Il
“Crataegus oxvacantha”
per chiamarlo col suo
nome scientifico, più
noto come: spina santa,
pruno aguzzo o ruga
bianca, appartiene alla
famiglia delle Rosacee
ed è un arbusto che
cresce un po’ ovunque
nei luoghi incolti,
sulle scarpate, tra i
cespugli, dalle rive dei
fiumi fino alle pendici
montuose. In
condizioni favorevoli
può diventare un vero e
proprio alberello e
raggiungere i dieci
metri d’altezza,
formando intrighi
impenetrabili di rami
spinosi, con una scorza
grigio chiara, piccole
foglie verdi, lucide ed
increspate, i
caratteristici fiori
bianchi a cinque petali,
da cui si formano frutti
rossastri e rotondi,
considerati commestibili
fin dalla più remota
antichità. I loro
noccioli sono stati
ritrovati negli
insediamenti
palafitticoli della
preistoria. Ancora oggi,
nell’Europa centrale, se
ne prepara una focaccia
rustica. La sua funzione
più antica comunque è
quella di “recinzione
impenetrabile”:
sempre presente nel
“pomerium” etrusco,
spesso affiancata i muri
sempre “a secco” che
delimitavano il giardino
greco, è raccomandato da
Plinio insieme ai rovi
ed alle rose selvatiche
per recinzioni che
allontanino i ladri,
senza rubare spazio alla
terra coltivata, dato
che forniscono fiori e
frutti. Forse era
un’usanza celtica,
perché molto diffusa in
Francia ed in
Inghilterra, dove si
riteneva che le barriere
di rose selvatiche e di
biancospino fossero un
accesso segreto per
l’altro mondo. Poiché
tuttavia i Celti non
hanno lasciato
testimonianze scritte,
dobbiamo indovinare
dalle contemporanee
usanze greche e romane
l’effettivo valore
sacrale della pianta,
che era considerata
protettrice delle soglie
e delle nozze. In caso
di contaminazioni si
accendevano torce di
biancospino per
purificare l’aria. Molto
significativa comunque è
la leggenda inglese
secondo la quale
Giuseppe d’Arimatea, il
membro del Sinedrio che
aveva cercato d’opporsi
alla condanna di Gesù e
dopo la sua morte ne
aveva raccolto il sangue
nella famosa coppa,
avesse piantato il suo
bastone da viaggio a
Glastonbury ed
immediatamente ne fosse
miracolosamente fiorito
un biancospino. Inutile
ricordare che il luogo
sorgeva in prossimità
dell’antica “Avalon”, il
più importante centro di
tradizioni medioevali,
dove si diceva fosse
sepolto Artù.
Inspiegabilmente la
pianta fioriva alla
vigilia di Natale ed il
giorno seguente un ramo
veniva solennemente
offerto in dono al re ed
alla regina
d’Inghilterra. L’usanza
fu benignamente
tollerata dalla Chiesa
cattolica per più di
mille anni. Si riteneva
la pianta un efficace
simbolo della
Vergine
dei Sette dolori, perché
i fiori bianchi
alludevano alla
verginità, gli stami
rossi al sangue del
Cristo e le spine,
ovviamente, alla
passione. Naturalmente
si dice che formasse la
corona di spine… ma va
detto che non c’è un
solo arbusto spinoso in
tutt’Europa che non
rivesta questo ruolo in
qualche leggenda locale.
L’arbusto di Glastonbury,
in ogni caso, fu
accuratamente sradicato
dai puritani di Cromwell,
nel 1639, come vestigia
di pericolose
superstizioni popolari.
Più vicina a noi è la
leggenda che vuole le
antiche mura di Milano
interamente ricoperte di
questa pianta. In questo
caso la distruzione è
più antica e motivata
esclusivamente da
necessità politiche ed
economiche: nella Pasqua
del 1162 “ahi passion di
Cristo e di Milano!”
Federico Barbarossa rase
al suolo la città perché
s’opponeva ai suoi
ordini e nella
ricostruzione successiva
(un miracolo per i mezzi
d’allora) di biancospino
sulle mura non si parla
più. Se anche in Italia
è esistito un uso magico
delle recinzioni, ed il
testo di Plinio lo
suggerisce, il suo
significato esoterico è
stato accuratamente
rimosso fin
dall’antichità. Legato
alla dea minore “Maia”,
festeggiata nel mese di
maggio, è considerata la
pianta del segno dei
gemelli, simbolo
d’innocenza e
giovinezza. D’altra
parte la farmacopea
antica ne faceva largo
uso, per cui la sua
presenza nei giardini o
la sua raccolta nei
boschi non aveva bisogno
d’appoggiarsi ad alcuna
tradizione sacrale.
Anche oggi se ne usano
fiori, corteccia e
frutti per le note
proprietà
ipotensive, astringenti,
antispasmodiche e
sedative. Viene
considerato
particolarmente efficace
come cardiotonico, nella
cura dell’ipertensione.
La
raccolta dei
fiori va effettuata da
marzo all'inizio di
giugno, quella di
corteccia e frutti in
autunno.
Per la conservazione va
tenuto presente che
i fiori si devono
essiccare e conservare
in luoghi areati, i
frutti e la corteccia,
invece, al sole. Uso:
infusi e tinture, sia
per uso interno sia per
sciacqui contro
l'infiammazione della
bocca e delle gengive.

Visita il sito personale
di
Mary Falco
|