Gli
ultimi anni ’70
dell’Ottocento sono
ricordati dal popolo
indiano come uno dei
periodi più duri e
drammatici della propria
storia. Anni in cui, ad
ondate successive,
violente carestie si
abbattevano su una
popolazione inerme e il
dominio britannico si
faceva sempre più
opprimente. È
all’interno di questa
realtà desolante che
sono però da ricercare
le origini di una delle
più affascinanti teorie
storico-scientifiche
degli ultimi secoli: un
grande continente,
patria di un’avanzata
civiltà, sprofondato
nelle acque dell’oceano
Pacifico quando la
Storia non era ancora
iniziata. In conformità
ad una tradizione ormai
da lungo tempo
consolidata, la nascita
del mito della terra
ancestrale di Mu, questo
il nome del mondo
perduto, iniziò a
germogliare in seguito
al fortuito incontro tra
un “angloamericano
spettrale e di bassa
statura” di nome James
Churchward, giunto in
India per soccorrere
l’affamata popolazione
locale, e il sacerdote
di un monastero non
meglio precisato. Da
quel momento in poi
iniziò una lunga e
congiunta ricerca volta
dapprima
all’interpretazione di
un misterioso
bassorilievo, ricco di
antichi simboli e
custodito in una
sconosciuta località del
subcontinente indiano,
poi all’opera di
traduzione di millenarie
tavolette d’argilla
vergate in un alfabeto
ormai dimenticato. Per
dovere di cronaca:
l’evento stesso
dell’incontro tra queste
due personalità, ambigue
e sfuggevoli, è tutt’ora
fonte di parecchi dubbi,
soprattutto in quanto lo
stesso James Churchward,
l’unica fonte
“ufficiale”
dell’episodio, fu spesso
contraddittorio
sull’evento in
questione, non rivelando
mai univocamente, ad
esempio, il nome del
monaco o il luogo fisico
del monastero, collocato
da lui stesso,
alternativamente, sia in
India che in Tibet.
Tuttavia, tralasciando
la pur necessaria
esigenza di dettagli
comprovabili e
accettando come
verosimile la narrazione
dei fatti sopra
riportati, le
conclusioni alle quali
arrivarono i due
improvvisati ricercatori
segnarono profondamente
l’immaginario delle
generazioni successive e
diedero l’incipit ad una
contro-storia
sull’evoluzione della
civiltà umana molto
simile a quelle teorie
atlantidee così in voga
nei circoli scientifici
ed esoterici di fine
Ottocento.
Dopo un lungo periodo di
studio congiunto, il
sacerdote giunse alla
supposizione che i
misteriosi simboli del
bassorilievo non fossero
altro che le vestigia
della lingua originaria
dell’umanità (il Naga),
foriera di un profondo
senso occulto, che solo
pochissimi eletti indù
erano ancora in grado di
interpretare
correttamente. Una
lingua antichissima
compresa e padroneggiata
dai Naacals, sorta di
casta sacerdotale di
un’avanzata civiltà
scomparsa all’alba dei
tempi. Il sacerdote non
si fermò a questo e,
spronato dalle
sensazionali scoperte,
rivelò a Churchward
l’esistenza di strane
tavolette d’argilla,
scritte in caratteri
ignoti e dall’età
indefinibile, custodite
nel proprio monastero.
Reliquie mai studiate
prima di allora e forse
redatte, a suo avviso,
dagli stessi Naacals.
Ormai settantenne,
quando diede alle stampe
i resoconti di una vita
di studi e ricerche,
Churchward sostenne che
le tavolette fossero
state ritrovate a Rishi,
una delle più sacre
città dell'India, e, pur
non conoscendo la
dinamica della loro
riscoperta da parte dei
monaci, rivelò di averle
interpretate, ai tempi
in cui furono visionate,
come ciò che restava di
una più amplia raccolta
di documenti, in parte
andata perduta e in
parte sparsa per il
mondo.
Churchward, nella prima
delle sue opere - The
Lost Continent of Mu -
così descrisse quelle
tavolette e il loro
contenuto: “[…] erano
d’argilla seccata al
sole ed estremamente
friabili. […] I
caratteri erano gli
stessi della lingua che
avevo studiata sul
bassorilievo col mio
amico. E insieme
comprendemmo di essere
davanti ad iscrizioni
originali di Mu. […] Le
iscrizioni narravano
particolareggiatamente
la creazione della terra
e dell’umanità e
parlavano del luogo in
cui l’uomo era comparso
agli inizi della storia.
[…] Ebbi così a
constatare che le
civiltà greca, caldea,
babilonese, persiana,
egizia, indù, cinese,
erano state tutte
precedute dalla civiltà
di Mu. […] Scoprii che
quel continente
scomparso rappresentava
senza dubbio alcuno
l’habitat originario
dell’umanità. In quelle
meravigliose contrade
era vissuto un popolo
che aveva finito per
colonizzare tutta la
terra. Ma,
improvvisamente, Mu era
stata spazzata via dalla
faccia del pianeta da
terremoti apocalittici,
seguita da un’invasione
delle acque, dodicimila
anni fa. In un turbine
di fuoco e di acqua, Mu
era scomparsa.”
Terminato lo studio
delle fonti a sua
disposizione, Churchward,
come lui stesso
raccontò, iniziò un
lungo peregrinare, in
Asia e in America
Centrale soprattutto, al
fine di trovare altre
prove che confermassero
le sue supposizioni. Fu
in Messico che sembrò
trovare ciò che stava
cercando, in conseguenza
dei ritrovamenti
archeologici di un
geologo dilettante di
nome William Niven.
Costui riportò alla luce
una serie di oggetti
dalla non chiara natura,
probabilmente utilizzati
dalle locali popolazioni
precolombiane
principalmente per scopi
religiosi, ma che
Churchward interpretò,
senza tema di smentita,
come tavolette scritte
dai Nacaals, molto
simili a quelle già
visionate da lui stesso
nel subcontinente
indiano, sebbene
maggiormente ricche di
informazioni, capaci di
gettare ancora più luce
sul continente
scomparso.
Seppur ancora per sommi
capi, la storia di Mu,
alla luce delle nuove
rivelazioni, acquisiva
così una propria
fisionomia: la “Terra
Madre” era situata
nell'Oceano Pacifico, in
una vasta area oggi
localizzabile tra le
Hawaii a nord e una
linea immaginaria tra le
Fiji e l’Isola di Pasqua
a sud. La sua
popolazione, al tempo
del massimo splendore,
sarebbe stata di oltre
sessantaquattro milioni
di abitanti, divisi in
dieci tribù e governati
da un unico sovrano,
Ra-Mu. Il credo
religioso dei muani,
univoco per tutta la
popolazione, era un
rigido monoteismo e con
il nome fittizio di "Ra,
il Sole" - il vero nome
non era mai pronunciato
- veniva designato il
loro Dio. Gli abitanti
di Mu, inoltre,
credevano
nell'immortalità
dell'anima e nel suo
futuro ritorno nella
Divinità. 
Non sembrava ci fossero
mai state guerre e la
popolazione aveva sempre
vissuto in prosperità,
mentre, pur essendo
popolata da diverse
razze, sarebbe stata la
razza bianca, Ariana, a
dominare sulle altre.
Dalle sue sette città
principali partivano le
navi destinate alla
colonizzazione delle
terre più arretrate:
l'impero Uighur,
nell'Asia centrale,
sarebbe stato il più
importante e civilizzato
avamposto di Mu. Lo
stesso antico Egitto,
inoltre, sarebbe stata
una colonia della “Terra
Madre”. Tuttavia,
nonostante la sua
grandiosità, nel periodo
di massimo fulgore, un
immane sconvolgimento
tellurico avrebbe
distrutto la parte
meridionale del
continente e, nel
volgere di pochi secoli,
altri violentissimi
terremoti portarono al
totale inabissamento di
Mu. I pochi
sopravvissuti si
imbarbarirono
progressivamente, dando
inizio alla storia come
noi la conosciamo, pur
conservando una fumosa
memoria delle loro
antiche e nobili
origini. Solamente
Atlantide, avanzatissima
colonia muana, conservò
intatto il livello
tecnologico e culturale
raggiunto dal continente
scomparso, ma, come la
propria madrepatria,
anch’essa sarebbe stata
destinata a scomparire
nel mare.
Le critiche a tale
teoria, una volta
divulgata, non tardarono
a farsi attendere, ma,
progressivamente, le
supposizioni di
Churchward riuscirono a
diffondersi anche tra
gli ambienti scientifici
tradizionali, giovandosi
anche di impliciti aiuti
provenienti dalla stessa
scienza ufficiale.
Le speculazioni su Mu
non erano (e non sono
tuttora) documentabili
sul piano storico,
quindi, la mancanza di
fonti fu sempre la
principale critica a
sostegno
dell’inammissibilità
dell’esistenza di un
continente perduto.
Un’importante e
rivoluzionaria teoria
scientifica - per i suoi
tempi - sembrò tuttavia
avvalorare la supposta
esistenza di una terra
antidiluviana ormai
scomparsa, offrendo
implicitamente sostegno
ai fautori sia di Mu, da
poco “alla ribalta”, sia
della ben più nota
Atlantide.
Nel corso dei primi anni
del XX secolo iniziò ad
affermarsi la teoria,
ancor oggi largamente
accettata, della deriva
dei continenti: dalla
preistorica Pangea, una
sorta di
super-continente
comprendente tutte le
terre emerse, nel corso
dei millenni si
sarebbero
progressivamente
staccate due immense
zolle continentali,
Gondwana (comprendente,
a grandi linee, le
odierne America
Meridionale, Africa,
India e Australia) e
Laurasia. Da queste,
progressivamente e in
virtù di un lento ed
inesorabile moto, si
sarebbe formata la terra
così come oggi la
conosciamo.
Se è vero che tale
teoria non dimostrava
affatto l’esistenza di
antiche civiltà,
sembrava però dimostrare
irrefutabilmente
l’esistenza di antiche
terre ora scomparse.
Certamente non erano
provate l’esistenza di
Mu o di Atlantide, ma la
teoria della deriva dei
continenti sembrava
assicurare la presenza,
millenni fa, di immense
masse continentali
antidiluviane, sulle
quali civiltà vere e
proprie avrebbero
comunque potuto
prosperare. In tal modo
le scoperte di
Churchward, di primo
acchito improbabili,
apparivano almeno
plausibili: la sua Mu,
in linea puramente
teorica, avrebbe potuto
benissimo essere
Gondwana o una delle
grandi zolle
continentali
susseguitesi nelle varie
ere geologiche.
La teoria della deriva
continentale non è la
sola avanzata dai
geologi,ma, sia per il
periodo in cui
incominciò ad
affermarsi, sia per la
coincidenza con la
divulgazione delle
teorie promulgate da
Churchward, assunse, ai
fini della credibilità
ed ammissibilità della
storia della “Terra
Madre”, un ruolo
fondamentale, quasi di
supporto.
Tuttavia, nonostante la
possibilità geologica,
seppur molto remota,
possa avvalorare le
supposizioni
dell’avventuriero
inglese, la scienza, sia
coeva che contemporanea,
ritiene che James
Churchward sia solamente
un abile impostore (e le
numerose
auto-celebrative
mistificazioni della sua
stessa vita non
contribuiscono ad
aumentare la credibilità
delle sue supposte
scoperte).
La leggenda del
continente scomparso
nell’oceano Pacifico e,
molto più limitatamente,
di perduta civiltà
preistorica non sono
messi in discussione a
priori, soprattutto
perché parte integrante
di numerosi racconti
mitologici diffusi tra
le isole del pacifico e
perché importanti
riferimenti ad una terra
ancestrale distrutta da
sconvolgimenti naturali
trovano dimora anche
nella tradizione
mitologica indiana e
polinesiana. Ma anomalie
e contraddizioni sul
processo evolutivo della
teoria della “Terra
Madre” pongono parecchi
interrogativi
sull’effettiva
possibilità della sua
esistenza, almeno nei
termini tramandati da
Churchward.
Innanzitutto l’origine
del nome Mu è piuttosto
ambigua e arbitraria.
Agli inizi del ‘900 una
spedizione russa
ritrovò, sommersa dalle
sabbie del deserto dei
Gobi, le rovine di una
antichissima città
sepolta, successivamente
indicata come Uighur,
l’antica capitale dei
Mongoli. Tra i resti di
un’abitazione, forse un
luogo di culto, fu
rinvenuto un simbolo
simile alla lettera
greca M iscritta in una
specie di cerchio diviso
in quattro parti.
Nonostante studi
successivi rivelarono
errori di fondo sia
nella datazione che
nelle interpretazioni
date dalla spedizione
russa ai ritrovamenti
archeologici, Churchward
fondò le proprie teorie
su queste scoperte:
Uighur era una colonia
muana, la più
importante, e il simbolo
a forma di M doveva
quindi necessariamente
essere una chiara
allusione al continente
scomparso, probabilmente
al suo nome…. Mu! Il
vizio di fondo si
commenta da solo…
Un’altra importante
critica mossa a
Churchward riguarda le
premesse sottostanti
alla sua opera di
interpretazione delle
fonti. Secondo il suo
punto di vista, in tempi
remoti, esisteva un
unico linguaggio
universale esoterico
fatto di simboli e
primariamente utilizzato
per tramandare una sorta
di conoscenza segreta.
Fissando questi simboli,
una persona dotata
dell’intuizione
necessaria, avrebbe
potuto, scavando nella
propria coscienza
interiore, riscoprirne
l’originario e perduto
significato. L’errore
consiste nel ritenere
possibile tale processo
interpretativo
prescindendo dalla
conoscenza della cultura
che ha generato quegli
stessi simboli che si
vogliono interpretare.
Senza avere alcuna
conoscenza della “Terra
Madre” Churchward ne
avrebbe invece inteso e
interpretato il
linguaggio, un
linguaggio simbolico per
di più. Come osservato
da Srague De Camp,
l’equivalente processo
interpretativo
avverrebbe se una
persona per nulla a
conoscenza del cinese
riuscisse a tradurre,
semplicemente fissandola
intensamente, una pagina
scritta in quella
lingua. Una lingua dove
un ideogramma non
rappresenta altro che
una immagine
convenzionalizzata…
Un altro punto a sfavore
di Churchward è
l’atteggiamento
costantemente ambiguo
tenuto nei confronti
delle tavolette usate
come fonte primaria
della sua teoria.
Tralasciando le
tavolette scoperte da
Niven, oggetti reali sui
quali l’unica questione
riguarda l’aspetto
interpretativo, delle
altre si dubita persino
siano esistenti (o
esistite). Lo stesso
Churchward non aiuta a
dissipare i dubbi: non è
in grado di dire
univocamente dove le
abbia viste per la prima
volta e, nei suoi
scritti, accenna al
fatto di non essere più
in grado di
rintracciarle dopo
averle visionate.
Inoltre, volendo
esasperare lo
scetticismo, il solo
Churchward e il suo
amico monaco le
avrebbero “toccate con
mano”…
A peggiorare le cose per
la teoria muana di
Churchward fu, inoltre,
la progressiva
inglobazione della
leggendaria Mu da parte
di dottrine teosofiche e
occulte. Nel 1882, per
opera di Helena P.
Blavatsky, si diffuse
una nuova bizzarra
interpretazione della
storia dell’umanità:
attraverso i secoli si
sarebbero succedute
cinque Razze
Fondamentali (noi
apparterremmo alla
quinta, mentre altre due
ci soppianteranno nei
secoli futuri…) e una di
queste avrebbe dimorato
a Lemuria. Ora, il
termine Lemuria non è
ignoto ai geologi.
Diversi studiosi,
basandosi su analogie
biologiche riscontrate
nell'evoluzione animale
(soprattutto di alcune
pros cimmie
chiamate Lemuri) e
vegetale tra le coste
dell'Africa dell’Asia
sud-orientale,
supposero, già alla fine
dell’Ottocento,
l’esistenza di un
continente-ponte tra
queste terre.
Continente-ponte al
quale fu attribuito il
nome di Lemuria. La
Lemuria degli
occultisti, però, non
coincide con la
“Lemuria” geologica…
La Blavatsky trasformò
Lemuria in una sorta di
non-luogo esoterico e, a
supporto della sua
teoria, elaborò
un’artificiosa
para-storia mitologica.
Il fatto che i seguaci
della Blavatsky abbiano
poi arbitrariamente
spostato Lemuria nel
Pacifico, quasi
sovrapponendola e
assimilandola a Mu, ha
ulteriormente
contribuito a relegare,
senza possibilità alcuna
di redenzione, il mito
della “Terra Madre” ad
una sorta di abile
mistificazione, a puro
uso e consumo di una
setta di “illuminati”.
Finita nel vortice delle
vicende e
pseudo-filosofie
teosofiche la storia di
Mu sconfinò quindi in
una sorta di universo
fantascientifico, limbo
dalla quale non sarebbe
più riuscita ad evadere.
La teoria di continente
antidiluviano scomparso
nell’oceano non ha il
favore della scienza
ufficiale, e le dottrine
“scientifiche” di
Churchward non
contribuiscono certo a
supportarla. Senza
contare che, in base a
recenti studi geologici,
appare improponibile
l’ipotesi di
inabissamenti su vasta
scale nell’Oceano
Pacifico. Tuttavia,
studiando le popolazioni
preistoriche nell’area
del Pacifico spesso si
incappa in “aberrazioni”
che neppure lo studioso
più conservatore è in
grado di giustificare.
“Aberrazioni” che, al di
là delle speculazioni di
avventurieri o
improvvisati tuttologi,
sono riconosciute come
fatti reali e indagate a
fondo, seppur con
differenti e
contrastanti esiti
interpretativi, poiché
dotate di radici
saldamente ancorate in
un comprovato orizzonte
storico. A Tonga-Tabu,
uno sperduto atollo,
esiste una gigantesca
arca di pietra della
quale gli indigeni non
conoscono l’origine. Da
sottolineare che nessuno
dei materiali di
costruzione si trova
sull’isola o nelle isole
vicine…
A Ponape, nelle Isole
Caroline, dimorano
rovine ciclopiche in
basalto tuttavia non
esistono racconti
mitologici o spiegazioni
razionali per queste
costruzioni… Nell’Isola
Kingsmill esistono
piramidi vagamente
rassomiglianti a quelle
egizie e nelle Marianne
si incontrano numerose
colonne dalla forma di
un cono tronco, ma le
genti del luogo non ne
conservano memoria
storica… E l’elenco di
tali anomalie
archeologiche potrebbe
proseguire a lungo:
Isola di Pasqua (troppo
facile….), Isola
Navigator, Niue, solo
per citare i casi più
noti. Questi reperti non
sono e non possono
essere considerate prove
a sostegno di teorie “atlantidee”,
ma di certo alimentano
forti presunzioni
sull’esistenza di una
remota civiltà pacifica.
Implicitamente, se non
proprio un continente
sommerso, mantengono
viva la possibilità di
antichi “ponti” di
terraferma tra le isole.
Chuchward ha forse
esagerato narrando la
storia della “sua” Mu,
ma di certo la base
sulla quale si innalzò
il suo mito era
tutt’altro che frutto di
una fervida
immaginazione.
Siamo ancora lontani da
prove irrefutabili
dell’esistenza di una
civiltà preistorica
altamente evoluta, ma un
ulteriore riprova di una
passato diverso da
quello comunemente
supposto (cosa ben
diversa, comunque,
dall’esistenza di un
continente e una civiltà
perduti sulla falsa riga
di Mu) è suggerita anche
dai racconti mitologici
dell’area del Pacifico.
La celebre leggenda di
Hotu-Matua è
esemplificativa al
proposito e molto simile
a numerosi altri
racconti: un grande capo
guerriero conduce la
propria gente, scampata
dalla distruzione per
cause naturali della
propria terra, verso un
nuovo mondo sul quale
ricominciare a
vivere. Non è quindi
eresia supporre un mondo
preistorico molto
diverso da quello
barbaro solitamente
immaginato. L’errore di
Churchward consiste
nell’aver
artificiosamente
alimentato e
interpretato credenze
comuni e universalmente
condivise, almeno nei
loro tratti essenziali.
Il mito della “Terra
Madre”, di Mu, è e
rimane tale: un racconto
mitologico creato ad
arte. Tuttavia l’idea in
sé, l’idea di un’atlantide
cancellata dal tempo,
assume sempre più, alla
luce di continue
rivelazioni e scoperte,
i connotati della
possibilità storica, non
ancora dotatasi del
requisito della certezza
documentaria, ma pur
sempre “vera”. Nulla
nasconde la terra che il
tempo non porterà alla
luce…
BIBLIOGRAFIA
·
James Churchward, "Mu:
Il continente perduto".
Altre opere dello stesso
autore, inedite in
Italia:
- The Children of Mu
- The Secret Symbols of
Mu
- The Cosmic Forces of
Mu
·
Jacques Bergier, "Il
mattino dei maghi"
·
P. Kolosimo, "Odissea
stellare"
·
P. Kolosimo, “Non è
terretre”
·
R. Pinotti, “I
Continenti Perduti”
·
L. Sprague De Camp, “Il
Mito di Atlantide”
·
G. Hancock, “Impronte degli
Dei”
·
G. Hancock, “Custode
della Genesi”
|