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Il Tempo dei Celti
Alexei Kondratiev

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L'erbario Celtico: il biancospino
a cura di Mary Falco

Il “Crataegus oxvacantha” per chiamarlo col suo nome scientifico, più noto come: spina santa, pruno aguzzo o ruga bianca, appartiene alla famiglia delle Rosacee ed è un arbusto che cresce un po’ ovunque nei luoghi incolti, sulle scarpate, tra i cespugli, dalle rive dei fiumi fino alle pendici montuose. In condizioni favorevoli può diventare un vero e proprio alberello e raggiungere i dieci metri d’altezza, formando intrighi impenetrabili di rami spinosi, con una scorza grigio chiara, piccole foglie verdi, lucide ed increspate, i caratteristici fiori bianchi a cinque petali, da cui si formano frutti rossastri e rotondi, considerati commestibili fin dalla più remota antichità. I loro noccioli sono stati ritrovati negli insediamenti palafitticoli della preistoria. Ancora oggi, nell’Europa centrale, se ne prepara una focaccia rustica. La sua funzione più antica comunque è quella di “recinzione impenetrabile”: sempre presente nel “pomerium” etrusco, spesso affiancata i muri sempre “a secco” che delimitavano il giardino greco, è raccomandato da Plinio insieme ai rovi ed alle rose selvatiche per recinzioni che allontanino i ladri, senza rubare spazio alla terra coltivata, dato che forniscono fiori e frutti. Forse era un’usanza celtica, perché molto diffusa in Francia ed in Inghilterra, dove si riteneva che le barriere di rose selvatiche e di biancospino fossero un accesso segreto per l’altro mondo. Poiché tuttavia i Celti non hanno lasciato testimonianze scritte, dobbiamo indovinare dalle contemporanee usanze greche e romane l’effettivo valore sacrale della pianta, che era considerata protettrice delle soglie e delle nozze. In caso di contaminazioni si accendevano torce di biancospino per purificare l’aria. Molto significativa comunque è la leggenda inglese secondo la quale Giuseppe d’Arimatea, il membro del Sinedrio che aveva cercato d’opporsi alla condanna di Gesù e dopo la sua morte ne aveva raccolto il sangue nella famosa coppa, avesse piantato il suo bastone da viaggio a Glastonbury ed immediatamente ne fosse miracolosamente fiorito un biancospino. Inutile ricordare che il luogo sorgeva in prossimità dell’antica “Avalon”, il più importante centro di tradizioni medioevali, dove si diceva fosse sepolto Artù. Inspiegabilmente la pianta fioriva alla vigilia di Natale ed il giorno seguente un ramo veniva solennemente offerto in dono al re ed alla regina d’Inghilterra. L’usanza fu benignamente tollerata dalla Chiesa cattolica per più di mille anni. Si riteneva la pianta un efficace simbolo della Vergine dei Sette dolori, perché i fiori bianchi alludevano alla verginità, gli stami rossi al sangue del Cristo e le spine, ovviamente, alla passione. Naturalmente si dice che formasse la corona di spine… ma va detto che non c’è un solo arbusto spinoso in tutt’Europa che non rivesta questo ruolo in qualche leggenda locale. L’arbusto di Glastonbury, in ogni caso, fu accuratamente sradicato dai puritani di Cromwell, nel 1639, come vestigia di pericolose superstizioni popolari. Più vicina a noi è la leggenda che vuole le antiche mura di Milano interamente ricoperte di questa pianta. In questo caso la distruzione è più antica e motivata esclusivamente da necessità politiche ed economiche: nella Pasqua del 1162 “ahi passion di Cristo e di Milano!” Federico Barbarossa rase al suolo la città perché s’opponeva ai suoi ordini e nella ricostruzione successiva (un miracolo per i mezzi d’allora) di biancospino sulle mura non si parla più. Se anche in Italia è esistito un uso magico delle recinzioni, ed il testo di Plinio lo suggerisce, il suo significato esoterico è stato accuratamente rimosso fin dall’antichità. Legato alla dea minore “Maia”, festeggiata nel mese di maggio, è considerata la pianta del segno dei gemelli, simbolo d’innocenza e giovinezza. D’altra parte la farmacopea antica ne faceva largo uso, per cui la sua presenza nei giardini o la sua raccolta nei boschi non aveva bisogno d’appoggiarsi ad alcuna tradizione sacrale. Anche oggi se ne usano fiori, corteccia e frutti per le note proprietà ipotensive, astringenti, antispasmodiche e sedative. Viene considerato particolarmente efficace come cardiotonico, nella cura dell’ipertensione. La raccolta dei fiori va effettuata da marzo all'inizio di giugno, quella di corteccia e frutti in autunno. Per la conservazione va tenuto presente che i fiori si devono essiccare e conservare in luoghi areati, i frutti e la corteccia, invece, al sole. Uso: infusi e tinture, sia per uso interno sia per sciacqui contro l'infiammazione della bocca e delle gengive.

    

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