Il mistero di Rennes Le
Chateau è uno dei più
affascinanti d’Europa.
L’inizio della sua
fortuna ed il suo
successo con il grande
pubblico può essere
datato circa agli anni
’50 del ‘900, quando i
suoi personaggi ed i
suoi enigmi iniziarono a
diffondersi e ad essere
conosciuti ad una grande
maggioranza di persone
grazie alla
pubblicazione di testi
di varia natura. Il
materiale cartaceo che
raccontava di Berenger
Sauniere e dei fatti che
lo videro protagonista
era di varia natura:
cronache romanzate dei
fatti, “guide
turistiche”, saggi,
studi. Nel giro di
pochissimi anni, la mole
di scritti riguardanti
questi argomenti crebbe
a dismisura, spesso
corrompendo la verità ed
finendo per alimentare
il mito. A partire dal
1956, un nuovo flusso di
materiale iniziò ad
essere depositato presso
gli archivi della
Biblioteca Nazionale di
Parigi. Per la maggior
parte si trattava di
opuscoli di non più di
qualche pagina, spesso
scritte a macchina,
fotocopiate e rilegate
con punti metallici.
Tra i documenti più
interessanti depositati
alla Biblioteca
Nazionale di Parigi, vi
sono i documenti
denominati
Les Dossiers
Secrets, i Dossier
Segreti. L’autore di
questi scritti si
presentava come un certo
Henri Lobineau: questo
sarebbe stato lo
pseudonimo di Leo
Schidlof, uno storico ed
antiquario austriaco (un
comunicato “segreto”
successivo, però, portò
ad identificare l’autore
in un nobiluomo francese
di nome Henri de
Lénoncourt). I Dossier
Segreti sono formati da
articoli di giornale,
fotografie, carte
genealogiche e
conterrebbero la
“storia” del Priorato di
Sion, un ordine
“massonico” occulto,
antico di almeno mille
anni e custode di
importantissimi segreti,
in grado, secondo i
Dossier Segreti, di
sconvolgere gli
equilibri del mondo.
Oltre ai dati appena
elencati, i documenti
contengono anche una
sorta di breve storia
della setta ed un elenco
di tutti i Gran Maestri
(i capi supremi,
potremmo dire)
dell’Ordine. Tra questi
spiccano grandi
personalità della
cultura e dell’arte di
ogni tempo: per fare
alcuni esempi, vi sono
Sandro Filipepi detto
Botticelli, Leonardo Da
Vinci e Sir Isaac
Newton. L’elemento più
interessante dei Dossier
è la
Planche numero 4,
che contiene
l’organigramma del
Priorato. Oltre ai Gran
Maestri, esistono 27
“commanderie” ed un
“arco” chiamato “Beth-Ania”,
il cui compito è
sorvegliare le
commanderie e la cui
sede è nel paesino di
Rennes Le
Chateau; il
Priorato di Sion, poi,
appariva formato da 1039
membri, divisi in 729
Preux, 243
Ecuyers, 81
Chevaliers, 27
Commandeurs, 9
Croisés
de St. John, 3
Princes
Noachites de Notre-Dame
ed un Nautonnier.
L’ultimo termine, che
designava il grado più
alto nella gerarchia del
Priorato, è un antico
termine francese
traducibile con
“nocchiero”,
“navigatore”. Per
regola, ogni volta che
veniva scelto un nuovo
Nautonnier, questi era
obbligato, nel momento
in cui assumeva la
carica, ad anteporre al
proprio nome il nome
Jean (o Jeanne nel caso
fosse una donna), in
italiano Giovanni.
Secondo l’elenco dei
Gran Maestri contenuto
nei documenti del
Priorato, datati,
ricordiamo, al 1956,
l’ultimo e contemporaneo
Gran Maestro era
l’artista francese Jean
Cocteau, in carica dal
1918. Chi sia stato il
Gran Maestro successore
di Cocteau, morto nel
1963, non ci è dato
saperlo, visto che, come
detto, i documenti sono
del 1956 e nessuna
aggiunta vi fu posta in
seguito.
Spostiamoci ora a Roma.
Nel 1958, quando Cocteau
era ancora vivo e,
probabilmente, ancora in
carica come Gran Maestro
del Priorato di Sion, al
soglio pontificio salì
un cardinale di nome
Angelo Rocalli. Il
cardinale Roncalli,
prima di divenire tale,
era stato anche Nunzio
Apostolico in Turchia:
qui, vuole una
“tradizione”, si sarebbe
associato alla società
segreta nota come
Rosacroce. Ora,
“Rose-Croix Veritas” era
anche il sottotitolo che
il Priorato di Sion
aveva aggiunto alla
propria denominazione a
partire dal 1188. Già da
questi pochi elementi, è
possibile supporre che
Angelo Roncalli, al
momento della sua
elezione al soglio
pontificio, fosse un
membro del Priorato di
Sion. Ma le coincidenze
non si fermano qui. Come
la tradizione papale
vuole, anche questo papa
scelse per sé un nuovo
nome con il quale
presentarsi al mondo
nella nuova veste di
vicario di Dio in terra.
La sua scelta cadde su
Giovanni XXIII. La nuova
designazione,
inevitabilmente, finì
per creare un certo
scalpore: un Giovanni
XXIII c’era già stato,
nella storia della
Chiesa; inoltre, il nome
Giovanni era
implicitamente
“proibito” perché era
stato il nome
dell’antipapa del 1415.
Questo nome, ricordiamo,
era anche quello che
veniva scelto dai Gran
Maestri del Priorato di
Sion. Questa scelta,
dunque, dava e dà
tuttora motivi
interessanti di
riflessione. Perché Papa
Giovanni avrebbe scelto
per sé un nome così
scomodo come Giovanni?
L’unica motivazione per
la scelta di tale nome
da parte del “papa
buono” è che questi
volesse creare un certo
legame tra il papato ed
il Priorato, come a
sottolineare la doppia
reggenza, da parte di un
uomo solo, di due
istituzioni così
importanti e potenti.
Aggiungiamo ancora un
particolare
interessante. Nel XII
secolo, un monaco
irlandese di nome
Malachia compose alcune
profezie molto simili a
quelle di Nostradamus.
Queste profezie sono
state tenute in gran
conto da tutti i papi
durante tutta la storia.
Oltre alle profezie,
Malachia enumera anche i
futuri pontefici che
occuperanno il soglio di
Pietro nei secoli
futuri, descrivendoli
con un breve motto
latino. Per Giovanni
XXIII, Malachia scrive
che sarà Pastor et Nauta,
“Pastore e Navigatore”,
in francese “Pasteur et
Nautonnier”. L’esattezza
di tale attribuzione a
Papa Giovanni del motto
di Malachia, escludendo
quella che abbiamo
appena indicato e
considerandone un’altra
meno esoterica, è stata
rafforzata considerando
che Angelo Roncalli
viaggiò molto,
soprattutto per mare, e
fu Patriarca di Venezia,
la seconda, per
importanza, delle
antiche Repubbliche
Marinare: questo
spiegherebbe il
nautonnier, il
navigatore.
Oltre a queste
“coincidenze”, a
rafforzare l’idea che
Papa Giovanni fosse in
qualche modo legato al
Priorato di Sion c’è un
fatto. Papa Giovanni
indirizzò la politica
papale in una maniera
nuova e di certo poco
conforme alla tradizione
ecclesiastica. Si dice
che fu lui a portare la
Chiesa nel XX secolo:
con le decisioni e
riforme stabilite
durante il Concilio
Ecumenico Vaticano II,
Papa Giovanni ammodernò
la Chiesa, la rese
un’istituzione meno
sclerotizzata, meno
tradizionalista,
avvicinandola alla gente
(per esempio, il latino
della messa viene
sostituito con le lingue
nazionali, il Vangelo
viene finalmente
accettato anche in
traduzione),
riportandola agli
antichi valori che ne
avevano animato gli
ancestrali esordi. Oltre
a questo, Papa Giovanni
modificò i rapporti tra
Chiesa e massoneria,
dichiarando che un
cattolico poteva essere
massone. Ma ciò che più
di ogni altra cosa rompe
con la tradizione e
porta novità è il
contenuto di una lettera
del 1960 che verteva sul
“preziosissimo sangue di
Gesù”. Tale lettera
sottolineava le
sofferenze di Cristo
come essere umano ed
affermava che la
redenzione dell’umanità
era avvenuta grazie allo
spargimento del sangue
di Cristo. E’
un’affermazione dal peso
enorme: implicitamente,
Papa Giovanni metteva in
secondo piano la
Crocifissione e la
Resurrezione, vedendo
questi due fatti (ma
soprattutto il primo)
come non fondamentali
nella dottrina
cristiana. Per la
Salvezza umana non è più
necessario che Cristo
sia morto in Croce. Non ci sono spiegazioni
plausibili per tali
dichiarazioni: o Papa
Giovanni era un
cristiano ortodosso “a
modo suo”, oppure era a
conoscenza di qualche
informazione che gli
permetteva di fare
affermazioni del genere
in piena sicurezza. In
tal caso, quali siano le
sue fonti, possiamo
dedurlo facilmente.
Aggiungiamo ancora una
piccola nota, che ha sia
il sapore della
casualità, sia il sapore
della coincidenza fin
troppo sospetta.
Malachia era amico e
confidente di San
Bernardo di Chiaravalle,
eminente membro
dell’ordine dei
Cistercensi, grande capo
spirituale della Chiesa
del XII secolo e nipote
di André de Montbard,
uno dei nobili francesi
fondatori, secondo Les
Dossiers Secrets, del
Priorato di Sion.
Inutile dire che la cosa
coincidenza, se è tale,
è davvero incredibile.
L’esattezza delle
profezie papali di
Malachia, però, può
venire messa in dubbio
da una semplice
considerazione. Durante
tutta la storia della
Chiesa, oltre ai papi
romani, possiamo
enumerare almeno altri
10 papi. Anzi, 10
anti-papi: alcuni furono
eletti nel XII secolo,
altri furono eletti ad
Avignone in seguito allo
scisma del XIV secolo.
Considerando che il
“vicario di Dio in
terra” è sempre e
soltanto uno, rimane da
vedere quale, tra papa
ed antipapa, debba
essere considerato
quello a cui Malachia
volle attribuire il suo
motto. Generalmente, nel
conteggio dei papi, gli
anti-papi vengono
considerati “validi”
come i vescovi di Roma:
per cui, per fare un
esempio, Papa Giovanni
Paolo II è il
centodecimo papa perché
nel conteggio sono
considerati anche i
dieci pontefici
scismatici; se invece
non consideriamo i papi
scismatici, l’attuale
pontefice è il
centesimo. Ogni qual
volta Malachia
attribuiva il proprio
motto ad un pontefice
avignonese, il motto
faceva esplicitamente
riferimento a questo.
Per esempio, il
Corvus
schismaticus è
l’antipapa Nicolò V, già
Pietro Rinalducci,
originario di Corvaro,
che fu tra i maggiori
responsabili dello
scisma d’Occidente.
Questa specificazione,
obbligatoriamente,
esclude il papa regolare
romano di quel tempo.
Alla luce di questo
discorso, tutti i
calcoli e le
attribuzioni dei motti
di Malachia vanno
rifatte da capo. Per
quello che ci riguarda,
in particolare, Papa
Giovanni XXIII non è più
il
Pastor et Nauta, ma
un’Aquila Rapax. Il
motivo di questa
designazione appare
assai misterioso ed in
un certo senso,
soprattutto per quello
che abbiamo detto, meno
plausibile del
precedente. L’unica
spiegazione a questo
motto va ricercata nel
fatto che Papa Giovanni
sia stato Nunzio
Apostolico a
Costantinopoli, l’antica
capitale dell’Impero
Romano, il cui simbolo è
appunto un’aquila
rapace. Una conferma di
questa attribuzione,
andando a scartabellare
i classici italiani, ci
è fornita da Dante, nel
canto VI del Paradiso,
in cui compare proprio
la “profezia
dell’Aquila”,
pronunciata da
Costantino il Grande,
fondatore di quella che
oggi è Ankara. Il motto
di Malachia può essere
anche spiegato con il
fatto che, come
un’aquila, “l’uccello di
Dio”, Papa Giovanni
seppe guardare in alto,
verso il cielo, e
vedere, per Grazia
divina, quali saranno i
fatti a venire.
Ricordiamo che Papa
Giovanni scrisse un
libro di profezie. Una
conferma di questa
spiegazione si avrebbe
nei versi di Giovanni,
1, 6-7, che dicono:
“Venne un uomo mandato
da Dio e il suo nome era
Giovanni. Egli venne
come testimone per
rendere testimonianza
alla luce, perché tutti
credessero per mezzo di
lui”. Ma è probabile che
il Giovanni della Sacra
Scrittura si riferisca a
sé stesso.
Per quello che riguarda
i motti degli altri
papi, invece, cercare i
motivi dell’attribuzione
alla luce del nuovo
ordine è cosa
complicata.
Se consideriamo, dunque,
che l’ordine finora
seguito
nell’attribuzione dei
motti di Malachia sia
sbagliato, possiamo con
un certo sollievo dire
che alla tanto
annunciata fine del
mondo, che coinciderebbe
con l’elezione al soglio
di Pietro di un Petrus
Romanus, non
mancherebbero più due
pontefici, bensì altri
dodici. Di certo, questo
ci restituisce un po’ di
speranza per il futuro.
Sempre nell’ipotesi che
ogni pontificato sia di
pari lunghezza di quello
dell’attuale papa…
Questa speranza, però, è
destinata a finire se
consideriamo altre
profezie. Si tratta di
quelle contenute nel De
Magnis tribolationibus
et Statu Ecclesiae,
stampate a Venezia nel
1527, un libretto di
profezie ad opera di un
monaco di Padova. In
esse, come nelle
profezie di Malachia, si
dà una rapida carrellata
dei papi che verranno.
Qui le attribuzioni sono
ben più facili da fare e
ben più esplicite.
Giovanni XXIII viene qui
presentato come “uomo di
grande umanità e dalla
parlata francese”: Papa
Roncalli rappresentò per
molti anni la chiesa di
Roma a Parigi, come
detto, e viene
generalmente definito
“il papa buono”. Con il
suo successore, secondo
il monaco padovano,
iniziano i problemi: in
questo tempo “l’ombra
dell'Anticristo inizierà
a oscurare la Città
Eterna”. Di Giovanni
Paolo I si dice:
“passerà rapido come una
stella cadente, il
pastore della laguna”.
Papa Luciani, che veniva
da Venezia, ebbe un
pontificato di soli 33
giorni. Riguardo a
Giovanni Paolo II:
“Verrà da lontano e
macchierà col suo sangue
la pietra [...] e verrà
strappato alla vita”.
Per Papa Wojtyla,
dunque, una fine tragica
e violenta. Quest’ultima
affermazione appare in
contrasto con quanto
affermato da Papa
Giovanni XXIII, il
quale, nelle sue
profezie, ha annunciato
che “un Papa straniero
tornerà nella sua terra,
e vi resterà fino alla
fine”. Considerando che
l’attuale pontefice è il
primo papa non italiano
dopo più di 450 anni,
non c’è dubbio che il
riferimento sia a lui.
Dunque, cosa attende
Giovanni Paolo II? Un
destino funesto o
placido nella propria
patria dopo l’abbandono
della carica? Un viaggio
in Polonia, sua patria,
il papa lo ha compiuto
nell’agosto del 2004, ma
l’abdicazione non c’è
stata.
Anche nelle profezie del
monaco di Padova, come
in Malachia, i pontefici
prima della Fine del
Mondo sono soltanto due.
Il primo sarà un
“seminatore di pace e di
speranza, in un mondo
che vive l’ultima
speranza”; questo ben si
concilierebbe con il
motto di Malachia, che
dice che il penultimo
papa sarà De Gloria
Olivae, “la gloria
dell’ulivo”, pianta,
come sappiamo, che
simboleggia la pace.
L’ultimo papa, invece,
verrà a Roma da terre
lontane “per incontrare
la tribolazione e la
morte”. Questa profezia
è da collegare insieme
ad un’altra, sempre del
monaco di Padova, che
dice: “Quando l’uomo
salirà sulla luna,
grandi cose staranno per
maturare sulla terra.
Roma verrà abbandonata,
come gli uomini
abbandonano una vecchia
megera, e del Colosseo
non rimarrà che una
montagna di pietre
avvelenate”. Questi
elementi compaiono anche
in Malachia, che dice:
“Durante l’ultima
persecuzione della Santa
Romana Chiesa, siederà
Pietro il romano, che
pascerà il suo gregge
tra molte tribolazioni;
quando queste saranno
terminate, la città dai
sette colli sarà
distrutta, ed il
temibile giudice
giudicherà il suo
popolo. E così sia.”
Sono simili i termini,
sono simili le
condizioni di
distruzione di Roma, è
comune il tema della
fine del mondo.
Possiamo fare solo due
ipotesi, riguardo queste
profezie sinistramente
simili: o il monaco di
Padova ha copiato
Malachia, o… entrambi
hanno visto gli stessi
fatti. L’unica cosa che
ci rimane da fare, tanto
per rimanere in tema, è
pregare…
BIBLIOGRAFIA
·
M. Baigent, R. Leigh,
H. Lincoln,
Il Santo
Graal, Milano,
Mondadori, 1984 |