5
dicembre 1945, Fort
Lauderdale, Florida
(USA). Cinque aerei
della marina degli Stati
Uniti d’America, modello
TBM Avenger, decollano
dalla base di Fort
Lauderdale, costa
orientale della Florida.
Fanno rotta verso
l’Atlantico per un
normale volo
d’addestramento...
nessuno dei 14 uomini
della “Squadriglia 19”
ha mai fatto ritorno...
La scomparsa dei cinque
TBM Avenger (e di un PBM
Mariner con 13 uomini
d’equipaggio impegnato
nelle operazioni di
ricerca) mise in moto la
più vasta e complessa
operazione di soccorso
della storia,
coinvolgendo centinaia
tra navi ed aerei per un
tratto di mare vasto
oltre 22.000 metri
quadrati tra l’Oceano
Atlantico ed il golfo
del Messico, e oltre…
La drammatica vicenda
della Squadriglia 19 è
forse la sintesi estrema
delle nebulose vicende
che, nel corso degli
anni, hanno avuto come
protagonista il
famigerato Triangolo
delle Bermuda.
Triangolo… Invero non si
tratta di una reale
entità geometrica: non è
altro che una vasta
porzione di mare,
soprattutto, e terra, in
minima parte,
delimitata, con buona
approssimazione, a nord
da una linea immaginaria
che procede dai confini
meridionali della
Virginia fino alle
Bermuda, a sud dalle
Bahamas e ad ovest dalle
Florida Keys. E, già dal
1840 si racconta che, in
questa regione
dell’Atlantico, uomini,
navi e aerei scompaiano
con inesplicabile
regolarità…
La versione dell’intera
vicenda che generalmente
si tramanda è, nei suoi
tratti essenziali, la
seguente:
Nel primo pomeriggio del
5 dicembre 1945 cinque
aerei della Marina degli
Stati Uniti modello TBM
Avenger sorvolano
l’oceano al largo delle
coste della Florida. Il
tempo è buono ed il sole
alto nel cielo. La
missione non è altro che
un normale volo
d’addestramento sulle
acque dell’Atlantico
della durata di poco più
di due ore con partenza
e arrivo a Fort
Lauderdale, in Florida.
Tutti i cinque piloti
della squadriglia sono
uomini di grande
esperienza e i loro
velivoli in perfetta
efficienza.
Circa tre quarti d’ora
dopo il decollo la torre
di controllo di Fort
Lauderdale riceve una
comunicazione radio dal
caposquadriglia: “Non
possiamo vedere la
terra. Siamo fuori
rotta”. Poi, dopo attimi
di silenzio: “Non
possiamo essere sicuri
di dove ci troviamo.
Ripeto: non possiamo
vedere terra”. Un’altra
decina di minuti di
assordante silenzio, poi
un vociare indistinto,
confuso e disorientato:
“Non possiamo trovare
l’ovest. Non siamo
sicuri di alcuna
direzione. Ogni cosa
sembra strana, anche
l’oceano”. E ancora
silenzio. Di nuovo una
voce, diversa da quella
del caposquadriglia:
“Non posso dire dove ci
troviamo… ogni cosa è…
non come dovrebbe
essere. Penso che
potremmo essere a circa
225 miglia a nord est
della base…” Nuovamente
silenzio. “Ci siamo
completamente persi”.
Poi ancora silenzio.
In pochi minuti un aereo
di soccorso, modello PBM
Mariner decollò in
soccorso della
Squadriglia 19 verso la
loro ultima posizione
nota. Una decina di
minuti più tardi anche
il Mariner e i suoi 14
uomini di equipaggio
scomparvero nel nulla.
Navi ed aerei tanto
della Marina quanto
della Guardia Costiera
intrapresero una
vastissima operazione di
ricerca, ma tutto ciò
che trovarono furono il
mare calmo, il cielo
limpido, una leggera
brezza e niente altro…
Al termine di una
accurata indagine
condotta dalla Marina
degli Stati Uniti, la
conclusione ufficiale
alla quale pervenne
un’apposita commissione
fu sconfortante e
nessuna valida ipotesi
su quanto accaduto poté
essere fatta. I sei
aerei erano, di fatto,
scomparsi senza lasciare
traccia e senza perché
alcuno.
Ma, analizzando l’intera
questione in profondità,
l’intera vicenda appare
ben diversa da come
viene tradizionalmente
ricordata…
Innanzitutto la
denominazione
“Squadriglia 19” è, in
realtà, impropria. I
cinque aerei decollati
dalla Florida quel
giorno di dicembre non
formavano una vera
squadriglia trattandosi,
invece, di un volo di
addestramento, composto
da un istruttore,
quattro piloti con un
grado di preparazione
avanzato e nove membri
d’equipaggio, con
diverse mansioni e
qualifiche, così formato
(FT. Seguito dal numero
indica l’identificativo
di ciascun velivolo):
FT. 28: Lt. Charles
Carroll Taylor, G.F.
Devlin, W.R. Parpart;
FT. 36: Capt. Edward
James Powers, Sgt. H.Q.
Thompson, Sgt. G.R.
Paonessa;
FT. 117: Capt. George
William Stivers, R.P.
Gruebel, Sgt. R.F.
Gullivan;
FT. 81: Lt. Forrest
James Gerber, W.E.
Lightfoot;
FT. 3: Joseph Tipton
Bossi, A.H. Thelander,
B.E. Baluk.
Un aereo (FT. 81) era
formato da un equipaggio
di sole due persone in
quanto il Caporale di
Marina Allen Kosner
chiese, ed ottenne, di
non far parte del volo.
L’istruttore, il
Luogotenente Charles
Carroll Taylor, era un
pilota veterano con
esperienze belliche, da
poco trasferitosi dalla
Stazione Aeronavale di
Miami, e con oltre 2500
ore di volo, molte delle
quali su TBM Avangers,
mentre i suoi allievi
potevano vantare non più
di 300 ore di esperienza
di volo, solo un sesto
delle quali su TBM.
La denominazione
ufficiale del volo era
“Navigation Problem
n.1”, una sorta di
esercitazione avanzata
di navigazione sopra le
acque dell’oceano: la
partenza era a 26 gradi
e 03 secondi Nord, 80
gradi e 07 secondi Ovest
per poi procedere per 56
miglia fino ad Hen e
Chickem Shoals; condurre
un’esercitazione di tiro
con bombe a bassa
profondità; continuare
con una rotta di 091
gradi per 67 miglia;
virare a 346 gradi per
poi continuare in quella
direzione per altre 73
miglia; virare ancora a
241 gradi pe proseguire
per altre 120 miglia:
atterrare alla stazione
aeronavale di Fort
Lauderdale.
Prima del decollo tutti
gli aerei furono
minuziosamente
controllati: i
rispettivi motori erano
in ottimo stato, i
serbatoi riempiti fino
alla loro massima
capienza e la
strumentazione di bordo
in piena efficienza,
seppur nessuno dei
velivoli fosse dotato di
orologio. L’aereo di
Bossi (FT. 3) fu
controllato da lui
stesso alle 13:45, ma
quello stesso aereo era
stato controllato in
precedenza anche da un
pilota le cui iniziali
erano MJK. Essendo però
stato cancellato il suo
decollo, l’aereo
affidato a Bossi. La
medesima cosa accadde
all’aereo pilotato da
Gerber. Per quanto
insolita, tale pratica
era tutt’altro che
infrequente.
Il giorno programmato
per il volo, alle ore
13:15, mentre i quattro
“studenti” erano in
attesa di iniziare il
breefing pre-decollo,
Taylor chiese di essere
sollevato dall’incarico,
ma, non essendoci altri
istruttori disponibili,
la sua richiesta fu
rifiutata. Non si
conosce il motivo di
tale richiesta.
Gli Avenger decollarono,
con ritardo, alle 14:10.
Il cielo era
relativamente limpido e
il vento moderato, ma le
previsioni avvisavano di
un possibile
peggioramento con
l’approssimarsi della
sera. Tuttavia, gli
aerei avrebbero già
toccato terra prima di
allora, o almeno così si
supponeva. Inoltre, di
proposito per esigenze
d’addestramento, nessuno
degli aerei aveva a
bordo mappe dell’intera
zona che avrebbero
sorvolato.
I cinque aerei partirono
con carburante
sufficiente per restare
in aria cinque, cinque
ore e mezza. Chikens
Rocks, il luogo dove
l’intera squadriglia
avrebbe dovuto compiere
un’esercitazione con
bombe a bassa profondità
distava solo 56 miglia
dall’aeroporto di Fort
Lauderdale e sarebbe
stato raggiunto venti
minuti circa dopo il
decollo. Trascorsi una
trentina di minuti
dedicati alle
esercitazioni di tiro, i
velivoli avrebbero poi
continuato verso est per
altre 67 miglia,
concludendo in tal modo
la prima parte del
viaggio.
A Fort Lauderdale furono
distintamente udite
queste parole provenire
dalla Squadriglia 19:
“Ho ancora una bomba”.
“Vai avanti e lanciala”
fu la risposta. In
seguito, il capitano di
un peschereccio
impegnato nella zona
delle esercitazioni,
ricordò di aver visto
tre o quattro aerei
volare verso est
all’incirca alle 15:00.
Un aspetto in
particolare merita
attenzione. Subito dopo
il decollo Taylor passò
il comando a Powers,
assumendo una posizione
arretrata e più in alto
rispetto agli altri
aerei, fino al momento
dell’inizio delle
esercitazioni di tiro.
Di fatto si trattava di
una normale procedura
d’addestramento, ma c’è
chi, a torto o a
ragione, ha voluto
vedere qualcosa di
strano ed insolito in
questa manovra.
Se gli aerei avessero
percorso il resto del
primo tratto del volo
nonché la prima parte
del secondo senza
problemi, sarebbero
dovuti arrivare nei
pressi di Gran Sale Cay
più o meno alle 15:40.
Ma, all’incirca a
quell’ora, Robert Cox,
un istruttore della
Marina di stanza a
Miami, udì via radio
parole che sembravano
suggerire la presenza di
aerei o imbarcazioni in
difficoltà. Una voce
ignota richiedeva ad un
certo Powers cosa
segnalasse la sua
bussola e Powers rispose
con queste parole: “Non
so dove siamo. Dovremmo
esserci persi dopo
l’ultima virata”.
Cox avvertì subito il
controllo aereo e poi
rispose: “Qui è FT-74,
nave o aereo chiamato
“Powers” identificati
per favore, così potrò
aiutarti”. Non ci fu
risposta, ma qualche
attimo dopo, si udì la
voce sconosciuta
chiedere a qualcuno di
imprecisato, se avesse
qualche “suggerimento”.
Cox tentò nuovamente di
mettersi in contatto con
il velivolo in
difficoltà, nel
frattempo identificato
con il codice FT-28,
ossia l’aereo pilotato
da Charles Carroll
Taylor. “FT-28, qui è
FT-74, qual è il
problema?”. Gli fu
risposto: “Entrambe le
mie bussole sono fuori
uso e sto cercando di
trovare Fort Lauderdale.
Sono sopra la terra […]
Sono sicuro di essere
sopra le Keys, ma non so
quanto sono lontano e
come dirigermi a Fort
Lauderdale”. Due aspetti
sembrarono subito
insoliti a Cox: Taylor,
persona nota in ambito
aeronavale tanto per le
sue doti di pilota
quanto per la sua scarsa
etica in ambito
lavorativo, aveva volato
a lungo in quella zona
ed era abbastanza strano
che non fosse in grado
di indicare con
precisione la sua
posizione. Ma, a destare
maggiore sconcerto fu
soprattutto un altro
motivo: le parole udite
sembravano suggerire che
i cinque aerei si erano
diretti a sud anziché ad
est, compiendo un
clamoroso errore di
navigazione.
Dopo una breve pausa Cox
rispose ”…tieni il sole
a babordo se sei alle
Keys e vola sopra la
costa fino a Miami. Fort
Lauderdale è venti
miglia più in là. Qual è
la tua altitudine
attuale? Volerò a sud e
ti verrò incontro”.
Taylor rispose: “So dove
sono ora. Sono a 2300
piedi. Non venire verso
di me.” Cox non fu
comunque troppo convinto
delle parole appena
ascoltate e continuò
dicendo: “[…] ti vengo
incontro comunque.”
Qualche minuto dopo
Taylor chiamò ancora:
“Abbiamo appena
sorvolato una piccolo
isola. Non abbiamo altre
isole in vista.” E dopo
qualche minuto,
rivolgendosi a Cox:
“Riesci ad avere Miami o
qualche altro punto di
riferimento sul radar e
venirci a prendere? Noi
non dovremo essere
lontani. Siamo fuori
rotta e nel corso del
secondo tratto ho
pensato che stessero
andando nella direzione
sbagliata, così ho
assunto il controllo e
li ho fatti rivolare
nella giusta posizione.
Ma sono sicuro, ora, che
nessuno delle mie
bussole sta
funzionando”. Cox
prontamente replicò:
“Non puoi aspettarti che
sia lì in dieci minuti.
Tu hai dai 30 ai 25 nodi
di vento trasversale da
davanti. Accendi il
dispositivo di emergenza
IFF (un dispositivo che
consente di avere un
tracciato radar in cui
un dato oggetto, in
questo caso un aereo,
compare con dimensioni
maggiori rispetto a
quelle reali e,
conseguentemente, appare
più facilmente
individuabile), o è già
in funzione?”. Taylor
rispose che non lo era.
Attualmente, nonostante
una seguente
affermazione positiva in
merito da parte dello
stesso Taylor, non si è
certi del fatto che tale
dispositivo sia stato
effettivamente attivato.
Cox, prontamente, si
diresse a sud con il suo
aereo tentando di
incrociare la
Squadriglia 19, e, mano
a mano che procedeva,
continuò ad avere
contatti intermittenti
con i cinque aerei.
Tuttavia, man mano che
procedeva il loro
segnale radio si faceva
via via più debole. In
pratica stava accadendo
l’opposto di quello che
sarebbe stato lecito
attendersi, dando per
supposto che la distanza
tra i sei velivoli si
sarebbe dovuta
progressivamente
ridurre. In realtà era
come se Cox e la
squadriglia di Taylor si
fossero progressivamente
allontanate. Intorno
alle 17:00 fu perso ogni
contatto radio e Cox fu
costretto a rientrare
alla base.
Nel frattempo ,
alle 16:26, la quarta
Unità di Soccorso
Aeronavale a Fort
Everglades captò un
messaggio radio da
Taylor: “[…] ho acceso
il dispositivo di
emergenza IFF. C’è
qualcuno in zona con uno
schermo radar che può
individuarci?”. Da Fort
Everglades risposero
affermativamente e
contattarono Fort
Lauderdale avvisando che
si sarebbero rivolti al
centro Aeronavale di
Miami e ad altre
stazioni radar nel
tentativo di
rintracciare gli aerei
della Squadriglia 19. In
tutto una ventina di
strutture a terra,
adeguatamente
equipaggiate con moderni
sistemi radar, furono
coinvolte nel tentativo
di localizzazione degli
aerei dispersi. A tutte
le navi mercantili
presenti in zona,
inoltre, fu chiesto di
restare in allerta e
avvisare la Guardia
Costiera se necessario.
Sfortunatamente, però,
non tutto si svolse al
meglio e si dovettero
riscontrare dei ritardi,
soprattutto causati
dalle difficoltà di
contattare via radio
alcune stazioni per
interferenze prodotte da
alcune radio-stazioni
cubane, nel mettere in
stato di allerta tutte
le stazioni radar
disponibili.
Alle 16:28 l’Unità di
Soccorso Aeronavale
suggerì a Taylor che un
altro aereo in volo, con
una bussola funzionante,
prendesse il comando al
suo posto. Taylor
accondiscese, ma, dai
frammentari colloqui tra
il capo-squadriglia e
gli altri piloti
riguardo alla loro
posizione stimata,
sembrava che nessun
altro abbia mai
effettivamente rilevato
il comando.
Nel frattempo, come
prima accennato, il
trasmettitore di Cox non
riuscì più a captare
alcun segnale dalla
Squadriglia 19. Stando
ad una testimonianza
rilasciata dallo stesso
Cox in seguito: “… per
come stava smorzandosi
la sua (di Taylor)
trasmissione, sembrava
stesse dirigendosi verso
nord, mentre io mi
dirigevo a sud. Credo
che al tempo della sua
prima trasmissione fosse
da qualche parte tra
Bimini e le Bahamas. Io
ero circa 40 miglia a
sud di Fort Lauderdale e
non sarei stato in grado
di sentirlo più a
lungo.” Inoltre ricordò
che alle 16:00 la
visibilità era di circa
10-12 miglia, ma, mentre
sorvolava l’oceano in
quei frangenti, aveva
potuto osservare un mare
molto agitato coperto da
incappellate e sbuffi
bianchi, sferzato da un
vento di 22 nodi
proveniente da ovest. In
generale, inoltre,
affermò che la
visibilità fosse
comunque molto buona in
tutte le direzioni
tranne che ad ovest.
La notizia che la
Squadriglia 19 si
trovava in serie
difficoltà fu
ufficializzata al centro
aeronavale della Marina
di Fort Lauderdale alle
16:30. Immediatamente si
cercò di comunicare a
Taylor e agli altri
quattro piloti di
eseguire la procedura
standard prevista per
casi analoghi: “volare a
270 gradi e verso il
sole”. Alle 16:31
l’Unità di Salvataggio
Aeronavale sentì Taylor
riferire queste parole:
“Uno degli aerei in volo
pensa che se volassimo a
270 gradi potremmo
trovare la terra”.
Alle 16:39 Fort
Lauderdale contattò
l’Unità di Soccorso
Aeronavale e, come
paventato da Cox, avanzò
l’ipotesi che gli aerei
si fossero smarriti nei
pressi delle Bahamas,
piuttosto che nella zona
delle Florida Keys.
Alle 16:45 Taylor
comunicò nuovamente via
radio: “Voleremo a 30
gradi per 45 minuti, poi
faremo rotta verso nord
per essere sicuri di non
essere sopra il Golfo
del Messico”.
Alle 16:56 Taylor inviò
un nuovo segnale via
radio, riferendo di aver
cambiato rotta a 90
gradi, per dieci minuti.
Quasi contemporaneamente
fu udita una voce
differente: “Dannazione,
se potessimo volare
subito ad ovest,
potremmo tornare a casa;
andiamo ad ovest,
dannazione”.
Alle 17:00 Taylor riferì
che avrebbe volato per
270 gradi “fino a quando
incontriamo terra o
finisce il carburante”.
Alle 17:24 Cox chiamò
Fort Lauderdale per
informarli delle ultime
variazioni
meteorologiche: limpido
a Fort Lauderdale,
nuvoloso sopra le
Bahamas, con nubi
piuttosto basse e scarsa
visibilità. In base a
questa comunicazione,
alle 17:36, fu deciso
che un aereo pronto al
decollo da Fort
Lauderdale per correre
in aiuto della
Squadriglia 19 non fosse
autorizzato a partire a
causa della prospettiva
di cattivo tempo e in
virtù dell’incoraggiante
informazione di Taylor
che avrebbero volato ad
ovest fino alla prima
spiaggia. Seppur
logicamente corretta la
decisione fu opinabile:
per questioni di
sicurezza fu deciso che
l’aereo monomotore e
monopilota pronto al
decollo non sarebbe
stato rischiato verso le
tenebre sopra un mare
agitato in una missione
dall’esito incerto.
Alle 17:50, cinque
stazioni radio lungo la
Costa Occidentale e il
Golfo del Messico
captarono i segnali
radio provenienti dagli
Avenger. Apparentemente
sembravano trovarsi in
volo a 100 miglia a
nord-est di Cape
Canaveral, molto a nord
rispetto Fort
Lauderdale, invece che a
sud come sembrava
evincersi dalle parole
di Taylor.
Alle 18:04 Taylor riferì
ai suoi piloti: “Stiamo
tenendo 270 gradi, non
ci siamo diretti
abbastanza ad est..
potremmo essere
costretti a un’altra
virata e andare ancora
ad est”. Il
capo-squadriglia stava
apparentemente
vacillando tra la sua
idea di trovarsi sopra
il Golfo del Messico e
la convinzione dei suoi
studenti di essere sopra
l’Atlantico…
Alle 18:20 un altro
messaggio da Taylor:
“Tutti gli aerei sono in
formazione ravvicinata…
Noi tutti precipiteremo
a meno di un
atterraggio… quando il
primo aereo scende sotto
i
10
galloni, noi tutti
andremo giù insieme”.
Nello stesso momento, il
capitano del Cargo
Britannico Viscount
Empire, trovandosi a
navigare a nord-est
delle Bahamas verso Fort
Lauderdale, riporto
all’’Unità di
Salvataggio Aeronavale
che aveva incontrato un
mare molto agitato e
venti a forte velocità
in tutta l’area.
Quando ormai erano
calate le tenebre e
stava scatenandosi un a
forte tempesta al largo
delle coste della
Florida, alle 19:04 fu
udita l’ultima
trasmissione provenire
dalla Squadriglia 19.
Intorno alle 20:00 fu
chiaro che il carburante
degli aerei era ormai
finito e che i velivoli,
con ogni probabilità,
avevano ammarato in un
luogo imprecisato
dell’Atlantico sferzato
da forti venti e, come
più tardi testimoniò un
altro aereo in volo al
largo delle coste della
Florida e diretto a sud,
con onde di 50 piedi.
Molto difficilmente un
TBM Avenger, cinque
tonnellate di peso a
vuoto, avrebbe potuto
sopravvivere alla notte
in quelle condizioni di
mare.
Nel frattempo molti
aerei plurimotore furono
inviati dalle
aerostazioni della
Florida. Al Centro
Navale di Banana River
due PBM Mariner furono
preparati per affrontare
la ricerca, dopo essere
stati dirottati da un
programmato volo
notturno di
addestramento. Un
meccanico controllò uno
degli aerei riempiendolo
con sufficiente
carburante per 12 ore di
volo. Come riferì in
seguito: “Ho passato
un’ora nell’aereo… e non
c’era indicazione di
alcuna esalazione di
carburante. Non c’erano
anomalie in nessuno
degli equipaggiamenti e,
quando abbiamo azionato
i motori, operarono
normalmente”. Stando
alle parole del pilota
dell’altro PBM:
“L’ultima posizione nota
(dei 5 TBM Avenger) fu
approssimativamente a
130 miglia ad est di New
Smyrna con circa 20
minuti di carburante
rimanente. Abbiamo
ricevuto questa
posizione e ci è stato
detto di condurvi una
squadra di ricerca.
Siamo stati istruiti per
condurre ricerche radar
e visuali[…]. Nel
momento del breefing il
luogotenente Jeffrey
stava approntando il
secondo aereo per la
ricerca. Nessun altro
aereo era stato
incluso.”
Alle 19:27 il PBM-5,
nome in codice Buno
59229, fu in volo da
Banana River con 3
piloti e un equipaggio
di 10 membri. Alle 19:30
si spense il segnale
radio del volo e non ci
fu più alcun contatto
tra il velivolo e le
basi di terra.
Pochi istanti dopo, il
Cargo S.S. Gaines Mills
inviò il seguente
messaggio: “Alle 19:50
osservato lingue di
fuoco (libera
traduzione),
apparentemente
un’esplosione, con
fiamme alte 100 piedi
[…]. Posizione 28 gradi
59 minuti nord, 80 gradi
25 minuti ovest. Al
momento stiamo passando
attraverso una grande
chiazza d’olio. (Siamo)
fermi, in cerchio,
usando luci da ricerca
in cerca di
sopravvissuti. Trovato
nessuno”. Più tardi il
capitano della nave
confermò di aver visto
un aereo prendere fuoco
e immediatamente
precipitare, esplodendo
sul mare.
Un messaggio dalla USS
Solomons, che stava
partecipando alle
ricerche dei TBM Avenger,
più tardi confermò
quanto riportato dal
mercantile. Non fu
rinvenuto nessun rottame
e, prestando fede alle
testimonianze, ci fu
solo una piccola
possibilità di trovare
qualcosa nel mare in
burrasca. Il giorno
seguente, campioni
d’acqua recuperati in
quell’area, mostrarono
tracce d’olio, ma a
causa , del mare agitato
nessuna seria operazione
di recupero poté essere
condotta. Inoltre il
mare, in quel tratto,
era profondo 78 piedi e
molto vicino alla
Corrente del Golfo,
rendendo di fatto vano
ogni tentativo di
recupero di alcun
genere.
Durante l’indagine sulla
scomparsa del PBM
parecchi testimoni
riferirono di perdite di
carburante e fuoriuscite
di fumo come problemi
spesso rilevati a bordo
di aerei modello PBM
Mariner, aeromobile noto
con la poco rassicurante
nomea di “serbatoio di
carburante volante”.
Nei giorni successivi
centinaia di miglia
quadrate d’oceano furono
setacciate alla ricerca
degli uomini della
squadriglia scomparsa,
ma non fu rinvenuto
nulla. Non è da
escludere che, tuttavia,
le ricerche, forse
troppo condizionate
dalle parole di Taylor,
si siano concentrate in
un’area troppo a
meridione rispetto
all’effettivo luogo in
cui gli aerei
scomparvero.
Con ogni probabilità il
problema che costò la
vita ai 13 uomini degli
Avenger accadde nella
prima parte della
missione. Con un vento
di coda di oltre 30 nodi
gli aerei dovrebbero
aver volato molto più ad
est di quanto avrebbero
dovuto e, quando
virarono a nord,
semplicemente non
sorvolarono le maggiori
isole delle Bahamas,
volando sopra, invece,
ad un gruppo di piccole
isole che si estendono
da nord a sud. Forse per
questo motivo Taylor
pensò di aver avvistato
le Florida Keys. Di
conseguenza ipotizzo
che, volando verso nord
avrebbe raggiunto la
Florida e, sebbene
almeno uno dei suoi
studenti si accorse
dell’errore, Taylor
continuò a dirigersi a
settentrione, puntando
direttamente in mare
aperto.
La natura del volo
intrapreso dalla
Squadriglia 19 è spesso
mal rappresentato, come
l’esperienza dei piloti
coinvolti, spesso
disegnati come esperti
ex-combattenti impegnati
nei cieli della Seconda
Guerra Mondiale. In
realtà undici uomini
delle missione su
tredici non erano altro
che studenti e lo stesso
capo-squadriglia era sì
un istruttore con grande
esperienza di volo, ma
la zona delle Bermuda
era a lui tutt’altro che
familiare .
Il mal funzionamento
della bussola sull’aereo
del leader e l’assenza
di orologi su tutti gli
aerei, contribuì
pesantemente al
disastro.
Taylor si convinse di
essere ad ovest della
penisola della Florida,
mentre si trovava ad
est, e conseguentemente
si rifiutò di volare ad
ovest, come a lui
suggerito. A questo si
devono aggiungere anche
numero si
inconvenienti radio: le
comunicazioni da e verso
i cinque Avenger furono
frequentemente
interrotte da messaggi
provenienti dalle radio
commerciali cubane. Lo
stesso Taylor, dopo che
gli fu espressamente
chiesto di cambiare
frequenza radio per
tentare di migliorare le
comunicazioni, si
rifiutò di ascoltare il
suggerimento per paura
di perdere del tutto
contatto audio con gli
altri quattro aerei.
Sebbene, per
giustificare la
scomparsa dei TBM
Avenger, si è spesso
speculato, adducendo
teorie improbabili e
l’intervento di
intelligenze aliene, la
leggenda della
“Squadriglia Perduta”,
ad un’attenta e
circostanziata analisi,
si configura come un
incredibile e drammatica
vicenda umana. Con ogni
probabilità, il leader
del gruppo perse
l’orientamento
spazio-temporale
votandosi al disastro
insieme ai suoi uomini.
In un’occasione, per
esempio, riferì del suo
aereo come “MT-28”,
anziché “FT-28”, dove MT
designava aerei
provenienti dalla base
aeronavale di Miami e FT
da quella di Fort
Lauderdale. Tale errore
starebbe ad indicare
anche che Taylor si
trovava in uno stato
mentale alterato. Nella
stessa comunicazione,
inoltre non rispose
quando gli fu chiesto se
fosse venuto a capo del
problema della bussola.
Le trasmissioni radio
testimoniano che i TBM
Avenger completarono le
esercitazioni di tiro e,
come riferito in
precedenza, intorno alle
15:00 furono visti
allontanarsi verso est.
L’ora in cui furono
udite le comunicazioni
nelle quali veniva
rivelato il problema di
navigazione indicava che
gli aerei avevano virato
a nord e avrebbero
raggiunto un punto
vicino alla virata
finale verso Fort
Lauderdale. Era
fisicamente impossibile
che, all’interno di quel
lasso di tempo, si
fossero trovati a
sorvolare le Keys. Uno
stato di alterazione
mentale sarebbe l’unica
giustificazione
plausibile per dare
ragione
dell’affermazione di
Taylor. Senza contare
che, come sembrerebbe
emergere dalle
conversazioni udite,
almeno uno degli altri
piloti era consapevole
del fatto di trovarsi
sopra l’Atlantico e che
la salvezza si trovava
ad ovest. Per orientarsi
sarebbe stato
sufficiente prendere
come punto di
riferimento il sole e,
nel caso questo non
fosse stato visibile,
sarebbe bastato salire
di quota fino al momento
in cui sarebbe stato
possibile vederlo. Ma
ciò non avvenne mai…
BIBLIOGRAFIA
·
Larry Kusche, The
Disappearance of Flight
19, 1980
·
"Lost Patrol" in Naval
Aviation News, giugno
1973, pp. 8-16.
·
Vincent Gaddis, Il
triangolo delle Bermuda
e altri misteri del
mare, 1967
·
Ron Edwards, Five TBM
Avenger Bombers Lost in
the Bermuda Triangle, in
“Aviation History”,
luglio 1999
·
Ronald Bruce Meyer, The
“mistery” of flight
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