Non
il rispetto timoroso del
nord, ne' la coltura
intensiva del sud, ma un
continuo scambio tra
uomo e territorio, amato
e temuto, ma al tempo
stesso mutato senza
paura quando si tratta
di bonificare una
palude, deviare un
fiume, costruire una
strada più comoda. Si
può affermare senza
dubbio che la città
occidentale sia
"un'invenzione" degli
Etruschi, elaborando un
"rito di fondazione" che
poi si trasmetterà a
Roma: lo spazio è
misurato attentamente e
diviso con cura, le
acque sono incanalate,
le piante selvatiche
dovranno restare fuori
dal "pomerion" il bosco
adiacente alle mura. Tra
queste ci sono molte
"piante infelices" che
sono in diretta
comunicazione con
gl'inferi. I romani,
semplificando, le han
poi definite nefaste, ma
per l'etrusco non è
così; il concetto di
sacro è complesso,
polivalente: agrifoglio,
fico scuro e canna
sanguigna non sono
cattive, anzi proteggono
ed il loro legno è
eccellente per accendere
i fuochi di
purificazione, ma il
potere che le permea non
consente ne' un uso
indiscriminato, ne' la
coltivazione diretta.
Accanto alle case si
preferiscono generi
commestibili o piante
dai fiori e bacche
chiari, sempre secondo
un attento rituale che
tiene conto delle
stagioni, del
territorio, delle
necessità del gruppo.
Una civiltà
sostanzialmente
agricola, con una grande
diffusione della
proprietà privata, ha
cura dei propri giardini
e non lascia nulla al
caso. L'architettura in
pietra, con soffitti a
botte e tetti di tegole,
sostituisce
completamente le vecchie
costruzioni in legno,
che tra l'altro
marcivano facilmente. Il
laterizio è
un'invenzione italiana,
che gli Etruschi
dividono con la Sicilia.
Nell'isola risponde ad
una necessità, data la
totale assenza di marmo,
in Toscana è
un'abitudine, le cave di
Carrara saranno
sfruttate solo dalla
Roma imperiale e con
molte perplessità.
L'esempio meglio
conosciuto d'urbanistica
etrusca è rappresentato
dall'impianto abitativo
del V sec. a. C.
rinvenuto nei pressi di
Marzabotto, in provincia
di Bologna, alto 130 m.
sull'Appennino. La città
intera sorgeva su una
terrazza alluvionale
affacciata sul Reno,
nasce evidentemente come
un'emanazione della
cittadella sacra, che la
sovrasta da un'altura
sopraelevata di una
dozzina di metri. Qui
avevano sede gli dei,
ospitati almeno in tre
templi, cui
corrispondevano le tre
porte della città,
orientate a sud, est ed
ovest:
Tinia-Giove,
sovrano del Cielo e dio
della folgore, alla sua
destra la sposa
Uni-Giunone,
che accentrava nel suo
tempio tutte le attività
femminili,
dall'assistenza al parto
alla prostituzione
sacra. Alla sinistra del
dio troviamo invece
l'amata figlia Minerva;
anche se la storia della
sua nascita non è
enfatizzata come per l'Atena
greca, la dea
resta molto al di sopra
delle rivalità fra i
sessi, protettrice di
tutte le arti maschili e
femminili esercitate
all'interno della città
stessa e garante della
buona armonia della
coppia regale. Alle
spalle degli edifici
sacri sorgeva una
piccola struttura: "l'auguraculum"
cioè un osservatorio da
cui era possibile
guardare le stelle ed il
volo degli uccelli.
L'abitato conserva
ancora la pianta
organizzata secondo il
reticolo stradale di tre
grandi arterie
equidistanti, larghe 15
m, orientate in senso
est-ovest, ai lati delle
quali si sviluppa una
fitta serie di vicoli
paralleli più stretti,
non sempre uguali, che
formano isolati
rettangolari molto
allungati. La zona
centrale era riservata
al traffico veicolare,
aveva marciapiedi larghi
5 m. forse porticati,
lungo i quali correvano
canalette di ciottoli
per il deflusso
dell'acqua proveniente
dalle abitazioni. Tra un
marciapiede e l'altro
erano allineate grosse
pietre, che facilitavano
l'attraversamento della
carreggiata, soprattutto
durante la cattiva
stagione. Tutte le case
erano in mattoni ed
avevano tetti di tegole.
Non sempre però erano
realizzati a regola
d'arte; talvolta invece
di mattoni veri e propri
ci si accontentava di
grossi pani d'argilla
crudi o essiccati al
sole, disposti in filari
entro intelaiature
lignee sistemate su uno
zoccolo di pietre
squadrate o grossi
ciottoli. Un
procedimento alternativo
consisteva nel riempire
di pietruzze un cassero
di legno e ricoprire il
tutto d'intonaco
d'argilla. Le prime
tegole erano piane, con
coprigiunti e grondaie
cilindriche, poi si
raggiunsero presto le
forme attuali; tuttavia
ancora Roma Imperiale
impiegava talvolta,
soprattutto per le "villae"
di campagna, tegole
arcaiche. Ogni casa era
in media di 800 mq. Un
corridoio d'ingresso,
percorso sotto il
pavimento da una
canaletta di scarico,
era fiancheggiato da
vani adibiti
probabilmente a botteghe
ed officine. Il
corridoio dava in un
cortile centrale a croce
con un pozzo, su cui
s'affacciavano vari
ambienti. Il cortile era
talvolta coperto da un
tetto compluviato, le
cui falde erano però
sorrette da lunghe
travature orizzontali
appoggiate
esclusivamente ai muri
perimetrali; era
realizzato in questo
modo quel tipo d'atrio
che ancora Vitruvio
definisce "tuscanico",
riconoscendovi
un'invenzione etrusca.
Numerosi indizi fanno
intendere che nelle case
vi potessero essere
locali adibiti a servizi
igienici: stanze
piccolissime dotate di
una canaletta inclinata
che conduceva alle
fognature e di una
tubatura in cotto, che
attraversa un muro e
chiude a gomito
all'interno, costruzione
che richiama le
"seggette" d'Olinto in
Macedonia, antenate
delle attuali. Le case
erano anche centri di
produzioni artigianali,
primo fra tutti la
tessitura, testimoniata
dalla presenza di
numerosi telai, ma i
reperti di Populonia e
Roselle, fanno pensare
ad una precoce
differenziazione fra
quartieri residenziali,
centrali e quelli
artigianali, periferici.
La distinzione tuttavia
non doveva essere rigida
e molti laboratori
aprivano le loro
botteghe su vie centrali
e ben frequentate per
mettere in mostra la
merce, soprattutto di
lusso. Qualche edificio
ospitava sulla facciata
dei vani con ingresso
indipendente, per
aprirvi appunto botteghe
e laboratori. A Poggio
Civitate è venuta in
luce una lunga struttura
con tettoia costruita
per essiccare le tegole,
mentre a Marzabotto, in
pieno centro urbano, son
stati trovati laboratori
con fornaci per
laterizi, fornacelle per
ceramiche e fonderie
metallurgiche. I grandi
templi conservavano
strutture portanti
lignee. L'attenzione del
visitatore si
concentrava
nell'ornamentazione del
timpano e del tetto.
Meno note invece sono le
residenze
aristocratiche, che
vanno ricostruite sulla
base della
documentazione
funeraria. Dai reperti
par comunque di capire
che l'imitazione della
Grecia fosse un fenomeno
importante: si son
ritrovate più ceramiche
di Corinto in Toscana
che nella madrepatria!
La metallurgia ha
arricchito tutte le case
di un'inaspettata gamma
d'oggetti: falci, seghe,
asce, scalpelli,
spilloni e pugnaletti,
mentre il commercio ha
favorito l'importazione
di numerose novità: gli
uomini usano rasoi a
mezzaluna e sciabole di
sicura origine celtica,
le donne ostentano
fibule e pendagli ornati
d'ambra e d'opali e la
tavola s'arricchisce di
vasellame in bronzo e
poi in ceramica. La più
pregiata è il bucchero,
argilla fine, detta
anche odorosa, che
conserva perfettamente
il sapore dei cibi ed è
indicata soprattutto per
l'acqua. Fino
all'invenzione del
tornio, nel 625 a. C. la
sua produzione resterà
un'attività domestica e
femminile, poi la
bottega del ceramista
aprirà una vivace lotta
con quella del fabbro,
realizzando gli stessi
oggetti in ceramica e
bronzo. Compaiono anche
le prime decorazioni:
spirali, striature e
finalmente veri e propri
fregi figurati ottenuti
ad incisione, che
rappresentano animali
reali e fantastici,
scene di pugilato e di
caccia, sirene e grifoni
copiati dai motivi
armeni. Appaiono
balsamari di vario tipo,
persino scatolette di
legno a forma d'animali,
connessi all'uso ed al
commercio di profumi e
cosmetici, cui è
associata anche una
copiosa produzione di
specchietti in bronzo ed
argento levigato, cui
dobbiamo molte
informazioni sugli dei,
perché erano sempre
decorati nel verso con
graffiti a figure
mitologiche, secondo la
moda ellenistica; le
signore possiedono anche
ventagli metallici come
gli specchi e
s'accumulano "ciste"
caratteristiche
scatolette cilindriche
in bronzo, coppe,
brocche, bracieri,
stoviglie, sostegni,
lucerne brucia profumi e
candelabri, non solo per
uso privato, ma anche
religioso. L'arte
pittorica e scultorea,
ormai ad un livello
altissimo, descrive con
minuzia di particolari
cerimonie e racconti
mitologici:
l'iniziazione d'un
giovane guerriero, la
vestizione d'una dama,
forse una sposa,
un'anima guidata
nell'aldilà da una dea
alata che assomiglia ad
un angelo cristiano.
Troviamo anche statuine
votive in bronzo e
terracotta, in cui
qualcuno ha voluto
vedere i primi Penati,
le divinità della
famiglia. Ben presto non
ci si accontenta più di
questi materiali: la
Toscana non ha
giacimenti auriferi, ma
il mercato è ricco e
l'oro si può comprare...
come pure l'avorio,
l'ambra, le uova di
struzzo, simboli del
risveglio alla vita ed
ogni sorta di pietra
dura. Dal VII sec.
s'assiste ad una vera e
propria esplosione
dell'oreficeria, che
conosce ogni grado di
virtuosismo, dalla
filigrana alla
granulazione ed i
metalli nobili lavorati
in filo, verghette e
lamine invadono carri ed
armi, arredi intarsiati
e sontuosi servizi di
vasellame, mentre il
ricamo con fili d'oro ed
argento doveva essere
una pratica usuale, di
cui tuttavia abbiamo
perso testimonianza, per
la facile deperibilità
dei tessuti. Più fortuna
hanno avuto i gioielli
ed oggi possiamo
ammirare prestigiosi
orecchini in filigrana e
corniole finemente
istoriate al museo,
mentre l'oreficeria
toscana propone fedeli
riproduzioni del passato
a prezzi del tutto
ragionevoli. Anche la
lavorazione dell'avorio,
quello vero fornito dai
mercati d'Oriente e le
zanne di tricheco
catturato nel Mare del
Nord ed affiancato
all'ambra, raggiunge di
colpo un livello
altissimo, quasi senza
conoscere fasi
intermedie.
L'artigianato locale si
distingue per...
l'eccezionale produzione
di falsi! Pare che non
ci fosse oggetto esotico
che l'industria italica
non sapesse riprodurre
nel giro di pochi mesi;
d'altra parte esistono
dei precedenti:
Peschiera nell'età del
bronzo è già famosa per
le sue fibule ad arco di
violino, a lungo credute
pura espressione
dell'artigianato
celtico. Ben presto la
Toscana diventa un vero
e proprio "centro di
produzione ad
imitazione"
caratterizzata
dall'abbondanza di
suggestioni d'oltremare
e da una tecnica esperta
nel trattamento del
bronzo, avorio, argento
ed oro, che "cattura" e
fa propria qualsiasi
novità, ammantandola
d'un caratteristico
"fasto barbarico". Solo
le monete restano in
gran parte in ferro e
recano immagini
orientali, Populonia
rappresenta la prima
zecca della penisola.
Le immagini inserite
nell'articolo provengono
dalla Mostra sugli
Etruschi di Palazzo
Grassi
www.palazzograssi.it
Visita il sito personale
di
Mary Falco
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