. H.Q. Thompson, Sgt. G.R. Paonessa;
FT. 117: Capt. George William Stivers, R.P. Gruebel, Sgt. R.F. Gullivan;
FT. 81: Lt. Forrest James Gerber, W.E. Lightfoot;
FT. 3: Joseph Tipton Bossi, A.H. Thelander, B.E. Baluk.
Un aereo (FT. 81) era formato da un equipaggio di sole due persone in quanto il Caporale di Marina Allen Kosner chiese, ed ottenne, di non far parte del volo.
L’istruttore, il Luogotenente Charles Carroll Taylor, era un pilota veterano con esperienze belliche, da poco trasferitosi dalla Stazione Aeronavale di Miami, e con oltre 2500 ore di volo, molte delle quali su TBM Avangers, mentre i suoi allievi potevano vantare non più di 300 ore di esperienza di volo, solo un sesto delle quali su TBM.
La denominazione ufficiale del volo era “Navigation Problem n.1”, una sorta di esercitazione avanzata di navigazione sopra le acque dell’oceano: la partenza era a 26 gradi e 03 secondi Nord, 80 gradi e 07 secondi Ovest per poi procedere per 56 miglia fino ad Hen e Chickem Shoals; condurre un’esercitazione di tiro con bombe a bassa profondità; continuare con una rotta di 091 gradi per 67 miglia; virare a 346 gradi per poi continuare in quella direzione per altre 73 miglia; virare ancora a 241 gradi pe proseguire per altre 120 miglia: atterrare alla stazione aeronavale di Fort Lauderdale.
Prima del decollo tutti gli aerei furono minuziosamente controllati: i rispettivi motori erano in ottimo stato, i serbatoi riempiti fino alla loro massima capienza e la strumentazione di bordo in piena efficienza, seppur nessuno dei velivoli fosse dotato di orologio. L’aereo di Bossi (FT. 3) fu controllato da lui stesso alle 13:45, ma quello stesso aereo era stato controllato in precedenza anche da un pilota le cui iniziali erano MJK. Essendo però stato cancellato il suo decollo, l’aereo affidato a Bossi. La medesima cosa accadde all’aereo pilotato da Gerber. Per quanto insolita, tale pratica era tutt’altro che infrequente.
Il giorno programmato per il volo, alle ore 13:15, mentre i quattro “studenti” erano in attesa di iniziare il breefing pre-decollo, Taylor chiese di essere sollevato dall’incarico, ma, non essendoci altri istruttori disponibili, la sua richiesta fu rifiutata. Non si conosce il motivo di tale richiesta.
Gli Avenger decollarono, con ritardo, alle 14:10. Il cielo era relativamente limpido e il vento moderato, ma le previsioni avvisavano di un possibile peggioramento con l’approssimarsi della sera. Tuttavia, gli aerei avrebbero già toccato terra prima di allora, o almeno così si supponeva. Inoltre, di proposito per esigenze d’addestramento, nessuno degli aerei aveva a bordo mappe dell’intera zona che avrebbero sorvolato.
I cinque aerei partirono con carburante sufficiente per restare in aria cinque, cinque ore e mezza. Chikens Rocks, il luogo dove l’intera squadriglia avrebbe dovuto compiere un’esercitazione con bombe a bassa profondità distava solo 56 miglia dall’aeroporto di Fort Lauderdale e sarebbe stato raggiunto venti minuti circa dopo il decollo. Trascorsi una trentina di minuti dedicati alle esercitazioni di tiro, i velivoli avrebbero poi continuato verso est per altre 67 miglia, concludendo in tal modo la prima parte del viaggio.
A Fort Lauderdale furono distintamente udite queste parole provenire dalla Squadriglia 19: “Ho ancora una bomba”. “Vai avanti e lanciala” fu la risposta. In seguito, il capitano di un peschereccio impegnato nella zona delle esercitazioni, ricordò di aver visto tre o quattro aerei volare verso est all’incirca alle 15:00.
Un aspetto in particolare merita attenzione. Subito dopo il decollo Taylor passò il comando a Powers, assumendo una posizione arretrata e più in alto rispetto agli altri aerei, fino al momento dell’inizio delle esercitazioni di tiro. Di fatto si trattava di una normale procedura d’addestramento, ma c’è chi, a torto o a ragione, ha voluto vedere qualcosa di strano ed insolito in questa manovra.
Se gli aerei avessero percorso il resto del primo tratto del volo nonché la prima parte del secondo senza problemi, sarebbero dovuti arrivare nei pressi di Gran Sale Cay più o meno alle 15:40. Ma, all’incirca a quell’ora, Robert Cox, un istruttore della Marina di stanza a Miami, udì via radio parole che sembravano suggerire la presenza di aerei o imbarcazioni in difficoltà. Una voce ignota richiedeva ad un certo Powers cosa segnalasse la sua bussola e Powers rispose con queste parole: “Non so dove siamo. Dovremmo esserci persi dopo l’ultima virata”.
Cox avvertì subito il controllo aereo e poi rispose: “Qui è FT-74, nave o aereo chiamato “Powers” identificati per favore, così potrò aiutarti”. Non ci fu risposta, ma qualche attimo dopo, si udì la voce sconosciuta chiedere a qualcuno di imprecisato, se avesse qualche “suggerimento”. Cox tentò nuovamente di mettersi in contatto con il velivolo in difficoltà, nel frattempo identificato con il codice FT-28, ossia l’aereo pilotato da Charles Carroll Taylor. “FT-28, qui è FT-74, qual è il problema?”. Gli fu risposto: “Entrambe le mie bussole sono fuori uso e sto cercando di trovare Fort Lauderdale. Sono sopra la terra […] Sono sicuro di essere sopra le Keys, ma non so quanto sono lontano e come dirigermi a Fort Lauderdale”. Due aspetti sembrarono subito insoliti a Cox: Taylor, persona nota in ambito aeronavale tanto per le sue doti di pilota quanto per la sua scarsa etica in ambito lavorativo, aveva volato a lungo in quella zona ed era abbastanza strano che non fosse in grado di indicare con precisione la sua posizione. Ma, a destare maggiore sconcerto fu soprattutto un altro motivo: le parole udite sembravano suggerire che i cinque aerei si erano diretti a sud anziché ad est, compiendo un clamoroso errore di navigazione.
Dopo una breve pausa Cox rispose ”…tieni il sole a babordo se sei alle Keys e vola sopra la costa fino a Miami. Fort Lauderdale è venti miglia più in là. Qual è la tua altitudine attuale? Volerò a sud e ti verrò incontro”. Taylor rispose: “So dove sono ora. Sono a 2300 piedi. Non venire verso di me.” Cox non fu comunque troppo convinto delle parole appena ascoltate e continuò dicendo: “[…] ti vengo incontro comunque.” Qualche minuto dopo Taylor chiamò ancora: “Abbiamo appena sorvolato una piccolo isola. Non abbiamo altre isole in vista.” E dopo qualche minuto, rivolgendosi a Cox: “Riesci ad avere Miami o qualche altro punto di riferimento sul radar e venirci a prendere? Noi non dovremo essere lontani. Siamo fuori rotta e nel corso del secondo tratto ho pensato che stessero andando nella direzione sbagliata, così ho assunto il controllo e li ho fatti rivolare nella giusta posizione. Ma sono sicuro, ora, che nessuno delle mie bussole sta funzionando”. Cox prontamente replicò: “Non puoi aspettarti che sia lì in dieci minuti. Tu hai dai 30 ai 25 nodi di vento trasversale da davanti. Accendi il dispositivo di emergenza IFF (un dispositivo che consente di avere un tracciato radar in cui un dato oggetto, in questo caso un aereo, compare con dimensioni maggiori rispetto a quelle reali e, conseguentemente, appare più facilmente individuabile), o è già in funzione?”. Taylor rispose che non lo era. Attualmente, nonostante una seguente affermazione positiva in merito da parte dello stesso Taylor, non si è certi del fatto che tale dispositivo sia stato effettivamente attivato.
Cox, prontamente, si diresse a sud con il suo aereo tentando di incrociare la Squadriglia 19, e, mano a mano che procedeva, continuò ad avere contatti intermittenti con i cinque aerei. Tuttavia, man mano che procedeva il loro segnale radio si faceva via via più debole. In pratica stava accadendo l’opposto di quello che sarebbe stato lecito attendersi, dando per supposto che la distanza tra i sei velivoli si sarebbe dovuta progressivamente ridurre. In realtà era come se Cox e la squadriglia di Taylor si fossero progressivamente allontanate. Intorno alle 17:00 fu perso ogni contatto radio e Cox fu costretto a rientrare alla base.
Nel frattempoLt. Charles Carroll Taylor - www.ufodigest.com, alle 16:26, la quarta Unità di Soccorso Aeronavale a Fort Everglades captò un messaggio radio da Taylor: “[…] ho acceso il dispositivo di emergenza IFF. C’è qualcuno in zona con uno schermo radar che può individuarci?”. Da Fort Everglades risposero affermativamente e contattarono Fort Lauderdale avvisando che si sarebbero rivolti al centro Aeronavale di Miami e ad altre stazioni radar nel tentativo di rintracciare gli aerei della Squadriglia 19. In tutto una ventina di strutture a terra, adeguatamente equipaggiate con moderni sistemi radar, furono coinvolte nel tentativo di localizzazione degli aerei dispersi. A tutte le navi mercantili presenti in zona, inoltre, fu chiesto di restare in allerta e avvisare la Guardia Costiera se necessario. Sfortunatamente, però, non tutto si svolse al meglio e si dovettero riscontrare dei ritardi, soprattutto causati dalle difficoltà di contattare via radio alcune stazioni per interferenze prodotte da alcune radio-stazioni cubane, nel mettere in stato di allerta tutte le stazioni radar disponibili.
Alle 16:28 l’Unità di Soccorso Aeronavale suggerì a Taylor che un altro aereo in volo, con una bussola funzionante, prendesse il comando al suo posto. Taylor accondiscese, ma, dai frammentari colloqui tra il capo-squadriglia e gli altri piloti riguardo alla loro posizione stimata, sembrava che nessun altro abbia mai effettivamente rilevato il comando.
Nel frattempo, come prima accennato, il trasmettitore di Cox non riuscì più a captare alcun segnale dalla Squadriglia 19. Stando ad una testimonianza rilasciata dallo stesso Cox in seguito: “… per come stava smorzandosi la sua (di Taylor) trasmissione, sembrava stesse dirigendosi verso nord, mentre io mi dirigevo a sud. Credo che al tempo della sua prima trasmissione fosse da qualche parte tra Bimini e le Bahamas. Io ero circa 40 miglia a sud di Fort Lauderdale e non sarei stato in grado di sentirlo più a lungo.” Inoltre ricordò che alle 16:00 la visibilità era di circa 10-12 miglia, ma, mentre sorvolava l’oceano in quei frangenti, aveva potuto osservare un mare molto agitato coperto da incappellate e sbuffi bianchi, sferzato da un vento di 22 nodi proveniente da ovest. In generale, inoltre, affermò che la visibilità fosse comunque molto buona in tutte le direzioni tranne che ad ovest.
La notizia che la Squadriglia 19 si trovava in serie difficoltà fu ufficializzata al centro aeronavale della Marina di Fort Lauderdale alle 16:30. Immediatamente si cercò di comunicare a Taylor e agli altri quattro piloti di eseguire la procedura standard prevista per casi analoghi: “volare a 270 gradi e verso il sole”. Alle 16:31 l’Unità di Salvataggio Aeronavale sentì Taylor riferire queste parole: “Uno degli aerei in volo pensa che se volassimo a 270 gradi potremmo trovare la terra”.
Alle 16:39 Fort Lauderdale contattò l’Unità di Soccorso Aeronavale e, come paventato da Cox, avanzò l’ipotesi che gli aerei si fossero smarriti nei pressi delle Bahamas, piuttosto che nella zona delle Florida Keys.
Alle 16:45 Taylor comunicò nuovamente via radio: “Voleremo a 30 gradi per 45 minuti, poi faremo rotta verso nord per essere sicuri di non essere sopra il Golfo del Messico”.
Alle 16:56 Taylor inviò un nuovo segnale via radio, riferendo di aver cambiato rotta a 90 gradi, per dieci minuti. Quasi contemporaneamente fu udita una voce differente: “Dannazione, se potessimo volare subito ad ovest, potremmo tornare a casa; andiamo ad ovest, dannazione”.
Alle 17:00 Taylor riferì che avrebbe volato per 270 gradi “fino a quando incontriamo terra o finisce il carburante”.
Alle 17:24 Cox chiamò Fort Lauderdale per informarli delle ultime variazioni meteorologiche: limpido a Fort Lauderdale, nuvoloso sopra le Bahamas, con nubi piuttosto basse e scarsa visibilità. In base a questa comunicazione, alle 17:36, fu deciso che un aereo pronto al decollo da Fort Lauderdale per correre in aiuto della Squadriglia 19 non fosse autorizzato a partire a causa della prospettiva di cattivo tempo e in virtù dell’incoraggiante informazione di Taylor che avrebbero volato ad ovest fino alla prima spiaggia. Seppur logicamente corretta la decisione fu opinabile: per questioni di sicurezza fu deciso che l’aereo monomotore e monopilota pronto al decollo non sarebbe stato rischiato verso le tenebre sopra un mare agitato in una missione dall’esito incerto.
Alle 17:50, cinque stazioni radio lungo la Costa Occidentale e il Golfo del Messico captarono i segnali radio provenienti dagli Avenger. Apparentemente sembravano trovarsi in volo a 100 miglia a nord-est di Cape Canaveral, molto a nord rispetto Fort Lauderdale, invece che a sud come sembrava evincersi dalle parole di Taylor.
Alle 18:04 Taylor riferì ai suoi piloti: “Stiamo tenendo 270 gradi, non ci siamo diretti abbastanza ad est.. potremmo essere costretti a un’altra virata e andare ancora ad est”. Il capo-squadriglia stava apparentemente vacillando tra la sua idea di trovarsi sopra il Golfo del Messico e la convinzione dei suoi studenti di essere sopra l’Atlantico…
Alle 18:20 un altro messaggio da Taylor: “Tutti gli aerei sono in formazione ravvicinata… Noi tutti precipiteremo a meno di un atterraggio… quando il primo aereo scende sotto i www.bermuda-triangle.org10 galloni, noi tutti andremo giù insieme”.
Nello stesso momento, il capitano del Cargo Britannico Viscount Empire, trovandosi a navigare a nord-est delle Bahamas verso Fort Lauderdale, riporto all’’Unità di Salvataggio Aeronavale che aveva incontrato un mare molto agitato e venti a forte velocità in tutta l’area.
Quando ormai erano calate le tenebre e stava scatenandosi un a forte tempesta al largo delle coste della Florida, alle 19:04 fu udita l’ultima trasmissione provenire dalla Squadriglia 19. Intorno alle 20:00 fu chiaro che il carburante degli aerei era ormai finito e che i velivoli, con ogni probabilità, avevano ammarato in un luogo imprecisato dell’Atlantico sferzato da forti venti e, come più tardi testimoniò un altro aereo in volo al largo delle coste della Florida e diretto a sud, con onde di 50 piedi. Molto difficilmente un TBM Avenger, cinque tonnellate di peso a vuoto, avrebbe potuto sopravvivere alla notte in quelle condizioni di mare.
Nel frattempo molti aerei plurimotore furono inviati dalle aerostazioni della Florida. Al Centro Navale di Banana River due PBM Mariner furono preparati per affrontare la ricerca, dopo essere stati dirottati da un programmato volo notturno di addestramento. Un meccanico controllò uno degli aerei riempiendolo con sufficiente carburante per 12 ore di volo. Come riferì in seguito: “Ho passato un’ora nell’aereo… e non c’era indicazione di alcuna esalazione di carburante. Non c’erano anomalie in nessuno degli equipaggiamenti e, quando abbiamo azionato i motori, operarono normalmente”. Stando alle parole del pilota dell’altro PBM: “L’ultima posizione nota (dei 5 TBM Avenger) fu approssimativamente a 130 miglia ad est di New Smyrna con circa 20 minuti di carburante rimanente. Abbiamo ricevuto questa posizione e ci è stato detto di condurvi una squadra di ricerca. Siamo stati istruiti per condurre ricerche radar e visuali[…]. Nel momento del breefing il luogotenente Jeffrey stava approntando il secondo aereo per la ricerca. Nessun altro aereo era stato incluso.”
Alle 19:27 il PBM-5, nome in codice Buno 59229, fu in volo da Banana River con 3 piloti e un equipaggio di 10 membri. Alle 19:30 si spense il segnale radio del volo e non ci fu più alcun contatto tra il velivolo e le basi di terra.
Pochi istanti dopo, il Cargo S.S. Gaines Mills inviò il seguente messaggio: “Alle 19:50 osservato lingue di fuoco (libera traduzione), apparentemente un’esplosione, con fiamme alte 100 piedi […]. Posizione 28 gradi 59 minuti nord, 80 gradi 25 minuti ovest. Al momento stiamo passando attraverso una grande chiazza d’olio. (Siamo) fermi, in cerchio, usando luci da ricerca in cerca di sopravvissuti. Trovato nessuno”. Più tardi il capitano della nave confermò di aver visto un aereo prendere fuoco e immediatamente precipitare, esplodendo sul mare.
Un messaggio dalla USS Solomons, che stava partecipando alle ricerche dei TBM Avenger, più tardi confermò quanto riportato dal mercantile. Non fu rinvenuto nessun rottame e, prestando fede alle testimonianze, ci fu solo una piccola possibilità di trovare qualcosa nel mare in burrasca. Il giorno seguente, campioni d’acqua recuperati in quell’area, mostrarono tracce d’olio, ma a causa , del mare agitato nessuna seria operazione di recupero poté essere condotta. Inoltre il mare, in quel tratto, era profondo 78 piedi e molto vicino alla Corrente del Golfo, rendendo di fatto vano ogni tentativo di recupero di alcun genere.
Durante l’indagine sulla scomparsa del PBM parecchi testimoni riferirono di perdite di carburante e fuoriuscite di fumo come problemi spesso rilevati a bordo di aerei modello PBM Mariner, aeromobile noto con la poco rassicurante nomea di “serbatoio di carburante volante”.

Nei giorni successivi centinaia di miglia quadrate d’oceano furono setacciate alla ricerca degli uomini della squadriglia scomparsa, ma non fu rinvenuto nulla. Non è da escludere che, tuttavia, le ricerche, forse troppo condizionate dalle parole di Taylor, si siano concentrate in un’area troppo a meridione rispetto all’effettivo luogo in cui gli aerei scomparvero.
Con ogni probabilità il problema che costò la vita ai 13 uomini degli Avenger accadde nella prima parte della missione. Con un vento di coda di oltre 30 nodi gli aerei dovrebbero aver volato molto più ad est di quanto avrebbero dovuto e, quando virarono a nord, semplicemente non sorvolarono le maggiori isole delle Bahamas, volando sopra, invece, ad un gruppo di piccole isole che si estendono da nord a sud. Forse per questo motivo Taylor pensò di aver avvistato le Florida Keys. Di conseguenza ipotizzo che, volando verso nord avrebbe raggiunto la Florida e, sebbene almeno uno dei suoi studenti si accorse dell’errore, Taylor continuò a dirigersi a settentrione, puntando direttamente in mare aperto.
La natura del volo intrapreso dalla Squadriglia 19 è spesso mal rappresentato, come l’esperienza dei piloti coinvolti, spesso disegnati come esperti ex-combattenti impegnati nei cieli della Seconda Guerra Mondiale. In realtà undici uomini delle missione su tredici non erano altro che studenti e lo stesso capo-squadriglia era sì un istruttore con grande esperienza di volo, ma la zona delle Bermuda era a lui tutt’altro che familiare .
Il mal funzionamento della bussola sull’aereo del leader e l’assenza di orologi su tutti gli aerei, contribuì pesantemente al disastro.
Taylor si convinse di essere ad ovest della penisola della Florida, mentre si trovava ad est, e conseguentemente si rifiutò di volare ad ovest, come a lui suggerito. A questo si devono aggiungere anche numerowww.pandorafiles.orgsi inconvenienti radio: le comunicazioni da e verso i cinque Avenger furono frequentemente interrotte da messaggi provenienti dalle radio commerciali cubane. Lo stesso Taylor, dopo che gli fu espressamente chiesto di cambiare frequenza radio per tentare di migliorare le comunicazioni, si rifiutò di ascoltare il suggerimento per paura di perdere del tutto contatto audio con gli altri quattro aerei.
Sebbene, per giustificare la scomparsa dei TBM Avenger, si è spesso speculato, adducendo teorie improbabili e l’intervento di intelligenze aliene, la leggenda della “Squadriglia Perduta”, ad un’attenta e circostanziata analisi, si configura come un incredibile e drammatica vicenda umana. Con ogni probabilità, il leader del gruppo perse l’orientamento spazio-temporale votandosi al disastro insieme ai suoi uomini. In un’occasione, per esempio, riferì del suo aereo come “MT-28”, anziché “FT-28”, dove MT designava aerei provenienti dalla base aeronavale di Miami e FT da quella di Fort Lauderdale. Tale errore starebbe ad indicare anche che Taylor si trovava in uno stato mentale alterato. Nella stessa comunicazione, inoltre non rispose quando gli fu chiesto se fosse venuto a capo del problema della bussola. Le trasmissioni radio testimoniano che i TBM Avenger completarono le esercitazioni di tiro e, come riferito in precedenza, intorno alle 15:00 furono visti allontanarsi verso est. L’ora in cui furono udite le comunicazioni nelle quali veniva rivelato il problema di navigazione indicava che gli aerei avevano virato a nord e avrebbero raggiunto un punto vicino alla virata finale verso Fort Lauderdale. Era fisicamente impossibile che, all’interno di quel lasso di tempo, si fossero trovati a sorvolare le Keys. Uno stato di alterazione mentale sarebbe l’unica giustificazione plausibile per dare ragione dell’affermazione di Taylor. Senza contare che, come sembrerebbe emergere dalle conversazioni udite, almeno uno degli altri piloti era consapevole del fatto di trovarsi sopra l’Atlantico e che la salvezza si trovava ad ovest. Per orientarsi sarebbe stato sufficiente prendere come punto di riferimento il sole e, nel caso questo non fosse stato visibile, sarebbe bastato salire di quota fino al momento in cui sarebbe stato possibile vederlo. Ma ciò non avvenne mai…

BIBLIOGRAFIA

· Larry Kusche, The Disappearance of Flight 19, 1980
· "Lost Patrol" in Naval Aviation News, giugno 1973, pp. 8-16.
· Vincent Gaddis, Il triangolo delle Bermuda e altri misteri del mare, 1967
· Ron Edwards, Five TBM Avenger Bombers Lost in the Bermuda Triangle, in “Aviation History”, luglio 1999
· Ronald Bruce Meyer, The “mistery” of flight 19