È
un albero di media
grandezza (10-15 metri
al massimo), che cresce
nei boschi di latifoglie
caldi, asciutti ed
assolati dalla pianura
alla fascia montana; le
foglie sono variabili,
perché esiste in diverse
specie (montano,
domestico, degli
uccellatori), ma i fiori
sono invariabilmente
bianchi e
profumatissimi, le
bacche rosso corallo a
forma di minuscole mele
maturano a settembre, ma
restano intatte fino ad
inverno inoltrato e per
questo il sorbo
simboleggia la rinascita
della luce dopo le
tenebre del solstizio…
un’aurora invernale!
Anticamente i Celti gli
dedicavano il mese che
va dal 21 gennaio al 15
febbraio, in cui cadeva
la festa di Imbolc è
detta anche “festa del
latte” poiché la
celebrazione coincide
con il primo fiorire del
latte nelle mammelle
delle pecore, circa un
mese prima della
stagione della nascita
degli agnelli. Questo
sottile segnale di
ritorno della fertilità
era il primo di una
serie di eventi che
annunciavano il
rifiorire della vita
sulla terra e, per la
tribù, segnava l’urgenza
di cominciare un nuovo
ciclo di attività. Il
nome Imbolc si fa
derivare da “m(b)lig”
(latte) e significa
pressapoco “lattazione”.
La festa era chiamata
anche Oimec (Oimealg in
forma moderna), termine
che deriva dal celtico
antico “Ouimelko” (latte
della pecora). Questa è
la festa più intima e
raccolta dell’intero
anno sacro: all’interno
delle palizzate che
circondano il “caer”,
chiusi nelle capanne
coperte di neve,
raccolti intorno al
fuoco caldo e
crepitante, i Celti
ascoltavano le storie
del proprio clan,
rendevano omaggio alla
Dea e si preparavano al
risveglio del mondo.
Tornando al nostro sorbo
va detto che Celti
Germani lo univano alla
mela come nutrimento per
gli dei e secondo i
Finni era l’albero della
vita ed ospitava la
ninfa Pihlaj atar.
In rapporto con le
potenze invisibili, il
sorbo poteva anche
proteggere efficacemente
da quelle malvagie e
quindi era usato come
amuleto contro i fulmini
ed i sortilegi. Nel
romanzo irlandese “La
razzia della mandria di
Fraoch” le bacche di un
sorbo magico, custodite
da un drago, hanno la
virtù nutritiva di nove
pasti, risanano le
ferite ed aggiungono un
anno alla vita d’un
uomo. Nell’antica
Irlanda prima di
combattere i druidi
accendevano fuochi con
legno di sorbo, appunto
ed invitavano così gli
antichi spiriti del
gruppo a prendere parte
alla battaglia. Era
conosciuta anche una
forma di divinazione che
interpretava il
significato di rametti
rovesciati su una pelle
di toro ben tesa, da cui
il detto irlandese
“camminare sui rami
della conoscenza” per
significare che si è
tentato il possibile per
ottenere
un’informazione. Col suo
legno si scolpiva una
piccola mano, detta di
strega, che serviva a
scoprire i metalli
nascosti so tto
terra, ma anche manici
di fruste, atte a
dominare persino i
cavalli stregati, e
bastoni da pastori, che
proteggevano il bestiame
anche dalle epidemie. I
suoi frutti dolci e
leggermente astringenti
sono ricchi di acidi
organici (tra cui
l’acido sorbico è solo
il più famoso), tannini,
pectine e mucillagini;
si possono far seccare e
durano per tutto
l’inverno. Un tempo si
mangiavano, si
mescolavano alla pasta
del pane, se ne ricavava
una salsa da
accompagnare alla
selvaggina e servivano
anche a preparare una
bevanda a bassa
fermentazione, simile al
sidro, che in Europa
centrale si produce
ancora adesso. I Romani
la chiamavano “cerevisia”.
Gli erboristi d’un tempo
lo usavano contro le
coliche, per l’elevato
contenuto di acido
malico, inoltre
combatteva efficacemente
lo scorbuto. Anche la
corteccia, raccolta in
primavera e seccata al
sole, era usata come
febbrifugo,
antireumatico ed
astringente. Oggi si
usano soltanto i frutti.

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di
Mary Falco
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