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i geroglifici
a cura di Laura Quattrini

Gli studiosi hanno speso anni ed anni nel tentativo di decifrare i misteriosi segni che coprivano le pareti degli antichi templi egiziani e delle piramidi. Qualche segno era facile da capire perchè rappresentava degli uomini impegnati in ogni genere di occupazione: c'erano scrivani con un rotolo in mano e la cannuccia dietro l'orecchio; mercanti che vendevano ornamenti e profumi, focacce e pesce; artigiani intenti a fare delle coppe di vetro soffiato; gioiellieri occupati nella fabbricazione di braccialetti e di anelli d'oro; guerrieri con lo scudo ricoperto di cuoio che procedevano in formazione regolare davanti al carro del faraone. Guardando questi disegni è facile immaginare come erano, nell'antico Egitto, le botteghe degli artigiani, come si svolgeva il commercio nella piazza del mercato e come si presentava il corteo regale. Sopra questi monumenti egiziani si trovavano incisi serpenti, falchi, avvoltoi, oche, leoni, teste d'uccelli, fiori di loto, mani, volti, gente accovacciata e gente con le mani alzate sopra il capo, tutto disegnato e allineato come le lettere nelle righe di un libro. Tra queste figure troviamo però anche molti disegni geometrici di ogni genere, come quadrati, triangoli, circoli, nodi e così via. Dietro questi misteriosi simboli, chiamati geroglifici, si celavano secoli di storia del popolo egiziano con i suoi costumi e le sui abitudini, ma per quanti sforzi gli studiosi facessero, non erano riusciti a capirne il significato. I discendenti degli Egiziani, i Copti, servivano a ben poco, perchè essi avevano dimenticato da gran tempo la scrittura dei loro progenitori. Alla fine però anche il segreto dei geroglifici venne svelato. La decifrazione del sistema geroglifico è dovuta al francese Jean-Francois Champollion che nel 1882 riuscì ad individuare una chiave di lettura nella Stele di Rosetta, ritrovata nel 1799 quando un esercito francese, sotto il comando dell'allora generale Napoleone Bonaparte, sbarcò sulla costa dell'Egitto. Nello scavare certe trincee presso la cittadina di Rosetta i soldati disseppellirono un'enorme pietra piatta che recava incisa un'iscrizione... La stele, in basalto nero, costituiva un frammento di un'iscrizione ben più lunga, che conteneva un decreto del 196 d.C. emesso dai sacerdoti di Menfi in onore del re Tolomeo V Epifane per ringraziarlo delle elargizioni fatte a favore dei templi. Conteneva quattordici righe scritte in geroglifici, trentadue in demotico e cinquantaquattro in greco. Parve agli scienziati che, per scoprire il segreto, sarebbe bastato confrontare il greco con l'egiziano. Ma una delusione li attendeva. Essi credevano che nei geroglifici ogni parola fosse rappresentata da un differente disegno. Ma quando tentarono di sostituire ad ogni disegno la rispettiva parola greca, non vennero a capo di nulla. Trascorsero degli anni, ed ancor oggi forse saremmo incapaci di decifrare la scrittura egiziana, se non ci fosse stata la scoperta dello studioso francese Champollion. Champollion individuò nella parte scritta in greco il nome di Tolomeo V Epifane e si ricordò degli studi fatti da un suo predecessore, l'abate Barthèlèmy. Questi aveva intuito che nei geroglifici i nomi dei faraoni erano sempre inscritti in un cerchio, detto poi "cartiglio" o "cerchio reale". Esaminando quindi i geroglifici contenuti nel cartiglio, associò a ciascuno di essi un valore fonetico che riprodusse il nome del re Tolomeo in greco, ovvero Ptolmys. L'intuizione fu comprovata da una successiva esperienza dello stesso Champollion. Nel 1815 era stato ritrovato nell'isola di File un obelisco in granito rosso recante una doppia iscrizione, in geroglifici e in greco. Champollion, procuratosene una copia, si rese conto del testo greco che anche qui, come nella stele di Rosetta, era nominato un re Tolomeo con la moglie. Nei geroglifici si distinguevano infatti due cartigli, di cui uno conteneva gli stessi segni che nella stele di Rosetta indicavano Tolomeo. L'altro cartiglio doveva quindi contenere il nome della regina: Cleopatra. Champollion stava procedendo per la strada giusta: applicando lo stesso metodo alle molte iscrizioni che circolavano in Francia dopo la campagna napoleonica, riuscì a decifrare molti nomi di re greci e romani. L'alfabeto così individuato diventava sempre più ampio, ma nonostante gli enormi progressi, erano ancora molti i punti oscuri. Champollion era riuscito infatti a decifrare solo i nomi dei re stranieri, quelli che gli scribi erano costretti a traslitterare; niente si sapeva ancora su tutti gli altri segni. Continuando lo studio dei geroglifici contenuti nei cartigli, Champollion riconobbe il segno del disco solare che, associato ad altri due segni già in precedenza identificati con i suoni "ms", dava il nome di Rames. Il mondo dei faraoni si stava finalmente aprendo agli occhi di Champollion.

JEAN-FRANCOIS CHAMPOLLION

Gli aneddoti sulla vita e sull'opera di Jean-Francois Champollion sono della natura più varia. Si parla di predizioni sulla sua fama quando era ancora nel ventre materno; di segni premonitori (il neonato avrebbe avuto la cornea gialla, propria solo degli orientali); di caratteristiche frenologiche che lo indicavano come "genio linguistico". Nacque a Figeac (Delfinato) nel 1790 e fu senz'altro un "enfant prodige", ma non era scritto nelle stelle: lo divenne per sua determinazione e per la sua prodigiosa sete di sapere. Lo dovette anche al fratello maggiore Jacques-Joseph, un filologo molto dotato, che lo prese con sè a Grenoble, ed ebbe cura della sua educazione (gli fece studiare l'arabo, il siriaco, il caldeo e il copto) sostenendolo economicamente. A mostrare a Jean-Francois Champollion una copia della Stele di Rosetta fu, nel 1801, il famoso fisico e matematico Jean-Baptiste Fourier (1768-1830), che aveva partecipato alla campagna d'Egitto ed era diventato segretario dell'Istituto Egizio del Cairo. Il giovane ne fu ossessionato e dedicò allo studio della pietra tutto il suo tempo. Dopo un soggiorno di studio a Parigi, nel 1809, a diciannove anni, venne nominato per meriti accademici professore di storia all'università di Grenoble, anche se osteggiato dai suoi vecchi insegnanti che avevano ordito contro di lui una serie di intrighi. Compromessosi durante i Cento giorni di Napoleone, alla restaurazione dei Borboni fu congedato come professore e proscritto per alto tradimento. Cominciò allora la fase finale della decifrazione dei geroglifici che si concluse nel 1822 con la pubblicazione dello scritto "Lettre à M. Dacier relative a l'alphabet des hièroglyphes phonètiquse". Dopo anni di lavoro a tavolino, nel 1828 Champollion potè finalmente visitare l'Egitto; fu una marcia trioonfale: gli indigeni accorrevano festanti per vedere colui che "sa leggere la scrittura delle pietre antiche". Morì prematuramente quattro anni dopo.

LA STELE DI ROSETTA

La pietra in basalto nero di Rosetta, grande quanto la ruota di un carro, venne alla luce il 19 giugno 1799, durante la campagna d'Egitto. Mostra tre sezioni di scrittura: nella parte superiore ci sono 14 righe in geroglifico; 22 in demotico nella parte centrale, e 54 righe in grafia maiuscola greca nella parte più bassa. Confrontando una copia dei tre testi, un diplomatico svedese esperto di lingue orientali, Akerbald, dimostrò che i nomi dei re, nella parte greca, comparivano nella stessa posizione nel testo demotico e avanzò con una certa sicurezza l'ipotesi che le tre sezioni fossero la traduzione di un unico testo: un protocollo del collegio sacerdotale di Menfi, datata 27 marzo del 196 a.C. che esaltava Tolomeo V Epifane per la sovvenzione accordata a un tempio. Fu una benedizione che in epoca tolemaica, quando le funzioni di governo erano tutte affidate a greci e greca era la lingua ufficiale, gli atti pubblici avessero pubblicazioni bilingue, in egizio e in greco.

LA SCRITTURA

Geroglifico deriva dal greco "hieroglyphicòs", formato da "hieròs" (sacro) e "glyphein" (scrivere). La scrittura era infatti appannaggio dei sacerdoti; dunque era sacra. La scrittura geroglifica è detta "monumentale", poichè veniva usata soprattutto per le iscrizioni scolpite sulle pareti dei templi e delle tombe. Per semplificare le iscrizioni a penna su papiro si adottò una scrittura corsiva, detta "ieratica". Nel VII secolo a.C. fece poi la sua apparizione sui papiri un'altra forma di scrittura ancora, il "demotico" o "scrittura popolare", che permetteva una redazione molto più rapida dei documenti. La scrittura egiziana è "ideografica", cioè composta di ideogrammi, figure che rappresentano tanto l'uomo e le sue azioni, quanto animali, piante, oggetti domestici, e ogni sorta di rappresentazione della realtà.

L'ORIENTAMENTO DEI SEGNI

Il primo problema da affrontare quando ci troviamo di fronte a un testo in geroglifici è comprendere in quale senso è stato scritto. La scrittura egiziana poteva infatti svilupparsi sia in verticale che in orizzontale, e, in quest'ultimo caso, sia da sinistra verso destra che da destra verso sinistra. Gli egiziani non scrivevano mai dal basso verso l'alto; solo in alcuni casi, per motivi estetici, segni complementari venivano posti sopra al segno cui si riferivano. La direzione era indicata dalle teste delle figure umane o animali. che erano rivolte dalla parte in cui iniziava l'iscrizione. Anche nelle pitture in cui il testo appariva come un commento all'immagine dipinta, il volto della divinità o della persona raffigurata era rivolto verso l'inizio del testo indicandone la direzione.

L'ORDINAMENTO DEI SEGNI

Oltre a criteri estetici, l'ordinamento dei segni doveva rispondere all'esigenza di occupare il minor spazio possibile. La linea del testo veniva suddivisa in tanti riquadri entro cui lo scriba disponeva i segni in modo che la singola parola fosse conclusa in un solo riquadro, indipendentemente dalla lunghezza della stessa. La disposizione dei segni non seguiva regole rigide ma variava a seconda dei casi, privilegiando all'interno del riquadro l'orientamento verticale. Ad esempio, la parola "bello" non veniva mai scritta in orizzontale, ma i vari elementi venivano disposti in modo da occupare tutto il riquadro disponibile. Le parole inoltre venivano scritte una di seguito all'altra senza lasciare uno spazio tra di esse.

LA FONETICA

Così come nelle altre lingue, in egiziano le parole erano composte da consonanti e vocali, ma nella scrittura geroglifica queste ultime erano sistematicamente ignorate. conseguentemente, oggi possiamo soltanto ipotizzare come gli egiziani pronunciassero la loro lingua, basandoci sulla pronuncia di certe parole egiziane passate in altre lingue come ad esempio il copto. Non bisogna lasciarsi ingannare da parole come Ptolmees e Kleopatra, i simboli corrispondenti alla A, alla E ed alla O rappresentavano nella lingua egiziana delle consonanti deboli e non delle vocali. Essi se ne servivano solo per mantenere un suono vocalico nelle parole straniere espresse in geroglifici. E' convenzione introdurre al momento della lettura una "é" breve tra le differenti lettere, per permettere di pronunciarle.

I SEGNI

Il sistema geroglifico era in parte pittorico e in parte fonetico. Un solo segno poteva avere valori differenti, a seconda che fosse utilizzato in funzione di ciò che rappresentava, cioè come ideogramma, o per il suo valore fonetico, ovvero come fonogramma. Per esempio l'occhio poteva significare letteralmente "occhio", oppure avere valore fonetico "in". All'origine della scrittura, ogni segno svolgeva la funzione di "pittogramma"; in altre parole, il senso era rappresentato in maniera figurata dal segno stesso. Un pesce significava "pesce", una casa voleva dire "casa". Gli egiziani disegnavano un oggetto sempre nella stessa maniera convenzionale, in modo da non suscitare ambiguità. Per tradurre un'azione, la rappresentavano per mezzo di una figura umana semplificata, oppure per mezzo della parte del corpo che compiva l'azione stessa (un braccio, una mano, la bocca, ecc.). Con il passare del tempo l'esigenza di esprimere concetti astratti e nomi propri condusse ad utilizzare i segni per il loro valore fonetico.

GLI IDEOGRAMMI

Gli ideogrammi sono segni che denotano l'oggetto o l'azione concreta che rappresentano: un volto indica effettivamente un volto, un paio di gambe indica l'azione di camminare, un rettangolo con un lato interrotto indica la casa. I geroglifici sono chiari esempi di ideogrammi, che denotano però solo oggetti e azioni concrete. Per comunicare concetti astratti come "figlio", "amore" o "grande", gli egiziani facevano uso dei fonogrammi.

I FONOGRAMMI

I fonogrammi sono segni che indicano un suono, senza nessun tipo di relazione con l'oggetto che rappresentano. I geroglifici usati come fonogrammi si suddividono in tre categorie: monoletterali, biletterali e triletterali, a seconda che rappresentino una, due o tre consonanti. Combinando insieme due o più fonogrammi, si ottiene il suono di una parola, di cui gli egiziani trascrivevano solo le consonanti omettendo le vocali. Ogni parola composta da più fonogrammi era quindi una sorta di rebus: ad esempio, per scrivere il verbo "uscire", che in egiziano si pronuncia "pn", si disegnavano un rettangolo e una canna in fior, ottenendo il valore fonetico di "pr" e "r". La parola usata per indicare "figlio" era molto simile a quella usata per indicare "papero" e il valore fonetico di quest'ultima serviva quindi a denotare anche il primo. Per capire quando i segni dovevano essere interpretati come ideogrammi, e quindi in funzione del concetto che esprimevano, e non come suoni, si collocava un trattino verticale accanto al segno.

I DETERMINATIVI

Uno stesso geroglifico poteva denotare più oggetti con significato diverso. La comprensione di queste parole era facilitata dall'uso di segni detti "determinativi" che, posti alla fine della parola, aiutavano a determinare l'esatto significato della stessa, indicandone la categoria semantica. Il segno dell'uomo che porta una mano alla bocca, per esempio, può indicare più azioni: mangiare, bere, leggere ad alta voce, gridare, cantare. Analogamente, un paio di gambe in movimento possono significare più azioni: arrivare, partire, scendere, viaggiare, trasportare. Uno stesso segno inoltre poteva essere interpretato sia nella valenza di determinativo sia in relazione a ciò che illustrava. Il segno dell'acqua, se posto alla fine di una frase, rappresentava qualcosa che era associato all'acqua, come l'azione del bere, una cateratta o il Nilo stesso; quando invece era affiancato da una barra verticale, acquistava significato di per sè, indicando semplicemente l'acqua.

I COMPLEMENTI FONETICI

Le parole composte da due o tre fonogrammi erano spesso accompagnate da un ulteriore segno, detto "complemento fonetico", il cui suono ripeteva interamente o in parte il suono della parola composta. I complementi fonetici aiutavano il lettore a pronunciare correttamente le parole, aggiungendosi ai segni che esprimevano già il suono in questione, e specificandolo ulteriormente. Al fonogramma che significa "casa" e che si legge "pr", per esempio, veniva aggiunto il geroglifico della bocca che ha il valore fonetico di "r", per specificare ulteriormente questo suono. essendo posti alla fine della parola e rafforzandone il senso, i complementi fonetici servivano inoltre a distinguere quando i geroglifici venivano usati in funzione del loro suono, cioè come fonogrammi, e quando invece erano usati in funzione di ciò che rappresentavano, cioè come ideogrammi.

IL NOME

Come in tutte le lingue, gli elementi essenziali della frase erano il sostantivo, l'aggettivo, il pronome e il verbo. In egiziano la maggior parte dei sostantivi era formata da due o tre consonanti, ma ne esistevano anche di una o quattro consonanti. Normalmente l'articolo non veniva utilizzato. C'erano due generi: il maschile e il femminile. Mentre i sostantivi maschili non avevano desinenza caratteristica, i femminili avevano per desinenza ina "-l". C'erano tuttavia tre numeri: il singolare, il plurale e il duale; quest'ultimo veniva utilizzato solo per designare delle coppie. I nomi plurali terminavano in "-w" per il maschile e in "-wt" per il femminile; il plurale di un segno era spesso indicato ripetendo lo stesso segno tre volte, o aggiungendo dopo di esso tre trattini o tre cerchietti verticali o orizzontali.

L'AGGETTIVO

L'aggettivo concordava in genere e numero con il sostantivo che qualificava. Abitualmente lo seguiva. Gli aggettivi non si distinguevano dai sostantivi per la forma, salvo il femminile plurale che aveva sempre la desinenza "-t" al posto di "-wt".

IL PRONOME

I pronomi personali potevano essere indipendenti o dipendenti. I primi venivano utilizzati come soggetti della frase nominale; i secondi, come complemento oggetto. Essi erano: "inek", cioè io; "netek", tu; "netet", egli; "netes", ella; "inn", noi; "neteten", voi; "netesen", loro. Questo genere di pronome figurava sempre all'inizio della frase, in quanto soggetto dal valore enfatico. quando erano affiancati a dei sostantivi, avevano il valore di pronomi possessivi; quando erano affiancati a dei verbi, valevano come pronomi personali complementi.

IL VERBO

Il verbo era senza dubbio la parte più complessa della grammatica egiziana. Aveva una forma attiva e una forma passiva; i modi sono ancora oggi poco conosciuti; i tempi erano nella maggior parte dei casi determinati da infissi posti tra il verbo stesso e il soggetto pronominale. Nella congiunzione le persone erano normalmente indicate da pronomi personali provvisti di suffisso, direttamente affiancati alla radice del verbo. La forma che presentava unicamente il suffisso pronominale "t" poteva essere considerata come il nostro presente indicativo, sia attivo che passivo; era anche una delle forme più frequenti per indicare la simultaneità. La forma contrassegnata dai suffissi "nt" descriveva un'azione compiuta, ragione per la quale è il tempo narrativo del passato. La forma contrassegnata dai suffissi "hr" aveva un valore volto vicino al nostro futuro.

IL NOME DEI FARAONI

Il faraone era dotato di un titolo regale, che consisteva in cinque grandi nomi. Il primo era il "nome di Horus" (tradizionalmente, il dio dinastico), preceduto dal "serekh" dello stesso Horus, un disegno rettangolare rappresentante la facciata del palazzo reale, al cui interno era scritto in caratteri geroglifici il nome del faraone e sul quale era appollaiato il dio in forma di falcone. Il segno formato dal cobra e dall'avvoltoio era il nome geroglifico degli dei Dames, Nekhbet e Uadjit, gli dei protettori dell'Alto e del Basso Egitto. Seguiva il nome di "Horus d'oro", preceduto dal geroglifico di Horus al di sopra di un monile d'oro, la cui interpretazione è oggi ancora incerta. Si chiama "prenome" il nome portato dal faraone in quanto re dell'Alto e del Basso Egitto; era preceduto dal giungo e dall'ape, plantes araldiche dell'Alto e del Basso Egitto, iscritto all'interno di un cartiglio. Solo alla fine era indicato il nome di nascita, preceduto dalla menzione "figlio di Ra", iscritto anch'esso in un cartiglio; si tratta del nome con il quale noi designiamo "confidenzialmente" ogni sovrano: Tutankhamon, Ramesse, ecc...

I NUMERI

Per indicare i numeri, gli egiziani adottavano un sistema decimale che si scriveva utilizzando segni diversi per le unità, per le decine, per le centinaia, fino ai milioni. Per le unità si usavano dei trattini verticali, per le decine degli archetti, per le centinaia delle spirali. Nella scrittura i segni relativi ai valori più alti erano posti prima dei valori più bassi, e ciascun segno era ripetuto più volte fino a un massimo di 9 per raggiungere la cifra che si voleva indicare. I numeri cardinali erano scritti prima del nome a cui si riferivano.

BIBLIOGRAFIA

· Arti· Enciclopedia "Oggi per domani", Principato Unedi Milano 1964
· Cd "Le grandi epoche storiche" (L'Espresso) L'Antico Egitto, Edizioni La Repubblica Spa