“Chi non sarà presente
alla riunione la notte
di Samain perderà il
senno ed ogni forza… per
la mattina successiva si
preparerà il suo
tumulo.”
Così narrano, in diverse
sfumature, le vecchie
saghe d’Irlanda (Ogam X
e XI), che sono la fonte
più antica, sia pure con
mille anni di ritardo,
di tradizioni celtiche.
I druidi infatti non
hanno lasciato testi
scritti e le
testimonianze precedenti
ci vengono soltanto da
gente come Cesare, che
aveva tutto l’interesse
a denigrarli. Che
accadeva in realtà a
Samain o meglio, per
usare il nome intero a
TRINVXTION SAMONI
SINDVOS? La festa era la
più importante presso i
Celti e si svolgeva,
contemporaneamente alla
levata eliaca della
stella Antares, nei
giorni che separavano
l’anno vecchio da quello
nuovo. Doveva inoltre
soddisfare alcuni
vincoli lunari essendo
celebrata nel
sedicesimo,
diciassettesimo e
diciottesimo giorno del
mese di Samonios, come
stabilisce il Calendario
di Coligny, e quindi
due, tre e quattro
giorni dopo l’ultimo
quarto di luna.
In questa data, che solo
successivamente si fece
coincidere con l’attuale
1 novembre, si riportava
il bestiame al riparo e
s’iniziava la vita in
comune all’interno dei
villaggi, mentre il 1
maggio, al contrario, si
riprendevano tutte le
attività all’aperto.
L’anno era dunque diviso
in due parti: la metà
chiara, che coincideva
con la bella stagione e
quella scura. Le due
date tuttavia non erano
fisse come nel nostro
calendario, ma calcolate
di volta in volta dai
druidi ed il momento di
passaggio alla stagione
invernale non
apparteneva a nessuno
dei due e si collocava
quindi fuori dal tempo.
Quella notte venivano a
cadere le tradizionali
barriere che dividevano
il mondo reale da
quello, diremmo oggi,
“paranormale” e quindi
la separazione tra vivi
e morti. Di qui la
necessità di riunirsi e
vegliare, per non farsi
sorprendere
dall’imprevisto: la sera
ci si recava alle tombe
e spesso si passava là
tutta la notte, al
mattino si celebravano
vistose feste di
ringraziamento, perché
il mondo continuava ad
esistere. I detrattori
di cui sopra fanno
cadere in
quest’occasione la
spaventosa strage dei
primogeniti al dio Crom
Crualch, contro cui si
possono portare gli
argomenti presentati per
tutti gli accadimenti
analoghi… non ultima la
nostra festa degli
Innocenti, che cade per
l’appunto nel cuore
dell’inverno, il 28
dicembre. In un mondo
che non conosceva ancora
la luce elettrica ed il
riscaldamento
centralizzato, il cambio
di stagione era vissuto
effettivamente in modo
traumatico, soprattutto
se di fatto le stagioni
erano due, così
antitetiche fra loro
come accade appunto nel
nord. Un grande alone di
mistero circonda, ancora
in epoca cristiana,
questa notte. Gran parte
dei racconti epici e
mitologici si collocano
in questo periodo
magico. Secondo gli
amanti della tradizione
si tratta solo del
pallido riflesso, in
epoca ormai cristiana,
di quello che accadeva
veramente e che nessuna
lingua umana può
narrare.
Certo era la più grande
festa dei Celti: sam
vuol dire al tempo
stesso riunione e fine
dell’estate. Ancora oggi
il mese di novembre è
chiamato in Irlanda “Samain”.
Gli storici,
naturalmente, vogliono
riportare tutto ad un
livello più accettabile.
I guerrieri, che erano i
veri protagonisti della
festa, si davano a
formidabili bevute e
certamente si celebrava
il matrimonio tra il re
e la dea delle tenebre,
rappresentata per
l’occasione da una
sacerdotessa, mentre
tutti gli altri avevano
egual occasione
d’incontrarsi e stare
allegri… non
dimentichiamo che si
trattava appunto del
ritorno a casa di tanti
uomini che passavano
tutta la buona stagione
lontani. Gli Ulati, i
guerrieri irlandesi di
cui abbiamo maggiori
notizie, tenevano
un’assemblea nella piana
di Murthemme, ogni anno.
Si riunivano tre giorni
prima di Samain e si
lasciavano solo tre
giorni dopo. Doveva
esserci cibo per tutti,
perché bisognava
mangiare, bere e stare
allegri. Trattandosi dei
guerrieri del re il
luogo scelto per la
riunione è,
naturalmente, vicino
alla reggia. Le
tradizioni gaeliche
effettivamente contano
una legge che bandiva
dal paese chiunque non
si fosse presentato a
corte per celebrare
questa festa.
È veramente tutto?
Francamente la strage
dei primogeniti pecca
per eccesso e la bevuta
dei guerrieri del re per
difetto! Jean Markale,
uno dei più “esoterici”
studiosi di storia
celtica, ritiene che le
usanze irlandesi siano
solo il pallido ricordo
della vera tradizione,
che prima della
conquista romana riuniva
tutti i druidi in un
posto segreto della
foresta per celebrare
non una festa civile, ma
un rito sacro. Era
proprio il rito a
garantire la
sopravvivenza della
civiltà e la sua
vittoria sulle oscure
suggestioni del male. E
non è escluso che la
partecipazione ad esso,
privilegio raro in
principio, sia diventato
col tempo una noiosa
incombenza che bisognava
imporre con la forza o
quasi… è la vicenda di
tutte le religioni di
stato.
A.Gaspani, (titolare del
corso annuale di
Archeoastronomia all'Universita'
Cardinal Colombo di
Milano nonché membro de
I.N.A.F. - Istituto
Nazionale di Astrofisica
Osservatorio Astronomico
di Brera) suggerisce un
diverso approccio e
parla invece di “…un
momento preciso
nell’incessante
rincorrersi delle
stagioni in cui l’Altro
Mondo ed il nostro
s’incontrano. Il tempo è
sospeso, è il tempo del
non tempo dove tutto può
accadere ed tutto
accade. Avviene a Samain
insieme fine ed inizio
dell’anno celtico (…) la
festa rappresentava un
periodo favorevole,
ideale per iniziare
qualsiasi attività.”
Data l’importanza della
ricorrenza era d’obbligo
la partecipazione… ed
importante il luogo in
cui celebrarla. Se in
Irlanda, come s’è visto
in principio, ci si
riuniva presso il re
supremo, per quanto
riguarda la Francia,
Markale non ha dubbi:
questo spazio magico era
un tempo il folto della
foresta ed è attualmente
occupato dalla basilica
di Chartres, cuore della
Beauce e sede di un
importante centro di
studio delle tradizioni
templari. Nella cripta
della basilica si trova
ancora oggi il pozzo dei
“Sants Forts”, la cui
fonte era oggetto di
culto fin dalla più
remota antichità. La
Vergine Maria ha dunque
occupato a buon diritto
il posto dell’antica dea
delle tenebre, mentre i
cavalieri medievali
sarebbero i più diretti
discendenti dei druidi…
e come tali s’attirarono
l’odio del potere! Ma
questa è un’altra
storia.
La Madonna è
effettivamente la
protagonista dei due
periodi di passaggio,
perché le si dedica il
mese di maggio e quello
d’ottobre, col rosario…
ma stranamente la
gestione di novembre le
sfugge o quasi. Unica
eccezione è la “festa
della Madonna della
Salute”, celebrata a
Venezia il 21 novembre,
dedicata alla
presentazione al tempio
della Vergine Maria, che
si rifà ad una
tradizione ortodossa,
perché la Chiesa greca
era più attenta ai
dettagli domestici della
Sacra Famiglia. Dobbiamo
attendere l’8 dicembre
per un’importante
celebrazione mariana che
interessi tutta la
cristianità.
Il “capodanno celtico”
continuò ad essere
considerato sacro in
epoca cristiana, tanto
che la Chiesa,
preoccupata dell’alone
magico e pagano che
circondava questa festa,
l’ha dedicata ai Santi
fin dai tempi di Carlo
Magno, aggiungendovi poi
la commemorazione di
tutti i defunti il 2
novembre, San Carlo
Borromeo il 4 ed il
famoso San Martino di
Tours all’11… con scarsi
risultati, se pensiamo
che ancor oggi, la notte
del 31, i bimbi vagano
di casa in casa vestiti
da fantasmi gridando il
tradizionale ritornello:
“dolcetto o scherzetto”.
A Milano da otto anni si
è addirittura invertita
la tendenza: non più
tentativi più o meno
riusciti di sacralizzare
l’antica festa pagana,
ma rievocarla in tutto
il suo antico splendore
e questo in
considerazione del fatto
che in questa data
potrebbe essere
collocabile la
fondazione del nucleo
gallico della città di
Milano, allora nota come
“Medhelanon”, da parte
di Belloveso, principe
gallico che condusse in
Italia, attraverso le
Alpi, il surplus della
popolazione di svariate
tribù galliche
transalpine. Tito Livio
racconta nelle “Historiae”(libro
V, 34):
“…Mentre a Roma regnava
Tarquinio Prisco, il
supremo potere dei Celti
era nelle mani dei
Biturgi, questi misero a
capo di tutti i Celti un
re. Tale fu Ambigato,
uomo assai potente per
valore e per ricchezza,
sia propria sia
pubblica, perché sotto
il suo governo la Gallia
fu così ricca di
prodotti e di uomini da
sembrare che la numerosa
popolazione si potesse a
stento dominare. Costui,
già in età avanzata,
desiderando liberare il
suo regno dal peso di
tanta moltitudine,
lasciò intendere che era
disposto a mandare i
nipoti Belloveso e
Segoveso, figli di sua
sorella, giovani
animosi, in quelle sedi
che gli dei avessero
indicato con gli àuguri.
A Segoveso fu quindi
destinata dalla sorte la
Selva Ercinia, a
Belloveso gli dei
indicarono una via ben
più allettante, quella
verso l’Italia.
Quest’ultimo portò con
sé il sovrappiù di quei
popoli, Biturgi, Edui,
Ambani, Carnuti, Aulerci.
Partito con grandi forze
di fanteria e
cavalleria, giunse nel
territorio dei
Tricastini. Di là si
ergeva l’ostacolo delle
Alpi; e non mi
meraviglio certo che
esse siano apparse
insuperabili, perché
nessuno le aveva ancora
valicate [ … ] Ivi,
mentre i Galli si
trovavano come
accerchiati dall’altezza
dei monti e si
guardavano attorno
chiedendosi per quale
via mai potessero,
attraverso quei gioghi
che toccavano il cielo,
passare in un altro
mondo, furono trattenuti
anche da uno scrupolo
religioso, perché fu
riferito loro che degli
stranieri in cerca di
terre erano attaccati
dal popolo dei Salvi.
Quegli stranieri erano i
Marsigliesi, venuti dal
mare da Focea. I Galli,
ritenendo tale
circostanza un presagio
del loro destino, li
aiutarono a fortificare,
nonostante la resistenza
dei Salvi, il primo
luogo che avevano
occupato al loro sbarco.
Essi poi, attraverso i
moti Taurini e la valle
del Dora, varcarono le
Alpi; sconfitti in
battaglia i Tusci non
lungi dal Ticino, avendo
sentito dire che quello
in cui si erano fermati
si chiamava territorio
degli Insubri, lo stesso
nome di un pagus degli
Edui, accogliendo
l’augurio del luogo, vi
fondarono una città che
chiamarono Mediolanum…”
Secondo quanto afferma
il prof. A. Gaspani nei
suoi articoli “Alle
origini di Milano” e
“Nemeton di Medehlanon”,
la testimonianza di
Livio colloca
cronologicamente l’epoca
di fondazione della
città nel VI secolo a.C.
in quanto il regno di
Tarquinio Prisco si
estese dal 616 a.C. al
579 a.C. mentre la
fondazione di Marsiglia
da parte dei coloni
focesi avvenne nel 600
a. C. circa. La
fondazione di una nuova
città corrispose, come
era d’uso presso i
Celti, alla definizione
di un centro sacro,
detto con termine greco
“omphalos”, e di uno
spazio altrettanto sacro
centrato su di esso e
delimitato da un’aratura
rituale compiuta in
senso orario, in accordo
con il moto apparente
degli astri che popolano
la sfera celeste,
seguita dalle offerte
propiziatorie agli dei e
dalla scelta del nome
che doveva essere di
buon auspicio e spesso
racchiudeva un teonimo.
La più nota ipotesi
sull’origine del nome di
Milano è quella che vede
nell’etimologia
romano-gallica di
“Mediolanum” il
significato di “terra di
mezzo”, ma esiste anche
la tesi di chi
attribuisce a
“Medhelanon” il
significato di “centro
di perfezione” ovvero
“nemeton” santuario a
cielo aperto delimitato
da un recinto sacro
connesso con gli astri.
Quest’interpretazione è
quella che più si addice
al territorio racchiuso
dall’antico sacro
recinto di Medhelanon.
Lo sviluppo di
“Medhelanon” fu
abbastanza lontano dal
modello di oppidum
celtico circondato dal
tipico ed imponente
“murus gallicus”. La
realtà protoubana
preromana di Milano si
estese intorno al
nemeton senza alcuna
struttura atta a
fortificazione, come
confermano i recenti
scavi condotti dagli
archeologi. Alla luce
degli ultimi elementi
emersi sembra
confermarsi un modello
di città sviluppatasi
attorno ad una zona -
santuario che aveva
funzioni molteplici:
religiose, giudiziarie,
amministrative e
commerciali.
Considerazioni relative
all’altimetria ed
all’assetto viario
suggeriscono che
l’ubicazione del
“nemeton” sia da
collocarsi nella zona
dove ora sorge piazza
della Scala. La
fondazione della città
verrebbe a coincidere
con la dedicazione del
santuario
presumibilmente avvenuta
nella data più propizia:
l’inizio dell’anno
secondo il calendario
celtico, evento che nel
VI secolo a. C cadeva
intorno alla metà di
novembre del calendario
giuliano.
Molti studiosi non sono
d’accordo e premono
invece per
un’identificazione della
città con l’antico
“Melpum” fondato dagli
Etruschi, che tra
l’altro sono i naturali
nemici dei Focesi.
Dumezil in particolare
ha suggerito che Livio
non debba essere
interpretato alla
lettera, ma sia invece
uno degli ultimi
testimoni
d’un’interpretazione
mitica dei fatti
storici.
LA
RIEVOCAZIONE DEL
CAPODANNO CELTICO
Non
è detto comunque che le
due versioni siano
rigidamente antitetiche
e che i Galli invece di
fondare una città “ex
novo” abbiano ereditato
una struttura etrusca.
Quello che è certo è
l’impronta celtica che
la città conservò fino
agli albori del
medioevo. Per
preservarla e per
celebrare questa data
ritenuta significativa è
nata:
L’Associazione
Culturale Capodanno
Celtico - ONLUS
che cresce nel fertile
humus culturale
determinato
dall’intrecciarsi di
dialetti, di patrimoni
culturali linguistici e
musicali, di forti
tradizioni, di grande e
piccola storia. Da anni
opera con l’intento di
promuovere, attraversi
iniziative culturali
gratuite, la riscoperta
di una parte della
storia politica e
culturale della città
ancora poco conosciuta.
Nel cuore della
Lombardia fa rivivere le
trame di un antico
percorso che dalla
protostoria dei primi
stanziamenti celtici,
dagli arcani riti dei
druidi, dalla potente
sonorità d ei
bodran e dei carnix, si
snoda, rincorrendosi,
fino ai ritmi del folk
celtico lombardo, alle
movenze delle danze
popolari, al fascino di
arti e mestieri che
attraversano inalterati
il tempo. La
manifestazione, giunta
alla sua ottava edizione
ed entrata a pieno
titolo nel circuito dei
grandi festival celtici
europei, guida, nel
cerchio senza tempo del
Castello, il pubblico
sempre più numeroso, in
un entusiasmante
percorso tra antichi
accampamenti, danze
sfrenate, accese
battaglie, sussurri
d’arpe che incantano,
artigiani e le più
coinvolgenti voci del
panorama celtico e folk
nazionale ed
internazionale, alla
scoperta di un
patrimonio che è parte
irrinunciabile
dell’identità culturale
di Milano e della
Lombardia. Il successo
di pubblico e la sua
eterogeneità
testimoniano un
desiderio largamente
condiviso di riscoprire
le proprie radici ed è
legato, a nostro avviso,
alla scelta di veicolare
il percorso conoscitivo
in più sfere di
fruizione, promuovendo
in ognuna di esse , ove
sia possibile, una
fattiva partecipazione.
L’intento per la nuova
edizione è quello di
inserire la celebrazione
del “Samain” in un
percorso didattico –
culturale
interdisciplinare di più
ampio respiro, che
racconti gli albori di
Milano ed illustri il
legame della città con
la festa del “TRINVXTION
SAMONI SINDIVOS”,
spiegando che
ripercorrere insieme,
oggi, il cammino nel
tempo che ci conduce a
quegli antichi riti
significa tener viva,
nella sua culla di
sempre, una tradizione
che accompagna la città
dall’alba della sua
fondazione. L’idea è
quella di far precedere
i tre giorni di
rievocazione storica e
spettacoli al Castello
Sforzesco da due
settimane di iniziative
culturali volte a
promuovere presso il
grande pubblico,
attraverso una più
efficace divulgazione
dei progressi della
ricerca e delle nuove
teorie scientifiche ed
accademiche, la
riscoperta di una parte
ancora poco nota della
della storia della
città, la storia della
Milano golasecchiana e
lateniana. Con l’intento
e la speranza che le
nuove generazioni si
ritrovino nell’unicità e
nella ricchezza di
questo patrimonio
culturale, il programma
prevede, in tutto l’arco
della sua durata,
iniziative dedicate
specificamente alle
scuole ed ai più
piccoli. Per conoscere
il programma della
manifestazione:
www.capodannoceltico.com
Nei giorni di
rievocazione vera e
propria saranno invece
protagonisti i gruppi di
rievocatori nati in
tutto l’arco subalpino,
vediamo in dettaglio uno
particolarmente vicino
al territorio
interessato:
POPOLO DI BRIG
- TEUTA AP BRIG -
GRUPPO DI RIEVOCAZIONE
STORICA CELTICA III-II
SEC. A.C.
Il popolo di Brig nasce
nel 2004 con lo scopo di
far conoscere la cultura
, la storia e la civiltà
dei Celti d’Italia in
epoca preromana, in
particolare quella della
Brianza. “Brig”
(collina, altura) è la
radice da cui deriva il
nome dell’attuale
Brianza (la zona posta a
nord di Milano compresa
tra Monza, Como e
Lecco), abitata in epoca
preromana da popolazioni
celtiche. Il simbolo del
teuta (popolo) è il
fiume Lambro, che
attraversa i due monti
che ne sovrastano la
valle. Seppure
relativamente giovane,
il Popolo di Brig (www.popolodibrig.it)
ha partecipato in soli
tre anni dalla sua
nascita a numerose
manifestazioni di
interesse nazionale (Celtica-Valle
d’Aosta, Trigallia e
Nubilaria – Emilia
Romagna, Storitalia –
Lombardia) e locale (Magiaceltica
– Trentino, Lactarella
Celtic Festival –
Lombardia, Festival
Insubre di Marcallo con
Casone – Lombardia,
Festa di Beltane ad
Ornavasso – Piemonte,
Festa d’Occidente –
Veneto, Fiumalbo Celtica
– Emilia Romagna, etc.).
Nel 2006 partecipa alla
prima edizione dell’Archeofestival
di Perugia e alla
Centuriazione Romana di
Villadose
(PD)
riscuotendo un grande
successo di critica da
parte di partecipanti,
visitatori ed esperti
del settore. Il gruppo è
apolitico e
aconfessionale ed è
aperto a persone di
qualunque età, sesso,
credo religioso o etnia.
Le attività si
suddividono tra pratiche
(ricostruzione
documentata di
vestiario, armi,
manufatti, cibi e
bevande utilizzati nella
rievocazione storica;
partecipazione a feste e
raduni celtici facendo
vita da campo e
prendendo parte a
simulazioni di
combattimento) e
teoriche (conferenze,
visite a mostre,
articoli su riviste del
settore). Le attività
pratiche consistono
nella costruzione di
oggetti di uso comune
nell’età del ferro,
fedeli ricostruzioni di
ritrovamenti
archeologici. Per farlo
sono stati riprodotti
anche gli utensili e le
varie fasi di
lavorazione in uso
all’epoca; tale attività
viene svolta anche sul
campo. Una di queste
lavorazioni è la
costruzione della cotta
di maglia, armatura in
uso all’epoca dai
guerrieri celti,
lavorazione che viene
eseguita totalmente a
mano anello per anello.
(Magiaceltica 2006 –
Trentino). Altre
attività sono:
lavorazione del cuoio
(scarpe, cinture,
scarselle); lavoro al
telaio; realizzazione di
epigrafi su pietra in
alfabeto leponzio. Le
attività sono
accompagnate da
spiegazioni al pubblico
sull’artigianato, ma
anche sui diversi
aspetti della civiltà,
della storia e della
religione celtica, fino
ad interagire il più
possibile con la gente.
Quando è possibile il
gruppo ripropone quella
che un tempo era la vita
da campo. In una
completa sinergia con il
pubblico, offre la
possibilità di osservare
la vita di un
accampamento celtico
dell’età del ferro,
dalla ricostruzione
delle tende alla cucina
e all’aspetto religioso,
che non era mai
disgiunto dalla vita di
tutti i giorni; è dunque
possibile osservare la
preparazione del cibo, i
rituali e gli
allenamenti dei
guerrieri.
Visita il sito personale
di
Mary Falco
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