Apparsi
nel 900 a.C. nella zona
di Harz a nord delle
Alpi, i Celti si fanno
spazio molto
rapidamente, tanto che
nel V e IV secolo ne
troviamo attestata la
presenza in Francia,
nell'Italia
settentrionale, in
Puglia ed in Sicilia, in
Spagna, in Portogallo,
in Gran Bretagna ed in
Irlanda. Il IV secolo è
anche quello del loro
famoso sacco di Roma,
che tuttavia non
occuparono stabilmente.
Il secolo successivo
invadono la Grecia,
saccheggiano il
santuario di Delfi,
raggiungono l'Asia
Minore dove formano la
famosissima colonia dei
Galati, una delle prime
comunità cristiane cui
San Paolo invierà le
propri lettere. Le
popolazioni celtiche
infatti sono le prime a
convertirsi al
cristianesimo... ma con
questo abbiamo già
percorso mille anni di
storia e si comincia a
fare un po' di
confusione.
Effettivamente parlando
di Celti si pensa
appunto alla fiera
resistenza che i Galli
opposero a Cesare e poi
all'ultimo bagliore
dell'impero romano, fino
appunto agli albori del
Cristianesimo, un po'
per la suggestione dei
fortunati disegni di
Uderzo e Goscinny e un
po' per la fama di
re
Artù, che
viene presentato appunto
come erede cristiano
delle antiche usanze e
la fama di questa
leggenda è tale che
persino la mostra
archeologica dedicata ai
Celti da
Palazzo Grassi a Venezia
nel '91 li
presentava in questo
modo, non com'erano, ma
come il mondo greco
romano li aveva
rappresentati, a partire
dalla splendida figura
del
Galata morente
sistemata all'ingresso
che era stupenda... ma
di fattura ellenistica.
Il fatto è che una
mostra vive di reperti e
la favolosa civiltà
celtica della sua epoca
d'oro ci ha lasciato
pochissimo. Il termine
stesso indica più
evocazioni nostalgiche,
che realtà storica. Gli
archeologi preferiscono
parlare di "cultura dei
campi delle Urne"
prendendo le mosse dal
più caratteristico dei
riti in uso presso di
loro, cioè la cremazione
del cadavere e la
successiva conservazione
delle ossa residue e
frante in urne sepolte a
fior di terra: uso che
parla già di una
concezione di morte
fecondante tipica delle
popolazioni agricole
sedentarie, nonché della
volontà di dominare
attraverso il rito
questo mistero. Dalla
padronanza della morte,
esorcizzata appunto nel
rito e della vita,
garantita e regolata
dalle risorse agricole,
nasce una volontà di
pianificare la realtà
che s'esprime in modo
pacifico ed
inarrestabile. Primi
agricoltori sedentari
della civiltà europea, i
Celti vivono in comode
case di legno, con
focolari centrali
rispetto all'abitazione
e rudimentali
canalizzazioni per
garantire l'acqua
corrente vicino a casa,
sono infatti maniaci
della pulizia ed hanno
in orrore l'acqua
stagnante. Attorno al
villaggio, sempre
piccolo, s'erge un
recinto circolare o una
palizzata di legno.
Quando la crescita
demografica li spinge ad
occupare zone lacustri
"inventano" le
palafitte, considerate
ormai originarie della
zona Alpina: Neuchatel,
Biel, Ledro, Cavriana,
Fimon, fino ad arrivare
ai nostri laghi,
soprattutto quello di
Varese. Confrontata con
quella dei cacciatori,
la loro è un'esistenza
agiata: coltivano grandi
cereali,
conoscono la
vite e gli
alberi di mele,
allevano bestiame di
grossa taglia, che viene
lasciato libero di
pascolare anche sui
campi coltivati,
sacrificando qualche
messe alla concimazione
della terra. Il numero
delle
vacche
possedute è indice di
ricchezza
dell'individuo: animale
sacro per la produzione
di latte ed
indispensabile come
forza lavoro nei campi,
non viene mai mangiato,
come ancora oggi in
India. Meglio cacciare
cinghiali selvatici, o
allevare maiali nelle
zone della foresta che
non si prestano alla
coltivazione. L'arrosto
di maiale o di cinghiale
selvatico è quindi il
piatto nazionale,
affiancato da una bella
serie d'insaccati e
salumi che permettono di
conservare la carne
cacciata anche nei
periodi di magra. Di
fronte alla foresta
infatti l'attività
colonizzatrice s'arresta
e solo in caso di grave
necessità si bruciano
gli alberi per ricavare
terra da coltivare.
Per
i Romani, che avevano
ereditato dagli Etruschi
l'arte "d'inventare" lo
spazio, costruendo,
sradicando e
bonificando, un simile
atteggiamento era indice
d'insopportabile
pigrizia o di
superstizioso timore
della natura.
Effettivamente i Celti
ritengono gli alberi i
progenitori della natura
vivente; venerano come i
Germani, il
frassino del
mondo, garante
dell'energia del cosmo e
ritengono del pari
intoccabili molte altre
piante: le
querce, i
tassi, il
famoso
vischio,
preferibilmente di
quercia, che viene
raccolto solo in caso
d'effettiva necessità,
da mani pure, a digiuno,
vestiti di bianco ed a
piedi nudi, offrendo in
cambio alla foresta una
libazione di pane e di
vino, perché la leggenda
racconta che proprio
quando il vischio fu
strappato per la prima
volta dalla quercia, il
buon dio Bälder venne a
morte. In realtà il
vischio è un parassita e
strapparlo non reca
alcun nocumento, anzi...
ma all'epoca in
tutt'Europa si pensava
diversamente e lo stesso
Enea per entrare
nell'Ade reca in mano un
rametto di vischio...
anche se qualcuno dirà
che Virgilio, essendo
nato a Mantova, come
esempio di mentalità
romana è poco
attendibile. Analogo
rispetto è nutrito nei
confronti delle
sorgenti
naturali,
soprattutto quelle
calde, spesso protette
da tempietti, dimore di
dee benefiche e meta di
pellegrinaggi. Fonti e
terme erano considerate
un naturale punto
d'incontro con l'aldilà,
di solito quelle calde
erano dimora di divinità
maschili e guerriere,
mentre quelle d'acqua
fresca erano popolate da
ninfe. Spesso l'intera
sorgente era circondata
da un recinto o da una
siepe e tutto ciò che vi
cresceva dentro era
considerato divino. Sono
del pari sacri la
betulla, l'ontano, il
melo, il sorbo, il
nocciolo, l'agrifoglio,
la ginestra, l'edera, il
biancospino e la rosa
selvatica, ma
il loro potere è minore
ed è semplicemente
necessario maneggiarli
con cura, secondo le
contemporanee concezioni
dei Germani e dei Greci
che hanno fatto pensare
ad una comune radice
indoeuropea che solo
successivamente s'è
differenziata in diverse
civiltà. Effettivamente
nel XVI sec. a. C.
l'Europa appare abitata
da popolazioni
cacciatrici e nomadi,
mentre il Mediterraneo è
già interessato da
diverse culture, tutte
di tipo agricolo ed
attivamente dedite alla
navigazione ed al
commercio. Poco prima
della guerra di Troia,
intorno al 1200 a.C., ci
fu una periodo di grande
siccità, attualmente
messo in luce dagli
studi geologici, che
interessò tutta l'Europa
e gran parte dell'Asia:
si abbassarono i livelli
di laghi, paludi e
lagune, il clima divenne
secco e caldo e le
grandi foreste
dell'Europa del Nord
bruciarono per
autocombustione. Le
popolazioni celtiche si
misero in cammino in
ogni direzione, alla
ricerca dell'acqua,
sovrapponendosi più o
meno pacificamente alle
popolazioni autoctone.
Così i Dori giunsero in
Grecia. Molto
probabilmente la siccità
aveva creato qualche
tensione, perché... se
l'Ellade è affacciata al
mare, l'Arabia e la
Mesopotamia dovevano
essere gravemente
afflitte dalla carestia
ed è verosimile che i
nuovi arrivati, con
splendide armi di
acciaio, suggerissero
agli abitanti dell'Egeo
di piegare l'arroganza
commerciale di Troia. O
forse, più
semplicemente, si
impadronirono con la
forza di tutto il
territorio. Quel che è
certo e che ci fu anche
qualche complicazione
sessuale. L'idea che
davvero fosse stata
rapita la regina di
Sparta e su istigazione
di una dea per di più, è
chiaramente una finzione
poetica, ma i cacciatori
nomadi hanno il culto
del sangue e della
fedeltà. Per un motivo
ideale, perché un uomo
che vive con la spada in
pugno ha bisogno di
pensare che sopravviverà
in suo figlio ed uno
pratico: per una
popolazione sempre in
movimento, attraverso
guerre e carestie è
assolutamente necessario
essere certi della
legittimità delle bocche
da sfamare; il culto
della
Grande Madre dei viventi,
praticato ovunque nel
Mediterraneo, non
piacque per nulla e men
che meno la libertà
sessuale femminile che
ne derivava.
Si
trovavano di fronte per
la prima volta due
opposte concezioni del
mondo: da una parte il
guerriero nomade,
custode d'una morale
intransigente con un Dio
inconoscibile e non
rappresentabile, così
come più tardi la
tramanderà la Bibbia...
ma non diversa è la
concezione Vedica o la
tradizione orale degli
Germani, dall'altra una
Dea che trovava la sua
stessa ragione d'essere
nella gravidanza:
amante, spesso adultera
o addirittura
poliandrica, madre e
quindi fin dapprincipio
legata ad altri,
condizionata dalla
materia, che essa stessa
domina riproducendosi e
garantendo un
equilibrio: Iside,
Astarte, Venere... i
nomi sono tanti e
corrispondono ad
altrettanti volti della
natura stessa, che come
se non bastasse è
servita da schiere di
servi devoti.
L'agricoltura intensiva
in terre da irrigare
artificialmente può
essere praticata solo
con eserciti di
schiavi., che a loro
volta hanno bisogno di
credere in un essere
inaccessibile e
potentissimo che tuteli
il sistema ed in una
classe di intermediari a
cui chiedere di volta in
volta il necessario per
vivere... e qualche
soddisfazione per tirare
avanti. Quando l'uomo
comincia a rendersi
conto che tracce del suo
unico Dio sono sparse
ovunque ed è
responsabilità umana
coltivare e favorire il
bene contro le insidie
del male? In Europa la
discussione s'apre
presto e non si chiude
mai. Gli agricoltori si
mescolano confusamente
ai cacciatori nomadi,
gestendo piccoli spazi
in cui s'esercitano
mille mestieri e non
tardando ad abbandonare
tutto per trasferirsi
altrove non appena le
condizioni iniziali si
fanno sfavorevoli. Gli
schiavi? Nemici che han
perso la guerra! Se non
li si ammazza subito è
quasi garantito che un
domani si riarmino e
vincano. E d'altra parte
non sempre è saggio
battersi fino all'ultimo
sangue. Talvolta è molto
più vantaggioso trovare
un punto d'incontro,
fissare un prezzo...
magari combinare un
matrimonio. Spesso tra i
vinti ci son donne
piacenti, che una volta
stuprate, invece
d'uccidersi,
partoriscono figli sani.
Lontano da casa le donne
chiacchierano meno ed
obbediscono di più; ci
sono popoli lontani,
barbari e strani, che
tuttavia producono cose
meravigliose: oro, seta,
sale. Perché privarsene?
La concezione
dell'universo non muta:
c'è sempre una terra
condizionata dalla
materia, una sfera
superiore di benessere
che coincide con la
visione di Dio, un regno
dell'oltretomba per le
anime inquiete, che non
sono riuscite a
raggiungere la
perfezione. Quello che
cambia è la densità di
popolazione. Col mondo
celtico giunge a pieno
compimento quel processo
di antropomorfismo che
già in precedenza aveva
dato un volto umano alle
tempeste o alla natura
madre. Il cosmo, da
sempre popolato di
spiriti ed anime
viventi, diventerà
teatro d'incredibili
avventure mitologiche.
In seguito si parlerà di
divinità indoeuropee
perché anche l'austera
India dei Veda concede
ai suoi agricoltori una
religione variopinta
tutta concentrata
sull'adorazione di
statuette. Evidentemente
proprio dallo stretto
contatto quasi parentale
dell'agricoltore con la
sua terra, nasce
l'esigenza di forgiare
un volto divino
fortemente coinvolto
nelle vicende umane: Tyr
il dio creatore dei
Germani è Jupiter latino
e celtico, Taranucus in
Dalmazia ed Ungheria,
Zeus in Grecia... non
cambia neppure il nome.
Tutti derivano dal
sanscrito
Dyaus=Dio Padre,
che poi altro non è che
lo sposo della terra. Ma
non basta: anche il
vento, il cielo, il mare
hanno una personalità,
anche se naturalmente il
loro potere è più
modesto, per non parlare
degli spiritelli che
animano le fonti, gli
alberi, i fiori. E se
gli dei sono tanti che
dire degli uomini?
L'originale distinzione
fra schiavi e liberi,
così chiara un tempo, si
fa decisamente
problematica quando i
servi ne sanno più dei
padroni! Una volta morta
che farà tutta questa
brava gente, troppo
limitata per salire al
Cielo ma decisamente
immeritevole di grandi
castighi? Bisogna
chiedere a chi sa. Il
famoso
sciamano
guaritore delle
popolazioni preistoriche
s'occupa solo di gravi
malattie e morte, ma i
sacerdoti degli
innumerevoli templi alle
divinità agricole
fondano tutto il loro
potere sulla capacità di
dominare gli elementi:
sanno evocare la pioggia
per i campi della patria
e fulmini sui nemici...
o almeno raccontano di
saperlo fare. C'è sempre
più gente in
circolazione, dotata
d'un anima inquieta e
quindi s'allarga a
macchia d'olio anche la
sfera degli "operatori
del sacro"... il
concetto stesso s'evolve
fino ad abbracciare ogni
aspetto della vita umana
e più che mai son
necessarie norme che
indirizzino bene la
gente. Ogni sacerdote
pretende la supremazia
del proprio tempio ed
accusa le pratiche
altrui di idolatria e di
magia. Ma se lo scontro
fu diretto e drammatico
nella zona diremmo noi
del "Medio Oriente"
determinando appunto una
serie di vere guerre poi
narrate come conquista
di Troia, distruzione di
Cartagine, giusta
vendetta dell'assassinio
di Cesare, in altre zone
si determinò invece una
fusione più o meno
pacifica tra i nomadi,
organizzati in fondo in
modo da muoversi in
fretta e le popolazioni
stanziali, che vivevano
d'agricoltura, a cui i
conquistatori si
limitarono ad imporre un
tributo in denaro,
lasciando intatte le
usanze locali. Ecco
dunque una
stratificazione della
mentalità indoeuropea
originaria: i Germani
sono probabilmente i
custodi della tradizione
più antica, i Celti,
come d'altronde gli
Etruschi (che però non
sono di stirpe
indoeuropea), si
sovrapposero agli
autoctoni, determinando
un'originale mescolanza
di tradizioni e
credenze. Il mistero è
accresciuto dal fatto
che nessuna di queste
civiltà usava lasciare
testimonianze scritte
del proprio credo, per
cui sappiamo di loro
solo ciò che dissero più
tardi i Romani, che
avevano tutto
l'interesse a
presentarli come feroci
selvaggi da soggiogare
ed i Cristiani, che
potevano contare su
molte credenze comuni,
soprattutto relative
all'immortalità
dell'anima ed ottennero
una rapida conversione
iniziale, cui seguì una
grossa crisi man mano
che procedeva la
conoscenza reciproca...
ma scivoliamo di nuovo
fuori dall'epoca.
Nel
X sec. a. C. i Celti
sono ormai sistemati
nelle zone del nord
ovest che a ragione o a
torto son definite
celtiche. Dall'incontro
coi costruttori di
megaliti
dell'Inghilterra e della
Francia occidentale
doveva addirittura
scaturire una nuova
civiltà, un "matrimonio
felice" tra le credenze
originarie germaniche ed
usi locali che molto
probabilmente derivavano
dalla frequentazione dei
marinai fenici o
addirittura oltre,
dall'Egitto. Esiste
effettivamente in Egitto
il culto di
Iside, la dea
del Mare e della vita,
sorella e sposa di
Osiride. La
giovane coppia, narrano
le leggende, si
distingueva da ogni
altra per l'ingegnosità:
Osiride scoperse la
coltivazione del grano e
della vite, che andava
sospesa sulle canne per
far maturare buoni
grappoli d'uva, adatti a
produrre vino; Iside la
lavorazione del lino, la
parola scritta e tutte
le favelle del mondo
umano ed animale.
Insieme insegnarono
queste arti agli uomini,
che pur venerando tutti
gli dei, presero a
servire i due con
maggior entusiasmo,
acclamando Osiride come
re. Come se questo non
bastasse il giovane
cominciò a girare il
mondo, insegnando a
tutti gli altri popoli
la coltivazione della
terra e dove il clima
non permetteva la
coltivazione della vite,
insegnò a ricavare la
birra dall'orzo,
ottenendo anche
all'estero
riconoscimenti e
tributi. Non è difficile
vedere dietro al volto
di Iside quello della
Grande Madre adorato dai
costruttori di megaliti,
che sostenevano appunto
la sua provenienza dal
mare. Abbiamo qui tutti
i prodotti che
caratterizzano la
civiltà celtica
matura... ed un antico
tabù, il matrimonio tra
consanguinei, più tardi
rimproverato appunto dai
Romani e fulcro del
tragico amore tra
Morgana ed
Artù. Ma c'è anche
qualcos'altro: la severa
religione dei nomadi,
ispirata ad una
concezione trinitaria
della divinità, dotata
d'un potere creatore,
uno distruttore e
guerriero ed uno garante
del benessere e della
salute, subisce un
progressivo
condizionamento dai
ritmi agricolo-sedentari.
Naturalmente il
mutamento potrebbe avere
motivazioni pratiche più
che ideologiche: la
folla di statuette che
invade gli spazi
pubblici e privati
potrebbe semplicemente
significare che nel V
sec. a. C. vivono
artefici migliori ed
hanno a disposizione
materiale più ricco
degli uomini dell'età
della pietra. D'altra
parte anche la
riproduzione di figure
di animali sulle pareti
delle caverne e
l'esistenza delle goffe
statuette di fecondità
può far già pensare alla
speranza d'instaurare un
rapporto di magia
simpatica tra i beni
desiderati e la capacità
di rappresentarli.
Tuttavia solo il mondo
celtico riconosce in
quest'oscura esigenza un
rapporto consapevole e
diretto. I riti atti ad
assicurare fecondità ed
abbondanza convergono in
un ben preciso
atteggiamento religioso,
che culmina nell'atto di
adorazione del Dio. Si
instaura così un
rapporto subordinato, ma
diretto, che riduce
progressivamente il
potere degli
intermediari.
In
Europa il primo
rappresentato mentre
riceve un atto di
adorazione è dunque un
dio celtico:
Cerunnos
dalla testa
abbondantemente
provvista di corna, che
regge un cerchio in una
mano ed una testa di
montone nell'altra.
Troviamo quest'immagine
su un reperto germanico
e precisamente sul
calderone di Gundestrup
ritrovato in area danese
e risalente al 400 a. C.
ad adorare il dio
straniero ci sono due
animali già famosi nel
mondo sciamanico: il
lupo ed il cervo.
Inutile dire che saranno
anche i protagonisti
delle
saghe medievali.
Più o meno nella stessa
epoca anche la religione
vedica permette al
popolo di concretizzare
la propria fede
rappresentando i propri
dei. Altre lastre del
calderone rappresentano
uomini barbuti e
fanciulle, ritratte in
atteggiamento
d'affettuosa intimità
con vari animali ed
infine una
inequivocabile
sacrificio umano: una
fila di uomini attende
d'essere sgozzata,
mentre una fitta
processione d'uomini e
cavalli assiste muta
alla scena.
Apparentemente sono dei
suonatori di tromba a
regolare l'azione. Se in
tutte le società antiche
la gente va e viene
dall'oltretomba
continuamente e questo è
forse sintomo della
fragilità della vita,
per i Celti la morte è
sempre condizione
necessaria per ottenere
prosperità e salute al
gruppo, mentre il
singolo defunto entra in
una nuova dimensione.
Non c'è ancora il
concetto biblico di
peccato originale:
l'uomo nasce senza
macchia dal mondo
vegetale, ma è sciocco e
fragile, mentre il mondo
è popolato di spiriti
malvagi che han tutto
l'interesse ad
asservirlo. Alcune forme
di vita sono addirittura
casuali: i
nani sono
larve della terra,
fortissimi e resistenti
che solo con molta
fatica arriil agire razionale, gli
elfi dei
boschi ed i
giganti sono
semidei, dalla vita
lunghissima, ma
vincolati al loro luogo
d'origine e destinati a
soccombere se il loro
ambiente viene mutato ed
infine esistono
saggi dai
poteri terribili. A
ricordo del passato di
cacciatori nomadi, si
continuano inoltre a
considerare sacri molti
animali:
l'orso, il corvo, il
lupo grigio, il leone,
il cervo, il cavallo, il
serpente e
qualche volta il
gatto,
suggestione egizia che
si consoliderà soltanto
in epoca medievale,
insieme al mito del
drago,
simbolo del maligno o
del potere terreno. S'è
visto che i Celti non
mangiavano le mucche,
del pari non si cibavano
d'uccelli,
considerati animali
sacri per il loro potere
di muovere fra cielo e
terra. Tutte creature
orgogliose, che non
perdonano all'uomo la
libertà di muoversi e
addirittura di morire e
poi rinascere. La
reincarnazione così come
la presenta l'induismo
maturo è anticipata dal
concetto di
metempsicosi:
l'anima è eterna e
fragile, un niente può
perderla, soprattutto in
particolari circostanze
della vita, come la
nascita, la pubertà il
primo incontro sessuale,
mentre una morte eroica
riscatta molte colpe.
Gli dei sono spiriti un
po' più potenti
dell'uomo, ma non
perfetti; possono
abitare corpi d'uomini o
d'animali e servirsene
per realizzare i propri
disegni. Sono generosi e
vendicativi. Apprezzano
il coraggio, il lavoro
ben fatto e puniscono la
codardia, la menzogna e
la pigrizia. Gli uomini
devono agire insieme,
formando una società
compatta ed ordinata e
rispettando sempre gli
impegni presi. Di fronte
ad un'azione concorde e
ben organizzata anche le
forze maligne possono
essere neutralizzate
fino a diventare parte
dell'armonia universale.
A
differenza del mondo
mediterraneo ed
orientale, abituato al
lavoro servile, i Celti
stimano ogni lavoro ben
fatto. La realizzazione
morale diventa pian
piano una necessità del
mondo stesso e non c'è
azione umana, per quanto
modesta, che non reclami
un premio o una
punizione. Certamente al
primo posto fra le
attività c'era la caccia
e la figura di
guerriero, ma ogni
mestiere aveva pari
dignità ed era
assolutamente
indispensabile essere
autonomi e saper far
fronte alla sorte
avversa esercitando bene
il proprio mestiere
anche con mezzi modesti.
Così anche l'agricoltura
e l'artigianato,
soprattutto il mestiere
di fabbro, erano
ritenuti degni degli
stessi re.
Importantissimo anche il
lavoro di filatura e
tessitura riservato alla
donna. Si riteneva che
il movimento meccanico e
sempre uguale sottraesse
la mente alla tirannia
della ragione,
mettendola in contatto
con la divinità. Gli
indumenti intimi che
indossava l'uomo lo
legavano alla sposa che
l'attendeva a casa e
spesso incantesimi
protettivi erano
rafforzati ricamando
simboli sacri.
Come presso gli Etruschi
l'apprendimento della
parola scritta era
riservato alla donna:
forse perché le mani dei
guerrieri erano incapaci
di reggere uno stilo o
semplicemente perché nel
chiuso del gineceo c'era
più tempo per studiare.
Certo per tutto il
medioevo cristiano si
conservò quest'usanza e
la cultura letteraria fu
strettamente legata al
mondo femminile. La
stessa cura era
riservata alla mensa,
poiché si produceva
tutto in casa, compreso
il preziosissimo
idromele, la
bevanda degli dei. Non
esistono dunque gesti
inutili o che possano
essere affidati al caso.
Gran parte delle "conoscenze
magiche" che
furono attribuite ai
Celti sono in realtà il
semplice frutto di una
cura attenta delle cose.
Un gusto del fare che si
riscontra solo in chi
lavora in proprio. Di
vero, storicamente
dimostrato, c'è senza
dubbio una civiltà ormai
stanziale piuttosto
progredita con varie
attività, che
probabilmente venivano
apprese mediante la
pratica e l'insegnamento
orale; ciascuna era
vigilata da un dio, con
quella caratteristica
alternanza di umano e
divino che era ancora
delle corporazioni
artigianali medievali
cancellate per sempre
dalla Rivoluzione
Francese.
Una
nutrita classe
sacerdotale garantiva
l'ordine: al primo posto
c'erano i
druidi, che
affiancavano i re e ne
condividevano
l'autorità. Non sono
un'invenzione celtica,
quanto piuttosto un
perfezionamento della
figura originale di
sciamano-guaritore
presente in tutte le
società primitive. I
Greci furono i primi a
notare la sostanziale
affinità coi Pitagorici.
Il loro grande potere
derivava dalle capacità
divinatorie di cui li si
riteneva dotati, in
parte per intuizione
naturale, ma molto di
più per un apprendimento
che durava circa
vent'anni, rigorosamente
orale e segreto, che
comprendeva nozioni
d'astronomia,
erboristeria e chimica,
diremmo oggi. Si faceva
anche ricorso a sostanze
allucinogene, ricavate
da erbe, bacche e
funghi. I druidi
presiedevano ai
sacrifici, organizzavano
assemblee e riunioni,
pianificavano le
battaglie e naturalmente
erano buoni medici,
perché dalle guerre
d'epoca, anche se
vittoriosi, s'usciva
sempre piuttosto
malconci. Probabilmente
il passaggio da
sacerdoti a consiglieri
del re e pianificatori
di battaglie è causato
dalla guerra coi romani,
ma non abbiamo
testimonianze
precedenti. La
partecipazione ai riti
sacri era ritenuto un
onore e non c'era
punizione peggiore che
esserne esclusi. In
tempo di pace si
sacrificavano
semplicemente animali,
ma in casi speciali
forse nei periodi più
difficili della guerra o
della carestia, si
praticavano sacrifici
umani, come mostra il
famoso calderone di
Gundestrup. Dapprima
erano re e principi ad
offrirsi
volontariamente, per
garantire la pace e la
prosperità alla propria
gente. In seguito si
ripiegò invece sui
prigionieri di guerra. I
druidi erano affiancati
dai
bardi o
poeti, cui era affidata
la tradizione orale di
tutta la mitologia e
dell'epica, aggiornata
di volta in volta con le
vicende politiche più
importanti fino a
costituire una vera e
propria coscienza
storica di gruppo. Per
facilitare la
memorizzazione d'una
materia che aveva
l'ambizione di risalire
alle primi origini del
mondo, si procedeva alla
formazione di nenie e
cantilene che si fecero
via via sempre più
perfette, fino a
costituire una vera
tradizione canora e
musicale. Lo strumento
celtico per eccellenza
era l'arpa,
ma si usavano con molta
perizia anche il flauto
ed il tamburo. Mentre i
druidi erano una classe
sacerdotale ben precisa,
in cui era difficile
essere ammessi, la
classe dei bardi era più
aperta e non pochi
giovani che gravi ferite
di guerra toglievano
dalla vita attiva, si
dedicavano alla poesia o
alla musica, ricavandone
un'esistenza dignitosa.
Grandissima importanza
era attribuita alla
danza, sempre di gruppo,
che accompagnava tutte
le celebrazioni
pubbliche. Infine c'era
la categoria degli
indovini, a
cui era riservata la
cura delle
questioni pratiche:
divinazione, magia,
guarigioni.
Secondo
molti studiosi il mondo
celtico riconosceva una
perfetta parità fra uomo
e donna, ma le notizie
storiche che dovrebbero
avvalorare questa tesi
scarseggiano. Quel che è
certo è che sapevano
leggere e scrivere, ma
non dimentichiamo che il
mondo greco e romano
riservava questo compito
agli schiavi. Le
sacerdotesse, che pure
erano numerose e
stimate, s'occupavano
prevalentemente dei
problemi relativi alla
gestazione ed al parto e
se si ricordano numerose
poetesse, nessuna
affiancò mai
ufficialmente un re, ne'
partecipò ai sacrifici
cruenti, da cui erano
generalmente escluse.
Come sempre mancano gli
elementi per sapere
quale fosse la vita in
tempo di pace. Forse gli
stessi sacrifici
rappresentano un sintomo
di insicurezza e
normalmente il contatto
con gli dei era
garantito semplicemente
dalla divinazione. In
questo caso i veggenti,
maschi e femmine,
costituivano in
principio una classe
sacerdotale compatta,
che fu progressivamente
esautorata dai druidi
man mano che la guerra
con Cesare impose un
comportamento bellico
per sopravvivere.
Naturalmente è solo
un'ipotesi. In ogni caso
i Romani perseguitarono
soltanto i druidi, per
cui tutti gli altri
sopravvissero
tranquillamente fino
all'avvento del
cristianesimo, a cui si
convertirono con
entusiasmo, aggiungendo
alle proprie facoltà
magico-pratiche la
scrittura. Dai
conventi della Bretagna
e dell'Irlanda
ci giungono infatti le
prime opere mitologiche
sulla religione celtica.
Tornando alle donne è
cosa certa che le madri
di famiglia godessero
d'indiscussa autorità,
realtà rispecchiata nel
culto delle "matrones",
una trinità femminile
garante dell'abbondanza
e del benessere della
comunità. Quando i Celti
si lasciarono
"contagiare" dall'usanza
ellenistica di
rappresentare gli dei,
le matrone divennero tre
placide donne sedute su
un unico trono: una
allattava, una srotolava
una pergamena e la terza
reggeva dell'acqua
lustrale. Tracce di
queste sculture, sempre
esterne, spesso poste a
custodia dei crocicchi,
sono state rinvenute a
Milano, Nìmes, Clèves,
Lione, Colonia, Nizza. A
proposito, il trono
stesso, inteso come
sedile con schienale,
era riservato alla
madre. Tutti gli altri
sedevano accovacciati
per terra. Comunque è
veramente un po' poco
per parlare di
superiorità femminile.
Non esiste nessuna
notizia di donne sterili
stimate e ben inserite:
tante cure riservate
alla madre, in una
società essenzialmente
guerriera, fan pensare
più facilmente ad una
precauzione per
garantire la continuità
delle stirpe nonostante
l'alta mortalità
maschile, più che alla
stima della donna in
quanto tale. L'aspetto
forse più affascinante
della società celtica è
l'organizzazione di un
calendario
lunare di tipo
strettamente agricolo,
in base al quale vengono
stabilite le feste., che
tra l'altro
rappresentano
l'espressione più
completa della
sacralizzazione del
tempo.
La
più importante in
assoluto è il 1
novembre. "Chi non sarà
presente alla riunione
la notte di Samain
perderà il senno ed ogni
forza... per la mattina
successiva si preparerà
il suo tumulo." Così
narrano, in diverse
sfumature, le vecchie
saghe d'Irlanda (Ogam X
e XI), che sono la fonte
più antica, sia pure con
mille anni di ritardo,
di tradizioni celtiche.
Che accadeva in realtà a
Samain? In questa data,
che coincide con
l'attuale 1 novembre, si
riportava il bestiame al
riparo e s'iniziava la
vita in comune
all'interno dei
villaggi, mentre il 1
maggio, al contrario, si
riprendevano tutte le
attività all'aperto.
L'anno era dunque diviso
in due parti: la metà
chiara, che coincideva
con la bella stagione e
quella scura. Le due
date tuttavia non erano
fisse come nel nostro
calendario, ma calcolate
di volta in volta dai
druidi ed il momento di
passaggio alla stagione
invernale non
apparteneva a nessuno
dei due e si collocava
quindi fuori dal tempo.
La notte del trentun
ottobre venivano a
cadere le tradizionali
barriere che dividevano
il mondo reale da
quello, diremmo oggi,
"paranormale" e quindi
la separazione tra vivi
e morti. Di qui la
necessità di riunirsi e
vegliare, per non farsi
sorprendere
dall'imprevisto: la sera
ci si recava alle tombe
e spesso si passava là
tutta la notte, al
mattino si celebravano
vistose feste di
ringraziamento, perché
il mondo continuava ad
esistere. I detrattori
di cui sopra fanno
cadere in
quest'occasione la
spaventosa
strage dei primogeniti
al dio Crom Crualch,
contro cui si possono
portare gli argomenti
presentati per tutti gli
accadimenti analoghi...
non ultima la nostra
festa degli Innocenti,
che cade per l'appunto
nel cuore dell'inverno,
il 28 dicembre. In un
mondo che non conosceva
ancora la luce elettrica
ed il riscaldamento
centralizzato, il cambio
di stagione era vissuto
effettivamente in modo
traumatico, soprattutto
se di fatto le stagioni
erano due, così
antitetiche fra loro
come accade appunto nel
nord. Un grande alone di
mistero circonda, ancora
in epoca cristiana,
questa notte. Gran parte
dei racconti epici e
mitologici si collocano
in questo periodo
magico. Secondo gli
amanti della tradizione
si tratta solo del
pallido riflesso, in
epoca ormai cristiana,
di quello che accadeva
veramente e che nessuna
lingua umana può
narrare. Certo era la
più grande festa dei
Celti: sam vuol dire al
tempo stesso riunione e
fine dell'estate. Ancora
oggi il mese di novembre
è chiamato in Irlanda "Samain".
Gli storici,
naturalmente, vogliono
riportare tutto ad un
livello più accettabile.
I guerrieri, che erano i
veri protagonisti della
festa, si davano a
formidabili bevute e
certamente si celebrava
il matrimonio tra il re
e la
dea delle tenebre,
rappresentata per
l'occasione da una
sacerdotessa, mentre
tutti gli altri avevano
egual occasione
d'incontrarsi e stare
allegri... non
dimentichiamo che si
trattava appunto del
ritorno a casa di tanti
uomini che passavano
tutta la buona stagione
lontani. Gli Ulati, i
guerrieri irlandesi di
cui abbiamo maggiori
notizie, tenevano
un'assemblea nella piana
di Murthemme, ogni anno.
Si riunivano tre giorni
prima di Samain e si
lasciavano solo tre
giorni dopo. Doveva
esserci cibo per tutti,
perché bisognava
mangiare, bere e stare
allegri. Trattandosi dei
guerrieri del re il
luogo scelto per la
riunione è,
naturalmente, la reggia.
Le tradizioni gaeliche
effettivamente contano
una legge che bandiva
dal paese chiunque non
si fosse presentato a
corte per celebrare
questa festa. È
veramente tutto?
Francamente la strage
dei primogeniti pecca
per eccesso e la bevuta
dei guerrieri del re per
difetto!
Jean Markale,
uno dei più "esoterici"
studiosi di storia
celtica, ritiene che le
usanze irlandesi siano
solo il pallido ricordo
della vera tradizione,
che prima della
conquista romana riuniva
tutti i druidi in un
posto segreto della
foresta, per celebrare
non una festa civile, ma
un rito sacro. Era
proprio il rito a
garantire la
sopravvivenza della
civiltà e la sua
vittoria sulle oscure
suggestioni del male. E
non è escluso che la
partecipazione ad esso,
privilegio raro in
principio, sia diventato
col tempo una noiosa
incombenza che bisognava
imporre con la forza o
quasi... è la vicenda di
tutte le religioni di
stato. In ogni caso
Markale non ha dubbi:
questo spazio magico è
attualmente occupato
dalla
basilica di Chartres,
cuore della Beauce e
sede di un importante
centro di studio delle
tradizioni templari.
Nella cripta della
basilica si trova ancora
oggi il pozzo dei "Sants
Forts", la cui fonte era
oggetto di culto fin
dalla più remota
antichità. La
Vergine Maria
ha dunque occupato a
buon diritto il posto
dell'antica dea delle
tenebre, mentre i
cavalieri medievali
sarebbero i più diretti
discendenti dei
druidi... e come tali
s'attirarono l'odio del
potere! Ma questa è
un'altra storia. La
Madonna è effettivamente
la protagonista dei due
periodi di passaggio,
perché le si dedica il
mese di maggio e quello
d'ottobre, col
rosario... ma
stranamente la gestione
di novembre le sfugge o
quasi. Dobbiamo
attendere l'8 dicembre
per un'importante
celebrazione mariana che
interessi tutta la
cristianità. Il
"capodanno celtico"
continuò ad essere
considerato sacro in
epoca cristiana, tanto
che la Chiesa,
preoccupata dell'alone
magico e pagano che
circondava questa festa,
l'ha dedicata ai Santi
fin dai tempi di Carlo
Magno, aggiungendovi poi
la commemorazione di
tutti i defunti il 2
novembre, San Carlo
Borromeo il 4 ed il
famoso San Martino di
Tours all'11... con
scarsi risultati, se
pensiamo che ancor oggi,
la notte del 31, i bimbi
vagano di casa in casa
vestiti da fantasmi
gridando il tradizionale
ritornello: "dolcetto o
scherzetto".
A distanza di tre mesi
il 1 febbraio si
procedeva a speciali
riti di purificazione e
si faceva passare il
bestiame attraverso
cerchi di fuoco. In
epoca cristiana la festa
corrispondente è la
presentazione di Gesù
Bambino al tempio e la
purificazione di Maria,
che cade appunto il 2
febbraio.
Nessuna
cristianizzazione invece
per la festa primaverile
del 1 maggio, il secondo
capodanno celtico, cioè
l'inizio della bella
stagione, che è una
delle poche ricorrenze
civili rimaste cioè la
festa dei lavoratori. Se
l'inverno suscitava
timori e preoccupazioni,
da placare solo con la
gioia del raccolto
appena riposto, la buona
stagione al contrario è
piena di aspettative
liete... ma giunge
spesso al limite delle
risorse disponibili.
Bisogna dunque portare
il sacrificio al massimo
grado. La notte del 30
aprile tutti i focolari
di Bretagna si
lasciavano spegnere
completamente. Al buio
più completo ci si
riuniva in un luogo
convenuto, che poteva
essere una radura o la
piazza del villaggio,
dove i druidi
accendevano un grande
fuoco a mani nude, con
la forza del pensiero. I
romanzi di Bevilacqua
raccontano che i
contadini romagnoli
riuscivano a ripetere il
miracolo... strofinando
un po' di zolfo sulle
mani callose. Comunque
fosse ottenuto era un
espediente di grande
effetto. Alla luce del
nuovo fuoco si levava un
albero scortecciato, che
poi veniva guarnito di
ghirlande, si danzava in
cerchio, mentre i
ragazzi più arditi
camminavano addirittura
sulle braci, si
celebravano matrimoni
collettivi, si eleggeva
una "reginetta",
probabilmente la più
bella del paese, che era
portata in trionfo
vestita di bianco ed
incoronata di rose e
"restava in carica", non
si sa con che poteri,
fino al maggio
successivo. I
festeggiamenti duravano
diversi giorni, in cui
gli innamorati dormivano
all'aperto, in
capannucce di rami e
fronde, solo alla fine
erano riportati i fuochi
nelle case. La Chiesa
proibì severamente il
fuoco sacro, finendo
invece per tollerare
tutto il resto. Da Carlo
Magno in poi questa data
segnava l'inizio
dei tornei e
della stagione
guerresca, che per gli
antichi romani iniziava
a marzo. Cambiamento di
clima ed anche di mezzi,
perché l'esercito romano
era prevalentemente di
fanti, mentre nel
medioevo si trattava di
cavalieri ed era
necessario attendere che
l'erba potesse nutrire i
cavalli.
Tra
fine luglio ed il primo
agosto cadeva la festa
del dio
Lug (è
appunto una delle
etimologie di questo
mese), Apollo celtico
protettore delle arti e
garante della fecondità:
la terra veniva
fecondata da un
sacrificio e poi si
celebrava un matrimonio
ierogamico: una
sacerdotessa
interpretava la Dea
Madre ed il re il
fortunato coniuge. Tutti
gli astante seguivano il
buon esempio, che si
riteneva propizio alla
fecondità dei campi.
Inutile dire che alla
Chiesa non piacque
neppure questa festa, ma
non la temette come il
fuoco del 1 maggio.
Oltre alle feste sacre
la comunità viveva
insieme anche tutti i
momenti delicati del
singolo: nascite, morti,
malattie... si riteneva
possibile condividere
materialmente un dolore,
che perciò era più
leggero se sopportato in
gruppo. Nel caso di un
parto difficile, per
esempio, accadeva spesso
che il marito o altri
parenti accettassero di
sopportare il travaglio
al posto
dell'interessata; se un
uomo aveva una malattia
incurabile si spostava
il male su un animale,
che poi veniva
sacrificato, o su una
statuetta di cera, che
poi poteva essere
distrutta o offerta alla
divinità per riscattare
il malato. Realtà o pura
suggestione? La risposta
è difficile. Se le
conoscenze chimiche ed
erboristiche professate
dalle tradizioni si
rivelarono esatte
all'esame della scienza
moderna, il sostrato
fideistico che
presuppone una
guarigione miracolosa
non può essere
verificato in nessun
modo. Quel che è certo è
che le stesse pratiche
svolte in un contesto
diverso saranno la causa
prima di quella follia
passata poi alla storia
come caccia alle
streghe. Statuette usate
per far ammalare, dolori
gettati ad arte sui
nemici, carestie piovute
su interi paesi. Spesso
si trattò semplicemente
d'accuse infondate, ma
qualora si dimostrassero
esatte proverebbero
soltanto che non si può
applicare una norma
religiosa avulsa dal
credo che l'ha generata. |