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La casa del Minotauro

a cura di Stefano Tansini

        

Molte vie portano alla salvezza. Alcune si inerpicano su brulle colline e scoscese montagne, altre si snodano lungo ombrose valli e desolate pianure, altre ancora portano a solcare gli oceani e a combatterne i flutti, altre, infine, si attorcigliano e si annodano su se stesse. Non solo il cammino di Santiago o la Romea portavano il pellegrino del medioevo ai luoghi sacri della cristianità nella ricerca della redenzione perenne, ma altre strade, molto più brevi e prive di pericoli, seppur altrettanto intense e, forse, maggiormente vissute, approdavano, a chi avesse l’ardimento di percorrere il viaggio, all’agognato porto della Gerusalemme Celeste. 

Nella cattedrale di Chartres, unico esempio gotico passato intatto tra gli sconvolgimenti della storia, è ancora oggi percorribile questo tortuoso sentiero. All’occhio si manifesta sottoforma di spire di un grosso serpente bi-cromato, bianco e nero, vagamente rassomigliante ad un gigantesco punto interrogativo. Alla mente richiama l’idea di un labirinto. O, come conosciuto fino ai primi del ‘700, Lega di Gerusalemme, Chemin de Jérusalem alla francese. Perché un labirinto? Quando divenne impossibile raggiungere i luoghi santi della cristianità, Antiochia, Alessandria, Gerusalemme soprattutto, a seguito della nascita dell’Islam e delle successive conquiste arabe in Asia Minore ed in Nord Africa, una sorta di “pellegrinaggio virtuale”, un cammino artificiale da percorrere devotamente, in ginocchio o seguendone il tracciato con un dito, recitando preghiere e salmi, divenne la valida alternativa da opporre alle incertezze ed ai pericoli di un viaggio senza ritorno in una terra nemica. La salvezza, dopotutto, non necessariamente richiedeva un sacrificio estremo.

Rintracciare i tratti salienti della storia del labirinto di tradizione cristiana presenta numerosi limiti, scaturiti principalmente dal fatto che simboli simili si ritrovano in tutte le principali civiltà storiche e con significati variegati e spesso divergenti, a tal punto da generare inevitabili fenomeni di contaminazione. Tradizionalmente, più che per certezze documentarie, si ritiene sia l‘Italia la culla della simbologia cristiana del labirinto, sebbene sia nella Francia del XII-XIII secolo che il suo utilizzo divenne sistematico e funzionale. Un utilizzo strettamente correlato all’idea del viaggio intesa dall’uomo medievale, lungo in termini di tempo, costoso in termini di vita e denaro, finalizzato al conseguimento della redenzione dai peccati: sintesi e quintessenza dell’esistenza terrena. 

A Lucca, nella cattedrale di San Martino, è ancora visibile ai giorni nostri un antico labirinto del XIII secolo. Al suo fianco la seguente didascalia: “Questo è il labirinto di Creta che fu edificato da Dedalo, dal quale nessuno può uscire se non Teseo grazie al filo d’Arianna”. Un immagine mitologica in una chiesa cristiana (la contaminazione prima accennata...), come interpretarla? Il labirinto non è più solo strumento di un viaggio simbolico per Gerusalemme, è anche un ammonimento morale, metafora delle strade tortuose e senza uscita del peccato. 

A Cremona, seppure ormai consunto dal tempo, ciò che resta di un antica forma labirintica fatta a mosaico e “protetta” da due centauri . A Piacenza, nella chiesa di San Savino, i resti di un dedalo arricchito da immagini zodiacali e al suo interno un Minotauro , ammoniscono con questi versi: “largo per chi entra, ma troppo stretto per chi ne vuol uscire. Così, chi è prigioniero del peso dei vizi mondani, a malapena riuscirà a tornare alla via della vita”. Allegoria del peccato, dunque, ma anche allegoria del mondo. Soprattutto, simbologia.

Dualismo bene/male, inferno/paradiso, salvezza/costrizione. Il labirinto come prigione del male, nel luogo di esplosione del sommo bene, la chiesa. Il dedalo è la prigione delle forze oscure della terra, personificate dal Minotauro, un’immensa rete nella quale restano imprigionati i demoni. Il labirinto è un catalizzatore del male.

In senso più ampio, sintesi delle tortuose e complicate vie del peccato, rappresentazione visiva del caos infernale: la rettitudine del bene contrapposta alla tortuosità del male. 

Complicata metafora quella dei labirinti: il loro ingresso si trova sempre a d ovest (il buio), l’uscita ad est (la luce). Un percorso ascetico, una sorta di catarsi che allontana l’anima dalle tenebre verso la Gerusalemme Celeste, la luce.

Tutto qui? Non proprio… L’età d’oro del labirinto cristiano coincide con l’era delle grandi cattedrali gotiche. Difficile non pensare a legami più o meno serrati con le corporazioni dei muratori e il ricco bagaglio simbolico della religiosità medievale. Fulcanelli rivelò, tra i primi, lo stretto connubio tra la mitologia del dedalo e la narrazione evangelica: il Minotauro è il simbolo delle forze e delle potenze inferiori, Teseo l’eroe che domina l’irrazionale, Arianna (sempre esclusa dalla rappresentazione visiva del labirinto) parafrasi della Vergine, tramite e collegamento tra la Terra (Minotauro) e il cielo, culmine della ricerca spirituale. Per terminare con l’architetto: Dedalo. Per il viaggiatore (Teseo) il labirinto è una dimensione infinita, genera smarrimento, assorbe anima e corpo nel conseguimento della meta. Per il suo creatore (Dedalo) è una dimensione finita, esaltazione dell’ingegno e delle capacità equilibratrici dell’ingegno, concretizzazione della sua arte. Tornando a Fulcanelli, Dedalo non è più il viaggiatore che non si perde, colui che in una dimensione tutta terrena, scopre la via per la Gerusalemme Celeste. Si pone in una sfera superiore: allarga la visuale da una dimensione prettamente terrena, innalzandola ad un livello di maggiore coscienza. L’architetto medievale e proprio colui che, attraverso la creazione del labirinto, scopre la visione d’insieme, ponendosi ad un superiore livello di consapevolezza, tramite necessario tra la limitatezza del viaggio simbolico ed il suo fondamentale significato. Consapevole della propria capacità personale è ad un tempo consapevole dell’immensa sacralità della propria opera e del ruolo di messaggero del bagaglio di Sapere del quale è possessore. Consapevole a tal punto da non enfatizzare la propria abilità personale, calandosi in toto nel suo ruolo di strumento di un disegno superiore.

BIBLIOGRAFIA

·Angela Cerinotti, "Le cattedrali del mistero"
·Paolo Santarcangeli, "Il libro dei Labirinti"
·Maria Cristina Fanelli, "Labirinti"
                      

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