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La leggenda del Golem

a cura di Stefano Tansini

Il Golem

a cura di Paolo Petitto

 

Il Golem

a cura di Luca Berto

       

Immagine tratta dal film Der Golem (1920) di Paul WegenerLe persecuzioni contro gli ebrei non sono un’esclusiva del XX secolo, come il famoso affaire Dreyfus e ed il genocidio nazista potrebbero far supporre. Già sul finire del Medioevo il “popolo eletto” aveva alle spalle secoli di persecuzione ed odio. Tuttavia, nonostante le “avversità”, nei ghetti di molte città europee la cultura ebraica era divenuta solida e stimolante. In particolare, in Germania era presente la setta degli Hasidim, un gruppo dedito allo studio della cabala, dottrina che si basava sulla convinzione che i numeri e le lettere (emanazione di Dio), sapientemente combinati, potessero compiere prodigi. E’ opportuno sottolineare questa parola, ci tornerà utile più avanti. Perché questo avvenisse, ovviamente, era necessaria profonda conoscenza dei testi cabalistici: uno dei più importanti era il Sephir Yetsirah, il Libro della Creazione, che conteneva nientemeno che le istruzioni per creare la vita. E’ documentato che gli Hasidim conoscevano questo testo, che utilizzavano per un singolare rituale basato su vocalizzi di consonati “magiche” combinate con il tetragramma JHWH, il nome di Dio. Risultato di questo rituale era la creazione di un uomo, risultato che, secondo la leggenda, ottenne il rabbino Elijah Ba’al Shem di Chelm: il rabbino plasmò nell’argilla la figura di un uomo, sulla cui fronte incise le lettere ebraiche aleph, mem e thaw, che formano la parola “emeth”, verità. Il termine “emeth” è quello usato da Dio quando ebbe creato Adamo, “’Adamah”, il primo uomo. Il Golem prese dunque vita ed iniziò ad aiutare il rabbino nei lavori domestici, crescendo di statura di giorno in giorno. Il rabbino sapeva di dover cancellare la prima lettera, alepg, ma si accorse che il Golem era diventato ormai troppo alto per lui. Gli ordinò dunque di sfilarsi gli stivali e, quando il servo fu in ginocchio, gli cancellò il segno. Questo fece mutare il significato dell’iscrizione, da “emeth”, verità, a “meth”, morte. Subito il Golem si disfece in argilla, schiacciando ed uccidendo il rabbino. Questa è solo la prima forma della leggenda del Golem, forma che si diffuse in Polonia nel XVII secolo. Nelle varie versioni non mancano le differenze: al posto dell’incisione può esserci una tavoletta; l’incisione può essere sulla nuca, oppure sotto la lingua, e via dicendo. La versione più famosa della leggenda del Golem è quella praghese, che vede come protagonista il rabbino Judah Low: egli avrebbe creato il Golem per farsi aiutare nei lavori della sinagoga, avendo cura di cancellare l’aleph ogni venerdì (il sabato sacro del Signore, quando neanche al Golem è consentito lavorare). Un giorno, tuttavia, il rabbino si dimenticò di cancellare il primo segno, così, durante la celebrazione del salmo del sabato, la creatura, impazzita, cominciò a distruggere ogni cosa intorno a sé. Il rabbino riuscì infine a cancellare la prima lettera, distruggendo il Golem, i cui resti vennero seppelliti nelle cantine dell’edificio sacro. Per ringraziare il Signore Judah Low pronunciò una seconda volta il salmo, tanto che, ancora oggi, nella sinagoga di Praga è usanza pronunciare due volte il salmo del sabato. Sempre secondo la leggenda il successore di Judah Low, Ezekiel Landau, trovò i resti del Golem e, per questo, proibì l’accesso ai sotterranei, dove tuttora il Golem ancora giace. Di fronte a queste leggende, sembra quasi che la creazione di un Golem, servitore di rabbini “pigri”, sia un’operazione semplice, se dotati dei mezzi adeguati. Tuttavia non è così. Già nel 1500 il cabalista Mosè Cordovero lamentava la perdita delle conoscenze necessarie a completare il rituale. E’ Eleazar di Worms a fornirci le istruzioni, nel suo commento al Sephir Yetsirah, pubblicato come “Prassi della Creazione di un Golem”: due o tre adepti devono impastare terra vergine di montagna con acqua di ruscello e modellare, con questo, un uomo; particolari consonanti magiche, corrispondenti a precise parti del corpo umano, vanno recitate in ogni combinazione possibile con ciascuna lettera del tetragramma. Infine, una serie di vocalizzi darà vita all’uomo o alla donna artificiale, mentre le formule invertite ne causeranno la morte. A lungo andare, la leggenda del Golem assume connotati diversi, lasciando affiorare il tema della sua pericolosità. Gli autori israeliti iniziano a vedere nel Golem il “guerriero” difensore del popolo di Dio dalle persecuzioni perpetrate dai non ebrei. Sarà poi il Romanticismo ad impadronirsi della figura dell’uomo d’argilla, a connotarla ed arricchirla. Nei Salmi, 139, 16, leggiamo: “I tuoi occhi videro il mio Golem e nel Tuo libro erano scritti tutti i giorni destinati a me prima che ne esistesse uno”. E’ Adamo che si rivolge al Signore, onnipotente e capace di vederne il Golem, la materia informa prima della nascita. Nel Talmud, la letteratura ebraica nata intorno all’ermeneutica dei Testi Sacri, Golem è ciò che è amorfo: proprio il Talmud con i suoi racconti è il punto di partenza per la leggenda nella sua forma Medioevale. Il saggio Rava creò un uomo e lo mandò da Rabbi Zera; quando questi gli parlò senza ricevere risposta, non ebbe dubbi su chi avesse davanti: “Torna alla polvere”, urlò, facendo tornare il Golem in sabbia. I babilonesi Rabbi Hanina e Rabbi Oshaya creavano, tutti i sabati, un vitello da mangiare. Forse, però, la vera forza di questa “magia” non sta nelle formule del libro, ma nella forza del nome di Dio. Sempre nel Talmud leggiamo che Gehazi incise il nome di Dio nella bocca del vitello d’oro di Geroboamo, che si animò e pronunciò i primi due comandamenti. Ahima Eats di Oria, nella sua cronaca, racconta che Aharon di Bagdad era capace di restituire la vita ai morti inserendo sotto la loro lingua (o cucendolo nella loro carne del braccio destro) una pergamena con scritto il tetragramma di Dio; quando questo veniva rimosso, i morti tornavano ad essere tali. Dunque è facile capire come prima si sia usata la parola “prodigio”: il Golem è un “mostro” inteso nel significato antico del termine, come diretta creazione di Dio. O di qualcuno che si ritiene tale.

      

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