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Il Tempo dei Celti
Alexei Kondratiev

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L'erbario Celtico: ginestra, la pianta d'ori
a cura di Mary Falco

Col nome di ginestra accomuniamo in realtà ben tre piante distinte, tutte caratterizzate dalla vistosa fioritura color dell’oro: “l’Ulex europaeus” o ginestrone, la “Sarothammus scoparius” o ginestra dei carbonai e per finire la “Spartium junceum” , che viene dalla Spagna. Le ginestre non erano certo piante esclusivamente celtiche: notissime ai greci e ai romani, che le coltivavano in abbondanza per attirare le api e ricavare così un ottimo miele, avevano anche fama d’essere magiche. Plinio assicura che le ceneri di ginestra contengono l’oro, mentre venivano impiegate anche per combattere il veleno delle vipere. La farmacologia moderna riconosce le sue proprietà antivenefiche nei confronti della sparteina… ma si preferisce ricorrere all’estratto dei fiori piuttosto che alla cenere! La meritata fama di pianta celtica è legata a motivi strettamente botanici, dato che cresce anche in terreni estremamente aridi ed alla prima occhiata di sole illumina d’oro le brughiere, insieme all’erica ed al biancospino, spingendosi con loro fino a grandi altezze, dato la sua ostinata rusticità. Il suo unico nemico è il terreno calcareo, quindi in quello siliceo prospera, anche se si tratta di lande desolate ed incolte, apparentemente più adatte ai sabba di streghe che alle passeggiate di famiglia. Non altissima (difficilmente supera il metro e mezzo) e molto tenace, fiorisce dalla primavera fino al tardo autunno, è una vera e propria esplosione di colore da maggio a luglio, più modesta nella stagione temperata, lascia poi durante l’inverno dei rami spogli, che da sempre nell’area mediterranea i venivano tagliati per farne scope. Inutile dire che la vera scopa delle streghe, poiché la più modesta saggina, erba di San Giovanni, altra componente naturale delle scope d’un tempo, ha al contrario la fama di tenerle lontane! Forse proprio per questa cattiva fama di pianta stregata, contenente oro, la ginestra un tempo era usata esclusivamente sotto forma di cenere. Il famoso Mességué al contrario consiglia d’usarne i fiori per i tradizionali infusi… ma raccomanda d’attenersi all’uso della ginestra dei carbonai, perché le altre sono un po’ più tossiche. In Spagna, erano molto apprezzate per il loro delicato profumo ed inoltre la fibra delle radici veniva adoperata per produrre cordame per navi. In Toscana, infine, se ne usa per irrobustire la tela. Fin qui l’aspetto pratico. Se passiamo al significato la tradizione le attribuisce solitamente la capacità di rappresentare la modestia e l’umiltà, a parte la Sicilia che racconta come il rumore delle sue fronde agitate dal vento abbia disturbato Gesù mentre pregava nel giardino dei Getsemani. Giacomo Leopardi ne fa il simbolo della permanenza della natura sulla caducità dell’uomo, accogliendo forse inconsciamente entrambe le valenze tradizionali:

“qui su l’arida schiena
del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra…

Il medioevo, inutile dirlo, amò ed apprezzò la ginestra: re Enrico II d’Inghilterra, discendente della casata d’Angiò, prese il nome il Plantageneto (planta genista) e nello stemma di famiglia campeggia un ramo di ginestra. In Francia il re Luigi IX, il santo, fondò l’ordine della ginestra. I suoi cavalieri portavano un mantello di damasco bianco con un cappuccio viola ed un collare ornato di gigli e ginestre, fra loro si sceglievano i cento che prestavano servizio nella guardia reale.

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