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Gli Etruschi
Romolo A. Staccioli

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i famosi barbari
a cura di Mary Falco

Con la caduta di Veio invece di festeggiare una vittoria ci si trovò sull'orlo della catastrofe, perché ci fu l'invasione gallica. Qualcuno disse che la sventura fu attirata sulla città dal vincitore, Camillo, che celebrò il proprio trionfo con cavalli bianchi, privilegio di Giove. Per la sua empietà fu punito con l'esilio, ma naturalmente i Galli non si fermarono. Anche per quest'avvenimento disponiamo ormai di due fonti: Livio e l'annalistica greca, con un leggero scarto di date, il primo la fa risalire al 390, mentre i Greci la collocano nel 386 a. C. entrambi concordano invece sul giorno: 18 luglio, che da allora fu ufficialmente dichiarato giorno nefasto. Gli storici, sostanzialmente contrari ai Fabi, non hanno esitato a parlar di tradimento, soprattutto per quanto riguarda la presa di Chiusi. L'ipotesi non è incredibile. Le guerre erano ancora un fatto del tutto privato, come suggeriscono gli "elmi firmati" ritrovati un po' ovunque ed è impensabile che un semplice esercito di cittadini, per quanto coraggioso, potesse aver ragione sui "signori della guerra" che da tre secoli ormai dominavano la penisola; non è escluso che qualcuno avesse reclutato milizie celtiche e poi non potendo pagarle, abbia dovuto cedere qualche territorio al saccheggio. Anche in quest'occasione infatti non si può assolutamente parlare d'invasioni nell'accezione rovinosa d'un tempo. I Galli erano semplicemente a caccia di bottino e fu relativamente facile per Roma mettere in salvo gli oggetti sacri e le Vestali, che L. Albinio condusse in una città etrusca alleata: Caere. Per il buon esito della spedizione, la moglie d'Albinio votò nel 375 a. C. un tempio all'ormai romana Juno Lucina. Si trattava però d'una salvezza relativa, in città la strenua resistenza dei giovani romani sul Campidoglio meritò addirittura l'attenzione d'Aristotele: per la prima volta il pericolo rappresentato dai Barbari si presentò al mondo mediterraneo in tutto il suo peso. In quegli stessi giorni, nel 388 a. C. cade Melpum e finisce per sempre il dominio etrusco in Val Padana, che da questo momento diventerà "Gallia Cisalpina"; solo le valli dei Reti, restando appunto isolate, conserveranno un pallido riflesso della cultura etrusca. A differenza di Roma, che cercherà al più presto di respingere l'invasore, la Val Padana si mostra soddisfatta della nuova sistemazione. Più tardi, in epoca imperiale, Milano sosterrà appunto d'essere stata fondata dai Galli, tanto che alcuni storici suggeriscono che Melpum sorgesse nei dintorni della Melzo attuale. In realtà è molto strano immaginare questi nomadi, scesi dalle Alpi per arricchirsi, che perdono tempo a radere al suolo una città già fiorente per poi fondarne una nuova un po' più in là. Più semplice pensare invece che Milano, con le caratteristiche mura ed il "pomerium" fiorito di biancospino, come racconterà più tardi Bovesin della Riva, sia di fondazione etrusca ed i Galli, trovando una buon'accoglienza, abbiano deciso di farne una loro sede stabile. Dall'altra parte delle Alpi non s'usava affatto vivere in città. Al massimo si circondava d'un muraglione difensivo qualche villaggio particolarmente esposto agli assalti del nemico! Tra l'altro proprio dall'incontro tra quest'usanza e l'antico pomerium nasceranno, nel III sec. a. C. le mura cittadine come furono concepite in seguito. La favola della fondazione di Milano tuttavia contiene un fondo di verità: nessuno più è fiero delle origini etrusche! Roma riconoscerà a Caere una posizione d'alleata, ma questo non le impedirà d'assoggettare ad una ad una tutte le altre città della Toscana. Inizia così il lungo tramonto di quella che era stata la più gran potenza della penisola, l'anticipatrice della stessa società romana. Che cosa si rimprovera agli Etruschi? La colpa più grave del mondo: aver perso la guerra! Le città fondate col rito etrusco son state messe a ferro e fuoco, ne' più ne' meno delle altre. L'Etruria è devastata dalle rivolte di schiavi ed i liberti prendono con la forza il potere nei municipi di Volsini ed Enarea. Le sacerdotesse che giravano tranquillamente per le strade, coi loro vistosi abiti tinti di porpora e d'indaco han subito violenza, senza che i famosi auguri riuscissero a prevenire, ne' ad evitare la catastrofe! A che servono dunque tanti complicati riti? E Roma, che pure doveva tanto alla cultura etrusca, la ridusse ad un semplice accumulo di superstizioni. Con la cacciata del Superbo e la guerra a Porsenna, gli Etruschi passarono di moda e gli annalisti non parlarono più di prodigi, ma di superstizioni, anche se gli aruspici etruschi furono ancora consultati a lungo per la vita privata. Per i pericoli che minacciano lo stato si consultano invece i Libri Sibillini. Dionigi d'Alicarnasso (IV, 62) e Lattanzio (De Istitutionis I, 6) raccontano che una misteriosa donna straniera e vecchissima ne propose l'acquisto a Tarquinio il Superbo per una somma spropositata. Al suo rifiuto ne bruciò progressivamente, con l'aiuto delle sue arti magiche, almeno tre, continuando a chiedere però sempre la stessa somma, finché alcuni auguri presenti convinsero il re ad acquistare ciò che restava. I preziosi testi furono nascosti nei sotterranei del tempio capitolino, dove tuttavia bruciarono nel 83 a.C. La donna misteriosa scomparve per sempre; Lattanzio suggerisce la possibilità che si trattasse della Sibilla Cumana. In realtà all'epoca la Sibilla era consultata direttamente dagli interessati e lo stesso accadeva per le sacerdotesse greche. Gli Etruschi invece avevano raccolto il proprio sapere in numerosi testi sacri: libri "fulgurales" per l'interpretazione dei fulmini, "rituales" con le prescrizioni necessarie per celebrare i vari riti, "acheruntici" con tutto ciò che riguardava l'oltretomba. È probabile che Tarquinio il Superbo, figlio e nipote disacerdotesse, non avesse certo bisogno di vecchiette sconosciute che gli proponessero testi sacri... la leggenda fu evidentemente inventata più tardi per giustificare la presenza dei testi etruschi nel tempio e soprattutto la necessità di continuare a consultarli, anche dopo la cacciata di Tarquinio... che tra l'altro si rifugiò appunto a Cuma. Tutta la storia appare inventata per dare ai testi, senza dubbio etruschi, una patente esotica, ellenistica. I tempi s'erano fatti duri, non c'era tempo per un cerimoniale tanto complesso, bisognava avere il coraggio di far delle scelte precise. La tecnica divinatoria fu rigidamente disciplinata: si ridusse il numero dei presagi d'accogliere, introducendo invece la possibilità di "suggerire" qualche nuovo elemento, semplicemente nominandolo, quando la divinità consultata restava muta troppo a lungo. Si limitò drasticamente lo spazio sacro al chiuso dei templi ed alle loro immediate adiacenze e si considerarono significativi solo gli animali sacri allevati in cattività, tanto più facili da controllare! La donna continuava ad essere rispettata come moglie e madre... purché se ne stesse in casa sua o nel tempio, come le Vestali. I Greci avevano operato da tempo questa sana restrizione, distinguendo bene le madri di famiglia, che vivevano nel gineceo, dalle altre, le cortigiane. Significativo è il fatto che in Italia la prostituzione sacra s'esercitasse nei templi di Uni, nel cuore della città, mentre in Grecia nei giardini d'Afrodite, strategicamente costruiti accanto al porto. Perché complicarsi la vita? Roma fa di più. Nega proprio la sacralità della cosa. Perché mentire? Si tratta d'un semplice mercato ed è del tutto evidente che la prostituta non può più tornare ad essere una madre di famiglia! Può darsi che in origine fossero solo norme di guerra, senza l'intenzionalità che vi ha connesso la critica femminista. Non dimentichiamo che i pirati infestavano le coste e le città dell'entroterra erano tutte in guerra fra loro per un motivo o per l'altro. Tuttavia chiudere una donna in casa in un'epoca in cui l'unico mezzo di sostentamento lecito per una famiglia era l'amministrazione dei beni fondiari, spesso dotali, vuol dire riconoscere lo "status" di donna onesta soltanto a chi è provvista di mezzi! Per questo la critica moderna fa sempre più fatica a credere che la cacciata di Tarquinio avesse come motore la difesa dell'onore di Lucrezia! Se anche stupro c'è stato, certo la ragion di stato ha abbondantemente strumentalizzato un argomento che in altre circostanze si sarebbe tranquillamente consumato in silenzio, come tante tragedie domestiche. In uno stato che non poteva proibire l'aborto, ma lo condannava sempre più apertamente, l'unica soluzione possibile per le famiglie non più ricche era ricorrere sempre più spesso all'esposizione dei neonati, soprattutto di sesso femminile, alimentando il fiorente mercato degli schiavi. Che accadeva intanto in Toscana? Pare difficile crederlo, ma tutto continuava come prima. Meglio di prima verrebbe da pensare, vedendo i reperti artistici degli ultimi secoli avanti Cristo, senza dubbio i migliori, quando affreschi e pitture assorbono completamente i modi del naturalismo romano ed i corpi, un tempo stilizzati, s'animano di vita reale. Gli oggetti più pregiati appartengono a questo periodo, che ci attenderemmo di decadenza. Poiché non è mai esistita una nazione etrusca, ma singole città dal diverso destino politico, pare non esista neppure una coscienza della sconfitta subita. Durante l'assedio di Troilum, città oggi sconosciuta, il console Carvilio ebbe cura di far fuggire, dietro al pagamento di un riscatto, tutti i notabili della città prima di far capitolare la plebe. Anche se non sempre ci sono testimonianze così precise è probabile che lo statuto di città federate proposto a tutte le città toscane prevedesse un trattamento diverso per le classi più elevate. Molti nobili cercano sempre più spesso l'appoggio di Roma e talvolta l'ottengono, esercitando diritti proporzionati alle proprie finanze; non manca nemmeno un console etrusco, Volumnio Flamma nel 307 a C. Il censore Appio Claudio Ceco si fa aiutare dagli Etruschi a scavare il primo acquedotto pubblico della città noto come "aqua Appia", fa costruire una strada, che da lui prenderà appunto il nome di via Appia, per unire Roma a Capua, città etrusca che a quell'epoca costituiva un po' la capitale del Meridione e chiama un etrusco, Cn. Flavio a redigere un nuovo calendario, distinguendo bene i giorni fasti, in cui s'esercitava l'attività giuridica, da quelli nefasti, in cui era meglio starsene in casa. La complicata nozione di sacro come centro di potere dalla pericolosa gestione è del tutto sconosciuto ai romani, che preferiscono la più semplice equazione: sacro=sfortunato, la distinzione tra giorno feriale, in cui si può amministrare la giustizia e festivo, in cui stare in casa propria trae appunto origine da quest'usanza. Quando, alla fine del IV sec. a C. si permette agli "humiles" d'iscriversi alle tribù cittadine un nutrito gruppo d'intellettuali etruschi chiede d'essere accolto a Roma, dove presumibilmente si guadagneranno da vivere come precettori o aruspici privati. Non tutti però si rassegnano così facilmente: negli affreschi della tomba Vulci, visibili per la prima volta nella mostra di palazzo Grassi, è rappresentata l'uccisione da parte d'Achille dei prigionieri troiani. È una garbata satira politica: se Roma racconta di discendere dai Troiani seguaci d'Enea, gli Etruschi rivendicano per se' il ruolo di greci per eccellenza, nella figura del loro maggiore eroe. Si tratta tuttavia d'una resistenza tutta intellettuale, nota a pochi eletti; forse neppure pubblicizzata, ma sepolta nel cuore di una tomba. Ed alle tombe s'ispirano di fatto le mostre dedicate agli Etruschi, con l'ambizione di riprodurre in toto il passato, quasi evocarlo. Spesso ci aiutano i colori caldi del cotto e del ferro naturalmente ossidato, contro il nero dei reperti, in gran parte di bronzo. In occasione della mostra del 2000 Palazzo Grassi aveva allestito nell'atrio la perfetta ricostruzione d'una tomba etrusca, col pozzo di luce da cui piove l'acqua ed una vasca quadrata pronta a raccoglierla. Gli Etruschi erano incineratori, ma le urne erano sistemate entro sepolcri sempre più confortevoli, che riproducevano tutte le comodità della vita domestica e dunque sono un po' il simbolo della loro civiltà, oltre ad essere la nostra fonte più certa d'informazioni. Posto d'onore era riservato ad una chimera rinvenuta nel 1553, che ha avuto l'alto onore d'essere restaurata dal Cellini: il muso dell'animale è un po' stilizzato, ma il corpo è agile e scattante, pare vivo e certo appartiene al periodo naturalista. Come quasi tutte le statue etrusche è fusa in bronzo, ormai annerito dal tempo, in uno stampo d'argilla e sulla zampa reca la firma dell'artista o del committente. La chimera ed il leone, in fondo molto simili, erano amati sia dagli antichi etruschi che dai toscani del rinascimento, che vi vedevano un simbolo degno di competere con l'aquila di Roma. Infine ecco "l'ombra della sera" statuina sottile, stilizzatissima, ma con vistosi genitali, investita di luce radente per proiettare sul muro una lunga ombra. Il manifesto della mostra rappresenta un'altra statuetta simile sempre realizzata in bronzo, che appartiene ad un gruppo di quattro misteriosi giovinetti, una femmina e tre maschi. L'oggettistica etrusca è ricca di queste figure umane, talvolta adattate per reggere candele, brucia profumi, vasetti, più spesso isolate: forse si tratta dei più antichi Penati o divinità domestiche, della storia. Oggi etrusco è diventato sinonimo d'aristocratico e gaudente ed il legame con la storia romana pare sempre più assurdo. La cacciata dei re e l'inizio dell'era repubblicana presenta molte incognite e cui la storia non ha saputo rispondere del tutto. Il carattere pratico e politicamente impegnato del nuovo cittadino romano odia gli intellettualismi aristocratici ed accusa di superstizione ogni atteggiamento mistico. Nel 89 a. C. il Latino è dichiarato lingua nazionale e condizione indispensabile per ottenere la cittadinanza romana, quell'etrusca sarà progressivamente dimenticata. L'arte dei sepolcri diventa ben presto l'unico linguaggio etrusco conosciuto e Jean-René Jannot (curatore della sezione etrusca su: Storia dell'arte / sotto la direzione di Albert Châtelet. - Roma : Gremese, 1992) accusa chiaramente i romani d'aver volontariamente distrutto ogni loro testimonianza letteraria ed archivistica. Non esistono tuttavia prove. I Greci, i Galli ed infine i cristiani saranno ferocemente perseguitati, gli Etruschi sono semplicemente dimenticati. Dopo aver negato il più possibile l'operato dei loro tre re, il romano pare convinto d'aver ormai ridotto all'impotenza questo popolo, una volta tanto scomodo. Di fronte ad una storia di più di mille anni narrata solo dai sepolcri è impossibile non ricordare le parole di Tacito (Vita d'Agricola 30,7), sia pure riferite alle popolazioni celtiche: "solitudinem faciunt, pacem appellant" aveva detto, ma Tacito, si sa, era un aristocratico e quindi un po' conservatore anche lui.
    
Le immagini inserite nell'articolo provengono dalla Mostra sugli Etruschi di Palazzo Grassi www.palazzograssi.it

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