I
Dogon sono una delle
oltre venti etnie che
abitano la parte
orientale del Mali, al
confine Nord Ovest del
Burkina Faso. E’ una
popolazione di circa
300.000 persone che
risiede in piccoli
villaggi al di là della
pianura alluvionale del
complesso fluviale
Niger-Bani, disseminati
ai piedi ed alla sommità
della falesia di
Bandiagara, una parete
rocciosa dell’altezza
media di 400 metri che
attraversa il Sahel per
oltre 200 chilometri a
sud di Timbuctù.
L’altopiano s’interrompe
a strapiombo sulla
pianura di Séno-Gondo,
con una parete rocciosa
orientata verso Nord-est
fino a Douentza e verso
est fino a Hombori.
Questo territorio è
sotto la protezione
dell’UNESCO, che lo ha
dichiarato “patrimonio
dell’umanità” per la sua
rilevanza naturale e
culturale. Stabilire con
certezza l’origine di
questa popolazione non è
cosa facile. Secondo le
teorie antropologiche
più accreditate, i Dogon
sarebbero i discendenti
di un’antica popolazione
di nomadi originari del
Mandé, da cui fuggirono
attorno al X secolo
probabilmente per
sfuggire alle spinte
espansionistiche dei
grandi imperi islamici
medievali costituitisi
sulle sponde del Niger e
per salvare, così, la
loro identità culturale
e religiosa. I dati
storici concernono
principalmente gli
abitanti della regione
di Sanga, che
s’insediarono in
villaggi sul bordo
dell’altopiano di
Bandiagara e nella parte
sud della
falesia tra
il XII e il XIV secolo,
scacciando i Tellem, la
trogloditica popolazione
che abitava le grotte
oggi visibili nella
parete verticale della
falesia (oggi necropoli
dei Dogon). Da quei
tempi remoti fino ai
giorni nostri, pare che
i Dogon non abbiano
avuto contatti con
nessun tipo di civiltà
(anche se alcune teorie
ipotizzano un ancestrale
contatto con gli antichi
Egizi od i Greci, come
vedremo). I primi a far
conoscere questa
popolazione furono due
etnologi, Marcel Griaule
e Germaine Dieterlen,
che li studiarono dal
1931 al 1952 e li fecero
conoscere al mondo con
il volume
Il
Dio d’acqua:
oltre ad informazioni
prettamente etnologiche,
il libro contiene anche
una esauriente
trattazione della
cosmogonia e della cosm ologia
Dogon. Tali rivelazioni
furono fatte ai due
scienziati da un
cacciatore ottantenne
cieco di nome Ogotemmel,
il quale, nel 1946,
chiese a quattro
sacerdoti di iniziare
Griaule, permettendogli
così di accedere a
conoscenze riservate
esclusivamente alla
casta sacerdotale.
Dal punto di vista
etnologico, i Dogon non
sono poi molto diversi
dai popoli con i quali
confinano. I villaggi
Dogon si sviluppano in
basso, ai piedi della
roccia. Sono costituiti
da un insieme di
casupole raggruppate
lungo esili strade di
terra. Le case sono
costruite con una
mistura di fango, sterco
e paglia, resa più
resistente da
un’ossatura in legno.
Più in alto stanno i
granai, coperti da un
caratteristico tetto di
paglia a guglia. I
villaggi Dogon sono
orientate da nord a sud
e la sua pianta
rappresenta
simbolicamente il corpo
umano. La testa è il
togu-nà, la “casa della
parola”, dove si
riuniscono gli anziani
per le decisioni più
importanti. Il torace è
rappresentato dalle case
costruite e i granai. Le
mani sono rappresentate
dalle case delle donne
mestruale, situate ai
due estremi del
villaggio. In basso c'è
l'altare, dalla
caratteristica forma
fallica. La gran parte
della vita famigliare si
svolge nei cortili della
case. Il
togu-nà
l'elemento fondamentale
ed il punto di
riferimento della
comunità. Al suo riparo
vengono prese le
decisioni che riguardano
il villaggio. I Dogon lo
indicano come casa degli
uomini poiché ad essi è
riservata. Generalmente
ha una pianta
rettangolare e poggia su
pilastri di legno o di
pietra. Il tetto è
formato da strati
alternati di steli di
miglio che
contribuiscono ad
isolarlo dalla calura.
Ogni 10-15 anni è
necessario rifare il
tetto e tutto il
villaggio viene
coinvolto in un’attività
che ha importanza quasi
religiosa.
L'economia
della società Dogon è di
mera sussistenza, basata
solo in parte su caccia,
pesca e allevamento (di
capre, pecore ed asini)
e principalmente
sull'agricoltura.
Contadini
incredibilmente attivi,
i Dogon coltivano
piccoli orti di terra
riportata o strappata
faticosamente alla
roccia. Hanno contatti
commerciali con i
pastori fulani contatti
finalizzati
principalmente allo
scambio di prodotti
agricoli con carne, sale
ed altri beni di
consumo. Nei villaggi il
lavoro è rigorosamente
diviso in base al genere
sessuale: mentre
l'agricoltura è
un'occupazione sia
maschile sia femminile,
soltanto degli uomini è
il compito di cacciare,
pescare, occuparsi del
bestiame, intreccire
canestri e tessere
cotone. La tessitura è
un'arte sacra riservata
a pochi; considerata la
prima arte insegnata
all'umanità, simboleggia
la combinazione degli
opposti: il maschile e
il femminile, la terra e
l'acqua. Attività
prettamente femminili,
invece, sono, ad
esempio, la produzione
di farina di miglio (la
base dell’alimentazione
dei Dogon; può essere
cotta o trasformata in
farinata o in birra di
miglio, destinata allo
scambio interno od
esterno) e la pilatura
del miglio (ottenuta
lavorando il miglio in
appositi mortai di legno
con lunghi pestelli
detti kuni-i), oltre,
naturalmente, la cura
dei figli e gli obblighi
“casalinghi” comuni
anche alle civiltà
occidentali. Centro di
riferimento temporale,
spaziale e sociale è il
mercato. Il mercato non
è solamente un luogo di
compravendita, ma è un
punto di incontro
caratterizzato da
un’intensa celebrazione
di scambi sociali e
diventa il luogo di
incontro tra i membri
disp ersi
della stessa famiglia,
dello stesso villaggio
d’origine o di villaggi
diversi. Il commercio si
svolge all’aperto nei
mercati ogni cinque
giorni e consiste nella
vendita del sovrappiù
delle orticolture
(pomodori, acetosa,
fagioli, peperoncini e
cipolle, di cui i Dogon
sono i più importanti
produttori del Mali),
della produzione di
cotone, di canapa e di
tabacco in cambio di
carne, di pesce
essiccato, di sale, di
caffè e di alcuni
prodotti di manifattura
(come la già citata
famiglia di miglio). I
Dogon hanno rinomate
abilità artistiche,
ereditate dai Tellem,
popolazione che visse
nella stessa regione
molti secoli prima della
migrazione dei Dogon
sulla falesia, come
detto. Le pulsioni
artistiche dei Dogon si
manifestano nella
colorazione dei tessuti
e nell'intaglio del
legno: mirabili esempi
di questo e raffinate
opere d'intaglio sono le
porte delle abitazioni e
dei granai, le statuette
votive e le maschere
rituali.
Vediamo, ora, di
presentare la religione
dei Dogon. La concezione
dell'universo si basa su
due principi
fondamentali: la
vibrazione della materia
ed il moto perpetuo del
cosmo (il fonio, il
cereale dai grani
piccolissimi che noi
chiamiamo Digitaria,
simboleggia il germe
della vita proprio per
la forza interna che lo
anima e che gli fa
spezzare per nascere il
sottile strato che
l'avvolge; le linee a
zig-zag che si possono
osservare sulle case dei
villaggi dogon
rappresentano il moto
perpetuo dell'universo,
riprodotto a sua volta
dal moto dell'acqua). La
religione dei Dogon è di
tipo animista. Credono
che mondo sia un grande
insieme, all’interno del
quale convivono in
armonia il mondo delle
cose, il mondo animale
ed il mondo degli
uomini. L'uomo non è il
padrone assoluto del
creato, ma un elemento
che, come gli altri
partecipa, di esso. Il
loro dio principale è
Amma, il dio supremo,
“l’uovo del mondo” che
aveva all’interno tutte
le cose. Egli creò il
cielo, l'acqua e le
nuvole lanciando nello
spazio pallottole di
terra impastata con
acqua, secondo la
tecnica di fabbricazione
del vasellame. Creò la
terra (Tenga)
con corpo di donna,
coricata ed appiattita e
con la faccia rivolta al
cielo. Amma sposò Tenga
ma un formicaio,
erigendosi sulla Terra,
impedì il
congiungimento; il dio
infuriato rase al suolo
il formicaio (cioè
circoncise la donna);
poi rese fertile Tenga
col suo seme, ma già era
compiuto l'errore
primordiale, la
calamità, il disordine.
Dall'unione difettosa,
infatti, nacque
Yourougou, lo
sciacallo (la volpe
secondo successive
versioni), il nato solo,
l'errore, figlio di
violenza. Poi l'acqua,
seme divino, penetrò
senza incidenti nel
grembo della terra e la
generazione seguì il
ciclo regolare della
gemellarità. Nacque
Nommo, abbozzo di una
coppia di gemelli,
insieme di due esseri
anfibi gemelli, chiamati
Nommo, al singolare, per
sottolineare il loro
essere uno (l'unicità
per i Dogon è sempre
duplice, come il giorno
e la notte, il caldo e
il freddo, il maschio e
la femmina, la vita e la
morte, l'acqua e la
parola, la parola e le
stelle, elementi diversi
ma che si concretano nel
confronto). Nommo,
incarnazione divina, è
la forza vitale di Amma,
concepita come acqua e
come parola, il verbo
creatore di Amma; è
simboleggiato dal numero
otto (come otto sono le
membra del Nommo) o da
immagini di creature
anfibie (il coccodrillo,
il geco, la tartaruga).
Nommo, dio d'acqua,
tornato al cielo, vide
dall'alto delle stelle
la madre terra che
giaceva nuda e priva di
parola. Allora intrecciò
per lei fibre di piante
già create nelle regioni
celesti. La veste che ne
risultò divenne simbolo
di parola, primo segno
di un possibile ordine
universale affidato al
Nommo. Così rivestita,
la terra ebbe finalmente
un linguaggio: la fibra
fu la prima parola
conosciuta in questo
mondo. Era una cosa
buona, anche se ancora
rudimentale. Tuttavia,
aprì nuovamente al
disordine. Lo sciacallo
Yourougou, figlio nato
dalla violenza, volle
impadronirsi della
parola e mise le mani
sulle fibre della madre,
con un gesto
interpretato come
incestuoso. L'incesto
ebbe gravi conseguenze:
diede allo sciacallo la
parola, mezzo con il
quale poteva rivelare
agli indovini i disegni
del dio suo padre. Oltre
a questo, rese impura la
terra agli occhi di Amma,
che generò da solo gli
esseri viventi.
Impastando acqua e
sabbia, Amma creò la
coppia primordiale,
l'uomo e la donna,
immortali e duplici come
Nommo, uguali tra loro e
dotati di un'anima
maschile e di una
femminile. Nommo, però,
capì che la vita umana
non poteva adattarsi ad
esseri doppi. Così per
mezzo della
circoncisione privò
l'uomo della sua parte
femminile e con
l'escissione privò la
donna della maschile,
ristabilendo finalmente
l'ordine. L'anima doppia
è presente sempre in
ogni neonato Dogon; solo
la circoncisione o
l'escissione toglie
l'anima superflua. L'
uomo e la donna plasmati
da Amma ebbero quattro
coppie di gemelli misti,
cioè gli otto Nommo,
quattro maschi e quattro
femmine, otto doppi,
tutti immortali. I
quattro uomini erano
uomo e con principio non
dominante donna, le
quattro donne erano
donna e con principio
non dominante uomo. Essi
generarono otto
discendenze distinte,
riproducendosi ognuno da
sé essendo ognuno
maschio e femmina. Da
questa nuova generazione
degli otto Nommo
antenati nacquero i
Dogon, dai quali gli
uomini avrebbero poi
imparato tutte le arti.
Compiuto il tempo, ogni
antenato avrebbe dovuto
transustanziarsi,
rientrando nel seno
della terra madre per
perdere la condizione
terrena e ritornare al
cielo. Così fecero tutti
tranne il settimo.
Questi, rimasto più a
lungo nel seno della
terra, ricevette la
conoscenza perfetta
della parola affinché la
trasmettesse a tutti gli
uomini attraverso l'arte
della tessitura. Divenne
così il padrone della
seconda parola, più
articolata della prima e
scavalcò il malvagio
sciacallo, padrone della
prima, ancora
imperfetta. Il primo
Nommo accolse in cielo
gli otto trasformati, ma
la società celeste cadde
ben presto in un nuovo
disordine. Due degli
otto antenati violarono
il divieto di cibarsi
dei grani dati loro in
custodia dal dio Amma:
questo atto di dismisura
li rese impuri e tutti
dovettero lasciare il
mondo celeste.
Ridiscesero sulla terra
con un gigantesco
equipaggio di simboli
dove si era insediata
anche una terza e
definitiva parola
necessaria al
funzionamento del mondo.
Con l'aiuto di Amma,
portarono dal cielo
tutto ciò che poteva
essere utile agli
uomini. A questo punto
il mito di biforca.
Secondo una versione,
Amma mise su un'arca gli
otto antenati insieme
con gli otto grani dei
primi vegetali
(anzitutto il seme del
fonio), gli animali e i
minerali, e li mandò
sulla terra. Diede loro
anche un paniere, dal
fondo quadrato e con
l'apertura circolare,
contenente l'argilla
necessaria per costruire
i granai dei villaggi,
simboli dell'universo.
Nel granaio dei villaggi
Dogn le scale indicano
non solo le coppie di
maschi e femmine che
generarono i Dogon, ma
anche costellazioni e
stelle: a nord le
Pleiadi, a sud Orione,
ad est Venere, ad ovest
la stella cometa.
Secondo un'altra
versione tramandata a
Griaule, gli otto
scesero sulla terra
seguendo l' ordine
numerico. Per primo
scese il nommo fabbro
(il primo antenato):
egli aveva rubato dalla
fucina dei grandi Nommo,
i fabbri del cielo, un
pezzo di Sole,
sottoforma di brace e di
ferro incandescente,
servendosi di un
“bastone da ladro”;
inoltre, portò via
l'incudine e il mantice,
che lasciò lungo un
arcobaleno. Per battere
il ferro e dissodare la
terra, con gli strumenti
ricevette braccia
articolate con
avambracci come
avrebbero avuto anche
gli uomini. Vennero poi
l'antenato dei pellai e
il nommo cantastorie (il
griot), che scesero
lungo un filo. Ognuno
portava i suoi strumenti
e i suoi attributi.
L'ottavo antenato (la
parola) non rispettò la
precedenza e il Settimo
(il signore che insegna
la parola), presa la
forma di un grande
serpente, giunto sulla
terra volle vendicarsi.
Istigati dal fabbro, gli
uomini lo uccisero, ne
mangiarono il corpo e
diedero la testa al
fabbro che la seppellì
nella sua fucina. Poiché
era stato ucciso il
maestro della parola,
gli uomini non avrebbero
mai potuto ricevere la
terza parola, quella
della musica
(simboleggiata dal
tamburo). Perché ciò
avvenisse, bisognava che
morisse il più vecchio
dei viventi, Lebè, che
sarebbe dovuto passare
nel medesimo mondo del
Settimo e realizzare i
disegni del dio. Ciò
avvenne secondo un
progetto di
morte/sacrificio e di
resurrezione del Lebè e
del settimo nommo,
divenuti unità
inscindibile ed
immortale, per
comunicare la forza
vitale della parola alla
carne dell'uomo, e
trasmetterla a tutta
l'umanità. Così gli
uomini ricevettero la
parola definitiva,
chiara e perfetta,
conveniente ai nuovi
tempi. Le ricerche
continuate dopo la morte
di Ogotemmeli, presso
altri vecchi saggi,
nelle successive
missioni di Griaule,
completarono la
conoscenza del grande
mito cosmogonico. Il
mondo fu creato da Amma,
essere che preesisteva
ad ogni cosa e che
possedeva nella saliva
una “parola” ancora non
formulata, il pensiero
creatore. Egli creò per
mezzo di essa una
placenta, la madre
originaria, che fecondò
ponendo in essa il seme
di due coppie di gemelli
dalla forma di siluri
(l'immagine del feto
umano). Uno dei gemelli
maschi, Yourougou,
abbandonò prematuramente
la placenta materna,
prendendone con sé un
pezzo, che in seguito
divenne la Terra.
Cosciente della sua
solitudine, andò in
cerca della sua gemella
nelle viscere della
Terra sua madre,
compiendo così un
incesto. Amma pose fine
al disordine cosmico
trasformandolo in volpe,
animale notturno molto
selvaggio che vive in
profonde tane. Quando
Yourougou uscì dall'uovo
non possedeva la parola
articolata, ma vi era
predisposto, perché sul
pezzo di placenta che
aveva portato via dalla
madre c'erano dei segni
grafici, delle parole in
potenza. Amma riprese la
parola tagliandogli la
lingua, ma non poté
togliergli completamente
la facoltà di
esprimersi. Poi rimediò
al disordine del mondo
sacrificando Nommo,
l'altro gemello maschio
dell'uovo, e purificando
l'universo con le parti
del suo corpo smembrato.
Poi Amma fece esplodere
il seme della
Digitaria exilis:
il suo contenuto, cioè
tutti gli elementi della
creazione, si riversò su
un'arca di terra pura
formata dalla placenta
rimasta. Pose su di essa
Nommo resuscitato e i
suoi “bambini”, quattro
coppie di gemelli che
sono gli antenati
dell'umanità. L'arca fu
fatta scendere dal cielo
con una catena di rame
(che simboleggia il
cordone ombelicale) e si
schiantò sulla terra di
Yourougou, dando origine
all’umanità. Gli
antenati si stabilirono
sulla Terra e Nommo
insegnò loro
l'agricoltura. La parola
è creazione di Nommo.
Egli tessé dei fili di
cotone da lui
espettorati per mezzo
della sua lingua
biforcuta; mentre faceva
questo egli parlava e la
sua parola si fissò nel
tessuto. Essa fu poi
trasmessa agli altri da
uno degli antenati,
Binou Serou, per mezzo
di un tamburo: le prime
forme di linguaggio
furono dunque anche la
prima fascia tessuta e
il primo ritmo musicale.
Dopo la rivelazione
della lingua la società
si organizzò. I quattro
antenati maschi furono i
fondatori delle quattro
principali istituzioni
dei Dogon. Il
primogenito, Amma Serou
(letteralmente
“testimone di Amma”),
associato al dio
creatore, è
rappresentato nella
società attuale dal
patriarca, capo della
grande famiglia
allargata, che risiede
nella
ginna
(“grande casa”"), dalla
facciata con nicchie e
colonne, dove si trova
l'altare degli antenati,
a cui il vecchio rende
culto. L'antenato Binou
Serou (“testimone del
binu”) è rappresentato
da un sacerdote alla
testa del clan totemico
(composto da parecchie
stirpi in linea
paterna), che si occupa
del culto degli antenati
totemici, associati a
certe specie animali o
vegetali. Questi binu
rappresentano le parti
di Nommo sacrificato e
il loro insieme forma il
suo corpo intero
resuscitato. Il culto è
associato all'acqua e
alla vita ed e'
celebrato in santuari
con la facciata dipinta.
L'antenato Lebè Serou
("testimone di Serou"),
morto e resuscitato
sotto forma di serpente,
e' associato alla terra
e alla vegetazione che
muore e rinasce. Il suo
sacerdote è l'Hogon,
l'uomo più vecchio della
regione, che celebra
insieme al sacerdote
totemico la festa delle
sementi e distribuisce
agli abitanti del
villaggio i semi di
miglio. L'antenato
Dyongou Serou
(“testimone del
rimedio”) è celebrato
dalla società dei
maschi, in cui i ragazzi
entrano dopo la
circoncisione; è in
relazione con la natura
selvaggia, la morte, il
fuoco; dunque è
associato a Yourougou.
La sua morte è
commemorata da una
cerimonia, il sigi. Come
si può vedere, grande
attenzione è data alla
parola. Dogon hanno una
concezione molto precisa
di come si forma e
funziona la parola tra
gli interlocutori. Essa
nasce nel corpo umano,
dove attinge le
"sostanze" che la
compongono (e il cui
dosaggio ne determina la
natura). Le principali
sono l'acqua (le
fornisce la vita), la
terra (le da' il senso),
il fuoco (le da' il
calore), l'aria (le
fornisce il respiro).
Altri elementi che
possono comporre la
parola sono l'olio, la
bile, il miele, il sale,
ecc.. L'elaborazione
della parola segue un
meccanismo simile a
quello della fucina e in
parte a quello della
tessitura. Presso i
Dogon i dialoghi sono
molto codificati e anche
la qualità della voce ha
un grande ruolo negli
scambi verbali. La morte
si caratterizza per la
non-parola, mentre sul
dialogo si fonda la vita
sociale.
Ciò che dà importanza,
dal nostro punto di
vista, alla popolazione
dei Dogon, sono le loro
straordinarie conoscenze
astronomiche. Vediamo
perché. Nel 1950,
Griauel e Dieterlen
pubblicarono sul
Journal de la Societè
des Africainistes
un articolo, riguardante
i Dogon dal titolo
Un
Systeme Soudanais de
Sirius.
Secondo quanto riportato
nell’articolo, le
tradizioni più occulte
dei Dogon affermavano
che attorno a Sirio A (Sigi
tolo)
orbitava un'altra
stella, Sirio B (Po
tolo o Digitaria),
la quale descriveva una
traiettoria ellittica in
circa 50 anni; la
rotazione di Digitaria
su se stessa avveniva,
invece, in un anno.
Oltre a questo, gli
anziani dei Dogon erano
a conoscenza del fatto
che la materia
costituente Sirio B era
alquanto densa e pesante
e che nel sistema
siriano esisterebbe una
terza stella, Sirio C (Emme
ya), quattro
volte più leggera di
Sirio B ed orbitante
anch'essa in 50 anni
attorno a Sirio A lungo
un’orbita di maggiore
lunghezza. A queste
informazioni se ne
aggiunsero altre nel
1965, quando Dieterlen
pubblicò
Le
renard pale,
La volpe pallida, opera
che rivelava altre
straordinarie conoscenze
in possesso del
“primitivo” popolo dei
Dogon: la tribù del Mali
era a conoscenza del
fatto che la Terra è
sferica, che ruota su sé
stessa ed attorno al
Sole, che la Luna “è un
pianeta arido e privo di
vita”, che “Giove
possiede quattro
satelliti” (le lune
scoperte da Galileo, i
Satelliti Medicei), che
“Saturno è provvisto di
un anello che lo
circonda” e che “tutti i
corpi celesti (tolo
tanaze)” del
nostro sistema
planetario orbitano
attorno al Sole, che la
Via Lattea ha una
struttura e un movimento
a spirale, cui partecipa
anche il nostro Sole e
che l'Universo "è
un'infinità di stelle e
di vita intelligente".
Per quello che riguarda
Sirio, le conoscenze dei
Dogon sono parzialmente
esatte. Sirio A dista
dalla Terra 8,7 anni
luce, ha una massa più
che doppia rispetto al
Sole ed emana 23 volte
più luce; Sirio B,
invece, possiede una
massa appena superiore a
quella del nostro astro,
ma il suo diametro è 30
volte inferiore. Ciò
comporta una densità
interna media di 25.000
grammi per centimetro
cubo (materia
ultradensa).
L'astrofisica moderna
stima l'età del sistema
di Sirio in 130/330
milioni di anni: è un
dato significativo,
poiché rende assai
remota, se non
impossibile, la
probabilità che, in
qualche eventuale
pianeta del sistema
siriano, la vita abbia
avuto il tempo
necessario per
svilupparsi ed evolversi
in maniera più rapida
che da noi. Sulla
Terra, infatti, i primi
batteri sono apparsi
dopo 900 milioni di anni
e le cellule con nucleo
dopo 3 miliardi di anni.
Ovviamente non si
possono giudicare
batteri e cellule
creature intelligenti.
La teoria
dell'evoluzione stellare
ha pure dimostrato che
Sirio B, un tempo,
doveva essere più
massiccia di Sirio A,
poiché si trattava di
una stella “gigante
rossa” che, liberatasi
degli strati esterni, si
è evoluta in una “nana
bianca”. Va detto,
ancora, che la distanza
angolare (distanza
apparente di due corpi
celesti in cielo) tra
Sirio A e B varia da 12”
d'arco (1" = angolo
sotteso da una moneta di
100 lire alla distanza
di 6 Km) all'afelio,
sino a 4 secondi d'arco
al perielio. Un uomo
dotato di vista acuta
può osservare come
separati due oggetti che
distino almeno 90
secondi d'arco. Sirio A
ha una magnitudine
visuale pari a - 1,5
mentre Sirio B sfiora
appena la magnitudine
8,5. Questa stella è
dunque 10.000 volte più
debole della sua
ragguardevole compagna.
La luce ed il fulgore di
Sirio A, quindi,
eclissano la debole
Sirio B. Alla luce di
questo, si può affermare
che sicuramente nessun
membro della tribù Dogon
avrebbe potuto scorgere
la piccola nana bianca,
anche avvalendosi di un
telescopio di modeste
dimensioni.
Ovviamente, il fatto che
tali esatte conoscenze
astronomiche siano in
mano ad una popolazione
come quella dei Dogon ha
creato un certo
“scalpore”. In
particolare, fu lo
studioso Robert Temple
ad enfatizzare
ulteriormente la
questione, quando, nel
1976, pubblicò
The Sirius Mystery, Il
Mistero di Sirio.
Andando a ripescare
molte parti delle
tradizioni egizie,
sumere e greche, Temple
costruisce un
interessante disegno
complessivo: le
conoscenze dei Dogon
derivano da rivelazioni
fatte loro da esseri
anfibi intelligenti
provenienti da un
pianeta di Sirio C,
esseri che, nella
tradizione, vengono
identificati nei Nommo.
Nelle loro tradizioni, i
Dogon accennano ad una
“stella della decima
luna”, che Temple
interpreta come la base
spaziale da cui sarebbe
giunta sulla Terra
l'astronave dei Nommo.
Temple congettura anche
che quella base sia la
decima luna di un
pianeta del sistema
solare: Febo, satellite
di Saturno. Si tratta di
una luna che orbita con
moto retrogrado, ha
densità molto bassa e
che, secondo Temple,
sarebbe quindi cavo;
inoltre è la decima luna
di Saturno, come
“sostenuto” dai Dogon.
Questa ultima
asserzione, tuttavia,
non corrisponde al vero:
diametro e massa pongono
Febe al nono posto
mentre assegnano il
decimo a Epimeteo, che
ha densità perfino
inferiore.
Nel tentativo di dare
basi più solide alla
propria teoria, Temple
cita un articolo
scientifico ad opra di
due astronomi francesi,
Benest e Duvent, è
apparso sulla rivista
Astronomy and
Astrophysics
nel 1995. Sussistono
però delle forti
discrepanze tra quanto
afferma l'Americano e le
tesi degli studiosi.
Tanto per cominciare,
Benest e Duvent non si
dicono certi
dell'esistenza di Sirio
C; ma anche volendo
ipotizzare la sua
esistenza, la possibile
presenza del terzo astro
è rilevabile da
perturbazioni sul
sistema di Sirio A/B e
non da osservazioni
ottiche dirette.
Inoltre, Sirio C
orbiterebbe attorno a
Sirio A in 6 anni, non
in 50 come postulato da
Temple; la sua massa,
poi, dovrebbe essere
1/20 di quella solare e
non ¼, come avvallato in
The Sirius Mystery.
Poi, Sirio B percorre
una traiettoria orbitale
più lunga di Sirio C,
mentre Temple afferma
l’esatto opposto.
Ancora: se i dati
presentati nell'articolo
scientifico sono
corretti, Sirio C
disterebbe da Sirio A
circa 640 milioni di
chilometri; dunque, un
pianeta orbitante
attorno alla piccola
stella potrebbe
avvicinarsi
pericolosamente
all'astro principale del
sistema. Va aggiunto che
la crosta superficiale
del proto-pianeta di
Sirio C, dopo un periodo
di raffreddamento, per
formarsi avrebbe
impiegato qualche
centinaio di milioni di
anni, cioè l'età attuale
stimata del sistema di
Sirio. In conseguenza di
questo, privo di
un'adeguata atmosfera
tutto il corpo celeste
sarebbe stato bombardato
da radiazioni e
meteoriti.
La teoria degli “antichi
visitatori” che Temple
si sforza così tanto di
comprovare è sicuramente
affascinante. Ma è
plausibile? E’ logico ed
accettabile tutto quanto
detto finora? A darci
qualche delucidazione in
merito è Gianni
Comoretto del CICAP.
La storia [come
sappiamo] ha avuto un
"boom" con un libro di
Robert Temple, in cui
questi ha ipotizzato che
i Dogon conoscessero
questi fatti da almeno
500 anni, e che li
avessero appresi da
esseri anfibi
provenienti da Sirio.
Altri "studiosi"
ipotizzano che le
conoscenze derivassero
dagli egizi, e che
questi ultimi avessero
telescopi in grado di
vedere Sirio B. Tutte
queste ipotesi sono
basate su elementi a dir
poco inconsistenti.
Nessuno di questi
"studiosi" ha fatto
ulteriori ricerche, ma
hanno semplicemente
lavorato di fantasia
sugli studi di Griaule e
Dieterlen. Ad es. la
datazione di 500 anni
dipende dal fatto che i
Dogon costruiscono una
maschera cerimoniale ad
ogni cerimonia. In un
sito sono state trovate
6 maschere, più due
cumuli di polvere che
potrebbero essere altre
2 maschere. In ogni
caso, pur ammettendo che
questo porti indietro a
480 anni fa,
dimostrerebbe solo che
il rito è molto antico.
L'esitenza di telescopi
egizi è stata invece
dedotta dal ritrovamento
di una sfera di vetro
ben lavorata, che
dimostrerebbe che gli
egizi potevano lavorare
il vetro, quindi
potevano fare delle
lenti, quindi potevano
fare dei telescopi,
quindi potevano fare dei
grossi telescopi. Un
ulteriore revival di
questa storia, sempre
senza che nessuno
raccogliesse ulteriori
elementi sul campo, è
sorto quando sostenitori
dell'afrocentrismo hanno
ipotizzato che le
popolazioni africane
potessero vedere stelle
molto deboli ad occhio
nudo, per misteriose
proprietà della
melanina.
Il lavoro di Griaule e
Dieterlen è stato
criticato per molti
aspetti. I due hanno
sempre lavorato con
interpreti, e tutta la
storia di Sirio deriva
da interviste ad una
singola persona. Non
hanno tenuto conto del
fatto che i Dogon
tendono ad evitare ogni
forma di contrasto, e
quindi a non contraddire
una persona stimata e
rispettata (come erano
loro) se questa fa
ipotesi un po'
strampalate. Griaule e
Dieterlen affermano che
i Dogon conoscono pure
una terza compagna di
Sirio, che non è
conosciuta.
L'interpretazione della
stella compagna come una
stella doppia è
scarsamente
documentabile anche dal
lavoro dei due
antropologi.
Ma la cosa che fa
crollare miseramente la
teoria è che i Dogon non
sono inaccessibili. Sono
una delle etnie più
studiate del centrafrica,
e nessuno ha mai trovato
traccia delle conoscenze
anomale. Al di fuori
praticamente
dell'informatore di
Griaule e Dieterlen,
nessuno ha mai sentito
parlare di stelle
compagne, o di periodi
di 50 anni, o di materia
ultrapesante. Questo non
è spiegabile con
conoscenze segrete,
perché i Dogon non hanno
un corpo mitico segreto.
La conoscenza è diffusa,
senza una casta che
custodisce i segreti
religiosi.
Walter Van Beek, che ha
passato 11 anni tra i
Dogon, ha trovato che
pochissimi Dogon
utilizzano i nomi Sigu
Tolo e Po Tolo (Sirio A
e Sirio B secondo
Griaule). L'importanza
di Sirio è minima nella
loro cultura. Nessuno,
neppure gli informatori
di Griaule, hanno idea
che Sirio sia una stella
doppia. Jacky Boujou,
che di anni coi Dogon ne
ha passato 10, concorda
in pieno. E sottolinea
che le teorie di Griaule
possono essere
interpretazioni distorte
di quest'ultimo,
confermate per spirito
di armonia dal suo
interlocutore.
Sagan ha ipotizzato che
le conoscenze anomale
potessero essere il
frutto di racconti di
visitatori occidentali,
poi entrate nella
cultura Dogon. Anche se
l'ipotesi non è
improbabile, i Dogon
hanno miti "bianchi"
diventati in meno di una
generazione parte della
loro cultura, alla luce
di quanto visto sopra
direi che l'ipotesi non
è necessaria.
Comunque sia, la teoria
che “qualcuno” sia
giunto dallo spazio in
tempi antichissimi non è
così nuova come si
potrebbe pensare.
Vediamo cosa dice in
proposito Colin Wilson
in
Dei dell'altro
Universo.
C'è un mito in
particolare che secondo
Shklovskii e Sagan
potrebbe presumibilmente
riferirsi a un contatto
tra esseri umani e
alieni. “La leggenda”,
scrivono, “suggerisce
che avvenne un contatto
tra gli uomini e una
civiltà extraterrestre
prodigiosamente evoluta
sulle coste del Golfo
Persico, forse nei
pressi dell’antica città
sumerica di Eridu, nel
IV millennio a.C., o
poco prima”. La leggenda
può essere fatta
risalire a Beroso,
sacerdote del dio
Bel-Marduk nella città
di Babilonia ai tempi di
Alessandro Magno. Beroso
aveva accesso a
incisioni cuneiformi e
pittografiche (su
cilindri, tavolette e
pareti dei templi)
risalenti a migliaia di
anni prima. In uno dei
frammenti a lui
attribuiti, Alessandro
Poliistore descrive la
comparsa nel Golfo
Persico di “un animale
dotato di ragione, che
fu chiamato Oannes”.
Questa creatura aveva
una coda dì pesce, ma
anche piedi simili a
quelli degli esseri
umani, e parlava con
voce umana. Insegnò agli
uomini la scrittura e le
scienze, ogni sorta di
arte, e anche a
costruire case e templi.
“In breve, egli li
istruì in tutto ciò che
poteva civilizzarli”.
Oannes era solito
trascorrere la notte in
mare, perché era
anfibio. Dopo di lui,
giunsero altre creature
della sua razza.
Un altro antico
cronista, Abideno,
discepolo di Aristotele,
parla dei re dei Sumeri
e menziona “un altro
semidemone, molto simile
a Oannes, che giunse una
seconda volta dal mare”.
Egli menziona anche
“quattro personaggi che
gettavano duplice
ombra”, con ciò
intendendo
presumibilmente metà
uomini e metà pesci,
“che giunsero dal mare”.
Infine, Apollodoro d'Altene
scrive che all'epoca di
re Amennon il Caldeo
“apparve il Musarus
Oannes, l’Annedotus,
uscendo dalle acque del
Golfo Persico”, e in
seguito “un quarto
Annedotus uscì dalle
acque del mare, ed era
metà uomo e metà pesce”.
E durante il regno di re
Euedoresco comparve un
altro uomo-pesce di nome
Odacon. Apollodoro
definisce Oannes l'“Annedotus”
come se fosse un titolo
anziché un nome proprio.
Passai un'ora e mezzo
cercando in vari
vocabolari ed
enciclopedie il
significato di annedotus
e anche di musarus,
riuscendo finalmente a
scoprire nel dizionario
di greco di Liddell e
Scott che musarus
significa abominevole.
Ma di annedotus nessuna
traccia. Poi, ricordando
che Robert Temple aveva
menzionato il dio-pesce
in The Sirius Mystery,
consultai il suo libro e
scoprii che avrei potuto
risparmiare tempo e
fatica, perché aveva già
fatto il lavoro per me.
Annedotus signifìca “il
repellente”. Era
sbalorditivo: il
“Musarus Oannes l'Annedotus”
significa “l'abominevole
Oannes il repellente”.
La tradizione degli dei
anfibi non è limitata ai
Dogon o ai popoli del
Vicino Oriente. Scrive
Salvatore Poma:
Dal Medio Oriente ai
paesi del Mediterraneo
sono molte le leggende
che riguardano esseri
dalle caratteristiche
simili a quelle di
Oannes. Va detto che
Oannes è il nome dato
dal greco Elladio
all'essere mitologico
che i popoli accadici
chiamavano in realtà "Uan".
Anche in America i maya
adoravano un essere
anfibio che chiamavano "Uaana"
che significa "colui che
risiede nell'acqua". Si
noti che personaggi
mitici hanno nomi simili
in civiltà che non sono
mai venute a contatto
tra loro. Anche i
Filistei adoravano una
creatura anfibia
chiamata Dagon (o Odakon)
che veniva raffigurata,
assieme alla sua
compagna Atargatis, con
coda di pesce e corpo
umano. Dagon appartiene
alla stessa radice
linguistica di "Dogon",
nome di una tribù del
Mali che adora il Nommo,
un essere superiore dal
corpo di pesce,
propiziatore di tutta la
loro cultura, che tornò
tra le nuvole
all'interno di un "uovo
rovente". A Rodi,
infine, troviamo i
Telchini, divinità
anfibie dotate di poteri
magici, che Zeus scacciò
dall'isola perché
avevano osato "mutare"
il clima.
Come si può vedere, sul
“mistero Dogon” la
parola FINE non è ancora
stata scritta.
WEBGRAFIA
·
http://domenicoforte.interfree.it/I%20DOGON%20E%20LA%20STELLA%20SIRIO.htm
·
http://it.wikipedia.org/wiki/Dogon
·
www.itinerariafricani.net/dogon.htm
·
http://misteri.interfree.it/dogon.htm
·
www.videoexplorer.it/Dogon.htm
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