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I Pastori d'Arcadia di Nicolas Poussin: Etiam In Arcadia Nos

a cura di Luca Berto

        

Autoritratto di Nicolas PoussinIl mistero che avvolge il piccolo paese di Rennes Le Chateau, nel dipartimento dell’Aude, in Provenza, nel sud della Francia, è uno dei più affascinanti ed intriganti della storia dell’uomo. Questo per vari motivi: per la sua durata (il suo inizio, a seconda dei vari ragionamenti, può anche essere collocato comodamente a duemila anni fa), per la sua complessità, per i personaggi che vi sono coinvolti, per gli elementi che lo compongono, visto che per poter scovare un barlume di senso in tutto il discorso attorno a Rennes Le Chateau occorrono ottime conoscenze delle Sacre Scritture, di esoterismo, di alchimia ed altro. Uno di questi elementi, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non fa parte di nessuno dei campi elencati appena sopra: uno di questi elementi, infatti, è un quadro. Si tratta, ovviamente del famosissimo (almeno per noi che ci occupiamo di questi argomenti) dipinto del pittore francese Nicolas Poussin intitolato Les Bergeres d’Arcadie, I Pastori d’Arcadia, una copia del quale dipinto il grande protagonista dei fatti di Rennes Le Chateau, Bérenger Saunière, portò con sé da Parigi, città ove si era recato per far tradurre alcune misteriose pregamene.

Prima di vedere quali siano i motivi per i quali questo dipinto rivesta una tale importanza nei fatti di Rennes Le Chateau, è opportuno ed utile lasciare un po’ di spazio alla Storia dell’Arte e vedere, in breve, quali siano le notizie certe e “ufficiali” riguardo questo dipinto ed al suo autore. Nicolas Poussin nasce nel 1594 a Les Andelys, vicino Gisors, in Normandia; la sua passione per l’arte nasce nel 1612 e, in cerca di un maestro che gli insegnasse i segreti della pittura, si reca prima a Rouen e poi a Parigi: qui conosce Maria de’ Medici, madre di Luigi XIII, che gli fa conoscere Raffaello e l’arte italiana. Poussin cercherà più volte di raggiungere Roma per studiare il suo enorme patrimonio artistico, ma una serie infinita di problemi lo tratterrà nella capitale francese. A Parigi, però, ha occasione di stringere amicizia con Giovan Battista Marino, l’autore dell’Adone, che, affascinato dalle sue capacità, lo porta con sé in Italia, a Roma, dove ha modo, finalmente, di studiare i grandi dell’arte: Caravaggio, Tiziano, Veronese e Raffaello soprattutto. A Roma incontra Cassiano dal Pozzo, segretario del cardinale Francesco Barberini, il quale gli commissiona una pala per l’altare di San Pietro e lo rende così celebre. Dopo aver viaggiato per Bologna, Venezia e Parigi, si stabilisce definitivamente a Roma, dove incontra il cardinale Giulio Rospigolosi, futuro papa con il nome di Clemente IX, che gli commissiona i lavori più importanti: Felicità soggiogata a morte, Danza alla musica del tempo e I Pastori d’Arcadia. Poussin muore a Roma nel 1665. Abbiamo detto che i modelli di Poussin furono soprattutto Caravaggio, Tiziano, Veronese e Raffaello: da questi modelli Poussin trae uno stile pittorico del tutto originale, in cui la rappresentazione del mondo classico (come emerge dal suo caratteristico uso del colore, che molto deve all’ideale classico di Raffaello e Tiziano) diventa essenza e ragione stessa della pittura, evocatrice di memorie di un tempo felice e, nello stesso tempo, simbolo di passioni attuali, interpretate con altissimo senso morale e razionale, come la sua cultura cartesiana gli insegnava. La natura, che fa da sfondo a paesaggi arcadici è vera, naturale e sarà modello per molti artisti francesi per i due secoli a venire. Saranno questi i motivi che lo renderanno pittore di riferimento nel movimento letterario noto come Arcadia e modello “ideologico” del primo Giacomo Leopardi, per esempio. Il dipinto di Poussin che possiamo oggi ammirare al Louvre non è l’unico che Poussin dipinse con il medesimo titolo, I Pastori d’Arcadia, e lo stesso tema. Il dipinto, infatti, è presente in due “versioni”: la prima è datata al 1630, la seconda al 1639. I motivi di questa doppia versione sono assai oscuri, ma ci fanno venire alla mente un altro quadro realizzato due volte: la Madonna delle Rocce di Leonardo da Vinci, avvolta, per alcuni da un mistero complesso quanto quello che avvolge il dipinto di Poussin. Ma veniamo all’opera. 

I Pastori d’Arcadia del 1630

Il dipinto del 1630 ha come “ambientazione” un bosco: questo rende la scena impossibile da collocare geograficamente in un qualche luogo reale, visto che, sullo sfondo, non si hanno punti di riferimento utili. Sono presenti quattro figure umane: da sinistra verso destra, abbiamo una donna dal seno scoperto che solleva la sottana per mostrare la gamba destra, come la statua della Maddalena nella chiesa di Rennes Le Chateau; due pastori (dei quali uno con una folta barba nera) in piedi, vicino ad un sepolcro di pietra inserito in una parete di roccia; un terzo uomo, seminudo, è seduto a terra vicino al sepolcro: questi è Alfeo, dio fluviale dell’Arcadia, rappresentato, come vuole tradizione, con in mano un vaso dal quale esce dell’acqua che andrà a formare un fiume, fiume che è visibile, nel dipinto, sotto il sepolcro. Sul coperchio del sepolcro è osservabile un cranio umano. Il particolare più importante ed interessante del dipinto, però, è un’incisione presente sulla tomba di pietra che dice: “Et in Arcadia Ego”. Parlando degli atteggiamenti dei personaggi, quello che colpisce maggiormente è lo stupore, la sorpresa che pervade i tre personaggi in piedi, i due pastori e la donna, quasi come se, nella frase che stanno leggendo, essi vedano un significato particolare e sconvolgente. All’opposto, fa riflettere l’aspetto meditabondi di Alfeo, del tutto disinteressato a ciò che sta accadendo intorno a lui. La seconda versione del dipinto, quella del 1639, presenta alcuni di questi elementi e ne comprende altri, “nuovi”. 

I Pastori d’Arcadia del 1639

Questa volta l’ambientazione non è l’interno di un bosco, ma, piuttosto, una specie di radura, che permette di osservare anche il paesaggio circostante: le montagne sullo sfondo sono reali e sono state identificate da molti in una zona specifica della Provenza, nelle vicinanze del paese di Rennes Les Bains. I personaggi del dipinto sono numericamente gli stessi della versione del 1630, ma cambiano i ruoli: scompare Alfeo ed i pastori salgono a tre (dei quali uno ha sempre una folta barba nera, sintomo, questo del fatto che sono gli stessi personaggi del dipinto precedente e non tre pastori “a caso”); la donna della prima versione del dipinto è ora diventata una specie di regina o di dea, riccamente vestita. Come nel dipinto del 1630, ancora, compare la fonte, questa volta asciutta, al di sotto del sepolcro. Il sepolcro in sé, invece, a differenza del primo quadro, ha una forma differente e, stavolta, non è ricavato da una parete di roccia, ma è isolato. Sul coperchio del sepolcro manca il teschio, mentre è ancora presente la scritta “Et in Arcadia Ego”. Come nell’analisi del quadro precedente, spendiamo anche ora due parole sui personaggi. Se nel dipinto del 1630 la donna partecipava allo stupore dei due pastori nel leggere l’incisione sulla tomba di pietra, stavolta ella non mostra nessuno stupore, anzi, sembra quasi serena o meditabonda; piuttosto che alla frase in sé, sembra interessata ad osservare quali siano le reazioni dei tre pastori nel leggere quelle parole. La donna, ancora, tiene la mano destra poggiata sulla spalla sinistra di uno dei pastori, quasi in gesto materno, quasi a rassicurarlo con la sua presenza ed il suo contatto. Alcuni studiosi hanno messo in luce particolari interessanti: tanto per cominciare, l’abbigliamento dei tre uomini sembra parecchio lontano da quello che potrebbe essere il “look” di un pastore; ma questa è un’osservazione discutibile, in quanto il dipinto raffigura la mitica età dell’oro nell’altrettanto mitica regione dell’Arcadia, dunque una certa idealizzazione degli elementi è consentita. Si è osservato, ancora, come tutti i personaggi, tranne uno, indossino calzari: l’unica figura scalza è quella dell’uomo all’estrema sinistra appoggiato al sepolcro, vestito di bianco, che tocca il terreno nudo con la punta del piede sinistro. In questa figura qualcuno ha visto la rappresentazione di Pan, dio dei piaceri edonistici, della terra e della morte, che, generalmente, viene rappresentato vestito di bianco, come nel nostro dipinto. Se vogliamo prestare fede a questa identificazione, allora dobbiamo anche ricordare che, secondo la tradizione, Pan viene di solito rappresentato in compagnia del suo opposto: nel quadro, questo opposto sarebbe Gesù Cristo, simbolo di spiritualità e trascendenza. Gesù viene identificato nell’uomo sulla destra: a suggerircelo sono i suoi abiti purpurei, rosso sangue, come il sangue della Crocifissione, con i quali viene generalmente rappresentato nelle arti figurative. A questo punto, allora, è lecito ipotizzare che la figura maschile centrale sia Giovanni Battista, che viene sempre descritto come portatore di una folta barba. E la donna sulla sinistra? Per qualcuno, vista la “preferenza” che riserva al pastore vestito di rosso, ella è Maria Maddalena, vestita, secondo la simbologia cristiana, di oro e blu cobalto. Un altro particolare interessante è stato osservato: prolungando ed unendo le linee dei bastoni dei tre pastori e quelle create dai calzari degli stessi, si otterrebbe una stella a cinque punte. Inoltre, le linee di prolungamento andrebbero a finire proprio sulla testa del possibile Giovanni Battista, morto proprio per decapitazione. Un esame ai raggi X ha dimostrato come queste linee siano state dipinte prima del resto della figura: dunque, si può ipotizzare che scopo di Poussin fosse quello di assicurarsi che il pentacolo fosse preciso. E’ una teoria assai affascinante, questa, che, però, ci porta a porci una domanda: perché Gesù e la Maddalena si trovano proprio davanti a quel sepolcro? L’unica spiegazione che ci possiamo dare è che quello rappresentato da Poussin altro non sia che il sepolcro della Maddalena: questo spiegherebbe anche la sua aria “meditabonda” e, all’opposto, l’aspetto sorpreso e preoccupato del pastore-Gesù, aspetto simile a quello di un uomo messo di fronte alla morte della propria compagna. Il fatto, poi, che si faccia riferimento alla regione dell’Arcadia, nel Peloponneso, conferma la teoria secondo cui la Maddalena, dopo la Crocifissione, si sia recata in Grecia. E che, magari, lì sia morta. Oppure, il fatto che il paesaggio di sfondo sia collocabile vicino a Rennes Le Chateau, confermerebbe la teoria che la Maddalena si sia rifugiata in Linguadoca e che lì, come sostengono in molti, abbia vissuto fino alla fine dei suoi giorni. Magari insieme a Gesù Cristo ed i loro figli. 

Come molti hanno messo in evidenza, il dipinto di Poussin mostra enormi analogie con un altro dipinto: si tratta del quadro intitolato Et In Arcadia Ego del Guercino.Et In Arcadia Ego di Guercino

Il Guercino, il cui vero nome era Giovanni Francesco Barbieri, è un pittore che, come Poussin, conobbe fortuna durante il periodo dell’Arcadia letteraria. Si mormora che egli fosse un massone ed un affiliato a qualche loggia segreta, come emerge da alcune sue opere, i temi delle quali sono evidentemente di origine esoterica: per esempio, il suo Il risveglio del maestro sembra fare riferimento alla leggenda massonica di Hiram Abiff, mitico costruttore e progettista del tempio di Salomone. Guercino dipinse la sua opera, Et In Arcadia Ego, nel 1618, ben dodici anni prima del dipinto di Poussin. Il dipinto rappresenta due pastori che, usciti da un fitto bosco, si imbattono in quello che sembra un sepolcro di pietra: su di esso, l’incisione “Et in Arcadia Ego” ed un teschio umano con quello che sembra un foro nelle ossa della calotta cranica. 

Dopo questo lungo ma necessario preambolo descrittivo, vediamo come i dipinti ed i pittori fin qui incontrati si riallaccino al mistero di Rennes Le Chateau. Secondo molti, la tomba del dipinto di Poussin (e, secondariamente, anche quella del dipinto di Guercino) assomiglierebbe in maniera sospetta a quella che, fino al 1988, si poteva osservare a Les Pontils, un centro a metà strada tra Rennes Le Chateau e Rennes Les Bains. A suffragare questa ipotesi due elementi, principalmente: il primo è la forma comune delle tombe, fatto, effettivamente, inequivocabile; il secondo elemento è lo sfondo del quadro di Poussin del 1639: molti, nelle colline che fanno da contorno alla scena, hanno riconosciuto i rilievi attorno a Rennes Les Bains (Bezil Grand e la collina dei Blanchefort, in particolare). 

Questo discorso, però, è accettabile solo in parte. Innanzitutto, perché i rilievi da sfondo al dipinto assomigliano sì a quelli della zona, ma non sono gli stessi: non si tratterebbe di Bezil Grand o della collina dei Blanchefort, ma di Grand Bergue, Las Tostonas, Cardaussel e Quirautier. In secondo luogo, la tomba di Les Pontils sarebbe stata costruita nel XX secolo, dunque non esisteva ai tempi di Poussin. Il francese Pierre Jarnac, nel 1985 scrisse un volume intitolato “Storia del tesoro di Rennes Le Chateau”: nel libro, Jarnac racconta la storia di Louis Galibert, che, nel 1880, comprò ed andò a vivere con la moglie Elisabeth la zona chiamata Moulin des Pontils, che comprende, appunto, la zona dove si trova il sepolcro. Nel 1903 vi fece costruire una tomba, che sarebbe quella che noi avremmo potuto vedere fino al 1988, entro la quale collocò i resti della deceduta nonna. In seguito, non sappiamo quando precisamente, la tomba accolse anche i resti della moglie Elisabeth. Nel 1921 la famiglia Galibert si trasferì a Limoux: dunque, i corpi dei partenti di Louis furono trasferiti da Les Pontils al cimitero di Limoux. La nuova tomba fu realizzata con il materiale della tomba di Les Pontils. Messi in vendita, i beni di Les Pontils furono acquistati da Emily Rivarès, francese nata a Paterson, negli Stati Uniti, e da suo figlio, Louis Bertram Lawrence. La nonna di questi, Marie Rivarès, morì il 28 novembre 1922 e, come suo volere, fu imbalsamata. In seguito, nel 1931 o 1932, stessa sorte toccò anche alla madre di Louis, Emily. Fu allora che Louis Lawrence fece edificare una tomba di forma di parallelepipedo sormontato da un tronco di piramide a base rettangolare. Fu allora che fu costruita la tomba di Les Pontils, assai assomigliante a quella di Poussin. Tali informazioni sarebbero state fornite all’autore Jarnac da Adrien Bourrel, secondo figlio di Lawrence, dunque da quella che parrebbe una fonte certa. Tuttavia, i dubbi sussistono. Anche perché è difficile pensare che una tomba di pietra, in meno di cent’anni, raggiunga un tale stato di degrado.

La tomba di Les Pontils ed il suo sfondo.

Un altro motivo per cui si vuole riallacciare Guercino soprattutto, ma anche Poussin in quanto suo epigono, a Rennes Le Chateau è la presenza, nei loro dipinti, di teschi umani. In particolare, è il teschio che troviamo nel quadro dell’italiano a dare adito a sospetti sui legami tra la sua opera d’arte ed il paese della Provenza. La testa di morto raffigurata da Guercino, a prima vista, pare presentare, sulla calotta cranica, un foro. Ora, vuole la tradizione che la casa dei Merovingi (dei quali Saunière avrebbe scoperto la reale genealogia), che dominarono nel sud della Francia tra il V ed il IX secolo, fossero “iniziati a scienze occulte ed erano noti anche come ‘re taumaturghi’, ossia in grado di guarire con la sola imposizione delle mani. Quando morivano veniva praticato sul loro cranio un foro […] per consentire all’anima di unirsi col divino e non rimanere intrappolata nel corpo”. Durante alcuni scavi avvenuti a Rennes Le Chateau nel 1956, fu rinvenuto, nel cammino centrale della navata della chiesa, vicino il pulpito, un teschio umano con un foro nella calotta cranica.

Visto quello che si è detto dei Merovingi, questo appare senz’altro un indizio utile a chi sostiene la presenza di una “reale” sepoltura presso Rennes Le Chateau. Ed, in secondo luogo, rafforza l’ipotesi che Guercino non abbia rappresentato a caso un teschio forato nel proprio dipinto. Insomma, per chi ci vuole credere, Guercino avrebbe esplicitamente fatto riferimento, nel proprio quadro, alla dinastia dei re Merovingi; Poussin, riprendendo Guercino in alcuni elementi e (forse) collocando la scena del suo I Pastori d’Arcadia nelle vicinanze di Rennes Le Chateau, avrebbe ancora maggiormente rafforzato tale legame. Tuttavia, questa brillante costruzione logica è destinata ad essere stroncata in partenza: infatti, in Guercino, quello che a prima vista pare un foro altro non è che… una mosca. E dipinta con grande perizia, visto che è rappresentata con ali trasparenti. Con altri animali come un topo, un paio di vermi, una lucertola ed un uccello rapace notturno, forse una civetta, sul ramo che sovrasta il cranio è stata rappresentata da Guercino per “sottolineare” lo stato di decomposizione del teschio. Dunque, nessun riferimento apparente ai Merovingi e a Rennes Le Chateau. Almeno da questo punto di vista.

La mosca come appare nel dipinto di Guercino

Finora, dunque, i collegamenti tra i dipinti di Guercino e Poussin basati sulla presenza di richiami geografici o storici con Rennes Le Chateau hanno fatto acqua. C’è, però, un terzo elemento, un terzo punto che è in grado di tappare i buchi logici lasciati dagli altri due: si tratta, ovviamente, dell’incisione “Et in Arcadia Ego”, che compare, come visto, tanto in Guercino quanto in Poussin. La frase, letteralmente, tradotta dal latino, significa “Ed (anche) io sono in Arcadia”. Alcuni hanno cercato di decifrare la frase, concludendo che “Et in Arcadia Ego” sia l’anagramma di “I Tego Arcana Dei”, cioè “Vattene Io Celo i Segreti di Dio”. Una spiegazione che, senz’altro, è dotata di molta fantasia. Questa frase non è un’esclusiva dei dipinti secenteschi di Guercino e Poussin, ma compare in altri due luoghi, strettamente connessi con la nostra indagine. Il primo di questi è la tomba della marchesa d’Hautpoule.

  

La pietra tombale della marchesaNella tomba della marchesa la frase è metà in latino e metà in greco e risulta avere questa forma: Et In Arcadia Ego. Pietro Marino, uno dei più importanti studiosi italiani di Rennes Le Chateau, spiega come la scritta si possa leggere anche come “Ego in Arca Dia”, dove Arca significherebbe Tomba e Dia, traslato in Zeus, Dio. Questo, sempre secondo Marino, darebbe la conferma della leggenda che vuole a Rennes Le Chateau la tomba di Gesù Cristo. L’altro luogo dove compare questa scritta è uno stemma: precisamente è lo stemma della famiglia Plantard, il membro più famoso della quale è Pierre Plantard di Saint Clair, Gran Maestro del Priorato di Sione e suo rappresentante pubblico nei primi anni ’80. Plantard, come facilmente il cognome fa intendere, si dichiarava diretto discendente dei Merovingi e questo lo faceva aspirare, anche se non lo dichiarò mai esplicitamente, a riprendersi quella posizione di potere che, secondo lui, gli spettava in quanto erede della casa. Plantard sostiene che il motto della sua famiglia venisse citato già nel 1210 dall’abate Robert di Mont-Saint-Michel e che i quadri al Guercino nel 1620 ed a Poussin fossero stati commissionati dal Priorato di Sion, che utilizzò il cardinale Rospigolosi semplicemente come prestanome ufficioso. Le ricerche condotte da M. Baigent, R. Leigh ed H. Lincoln, gli autori del famoso volume Il Santo Graal, hanno però dimostrato come nel 1210 nessun abate Robert fosse a Mont-Saint-Michel. Le affermazioni di Pierre Plantard, quindi, vanno prese con estrema cautela.

Un altro motivo per cui la frase ed il quadro di Poussin si ricollegherebbero a Rennes Le Chateau è un particolare visivo. Alcuni hanno notato come il pastore vestito di rosso, nel dipinto, indichi il pastore barbuto al centro; questi a sua volta, come abbiamo detto, indica l’incisione sul sepolcro: ma non la frase nel suo complesso, ma un suo punto in particolare, cioè la R della parola “Arcadia”. In questo, qualcuno ha visto un richiamo a Rennes Le Chateau: l’antico nome del paese, infatti, era Rhedae, che deriva dalla lettera runica “Raida”, che si scrive come la nostra R.

Comunque sia, i quadri di Guercino e, soprattutto, di Poussin sono certamente qualcosa di più di semplici opere d’arte. Questo spiegherebbe l’interesse che l’abate Bérenger Saunière manifestò per il dipinto del pittore francese. Questo spiega l’interesse che, 250 anni prima circa, aveva manifestato un altro personaggio, ben più famoso di Saunière: il re di Francia Luigi XVI, il Re Sole. Di tale interesse siamo informati per mezzo di una lettera, inviata dall’abate Louis Forquet al fratello Nicolas, segretario del re: egli si era recato a Roma in visita a Poussin, presso il quale aveva anche soggiornato per qualche tempo. Questo è il testo della lettera:

Roma, 17 aprile 1656
Non potreste credere, signore, né le fatiche che si sobbarca per il vostro servizio, né l’affetto con cui lo fa, né il merito e la probità che mette in ogni cosa.
Ho reso al signor Poussin la lettera che voi gli avete fatto l’onore di scrivergli… lui ed io abbiamo progettato certe cose delle quali potremmo intrattenervi a fondo tra poco e che vi doneranno, tramite il signor Poussin, dei vantaggi (se voi non vorrete disprezzarli) che i re durerebbero grande fatica ad ottenere da lui e che, dopo di lui, nessuno al mondo scoprirà nei secoli futuri; e quello che più conta, ciò sarebbe senza molte spese e potrebbe perfino tornare a profitto, e si tratta di cose da ricercare così fortemente che nulla di quanto esiste sulla terra potrà avere migliore fortuna od esservi uguale.”


Una lettera senza dubbio molto interessante. Certamente, per il Re Sole, che era più che mai determinato a conservare il suo potere (se pensiamo al fatto che tenne “segregati” e mantenne tutti i nobili di Francia a Versailles per evitare che facessero politica e potessero incrinare il suo potere assolutistico), tali comunicazioni dovettero senza dubbio rappresentare motivo di incredibile interesse per il quadro di Poussin. Questo ci è testimoniato anche dal fatto che, ottenuto il quadro, esso non uscì più dalle stanze del re, a Versailles, fino al 1789, anno della Rivoluzione Francese. Non è certo se è in relazione alla lettera ed al suo contenuto che Forquet fu condannato al carcere a vita: se così fosse, avremmo svelato l’identità ed il motivo (la conoscenza del segreto contenuto nel dipinto di Poussin) della prigionia della leggendaria Maschera di Ferro, un personaggio realmente esistito che, di sicuro, era molto importante, se perfino una figura di spicco come François Michel Le Tellier, Ministro della Guerra del re, si scomodò per andare ad incontrarlo nel luogo della sua prigione. 

Per concludere, il segreto del dipinto di Nicolas Poussin rimarrà tale probabilmente per molto tempo a venire. A meno che, da qualche parte, non saltino fuori le memorie segrete del pittore. Ma è probabile che i suoi segreti, come per molti altri pittori, siano contenuti nei suoi quadri. A noi decifrarli.

                        

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