La
società mantiene a lungo
una struttura arcaica,
quasi feudale: una
classe di nobili
cavalieri, che
trasmetterà a Roma le
proprie insegne
equestri, sottomette
un'immensa classe
servile. Dalla tomba di
Regolini-Galassi di
Caere e dai Cilnii
d'Arezzo emergono
immagini d'una società
principesca, con palazzi
in città popolati di
domestici e campagne
coltivate da contadini.
Tuttavia solo pochi
lavoratori erano
condannati all'ergastolo
nelle miniere, nelle
cave e nelle paludi da
disseccare. Il grosso
della popolazione, anche
servile, era organizzato
in "familiae" la
proprietà privata era
diffusa anche tra i
servi, come pure
l'abitudine di designare
l'individuo con la
doppia forma onomastica:
prenome e gentilizio.
All'interno del gruppo
parentale si radicano
valori da trasmettere,
sia pure con ambizioni
diverse a secondo della
potenza del clan.
Nascono le genealogie
del gruppo familiare, i
miti e le leggende;
nelle sepolture si
diffondono le urne fatte
a capanna, mentre
affreschi sempre più
accurati narrano le
origini illustri della
famiglia sepolta. Il
mito d'Enea che fugge da
Troia in fiamme col
vecchio padre sulle
spalle, è già
raffigurato nel V sec.
a.C nelle terrecotte di
Veio, mentre etrusca è
la leggenda della lupa
che allatta un bambino,
raffigurata anche a
Bologna: i Romani
aggiungeranno il motivo
dei gemelli. Una cerva
infine allatta Telefo,
figlio d'Ercole ed Auge,
crudelmente separato da
sua madre subito dopo il
parto, tra i figli
dell'eroe questi è il
più somigliante ed il
più determinato a
seguirne le orme:
cercherà addirittura
d'impedire ai Greci di
raggiungere Troia, ma
Achille lo ferisce alla
coscia e per la doppia
influenza di Dioniso ed
Apollo si tratta d'una
piaga incantata, che
solo lo stesso Achille
può guarire... in cambio
della promessa di non
recare soccorso a Priamo.
Tuttavia i suoi figli
Tarconte e Tirseno dopo
la caduta di Troia
cercheranno rifugio in
Etruria. Secondo
un'altra versione invece
sarà la figlia di Telefo,
di nome Roma, che in
greco vuol dire forza, a
partire per il Lazio,
dove prenderà dimora sul
Palatino. Il ruolo
d'eroina eponima
comunque è condiviso da
molte fanciulle troiane.
I miti non si contano:
la cultura orale non
basta più. Dai Calcidesi
di Pithecusa, clienti
privilegiati, gli
Etruschi apprendono
l'uso della scrittura,
con un alfabeto adattato
dal greco, che fa la sua
prima comparsa nel
tempio di Uni a
Tarquinia, la grande dea
femminile. La donna,
come tra i Celti ed i
Germani, godeva di una
notevole considerazione
sociale, che ha fatto
nascere la leggenda del
matriarcato. In realtà
il suo ruolo era
strettamente legato alla
struttura patriarcale e
se aveva un indubbio
valore come moglie,
madre e sacerdotessa,
non si ricorda nessuna
donna che dirigesse una
miniera o guidasse un
esercito. Lanifica,
domiseda, univira la
definisce la tradizione:
senza dubbio dirigeva la
casa, s'occupava
principalmente della
filatura e tessitura
della lana e sedeva
accanto al proprio sposo
nelle mense, ma non è
sicuro che si sposasse
per libera scelta: non
abbiamo nessuna notizia
di serve riconosciute
come mogli legittime dai
padroni e men che meno
di nobildonne che
abbiano potuto
scegliersi un marito
fuori dagli interessi
del proprio clan. Va
segnalata tuttavia
l'abitudine di
rappresentarla in urne
cinerarie e veri e
propri sarcofagi come
una regina, spesso
seduta in trono, che tra
l'altro, come fra i
Celti, era il seggio a
lei riservato, o
languidamente stesa
accanto al proprio
sposo, nel lettino dei
banchetti. La sua
partecipazione alle
feste, che tanto ha
scandalizzato i Greci,
va tuttavia un po'
ridimensionata: dagli
affreschi si vede che in
sala da pranzo
scorrazzano liberamente
cani, gatti e persino
animali da cortile...
sarebbe stato proprio il
colmo proibire
l'ingresso alla padrona
di casa! Non mancano
tombe di famiglia in cui
l'urna rappresentante la
donna è più grande di
quella dello sposo.
Tuttavia è poco per
parlare di vero e
proprio matriarcato,
sarebbe più esatto
parlare di
"matrilinearità", tipica
d'una società guerriera
in cui gli uomini
muoiono giovani e
lontani ed il perno
della famiglia resta
quindi la madre. La
scrittura in ogni caso
nasce al femminile: i
più antichi supporti
scrittori appaiono
mescolati a fusi,
conocchie, rocchetti,
pesi da telaio e
fusaiole nelle tombe
femminili di Veio e di
Vulci. Evidentemente la
produzione di tessuti di
lana e lino era un
lavoro rilevante sul
piano sociale e
strettamente legato alla
trasmissione delle
genealogie familiari.
Forse sotto la direzione
della "domina"
s'apprendevano insieme i
rudimenti d'entrambe le
arti e non è escluso
che, come si verificherà
nel Medioevo, le dita
delle donne abituate a
filare e ricamare si
rivelino più abili a
scrivere di quelle dei
guerrieri. Ad una donna
in ogni caso apparteneva
il "carro di Castel
Mariano" esposto a
Palazzo Grassi in
occasione della mostra
del 2000. Fu rinvenuto
nel 1812 presso
l'omonimo castello di
Corciano, presso
Perugia. Purtroppo
secondo un uso
abbastanza comune a quei
tempi, i vari pezzi
furono venduti all'asta
ed acquisiti da più
collezionisti. Palazzo
Grassi ha raccolto i
pezzi dai musei di:
Perugia, Parigi, Berlino
e Monaco. Non si è
limitato ad esporre i
frammenti ritrovati, che
sono le lamine bronzee
di rivestimento e le
statuette angolari, ma
ha voluto esporre anche
una ricostruzione
completa, che possa dar
l'idea del carro
originale: un modello da
passeggio, leggero e
facilmente manovrabile,
a due ruote. Questo
carro dice molto sulla
posizione della donna
etrusca. Bisogna
aspettare la Rivoluzione
Francese perché le
signore si rechino di
nuovo a passeggio con
carri tanto leggeri ed
anche allora suscitando
un certo scandalo.
Greche, Romane,
gentildonne del Medioevo
e del primo Rinascimento
dovranno imparare a
cavalcare... o farsi
trasportare in lettiga!
Le immagini inserite
nell'articolo provengono
dalla Mostra sugli
Etruschi di Palazzo
Grassi
www.palazzograssi.it
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di
Mary Falco
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