Col
nome di ginestra
accomuniamo in realtà
ben tre piante distinte,
tutte caratterizzate
dalla vistosa fioritura
color dell’oro: “l’Ulex
europaeus” o ginestrone,
la “Sarothammus
scoparius” o ginestra
dei carbonai e per
finire la “Spartium
junceum” , che viene
dalla Spagna. Le
ginestre non erano certo
piante esclusivamente
celtiche: notissime ai
greci e ai romani, che
le coltivavano in
abbondanza per attirare
le api e ricavare così
un ottimo miele, avevano
anche fama d’essere
magiche. Plinio assicura
che le ceneri di
ginestra contengono
l’oro, mentre venivano
impiegate anche per
combattere il veleno
delle vipere. La
farmacologia moderna
riconosce le sue
proprietà antivenefiche
nei confronti della
sparteina… ma si
preferisce ricorrere
all’estratto dei fiori
piuttosto che alla
cenere! La meritata fama
di pianta celtica è
legata a motivi
strettamente botanici,
dato che cresce anche in
terreni estremamente
aridi ed alla prima
occhiata di sole
illumina d’oro le
brughiere, insieme
all’erica ed al
biancospino, spingendosi
con loro fino a grandi
altezze, dato la sua
ostinata rusticità. Il
suo unico nemico è il
terreno calcareo, quindi
in quello siliceo
prospera, anche se si
tratta di lande desolate
ed incolte,
apparentemente più
adatte ai sabba di
streghe che alle
passeggiate di famiglia.
Non altissima
(difficilmente supera il
metro e mezzo) e molto
tenace, fiorisce dalla
primavera fino al tardo
autunno, è una vera e
propria esplosione di
colore da maggio a
luglio, più modesta
nella stagione
temperata, lascia poi
durante l’inverno dei
rami spogli, che da
sempre nell’area
mediterranea i venivano
tagliati per farne
scope. Inutile dire che
la vera scopa delle
streghe, poiché la più
modesta saggina, erba di
San Giovanni, altra
componente naturale
delle scope d’un tempo,
ha al contrario la fama
di tenerle lontane!
Forse proprio per questa
cattiva fama
di pianta stregata,
contenente oro, la
ginestra un tempo era
usata esclusivamente
sotto forma di cenere.
Il famoso Mességué al
contrario consiglia
d’usarne i fiori per i
tradizionali infusi… ma
raccomanda d’attenersi
all’uso della ginestra
dei carbonai, perché le
altre sono un po’ più
tossiche. In Spagna,
erano molto apprezzate
per il loro delicato
profumo ed inoltre la
fibra delle radici
veniva adoperata per
produrre cordame per
navi. In Toscana,
infine, se ne usa per
irrobustire la tela. Fin
qui l’aspetto pratico.
Se passiamo al
significato la
tradizione le
attribuisce solitamente
la capacità di
rappresentare la
modestia e l’umiltà, a
parte la Sicilia che
racconta come il rumore
delle sue fronde agitate
dal vento abbia
disturbato Gesù mentre
pregava nel giardino dei
Getsemani. Giacomo
Leopardi ne fa il
simbolo della permanenza
della natura sulla
caducità dell’uomo,
accogliendo forse
inconsciamente entrambe
le valenze tradizionali:
“qui su l’arida schiena
del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
la qual null’altro
allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari
intorno spargi,
odorata ginestra…
Il medioevo, inutile
dirlo, amò ed apprezzò
la ginestra: re Enrico
II d’Inghilterra,
discendente della casata
d’Angiò, prese il nome
il Plantageneto (planta
genista) e nello stemma
di famiglia campeggia un
ramo di ginestra. In
Francia il re Luigi IX,
il santo, fondò l’ordine
della ginestra. I suoi
cavalieri portavano un
mantello di damasco
bianco con un cappuccio
viola ed un collare
ornato di gigli e
ginestre, fra loro si
sceglievano i cento che
prestavano servizio
nella guardia reale.
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di
Mary Falco
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