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Sulle tracce dell' Unicorno
a cura di Laura Quattrini

L'unicorno è, senza dubbio, il più glorioso di tutte le creature mitiche che si trovano nei libri. Fu uno dei primi a far sorgere dicerie sul proprio conto, e uno degli ultimi a scomparire. Vi sono molte ragioni per le quali l'unicorno si acquistò tale reputazione e riuscì a mantenerla per quasi venti secoli. Se ne parlò per la prima volta in un paese che, già di per sé, è il paese delle meraviglie: l'India. Non v'era nulla di simile sulla terra; non era semplicemente qualche cosa di gigantesco, come il roc (un uccello immenso) o il drago. Era, per ogni aspetto, "diverso" Si diceva che fosse raro perfino nella sua terra d'origine. Il suo corno, chiamato "alicorno", era un antidoto infallibile contro qualunque veleno preparato da qualunque assassino. Questo corno acquistò perciò un sapore "magico", e divenne incredibilmente costoso. Queste caratteristiche non erano ancora state attribuite all'unicorno quando Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) lo incluse nella sua "Naturalis historia" come animale realmente esistente. Ed è comprensibile, perché egli lo considerò con la stessa serietà con cui considerava gli animali dell'Estremo Oriente e dell'India.

L'UNICORNO NELLA BIBBIA

Subito dopo la morte di Plinio, la nuova fede cristiana cominciò la sua lenta conquista del mondo romano, e proprio qui la credenza nell'unicorno ricevette l'appoggio maggiore. La ragione di ciò si trova in alcuni passi della Bibbia, dove la parola ebraica "reem" (bue selvaggio) era stata erroneamente interpretata e tradotta impropriamente "unicorno". Naturalmente gli studiosi hanno dimostrato in seguito che la bestia di cui si parlava era tutt'altro animale. Ma di questo errore non ci si rese pienamente conto che in epoca abbastanza recente, e così per molti secoli l'unicorno fu salvo, poiché, a quanto sembrava, era menzionato nelle sacre scritture. L'unicorno fece per la prima volta la sua comparsa nella letteratura nell'opera di Ctesias, uno storico e medico greco. Ctesias scrisse un libro (200 a.C. circa) sull'India, pervenutoci in una versione di circa 1300 anni dopo. Il brano che segue è tratto appunto da questa versione:

"Vi sono in India certi asini selvaggi che sono grossi come cavalli, e anche più grossi. Il corpo bianco, la testa rosso scuro, e gli occhi blu scuro. Sulla fronte hanno un corno che misura quasi mezzo metro di lunghezza. Limando questo corno si ottiene una polvere che viene somministrata in pozione contro i veleni mortali. La base di questo corno, una spanna circa sopra la fronte, è bianca candida, la parte superiore è appuntita di colore rosso vivo; di mezzo, è nera. Si dice che coloro che bevono in coppe fatte con queste corna non sono soggetti a convulsioni né alla malattia sacra (l'epilessia). Invero sono immunizzati anche contro i veleni se, prima o dopo averli sorbiti, bevono vino, acqua o altro da queste coppe...".

Questa descrizione, poche ricche che sono state sviluppate al punto da riempire centinaia di volumi, richiede qualche parola di spiegazione. Non dobbiamo dimenticare che Ctesias, scrivendo dell'India, si riferiva ad un paese che non aveva mai visto di persona. Se i brani giunti fino a noi riproducono abbastanza fedelmente l'originale, il libro di Ctesias è costruito per "sentito dire", e riporta evidentemente descrizioni desunte dai racconti di viaggiatori: forse non è più veritiero di quanto lo sia un film rispetto alla vita reale.

UN "RINOCORNO"?

E' facile capire che l'"asino selvaggio dell'India" descritto nel libro di Ctesias deriva dal rinoceronte indiano, ma tuttavia possiede anche le caratteristiche di qualche altro animale. Il rinoceronte non è soltanto l'unico animale con un corno solo, ma è dotato anche di altri caratteri che si trovano nella storia di Ctesias. In altra sede, ad esempio, Ctesias ebbe a dire che questo animale ha piedi veloci e che, mentre corre, la sua velocità aumenta. Questo si più dire anche del rinoceronte, il corno del quale, inoltre, ha, secondo la tradizione, un potere curativo; il suo corno, infatti, era ed è tuttora considerato nell'Estremo Oriente una droga assai efficace.

NO, UN "REEMICORNO"!

Un'altra scuola di pensiero citò Ctesias a testimonio del fatto che la leggenda dell'unicorno ebbe origine dal "reem", o bue selvaggio. Si osservò che i bassorilievi assiri e babilonesi mostrano l'animale completamente di profilo, tanto di profilo che solo un corno è visibile. Fra tutte le descrizioni dell'unicorno la più strabiliante fu quella che ne fece il romano Iulius Solinus nella "Polyhistoria". Egli scrive: 

"Ma il più crudele è l'unicorno, un mostro che muggisce orribilmente, ha corpo di cavallo, piedi d'elefante, coda di porco e testa come quella di un cervo. Il suo corno, che spunta dal mezzo della fronte, è di una lucentezza meravigliosa, della lunghezza di un metro e mezzo, e così acuminato che, se appena tocca qualcuno, subito lo trapassa. Non è mai catturato vivo: ucciso può essere, ma preso, mai".

L' UNICORNO "SELVATICO"

Subito dopo Solinus la storia dell'unicorno "si fa sfrenata". La letteratura semitica si deliziò ad esagerarne le dimensioni in modo affatto incredibile. Gli Arabi solevano dire che all'unicorno piaceva trafiggere col corno gli elefanti. Gli ebrei gareggiarono con gli Arabi nel costruire sull'unicorno storie degne del barone di Munchhausen; essi dicevano che le sue dimensioni erano tali che Noè non aveva potuto farlo entrare nell'Arca e l'unicorno aveva dovuto rassegnarsi a nuotare per tutta la durata del diluvio, riposando ogni tanto sulla punta del corno. Quelli che si recavano nei paese incantati dell'Oriente, non dimenticavano mai di cercare l'unicorno. E se realmente lo trovavano, se cioè trovavano il vero "unicorno", il rinoceronte, spesso rimanevano amaramente delusi. Invece di una splendida meraviglia animale, vedevano un mostro alquanto repellente. Marco Polo non poté nascondere il proprio disappunto quando scrisse: 

"Egli hanno leonfanti assai selvatici, e unicorni che non sono guari minori che leonfanti. E sono di pelo di bufali, e piedi come leonfanti. Nel mezzo della fronte hanno un corno nero e grosso: e dicovi che non fanno male con quel corno, ma co' la lingua, chè l'hanno ispinosa tutta quanta di spine molte grandi. Lo capo hanno come di cinghiaro, la testa porta tuttavia inchinata verso terra; ed istà molto volentieri nel fango; ella è molto laida bestia a vedere. Non è, come si dice di qua, ch'ella si lasci prendere alla pulcella, ma è il contrario".

Non fa meraviglia che alla vista di uno spettacolo così deludente la gente affermasse che unicorno e rinoceronte erano due animali diversi. Non era possibile che questo mostro elefantesco e per nulla belo fosse il famoso unicorno! Dovevano essere animali diversi, ambedue con un corno, è vero, ma per il resto diversi come il giorno e la notte. Il rinoceronte doveva essere sopraffatto con la forza bruta, mentre l'unicorno si arrendeva più facilmente. La leggenda dell'unicorno subì la più strana e curiosa evoluzione. La mitologia cristiana, lentamente ma fermamente, fece diventare l'unicorno uno schiavo delle vergini. Conformemente alla tradizione antica non poteva essere catturato, ma la nuova leggenda cristiana pose una eccezione. Si, poteva essere catturato, ma non da un uomo. Dentro la foresta dove l'unicorno muggiva, doveva andare una vergine e là aspettare pazientemente. Poi, dopo un po' l'unicorno arrivava e deponeva il suo corno ai piedi della vergine, perdeva la sua potenza e fierezza, e cadeva addormentato. I cacciatori che si erano nascosti dietro gli alberi allora venivano e facevano prigioniera la bestia regale.

TANTO ORO, TANTO "ALICORNO"

La leggenda dell'unicorno prese ad un certo momento un'altra direzione: si occupò cioè più dell'alicorno che dell'animale. Dal tempo di Ctesias si credeva che l'alicorno fosse un antidoto potente contro ogni genere di avvelenamento sia casuale che deliberato. E' naturale che molte persone, soprattutto quelle che avevano cariche pubbliche, ci tenessero a possedere questo contravveleno, poichè molto più spesso degli altri rimanevano vittime di avvelenamenti. A mano a mano che aumentavano le richieste, il prezzo dell'alicorno saliva; finchè non si giunse al famoso "tanto oro, tanto alicorno". Va da sè che a un certo punto l'alicorno fu falsificato. Il corno di rinoceronte poteva passare per "vero" alicorno. Vi erano sul mercato corna di caprioli neri e di antilopi. Nei paesi nordici si faceva distinzione fra "unicornum verum" e "unicornum falsum". Il primo, l'alicorno vero, si trovava di solito sotto terra, e non era altro che zanna di mammut, mentre l'alicorno falso giungeva in grande quantità dal nord ed era zanna di narvalo, un mammifero marino. Di fatto nei libri antichi tutte le rappresentazioni dell'unicorno mostrano un corno chiaramente attaccato alla zanna di un narvalo maschio.

L' UNICORNO IN FARMACIA

Gli Italiani furono i primi ad attaccare durante il Rinascimento le supposte virtù curative dell'alicorno. Si batterono contro ogni speziale che lo tenesse al banco con una catena. Lo speziale era molto orgoglioso del suo alicorno, ma non abbastanza, naturalmente, per rifiutare una vendita fruttuosa, dato che la credenza popolare era ancora ben radicata. Nel mondo scientifico, la campana a morte suonò per l'unicorno nel 1827, quando il barone Cuvier dichiarò che non poteva esistere un animale provvisto di un solo corno e di un'unghia fessa, perchè avrebbe dovuto avere anche l'osso frontale spaccato, ed era impossibile che un corno crescesse sulla spaccatura. L'esistenza del rinoceronte non contraddice Cuvier, perchè il corno del rinoceronte non è un corno vero e proprio. Un vero corno, come quello della vacca, consiste in una guaina cornea che riveste un vero e proprio osso, collegato con le ossa del cranio, mentre il "corno" del rinoceronte consiste in un fascio di setole durissime invischiate insieme. Tale pseudonimo non poteva necessariamente rientrare nella regola di Cuvier.

L' UNICORNO ESCE DAL PALCOSCENICO

A questo punto la storia dell'unicorno sembra giunta al termine. Sembra che tutte le possibilità siano esaurite, tutte le numerose e curiose credenze siano state spiegate, almeno per quanto era possibile. Per molti, molti anni ci fu un silenzio quasi ininterrotto intorno a questa bestia mitica. Ben poco se ne scrisse e quando, nel 1930, apparve il grosso libro di Odell Shepard sull'unicorno si ebbe l'impressione che questo fosse l'ultimo contributo a una storia lunga e gloriosa, l'opera "conclusiva" che raccoglieva tutti i fatti e delineava, attraverso la letteratura di almeno dodici paesi, la storia tradizionale del favoloso unicorno. In un passo del suo libro lo Shepard dice:

"Sembra probabile, quindi, che quella che potrei chiamare l'idea dell'unicorno, l'opinione cioè che esistano in natura animali con un corno solo, sia nata dal costume di unire le corna di vari animali domestici mediante un processo che è ancora in uso, ma ancora misterioso per il mondo civile. Qui si può trovare la spiegazione delle vacche e dei tori con un corno solo che, secondo Claudio Eliano (scrittore romano del III secolo d.C.), si potevano trovare in Etiopia, e degli armenti unicorni di cui parla Plinio, che vivevano nella Mauritania,. Anche le vacche con un corno solo ricurvo all'indietro e lungo una spanna, viste a Zeila in Etiopia da Lodovico de Varthema (scrittore e viaggiatore italiano del XVI secolo) forse erano di questo tipo. La testa di ariete con un corno solo mandata a Pericle, (495-429 a.C.) dai suoi coloni, era forse quella del più bello fra gli armenti, perfetto simbolo di quella supremazia che, secondo l'interpretazione di Plutarco (biografo greco del I secolo d.C.), essi auspicavano per il loro signore. Infine, il misterioso bue unicorno, menzionato tre volte nel Talmud, che Adamo sacrificò a Jahvè, può darsi fosse il capo della sua mandria di bestie, la cosa più preziosa che Adamo possedesse".

L' ULTIMA PAROLA

Nel marzo del 1933, Franklin Dove, un biologo americano, eseguì una semplice operazione su un vitello maschio di appena un giorno, unendo con ottima riuscita le due corna nel centro della testa del vitello. Di solito questa razza di bestiame ha corna ricurve, mentre il corno dell'unicorno artificiale cresceva quasi perfettamente diritto. Soltanto all' estremità si piegava leggermente in su. Inoltre quest'unico corno che copriva la protuberanza ossea era di un bianco grigiastro alla base e terminava color nero. Se il vitello fosse stato una femmina, secondo Franklin Dove il corno avrebbe avuto l'estremità rossa; sono questi esattamente i colori descritti nei testi antichi, che hanno tanto imbarazzato i commentatori. La prova più sorprendente però, fu la condotta di questo animale così come descritta dal Dove: 

"Fedele nello spirito al prototipo descritto dagli antichi, esso è consapevole di possedere una potenza singolare. Benché sia un animale con potenzialità ereditarie per due corna, riconosce la forza di un solo corno, che usa per passare attraverso staccionate e barriere che trova sul suo cammino, o come baionetta che spinge avanti nei suoi attacchi. E' da notare però il fatto che la consapevolezza della sua forza lo rende 
straordinariamente docile".


Se queste frasi non fossero state scritte in lingua moderna, ma in latino, e se non fossero state stampate in un giornale scientifico del 1936, ma in un libro del 1500, sarebbero state scelte probabilmente come quelle più brevi e più tipiche fra tutte le descrizioni del mostro favoloso.

Grazie a Vanessa Cardinali per lo splendido disegno! Visita il suo Blog a questo indirizzo!