Mostro mitologico greco,
divenuto simbolo della
voracità del mare, che
come una bestia affamata
ingurgita tutto il
possibile, Scylla, che è
anche la denominazione
della località Calabrese
dove la tradizione
colloca la dimora dello
stra-famoso mostro
marino, che nel nostro
immaginario è associato
al mostro Cariddi e
rievoca le tribolazioni
d’Odisseo nel suo
viaggio,
personificazione delle
sorti e delle qualità
del popolo greco. Questo
mostro e la leggenda
tessutagli intorno dal
popolo greco possono
essere spiegati con
qualcosa di tangente, di
reale, esistente, al
contrario di molte altre
leggende che vengono
ridotte alle
interpretazioni e alle
astrazioni di un
contesto
economico-politico-sociale-ambientale
proprio dell’epoca,
anche se è sciocco
ridurre il “Mithos”a
ciò, dato che la
componente mistica e
archetipa rimane. Molto
probabilmente il mostro
Scylla è esistito ed
esiste ancora. Ma
andiamo con ordine.
Scylla era un’attraente
ragazza che fu tramutata
in un orrendo e famelico
mostro da parte di una
Dea gelosa. Come in
molte altre leggende, si
è incerti su chi e con
quali modalità avesse
tramutato la bellissima
Scylla in uno spaventoso
mostro: alcune fonti
indicano Typhon ed
Echidna, altre parlano
di Phorbas ed Hekate,
altre ancora di Phorkys
ed Hekate o addirittura
si parla di Lamia.
Esistono tre versioni
della leggenda; nella
prima il giovane Glaucos
s’infatua di Scylla,
rifiutando così l’amore
della maga Circe che,
saputo la motivazione
del ripudio di Glaucos,
si adirò con la
fanciulla tramutandola
in un aberrante ed
enorme mostro dal busto
femminile dalle sei
teste di cane che
spuntavano dalla vita.
Secondo un'altra
versione, Poseidone si
innamorò della splendida
Scylla facendo andare su
tutte le furie la sua
consorte Amphitrite che
pregò la maga Circe di
trasformare l’oggetto
del desiderio in un
mostro. Ultima versione
a noi pervenuta, fusione
delle prime due: riporta
che fu bensì la bella
Scylla ad innamorarsi di
Glaucos, così che
rifiutò l’amore del Dio
del mare. Nell’Odissea
Scylla è un mostro
dotato di dodici piedi e
sei bocche su lunghi
colli che latrano senza
tregua. In seguito
acquisterà altre
caratteristiche e forma
sempre più umana.
Occupiamoci ora delle
forme più arcaiche
risalenti all’ottavo
secolo a.C., che si
rifanno al medioevo
ellenico (13 sec a.C.).
Riflettendo sulle due
forme, mettendo in
considerazione la
fervida rielaborazione
dei marinai e del
linguaggio usato dai
greci si arriva alla
conclusione che stiamo
parlando di piovre e
calamari giganti (come
sosteneva Eusebe de
Salverte, criptozoologo
del diciannovesimo
secolo); sei bocche di
cane come i tentacoli
della piovra (anche se
sono otto, ma è pur
sempre una
mistificazione). Si,
siamo di fronte alla
rielaborazione dei primi
avvistamenti di questi
enormi cefalopodi, anche
se difficilmente
avrebbero potuto entrare
in contatto e forse
attaccare piccole
imbarcazioni (c’è un
caso documentato
sull’attacco di una
piovra ad un
imbarcazione - nel 1887
un imbarcazione si
trovava al largo della
costa occidentale
Africana, venne
attaccata mentre i
marinai erano intenti a
rimuovere i cirripedi
dallo scafo), anche se
possono essere stati
comunque avvistati come
esemplari spiaggiati.
C’è un altro
interrogativo; mentre
gli avvistamenti di
piovre sono molto
frequenti nel mare
Nostrum (anche se
l’attuale e sfrenata
pesca industriale nel
Mar Mediterraneo sta
portando alla
decimazione della
specie) di calamari
giganti - alias
Architeuthis Dux (un
calamaro di 20 metri) –
non se ne trovano,
nessuna prova diretta e
tangibile, sembrerebbero
infatti abitare solo
nell’Oceano Atlantico.
Eppure le prove
indirette esistono e ci
vengono fornite da un
altro animale, il
mastodontico capodoglio
(Physeter macrocephalus),
cetaceo in stretta
connessione ecologica
con i calamari di medie
e grosse dimensione (che
rappresentano una
grossissima parte della
sua dieta). Ad
avvalorare l’ipotesi di
questa coesistenza vi
sono le frequenti ed
enormi cicatrici
frontali del cefalopode,
causate dalle
impressionati lotte per
la sopravvivenza che
avvengono a centinaia di
metri sott’acqua. Nel
mare nostrum è presente
una discreta popolazione
di capodogli che
presenta le cicatrici
tipiche dei parenti
oceanici, anche se la
convalida della tesi
verrebbe dal
sezionamento di un
capodoglio che dovrebbe
contenere resti
dell’animale, ma le
commissioni
internazionali lo
vietano, ma noi
appassionati di
criptozoologia rimaniamo
in attesa, in attesa di
uno spiaggiamento di un
cadavere o comunque un
prova.
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