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i draghi
a cura di Laura Quattrini

Il drago è il protagonista di interessanti storie che ricorrono in tanti miti d'Occidente e d'Oriente. Per gli occidentali il drago era per lo più un abitante delle caverne, feroce ma vano custode di preziosi tesori come il vello d'oro rapito da Giasono e l'oro del Reno conquistato da Sigfrido. Per gli orientali invece il drago era una creatura celeste, protettore e simbolo della Cina imperiale. I draghi si dividevano in diverse categorie:
  
· Draghi celesti: di colore simile ad un verde molto chiaro, erano a guardia del cielo ed erano gli unici ad avere 5 artigli per zampa;
· Draghi spirituali: di colore azzurro, erano i più venerati in quanto guardiani del vento, delle nuvole e dell’acqua, e quindi da loro dipendeva il raccolto dei contadini;
· Draghi terrestri: di colore verde smeraldo, erano i guardiani dei corsi d’acqua, regolandone il flusso e vivendo nelle profondità dei fiumi;
· Draghi sotterranei: di colore dorato, erano i custodi di grandi ed immensi tesori e dispensatori di felicità eterna; 
· Draghi rossi e Draghi neri: creature violente e bellicose, che si scontravano continuamente nell’aria causando con la loro energia violente tempeste.
    
Ma per tutti esso era un gigantesco rettile con o senza zampe artigliate, quasi sempre con larghe ali di pipistrello e spesso pure con le ampie fauci vomitanti fuoco. Alla sua creazione collaborarono, in misura varia a seconda della località e dei tempi, tre elementi: in primo luogo le ossa di animali fossili rinvenute in caverne preistoriche, perciò spesso denominate "grotte del drago": tale è il caso del drago di Klagenfurt, il cui monumento, eretto colà al principio del Seicento, ebbe per modello un cranio di rinoceronte velloso dell'era glaciale che fu poi gelosamente custodito nel locale municipio; in secondo luogo il fantastico ingigantimento e travisamento di comuni rettili temibili, come il coccodrillo e il serpente; in terzo luogo l'esistenza, in certe contrade, di rettili effettivamente abbastanza rispondenti alla tradizionale immagine del drago o del suo compagno basilisco: tali sono le iguane sud-americane, i varani d'Africa e d'Asia e, soprattutto, quella curiosa lucertola dell'Indonesia che, per la presenza di espansioni alari funzionanti da paracadute, s'ebbe non a torto da Linneo il nome di "Draco volans"; a quest'ultimo infatti si riferiscono evidentemente le descrizioni e le illustrazioni cinquecentesche di Girolamo Cardano, di Konrad von Gesner e di Pierre Belon. Ben più simili ai draghi delle leggende dovevano essere molti dei colossali rettili che popolavano il globo nell'era secondaria. Ma era assurdo pensare che qualcuno di essi, scampato all'estinzione databile a cento milioni di anni fa, fosse servito da spunto a qualche favola. Era assurdo... fino al 1912. In quell'anno il professor Owen del giardino botanico di Giava fece una sensazionale scoperta: indotto appunto dalle strane dicerie degli indigeni di Komodo, un'isoletta tra Sumbawa e Flores, egli allestì una piccola spedizione e scoprì, anzi, uccise addirittura uno dei misteriosi "Doeje darat", i terribili draghi che, a detta degli indiani, vivevano nel fondo della giungla. La preda si mostrò tutt'altro che inferiore alla leggenda: lungo sino a quattro metri, con le possenti zampe anteriori più lunghe delle posteriori, il lucertolone di Komodo aveva, per dimensioni e per portamento, un aspetto ben degno dei suoi lontani progenitori fossili. Il drago, sebbene senza ali, non era più un mito.

UNA FAMOSA LEGGENDA: SAN GIORGIO UCCIDE IL DRAGO

(da A. M. Smyth, Storie di animali favolosi)
Questa storia sui draghi, dall'aria candida, vi darà un'idea di come, 
alcuni secoli fa, degli uomini sensati accettarono questo spaventoso mostro.

"- Questo è il grazioso drago che hai preso - disse il soldato britannico Giorgio al suo amico romano Lucio. - Vorrei che fossero tutti come questo! Egli era in viaggio dal campo romano a Corinium o Cirencester, come lo chiamava nella propria lingua, per andare incontro all'avventura di uccidere il drago feroce che atterriva il paese. Parecchi giovani soldati romani e britannici avevano già tentato l'impresa, ed erano stati uccisi o feriti dal drago. Così Giorgio aveva ottenuto una settimana di licenza e, prese le armi e inforcato il grosso e pesante cavallo britannico, s'era messo in cammino. La sera prima raggiunse la villa di Lucio, un suo amico romano, che era venuto in Britannia con Giorgio, e si era talmente innamorato del paese che aveva comprato del terreno e aveva costruito una bella villa sul modello delle ville romane, e ora coltivava la terra e allevava cavalli. Lui e Giorgio andarono in giro per i campi e raggiunsero delle piccole vacche nere che erano una razza speciale da latte. Sdraiato accanto ad esse, la lingua fuori e gli occhi svegli c'era un bel draghetto. - Si - disse Lucio - Don è una bellezza. Migliore di qualunque cane. I lupi, le volpi e i cani selvaggi non mi danno più preoccupazione da quando l'ho ammaestrato a sorvegliare la mandria. - E' sempre così docile e fidato? - Si, sempre così! Devi sapere che lo trovai ferito sulla strada. Credo che sia andato a sbattere contro un carro da guerra, ed aera allora solamente un cucciolo, aveva un'ala rotta e la zampa anteriore schiacciata. Ma io lo portai a casa, gli misi a posto l'ala e gli bendai la zampa, e da quel momento è stato come un bambino. Qui Don! Il drago balzò in piedi e si avvicinò saltellando al suo padrone. Era alto un metro circa e lungo un metro e mezzo, con un corpo coperto di scaglie blu che sotto il ventre sfumavano nel giallo, la coda dentellata, le ali membranose grigio blu dalla forma molto delicata, quattro grandi zampe piatte, con artigli forti e bellissimi, e una testa grande e fiera. Aveva piccole orecchie armoniose, puntate in avanti e foderate di pelo grigio; aveva gli occhi gialli, lucentissimi e intelligenti; le mascelle lunghe e fornite di denti enormi. Di tanto in Immagine ralizzata da Vanessa Cardinali, tutti i diritti sono riservati.tanto, mentre ansava di piacere ed eccitazione alla vista del padrone, una sbuffata di fumo saliva dalla sua grande bocca rossa. Lucio e Giorgio gli grattarono le orecchie e gli diedero dei colpetti sul collo massiccio. - Non brucia le cose con il fiato come fanno gli altri draghi - disse Lucio - Un eremita che abita da queste parti e possiede uno di questi draghi, mi consigliò di dargli da mangiare molta lattuga, perché questa diminuisce enormemente il calore del fiato. Naturalmente non può andare vicino al fienile o ad altri simili posti, ma può venire in casa, lo fa spesso e non brucia nulla per la stanza. - Ho sentito che la cosa più terribile del drago che devo combattere è che non si può stargli vicino per il calore. - Male, male - convenne Lucio - Oh sono molto diversi come dimensioni, carattere eccetera. A proposito l'hai sentita l'ultima sul tuo drago? - Ho sentito che la gente deve legare delle povere vacche fuori del villaggio, la sera, perché la bestiaccia se le venga a mangiare la notte, e che deve metter fuori dei secchi di latte. - Molto peggio. L'ultima è che la gente lega le proprie figlie o dei parenti vecchi, insomma, tutti quelli che non sono molto utili, e li lascia divorare dal drago al posto delle vacche che,naturalmente, costano di più. A meno che la scorta delle vacche non sia terminata. - Deve esser così certamente! - disse Giorgio alquanto inorridito. - Oh non so. Voi Britanni siete capaci di tutto. Siete la gente più dura ch'io conosca, eppure sono stato nella maggior parte dei paesi dell'impero. - Bene, mi sa che farò bene a pensarci domani - replicò Giorgio. Il giorno dopo, di buon mattino, egli partì a cavallo del suo grosso baio su per le colline calcaree. Le allodole saettavano dai loro nidi sopra gli zoccoli del cavallo, e si libravano cantando nella limpida aria di giugno. Le colline erano scoperte e nude se non per qualche gruppetto di faggi e di biancospini, freschi e verdi nel sole mattutino, e ai loro piedi spuntavano le felci. Il sole risplendeva sull'elmo e sul pettorale di Giorgio, sull'armatura che gli copriva le gambe, le mani e le braccia, sullo scudo rotondo e sulla punta di ferro della lancia. La sua spada romana corta e piatta e il pugnale gli pendevano al fianco nella guaine di cuoio. In un sacco posato sulla sella, egli portava anche il pane, la carne, il formaggio e il vino che gli aveva dato Lucio. Mentre cavalcava udì picchiare degli scalpelli e dei martelli nelle cave di gesso delle colline, e il vocio degli uomini per l'aria tranquilla. Il sole era salito al punto più alto del cielo ed egli si affrettò. Dopo poco raggiunse l'alta cima dove, nei pressi di un villaggio, viveva il drago. Fin dove poteva spingersi lo sguardo si scorgevano solo delle ondulazioni perdersi fino all'orizzonte. Eccetto per alcune capanne grigie, era una delle regioni più desolate della Britannia, e Giorgio si rese conto del perché il drago fosse riuscito a sopravvivere così a lungo. Quei miseri contadini non dovevano essere né armati né abbastanza abili per scontrarsi con una bestia tanto possente e astuta. Egli arrivò fino a Uffington e fu accompagnato dal capo del villaggio. - Signore - disse il capo - fareste meglio a riposare e a rinfrescarvi fino al calar del sole, perché il mostro dorme tutto il giorno e non si vede mai fino a sera. Allora esce a divorare la vittima... L'uomo si interruppe e scoppiò in pianto. Dall'interno della sua dimora già Giorgio aveva udito pianti e singhiozzi, e così chiese di cosa si trattava. - Signore, abbiamo tirato a sorte per sapere chi doveva sacrificare la propria figlia, ed è toccato a me, e questa sera la mia univa figlia sarà portata dagli anziani del villaggio e sacrificata al drago. Signore, è la nostra sola figlia, è sempre stata la nostra gioia e la nostra consolazione. - E si torse le mani, disperato. - E lo sarà ancora - disse Giorgio, appoggiando la mano sulla spalla del povero uomo. - Il drago ha avuto la sua ultima vittima... stanotte morirà. Egli rimase quel pomeriggio nella casa del capo, e vide che il suo cavallo era premurosamente accudito. Verso il tramonto, gli anziani del villaggio vennero a prendere la ragazza, e Giorgio le disse di andare pure con loro e di lasciarsi legare, ma di aver fiducia in lui perché l'avrebbe salvata. Poi sellò il cavallo e seguì la compagnia. Non appena la fanciulla fu legata all'albero sacrificale si sentì sotto terra un rombo sordo. La gente del villaggio se la diede a gambe e Giorgio vide delle buffate di fumo uscire da quella che pareva una cava fuori uso. Seguì uno spruzzo di fuoco, lo strepitio si fece più forte e avanzando pesantemente si presentò il drago. Era una vista spaventosa: tre o quattro volte più grosso del Don di Lucio, e con le mascelle che eruttavano continuamente buffi di fumo e lingue di fuoco. Avanzando, ruggiva e sibilava, agitando la coda potente e dentellata. Il corpo, benché grosso, si muoveva molto agilmente sugli enormi piedi muniti di artigli. Il coraggio di Giorgio per un istante vacillò. Non aveva immaginato che un mostro potesse essere tanto grosso e selvaggio. Ma, non potendo ormai far marcia indietro, spinse avanti il cavallo. Il drago smise di avanzare con ferocia verso la fanciulla, per attaccarlo. Il cavallo saltò di fianco, spaventato dal fumo e dal fuoco, e Giorgio dovette spronarlo per affrontare il drago. Egli stesso era mezzo asfissiato. Prese di mira la bestia con la lancia. Il drago sovrastava Giorgio in sella al suo cavallo. La lancia lo colpì sulla spalla sotto l'ala e, con gran smacco di Giorgio, guizzò via come respinta da una lastra d'acciaio. Il cavallo sgusciò di fianco e così salvò Giorgio dalla tenaglia delle enormi mascelle. Egli udì lo strepito del loro sbattere appena dietro di lui e sentì la scottatura, e allora voltò prontamente il cavallo per tenerlo fra il drago e la fanciulla prigioniera. Questo combattimento era ben diverso da qualunque altro avesse mai immaginato. Il fumo che mezzo lo soffocava gli nascondeva il drago, così che egli non poteva veder bene né seguirne i movimenti. Era rivestito di scaglie impenetrabili, e le sole parti vulnerabili del corpo erano, forse, quelle ventrali, che Giorgio poteva raggiungere solo smontando da cavallo; ma in questo caso i suoi gesti sarebbero stati troppo lenti per eludere il mostro. Mentre cercava di architettare un piano, trascinò il drago più lontano dalla fanciulla, indietreggiando dinanzi ai suoi impetuosi attacchi. Poi l'assalì, caricandolo più volte, colpendolo in diversi punti, nel tentativo di trovare quello vulnerabile. Più volte egli sentì un colpo come se la lancia urtasse contro un corpo corazzato, ma non penetrò in nessun punto. Aveva il volto e il lato destro scottati, come il cavallo che inoltre era stato ferito da uno strappo delle fauci del mostro. La luce stava per spegnersi, ed egli comprese che doveva affrettarsi. Mentre girava il cavallo, Giorgio si rese conto che c'erano solo due punti da prender di mira, l'occhio o la gola. L'occhio era un bersaglio troppo piccolo ed era spesso nascosto dal fumo, così egli decise per la gola. Il drago, infuriato dai colpi che aveva incassato, e affiatato com'era, lo assalì ruggendo con le fauci spalancate e sputando fuoco. Giorgio avanzò arditamente, prendendo giusto di mira il fuoco con la propria lancia. Ci fu un cozzo e il cavallo cadde all'indietro perché la lancia aveva fatto presa e si era infissa nella gola del mostro. Si alzarono tremende strida della bestia ferita, che si sollevò nel tentativo di schiacciare Giorgio sotto i piedi. In un balzo, Giorgio scivolò giù dal cavallo, sfoderò la spada, mirò diritto al fianco del mostro dove l'affondò nella giuntura fra la gamba anteriore sinistra e il corpo. Il colpo fu fatale. Il drago era trafitto al cuore. Il sangue corse rovente giù per i fianchi della collina e scavò nel suolo dei canali che sono visibili ancor oggi. Le fiamme diminuirono mentre cessavano le contorsioni, e finalmente la paurosa creatura giacque morta. Giorgio andò dalla fanciulla, piuttosto male in arnese, ma pieno di contentezza. La slegò e la riconsegnò al padre, che venne con gli abitanti del villaggio a benedirlo. Gli offrirono la ragazza in sposa, ma egli ringraziò e rifiutò, dicendo che era un soldato e non poteva ancora prender moglie. Allora il capo lo ricevette a casa sua per la notte mentre i villici facevano festa intorno al corpo del drago che poi venne bruciato. La mattina dopo Giorgio rimontò a cavallo e rifece il suo viaggio su per le colline per ritornare al reggimento."