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Il Tempo dei Celti
Alexei Kondratiev

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L'erbario Celtico: Ontano, un re dimenticato
a cura di Mary Falco

Narra la leggenda che un giorno nel mare d’Irlanda furono avvistati un bosco ed una montagna, che avanzavano velocemente verso le coste. Fu immediatamente convocata la regina Branwen, la quale senza scomporsi riconobbe il proprio fratello Bran, in viaggio per farle visita. Effettivamente di lì a poco l’uomo sbarcò ricco di doni ed accompagnato da un nutrito numero di seguaci e quando giunsero in vista del fiume Linon si stese attraverso la corrente e si trasformò in ponte…. ma le stranezze non erano terminate: sentendosi prossimo alla fine invitò i compagni a tagliargli la testa ed a portarla con loro fino alla Bianca Collina di Londra, dove avrebbero dovuto seppellirla col volto rivolto alla Francia, assicurando che finché la testa fosse rimasta al suo posto nessuno straniero avrebbe potuto invadere l'isola. In realtà Bran non è altro che lo spirito dell’ontano, il legno immarcescibile con cui fin dall’antichità si costruiscono ponti e palafitte: una vera e propria selva d’ontani sostiene i palazzi di Venezia… ma la sua resistenza suggerisce anche usi più prosaici, come zoccoli e manici di scopa. Questo straordinario albero cresce rigoglioso sulle rive dei fiumi, dei laghi e delle paludi, con le radici in acqua, i tronchi nodosi ed i rami contorti. Pur non essendo propriamente un sempreverde, conserva le foglie verdi e lucide fino al momento in cui si staccano dal ramo, inoltre in autunno fa spuntare i suoi amenti, che s’allungano nel corso dell’inverno per aprirsi rigogliosi tra febbraio e marzo. Prima che si scoprisse il chinino la sua corteccia era la cura migliore per ogni tipo di febbre ed infezione, inoltre fa cicatrizzare ulcere, piaghe e ferite, le foglie ben riscaldate al forno sono un rimedio antico ed efficace per i reumatismi e persino la segatura viene utilizzata per affumicare pesci e carni. Come se non bastasse il legno dell’albero appena abbattuto trascolora dal bianco giallastro al rosso, come se sanguinasse; è facile trarre una simbologia misterica, collocando questa pianta alle soglie dell’Aldilà, soprattutto considerando il fatto che da sempre queste soglie sono collocate alle foci ed alle sorgenti dei fiumi, cioè proprio in quei luoghi umidi dove gli ontani prosperano. Anche nella Grecia arcaica questo legno era personificato in un eroe civilizzatore: Foroneo, fondatore di Argo, a cui era dedicato l’equinozio primaverile; se queste leggende perdono via via mordente fino ad essere dimenticate in epoca classica, Omero pare conservarne un eco quando scorge una selva d’ontani attorno alla grotta di Calispso, colei che nasconde gli uomini e sottrae Ulisse dalla vita reale. Con questa collocazione l’ontano tuttavia subisce già una grave diminuzione di potere: da eroe fondatore ad albero che custodisce non proprio l’aldilà, quanto un piccolo mondo fatato… e non è che l’inizio. Ecco dunque la tradizione celtica d’Irlanda affacciarsi del tutto ignara nell’Europa cristiana dell’anno mille con le sue simbologie intatte e creare non pochi problemi alle menti ortodosse. Come tanti spiriti naturali del paganesimo l’ontano diventa nel Medioevo messaggero di morte, seminando panico e terrore: Gottfried Herder racconta come la figlia del re degli ontani fa morire un uomo solo perché questi alla vigilia delle proprie nozze rifiuta di ballare con lei, mentre Goethe nella sua “Erlkönig” composta nel 1782, racconta di un bimbo che muore tra le braccia del padre, senza riuscire a fargli comprendere da quali forze ostili sia animata la foresta che stanno attraversando. La favola di gran lunga più inquietante è comunque “La figlia del re della palude” composta da Andersen nel 1858, in cui un tronco d’ontano improvvisamente muove lunghi rami melmosi simili a braccia per trascinare nel fango la principessa d'Egitto, che era giunta nella palude alla ricerca d'un rimedio per il padre gravemente malato. La vera natura dell’ontano e le sue intenzioni nei confronti della fanciulla rapita non sono spiegate chiaramente, ma dopo un certo tempo sorge dall’acqua un fior di loto contenente una splendida bambina, apparentemente in tutto simile alla principessa scomparsa. In realtà appare bellissima e perfida alla luce del sole, mentre si trasforma in un orrido e mite ranocchio durante la notte; cresciuta come figlia da una coppia di Vichinghi (la fiaba è ambientata agli albori dell’anno mille) la strana creatura sarà riscattata soltanto dal sacrificio di un prete cristiano, catturato in una razzia. In ogni caso la redenzione non è indolore, ma coincide con l’abbandono del mondo, proprio quando s’era ricongiunta alla madre per portare il fior di loto al nonno malato e si stavano celebrando le sue nozze con un meraviglioso principe moro. Figlia del re della palude, cioè dell’uomo-ontano che ha rapito la madre e l’ha segregata per anni negli abissi, la fanciulla si presenta in tutto e per tutto come un ponte tra la vita e la morte. Salvezza e salute per il nonno malato o per il prete catturato dai pagani, non riesce poi ad inserirsi nel mondo in cui è tornata la gioia e neppure a tornare nella palude originaria, dove il re ontano continua a vivere da solo, del tutto dimenticato.

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