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I misteri di Grazzano Visconti

a cura di Davide Oldazzi

 

 
 
 
  
  
  

 

   

Grazzano Visconti e il fantasma di Aloisa (Grazzano Visconti - Piacenza)

a cura di Stefano Tansini

      

Per chi, provenendo da Piacenza, discenda la Val Nure in direzione di Bettola e poi oltre, un luogo in particolare, soprattutto se la zona è poco conosciuta, colpisce per le sue caratteristiche architettoniche e per il suo aspetto smaccatamente medievale. Il suo nome, nobile, Grazzano Visconti. Questo borgo, in perfetto stile trecentesco, all’apparenza sospeso nel tempo e congelato dalla storia, è in realtà la geniale opera del conte Giuseppe Visconti di Modrone che, agli inizi del ‘900, volle ridare lustro ad un piccolo paese di modeste case arroccate intorno ad un castello secolare, ormai in uno stato di avanzato degrado. Un falso, dunque… ma la celata modernità del luogo non ammutolisce la sensazione di piacevole anacronismo creata dalla imponente opera di (ri)costruzione. Soprattutto il castello, riportato a nuovo splendore, trae giovamento e rinnovata imponenza dalla brillante intuizione dell’architetto Alfredo Campanili, la mente della rinascita di Grazzano. Eretto nel corso degli ultimi anni del XIV secolo, quando tutto il territorio, sotto l’egida dei Visconti di Milano, era un feudo della nobile casata degli Anguissola, nel corso dei secoli subì numerosi assedi e fu teatro di gesta gloriose, ma, prima dell’opera di recupero, nonostante alcuni infruttuosi tentativi di restauro, era ridotto a poco più di rudere usurpato dai contadini del luogo.

Dimora privata, ritornata agli antichi splendori, è oggi invece il miglior emblema di un mondo antico recuperato e rinato nella modernità, imponente e dominante struttura di un piccolo borgo in stile trecentesco, sintesi sublime del fascino e dell’immaginario medievale proprio degli albori del secolo scorso. Non tutto, però, può essere ricostruito o restaurato. Non tutto può essere ricreato dal genio di un essere umano… Dai recessi del passato, talvolta, possono emergere fatti e immagini cancellati dalla storia che, seppur sbiaditi dal tempo, riescono autonomamente ad imporsi al mondo contemporaneo. L’opera di Giuseppe Visconti e di Alfredo Campanili è grandiosa e geniale, ma l’artificiosità che la caratterizza la relega ad un ruolo di maestoso supporto teatrale, palcoscenico nel quale il castello e l’alone leggendario che lo circonda possano svolgere il ruolo di attori principali in virtù di quella sacralità che i secoli trascorsi e le reminiscenze generatesi dai recessi medievali hanno saputo pazientemente alimentare e della quale il borgo “moderno” - troppo breve è ancora la sua esistenza - non può fregiarsi. I fantasmi del tempo trascorso, generalmente, albergano proprio in quei luoghi che, usciti indenni da secoli di alterne vicissitudini, possono accoglierli, supportandone il corollario ”mitologico” che li accompagna. E il castello di Grazzano Visconti non si esime dal suo ruolo di testimone delle verità nascoste dal passato, diventando invece il fulcro attorno al quale gravitano i racconti e le leggende più significative dell’intera zona. Una “storia” in particolare, ancora agli albori del terzo millennio, attrae l’attenzione della gente che vive, lavora, visita il paese…

 

In prossimità del centro del borgo, quasi del tutto nascosta da una modesta siepe, una piccola statua sembra fare l’occhiolino ai passanti. Il ritratto è quello di una giovane donna paffuta, brevilinea, con due braccia tozze e grassottelle delicatamente adagiate su di un grembo un poco prominente. Il suo volto è indecifrabile, una gioia contenuta ammantata da un velo di tristezza. La storia che si cela dietro a questa statuetta, all’apparenza modesta, è intrigante come il personaggio stesso che raffigura. Volendo prestar fede alla leggenda che ancora oggi si sente riecheggiare tra le piazze e le vie di Grazzano, l’immagine rappresentata sarebbe il fedele ritratto che una giovane donna di nome Aloisa fece di sé, quando, nel corso di una seduta spiritica, guidò la mano della sensitiva in contatto medianico con lei. E, sempre secondo la leggenda di paese, Aloisa, nella medesima occasione, narrò la propria triste storia, risorgendo in tal modo da una damnatio memoriae nella quale era stata relegata nel corso del tempo: giovane sposa di un Capitano della Milizia, morì per gelosia a causa del tradimento del marito. Da allora, spirito inquieto, vaga per il castello e il parco di Grazzano Visconti. Sua dimora eletta sono le ataviche mura del fortilizio, ma non disdegna di dar manifestazioni di sé anche nelle sue immediate adiacenze. Spirito “burlone”, si distingue per un comportamento assai poco cortese: manesca, si rivela schiaffeggiando gli ignari ospiti, soprattutto se coppie di innamorati, che, senza attribuirle i dovuti omaggi, invadono la “sua” dimora. Basta poco, però, per adularla e farsela amica: omaggiarla con una collana o un monile è gesto sufficiente per appagare la sua vanità e placare un poco la sua gelosia. Proprio per questo motivo la statua di Aloisa è spesso agghindata con doni che i numerosi turisti le hanno offerto affinché potessero entrare nelle sue grazie. Come accennato, Grazzano è una geniale opera artistica, ma, pur nella piena consapevolezza trovarsi di fronte a qualcosa in gran parte “finto”, è comunque possibile assaporare tutto il fascino medievale del luogo. Per i più materiali è una bella diversione dal mondo quotidiano, ma per coloro che si lasciano circondare dall’atmosfera generale, e sono certamente la maggior parte, il paese di Grazzano Visconti è un’esperienza sentita e partecipata. Impossibile, anche se inconsciamente, non immedesimarsi nel vivere giornaliero dei secoli bui, calarsi appieno con la mente in quello che potrebbe essere stato, secondo il proprio personale punto di vista, il Medioevo piacentino e non solo. Difficile non calarsi in un immaginario personaggio di sette secoli fa e rivivere, impersonificandolo, le sue gesta. Arduo non pensare, anche solo per brevi istanti alle storie, ai miti e alle leggende di un’era dominata da castelli, cavalieri e grandi battaglie, ancor più se avvertiti come vivi e presenti ai nostri giorni. E poi, c’è il fantasma di Aloisa…

Ad un primo superficiale approccio, però, è innegabile che l’idea di un’infestazione spettrale sembri solamente una brillante trovata pubblicitaria (e non è da escludere che in gran parte lo sia…): un negozio porta il suo nome, una festa in prossimità di Halloween è a lei dedicata, le cartoline con la sua effige si sprecano. Tuttavia basta guardarsi un poco attorno, ascoltare chi vive e lavora a Grazzano o respirare l’aria del paese, per accorgersi che Aloisa è molto più che una semplice attrazione turistica. Una volta presa coscienza della sua storia, le sensazioni che si provano camminando lungo le vie sterrate del borgo, forzatamente, mutano e si arricchiscono di elementi nuovi. Sembra quasi che prenda corpo un indefinito senso di attesa, come se, ricercandolo distrattamente per i vicoli o tra le ombre delle case, più o meno inconsapevolmente, si aspettasse da un momento all’altro l’apparizione dello spettro o una sua testimonianza sensibile. Aloisa è parte integrante del vivere di questa comunità. Molti e diversificati aspetti, direttamente e indirettamente, si scontrano/confrontano con la sua leggenda. Come spiegare altrimenti il fascino che la statua descritta in precedenza sa trasmettere? Come spiegare le “offerte votive” che ancora oggi vengono fatte? Come spiegare quel vago senso di attesa del soprannaturale che pervade chiunque, soprattutto chi ha appreso in loco della supposta esistenza di uno spettro? Difficile credere che l’origine e il perpetuarsi di tutto ciò abbia una genesi puramente materiale, funzionale ad una finalità turistico-economica. E poi, ci sono fatti all’apparenza inspiegabili che, seppur non da considerarsi le prove ultime dell’esistenza di un’entità a suo modo soprannaturale, lasciano che almeno un tenue dubbio si insinui nella mente e nell’animo anche dei visitatori più scettici di Grazzano. Testimoni autorevoli affermano inoltre, senza tema di smentita, di aver avuto contatti con l’anima inquieta di Aloisa…Pochi anni or sono, a seguito di un’analoga indagine svolta da La Stampa, il Sunday Express si interessò compiutamente alla questione e le conclusioni alla quale arrivarono gli inviati sul campo furono piuttosto sorprendenti. Il lavoro d’indagine, interpretato in chiave specificatamente parapsicologica, poté avvalersi di un personale qualificato sia nel campo del paranormale che nel campo delle tradizioni storico-folkloristiche e, dopo un approfondito e rigoroso studio, fu ampliamente rigettata la tesi “atea” che considerava Aloisa alla stregua di una storia dettata dal folklore di campagna, arricchitasi e snaturata da elementi eterogenei nel corso degli anni. Aloisa era (è) invece “viva”, ancora spiritualmente presente e capace di far avvertire la sua stessa presenza, ben lontana da essere una triste favola da raccontarsi di fronte al camino. Il suo spirito era (ed è) ciò che resta di una vita colma di amore sincero, provata da notevoli sofferenze dell’animo. Aloisa esiste e dimora ancora a Grazzano.

Molti aneddoti accumulatisi nel corso degli anni, peraltro, sembrano avvalorare questa tesi, facendo inoltre trasparire anche il carattere spiccatamente “femminile” dell’entità. Due episodi in particolare, alla luce di queste rivelazioni, sono significativi. Alla fine del secolo scorso, seppur indipendentemente e in circostanze diverse, una stazione televisiva piacentina - Telelibertà - e un quotidiano locale ad essa collegato - La Libertà -, si interessarono diffusamente all'argomento. L’approccio con cui fu affrontata la questione fu tuttavia all’insegna di grande scetticismo e di sostanziale incredulità. Almeno fino al verificarsi di alcuni fatti inspiegabili che, seppur nella loro banalità e non culminando con alcuna forma di apparizione spettrale nel senso più tradizionalmente inteso, costrinsero perlomeno gli involontari protagonisti a pensare e a porsi domande… La troupe televisiva, in modo particolare il fotografo incaricato di ritrarre l’effige di Aloisa, ebbero notevoli problemi ad immortalare il loro soggetto: il lampeggiatore fu vittima di numerosi e inspiegabili malfunzionamenti mentre la foto-camera utilizzata si inceppò a ripetizione, pur non denotando anomalie di sorta. Solo dopo che la troupe decise di ingraziarsi lo spirito assumendo un comportamento più rispettoso nei confronti suoi e della statua tutte le apparecchiature, magicamente, ripresero a funzionare senza denotare più alcun problema! Quanto successo al giornalista de La Libertà fu ancora più sconcertante. Dopo un intero pomeriggio trascorso a raccogliere opinioni in merito allo spettro servendosi di un registratore portatile, alla fine del lungo tour di interviste, si accorse con stupore che sul nastro magnetico erano rimaste impresse le sole voci di coloro che si erano espressi favorevolmente nei confronti di Aloisa!

Un ulteriore aspetto, sviluppatosi negli ultimi anni e non solo limitato al solo orizzonte piacentino, contribuisce ad accrescere e complicare ulteriormente il “mondo” di Aloisa. Osservando la sua statua ciò che colpisce e non manca mai di stupire è il grande numero di collanine o bracciali che la adornano. Certamente sono offerte per entrare nelle grazie del fantasma, come la sua leggenda insegna, ma come spiegare i fiori che sempre più spesso si notano ai piedi del basamento dell’effige di Aloisa? La risposta a tale domanda è sorprendente e inaspettata: col tempo, sia una virtù della sua triste vicenda terrena, sia per quel carattere peculiare nei confronti di chi prova sentimenti di amore, ha assunto uno specifico ruolo di protettrice degli innamorati. Una sorta di San Valentino in versione femminile. E sembra, come proverebbero diverse testimonianze in prevalenza rintracciabili sulla rete, che coloro i quali, soprattutto se di sesso femminile, con animo sincero, si siano affidati ad Aloisa per trovare risposta alle loro pene d’amore abbiano alfine avuto accolte le loro preghiere! La storia e il personaggio di Aloisa sono quindi realtà complesse, non liquidabili con pressappochismo. Non sono semplici elementi dettati dal folklore locale o da scopi limitati al solo orizzonte materiale, e sebbene manchi, forse, la prova ultima di una realtà sopranaturale ben difficilmente si tratta di un qualcosa di puramente artificioso e materiale. Ben oltre le testimonianze e i fatti riportati è in fondo proprio Aloisa, in prima persona, a darci la prova della sua stessa esistenza: “Io sono Aloisa e porto Amore e profumo alle Belle che donano il loro sorriso a Grazzano Visconti”.

                  

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