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Gilles de Rais

a cura di Simone Marcelli

        

Gilles de Laval signore di Rais (1404-1440) fu un nobile brètone, erede di immense fortune, valoroso generale degli eserciti francesi in supporto a Giovanna d'Arco nella guerra contro gli Inglesi, esteta amante del lusso più sfrenato, fervente credente ma, allo stesso tempo, autore di orrendi crimini nel nome di Satana e, last but not least, ispiratore a Charlès Perrault della figura di Barbablù. Personaggio eccentrico e malvagio, ma estremamente affascinante proprio per essere l’emblema dell’unione di razionalità e irrazionalità presente in ogni essere umano. Ma veniamo alla sua storia. Gilles de Rais viene al mondo nel 1404 nel castello di Champtocé, sulle rive della Loira dall’unione tra Guy de Laval-Montmorency e Marie de Machecoul-Craon membri di tre delle più ricche famiglie nobili di Francia, giunti al matrimonio al termine di intricate vicende giudiziarie. Il giovane Gilles ricevette l’educazione standard della nobiltà dell’epoca: due precettori ecclesiastici gli insegnarono a leggere e scrivere correntemente in latino e si rivelò un alunno diligente, amante della lettura ed interessato in particolar modo a ciò che riguardava Roma antica. I suoi insegnanti adottarono come uno dei libri di testo la “Vita dei dodici Cesari” di Svetonio per (come prevedeva l’etica medievale) mostrare al giovane una serie di “exemplum ad vitandum”, ovvero esempi celebri negativi che dovevano portarlo alla virtù per non ripeterli. Tuttavia, questi non sortirono l’effetto sperato e Gilles vedeva specialmente in Caligola, personaggio a dir poco controverso, un esempio da seguire. Analizzando la figura di questo imperatore romano troviamo molti dei tratti distintivi che caratterizzeranno il modus vivendi di Gilles de Rais: l’estetismo, la generosità nei prestiti di denaro, ma soprattutto la libertà da ogni forma di vincolo morale o giuridico, il sadismo e la pazzia. Il giovane eccelleva anche nell’apprendimento dell’arte militare e si dilettava ad imparare l’uso delle varie armi e le tecniche per uccidere scientificamente trovando i punti deboli delle armature. A 11 anni i genitori morirono e il suo tutore divenne il nonno materno Jean de Craon, il quale era molto ambizioso e non si creava problemi a seguire la massima machiavelliana “il fine giustifica i mezzi” pur di accrescere il potere e la ricchezza del nipote. A 16 anni Gilles, per la prima volta, poté mettere in pratica la sua crudeltà: in seguito all’uccisione del duca di Borgogna si generò una contesa tra i Penthiévre fedeli ai Valois e i Monfort di Bretagna. Il nonno si schierò con questi ultimi i quali vinsero e Gilles ebbe modo di uccidere e torturare a suo piacimento. Si narra che traeva un immenso piacere nell’assistere personalmente ad ogni esecuzione ed osservare ogni contrazione, sussulto e spasimo della vittima. Era giunto il tempo di prendere moglie e il nonno scelse Catherine de Thouars per una motivazione non certo romantica ma politico-strategica, infatti la ragazza portava in dote ben otto castelli. Tuttavia, c’era un problema: i due erano cugini e il vescovo di Angers si rifiutava di celebrare le nozze, perciò Jean de Craon si appellò a Roma e tramite molto denaro, dopo un anno e mezzo, riuscì a superare l’ostacolo. Inutile dire che in questa unione perpetrata a scopi puramente materiali non era presente l’amore: Gilles, infatti, sarà per tutta la vita completamente indifferente al matrimonio e sua moglie e la figlia Marie che nacque dopo quasi dieci anni rimangono figure storiche misteriose. Nel 1424 Gilles, secondo quanto prescritto dalla legge, assume l'amministrazione diretta di tutto il suo immenso patrimonio. Egli cominciava a non intravedere più ostacoli innanzi a sé e avendo a disposizione un enorme quantità di denaro, iniziò a manifestare una forte attitudine allo sfarzo estremo e a manie di collezionismo di ogni tipo: crocefissi, reliquiari, calici e grandi quantità di oggetti antichi; inoltre, a tavola si mangiava solamente adoperando vasellame e posate d'oro, fece adornare i suoi strumenti prediletti, le armi, con perle e smalti ed intarsiare d'oro i guanti d'acciaio delle armature. Nel 1425 entra a contatto con la corte del delfino Carlo VI di Valois ma, al contrario della maggior parte dei nobili di quel tempo, non assunse mai un atteggiamento di adulazione nei confronti del sovrano e non stimò mai la vita di corte ma la considerava squallida, insopportabile e si attirò l’odio degli altri individui dal sangue blu perché, sebbene prestasse grandi quantità di denaro anche allo stesso re, lo faceva senza richiedere mai la restituzione e con una freddezza tale da suscitare odio piuttosto che riconoscenza: l’onestà non era vista di buon occhio da una società profittatrice e senza scrupoli. Gilles de Rais non era un personaggio adatto per la vita monotona e corrotta della corte francese, il suo pensiero era rivolto sempre al campo di battaglia, alla vista di centinaia di esseri umani trucidati nei più disparati modi, alle torture che all’epoca erano parti integranti e legalmente consentite di una vittoria. La guerra gli permetteva di poter realizzare il suo desiderio di morte e questo lo rese un ottimo e coraggioso condottiero, per questo i suoi soldati lo rispettavano molto. Non gli importava assolutamente nulla della politica o della patria, tutto ciò che contava per lui era la morte dei nemici e, ancora di più, la vista delle loro sofferenze atroci. Nel 1428, durante l’assedio di Orlèans da parte degli inglesi fa conoscenza di un’altro personaggio leggendario: Giovanna d’Arco. Gli opposti si attraggono, e Gilles stimava molto questa donna apparentemente così diversa da lui ma, in realtà, entrambi eccessivi sebbene sotto aspetti diversi: Gilles nella crudeltà e nello sfarzo mentre Giovanna eccedeva nel fervore mistico. Inoltre, il signore di Rais apprezzava in lei la severità e lo sprezzo che a volte manifestava con i soldati, lo stesso atteggiamento che Gilles aveva nei confronti dell’ambiente di corte. Nel 1429, al momentaneo termine delle ostilità, le strade dei due si divisero e Gilles de Rais venne nominato maresciallo di Francia con il diritto di fregiarsi delle insegne reali diventando, a soli 25 anni, uno degli uomini più celebri e potenti del regno. E’arrivato il momento di narrare il momento più oscuro e orrendo della vita del sire di Rais e per farlo occorre innanzitutto concentrarsi su due eventi: nel 1431 morì il nonno ed ex tutore Jean de Craon e poco dopo cadde in disgrazia il suo protettore a corte La Tremoille. Il primo avvenimento determinò la definitiva caduta dell’ultimo ostacolo alla totale libertà d’azione ma, allo stesso tempo, nell’animo di Gilles infuse una certa insicurezza che venne accentuata dal secondo avvenimento, il quale determinò la fine di ogni appoggio sicuro alla corte del re. Inoltre, la fine delle azioni militari non aveva certo esaurito la sua sete di morte e di sangue ma, anzi, l’aveva accresciuta a tal punto che per non pensarci il signore di Rais riversò tutta la sua attenzione sulle manie di collezionismo acquistando gli oggetti più disparati. Tuttavia, dovette presto constatare amaramente che le casse languivano; le cause erano molteplici: il compenso di truppe e capitani durante la guerra, le spese folli per mantenere lo sfarzo di cui si era sempre circondato e il mantenimento della sua piccola corte. Perciò, per potersi permettere un tale tenore di vita, cominciò a vendere i beni di famiglia (il primo fu il castello di Blaison).
Il signore di Rais, circondato minacciosamente da un fasto del quale sapeva bene essere solo una mascherata del suo desiderio di morte e oppresso dalla solitudine interiore, si trovò di fronte ad un bivio: scegliere se schierarsi (o meglio, considerato il personaggio, comandare) tra le file delle forze del Bene oppure sotto i neri vessilli del Male e la sua scelta cadde su quest’ultime. Possiamo considerare l’anno 1429 come la data di inizio della sua discesa verso l’Inferno: Gilles de Rais decise di risolvere le sue questioni con il sangue di bambini innocenti seviziati, torturati e sacrificati in onore del Signore delle Tenebre. Misteriosamente, cominciarono a scomparire alcuni bambini dei villaggi vicini ai castelli del signore di Rais: il primo fu Jean Jeudon, apprendista dodicenne del pellaio di Machecoul. Il fanciullo, mosso dal desiderio di ricevere un premio e dall’emozione di entrare a contatto con il mondo della nobiltà, decise sventuratamente di seguire un membro della corte del sire di Rais che si presentò alla bottega del pellaio chiedendo a costui di prestare Jean al suo signore per portare un messaggio urgente al castello. Il malcapitato non fece mai più ritorno e quando, di sera, il pellaio chiese sue notizie, gli venne cortesemente risposto con una sequèla di scuse che verranno addotte in seguito nei confronti di centinaia di altri bambini e, più raramente, bambine: forse il ragazzo si era perso, forse era stato rapito dai briganti o, perché no, era stato rapito da un fantomatico cavaliere scozzese che ne aveva fatto il suo paggio. La realtà era ben diversa: i malcapitati venivano sottoposti ad ogni sorta di crudeltà e sevizie. Ogni notte, al termine dei sontuosi banchetti che si tenevano nei suoi castelli, il signore di Rais si ritirava nelle sue stanze seguito dai suoi fidi Henriet e Poitou, dal suo intendente Sillè e da un prete apostata fiorentino di nome Francesco Prelati, oltre che dai membri della sua piccola corte. In questi luoghi, illuminati da torce, si svolgevano riti satanici caratterizzati inizialmente da violenze sessuali sui poveri bambini e in seguito da torture e uccisioni di un incredibile sadismo. Francesco Prelati era tenuto in grande considerazione da Gilles perché era l’officiante delle messe nere e si professava tramite tra lui e il demone Barron che lo avrebbe aiutato a risolvere i problemi di natura finanziaria. Col sorgere del sole, il signore di Rais sembrava trasformarsi e, in un delirio mistico, partecipava sempre alla Santa Messa e si circondava di giovanissimi chierichetti-cantori che tenevano intensi concerti di musica sacra. Si può immaginare senza difficoltà perché si circondasse di questi fanciulli: di notte diventavano i tristi protagonisti dei macabri riti del signore di Rais. 
Nel libro
Historie de la magie del 1860 Eliphas Lèvi, scrittore esperto in scienze occulte, narra un aneddoto leggendario riguardante la fine delle sue nefandezze: nel castello di Machecoul c’era una torretta la cui porta era murata perché, a detta del signore di Rais, minacciava di crollare. Nessuno osava penetrarvi e, tuttavia, Catherine (la consorte di Gilles), che il marito lasciava spesso sola di notte, aveva scorto delle luci rossastre andare e venire dalla torre. Il giorno di Pasqua del 1440, il signore si congedò dalla sua consorte annunciandole che stava per partire per la terra santa e, poiché era incinta di parecchi mesi, le concesse di far venire sua sorella Anna a stare con lei per farle compagnia. Catherine confidò allora alla sorella i suoi timori: che cosa succedeva al castello? Perché suo marito era così tetro? Perché queste sue assenze frequenti di notte? Perché quelle luci nella torre? Nonostante il divieto, le due donne decisero cercare l’entrata segreta della torre. La cercarono dappertutto ed infine, nella cappella, proprio dietro l’altare scorsero un bottone di rame che, premuto, rivelò un entrata con degli scalini di pietra. Le due salirono e al primo piano trovarono una cappella, con una croce capovolta e dei ceri neri. Sull’altare era posta una figura orrenda, che rappresentava il demonio. Al secondo piano, c’erano dei fornelli, delle storte, degli alambicchi e del carbone (alcuni strumenti usati dagli alchimisti). Al terzo piano, la camera era oscura e vi si respirava un’aria fetida che obbligò le due donne ad uscire. Catherine urtò contro un vaso, che si rovesciò ed ella si sentì inondare l’abito da un liquido denso e di natura misteriosa. Quando tornò alla luce del pianerottolo, si accorse di essere tutta sporca di sangue. Per Catherine la curiosità fu più forte dell’orrore: ridiscese, prese una lampada e risalì nella camera oscura. Vide uno spettacolo orribile: allineati in ordine lungo le pareti, c’erano dei bacili di rame con etichette su cui erano annotate le date e al centro della stanza, su di un tavolo di marmo nero, era steso il cadavere di un bambino sgozzato da poco. Ad un tratto delle voci chiamarono Catherine e annunciarono che Gilles de Rais stava tornando; mentre si precipitavano verso le scale sentirono un gran rumore di passi e voci nella cappella del diavolo. A quel punto, Anna fuggì e salì fino alle mura merlate della torre, mentre Catherine scende le scale e si trovò faccia a faccia col marito che stava salendo in compagnia del Sillè e di Francesco Prelati. Quest’ultimo, mentre Gilles afferra la moglie per un braccio e la trascina nella cappella, dice al suo signore: “Vedete che è necessario, la vittima è venuta spontaneamente”. Per comprendere le ragioni del repentino ritorno al castello del signore di Rais occorre sapere che costui, invece di prendere la strada per Gerusalemme, aveva preso quella per Nantes dove risiedeva Prelati e l’aveva minacciato di morte se non gli avesse dato il mezzo per risolvere una volta per tutte i suoi problemi. Il prete apostata gli aveva risposto che bisognava sacrificare a Satana il bambino nascituro. Mentre Gilles, Prelati e Sillè si apprestavano a compiere la messa nera, Anna dalla cima della torre faceva col velo segnali di pericolo e le risposero due cavalieri seguiti da alcuni soldati che arrivarono al castello. Nel frattempo il signore di Rais aveva fatto momentaneamente interrompere la cerimonia nera per andare ad accogliere amichevolmente i cavalieri. Tuttavia, nonostante Gilles avesse vietato a Catherine di fare alcun cenno, lei a bassa voce disse ai cavalieri che suo marito voleva ucciderla e subito dopo Anna, scendendo dalla torre, gridò di aiutarle e fu così che il signore di Rais venne smascherato e iniziarono le ricerche che avrebbero provato la sua colpevolezza e lo portarono alla forca. Secondo la storia, invece, nel 1437 le voci sui bambini scomparsi si fecero troppo numerose ed insistenti per essere ignorate e il vescovo di Nantes inviò degli investigatori nelle molte residenze del signore di Rais per verificare la vox populi. Avvertendo il pericolo di queste indagini, Gilles e i membri della sua corte iniziano una frenetica attività di occultamento dei cadaveri che non erano stati bruciati. Tuttavia, questo rimedio si rivelò inutile: le vittime erano troppe ed erano state gettate con noncuranza nei più disparati antri dei castelli prima di adottare la pratica di bruciarli nei camini. Vennero ritrovati i resti di cinquanta corpi di bambini, straziati nei modi peggiori. Il 14 settembre 1440, per ordine del vescovo Malestroit, Gilles de Rais venne arrestato. Nell’aula dove si svolse il processo i giudici ordinarono che fosse velato il crocifisso. Sul signore di Rais gravavano, da parte dell’autorità ecclesiastica, le accuse di eresia, satanismo e sodomia mentre dall’autorità civile l’accusa di omicidio dal momento che confessò il massacro di 149 bambini (ma forse sono molti di più) avvenuto tra il 1432 e il 1440. Tuttavia, nessuno dei presenti al processo avrebbe mai pensato di avere dinanzi uno dei più terribili mostri della storia: infatti, dopo aver ammesso i suoi crimini, iniziò ad esortare veemente i genitori presenti affinché i loro figli crescessero nella più rigida educazione cristiana senza cedere alle tentazioni e chiese in ginocchio ed in lacrime che gli venisse ritirata la scomunica. La sua unica ed ultima richiesta venne esaudita. 
Prima di descrivere la fine di questo oscuro personaggio, occorre osservare che un altro elemento importante in questa storia di mostri e orrori è l’alchimia: Gilles, infatti, era praticante di questa scienza e Eliphas Lèvi ci suggerisce un interpretazione dei suoi riti sanguinari. Secondo questo autore, il sire di Rais aveva tenuto nascosta ai giudici la reale motivazione dell’uso del sangue dei bambini, ovvero la ricerca in esso della pietra filosofale: “…Aveva creduto, prestando fede ai negromanti, che l’agente universale della vita potesse essere improvvisamente coagulato dalla combinazione di azione e reazione derivante dall’oltraggio alla natura e dal crimine. Egli raccoglieva poi la pellicola iridata che si formava sul sangue non appena cominciava a raffreddarsi, le faceva subire diverse fermentazioni e metteva il prodotto nell’uovo filosofale dell’atanoro, aggiungendovi sale, zolfo e mercurio. Gli stregoni ebrei, infatti, convinti com’erano che l’atto di fecondazione umana attiri e coaguli la luce astrale, reagendo per simpatia sugli esseri sottoposti al magnetismo dell’uomo erano giunti a quelle deviazioni […] Facevano innestare gli alberi da donne e, mentre loro inserivano l’innesto, un uomo compiva su loro atti oltraggiosi contro natura…”.
Il 26 ottobre 1440 Gilles de Laval signore di Rais, quasi per farlo ricongiungere in morte con l’Inferno in cui aveva sempre vissuto, fu bruciato vivo assieme ai suoi due compagni di orrori Henriet e Poitou e i suoi resti vennero in seguito sepolti nella chiesa di Notre Dame des Carmes a Nantes. Alla fine del XVIII secolo, durante la Rivoluzione Francese, le tombe vennero scoperchiate e i resti del sanguinario signore di Rais si dispersero per l’eternità. Le numerose dimore seguirono la maledizione del loro proprietario, subirono danni irreparabili e oggi non rimangono che rovine diroccate.
A conclusione di questa breve avventura in uno degli antri più oscuri della Storia, ritengo interessante annotare una curiosità: sul finire dell’800, l’abate Eugène Brossard che si recò nei luoghi in cui era vissuto il macabro nobile per raccogliere elementi importanti al fine di scriverne una biografia, trovò ancora i resti di ossa umane, ad ulteriore testimonianza di quante vite innocenti perirono orribilmente in quegli anni; inoltre, notò che nei territori dove sorgevano i castelli del signore di Rais (Tiffauges, Champtocé, Pouzauges, Machecoul) la popolazione aveva confuso il ricordo di Gilles de Rais con il personaggio fiabesco di Barbablù (questo nome deriva dal fatto che Gilles aveva la barba talmente nera da sembrare blu) creato da Charles Perrault sebbene ci fosse l’evidente differenza che il primo presentava un sadismo soprattutto di tipo omosessuale nei confronti di bambini, mentre il secondo era un uxoricida. 
E’ difficile fare un bilancio complessivo di cosa sia stato Gilles de Rais: indubbiamente un personaggio estremamente complesso. Sarebbe troppo sbrigativo etichettarlo solo come “mostro spietato”, dal momento che fu un grande comandante che a 25 anni era uno degli uomini più potenti del regno di Francia, nominato maresciallo e estremamente generoso col re ma distaccato dalla corte reale, viziata e corrotta perciò profondamente onesto sotto tale punto di vista; a questo lato positivo verrà unito quello oscuro di alchimista, satanista e sadico. Osservandolo ora, nel 2005, ci accorgiamo che fu un serial killer incredibilmente moderno che agiva favorito anche dal fatto che, in quel tempo nessuno faceva molto caso alla quantità di bambini del popolo che sparivano misteriosamente. Al suo cospetto, per crudeltà, sembrano principianti persino Jack lo Squartatore, il mostro (o i mostri?) di Firenze e il celebre Andrej Cikatilo cui spetta il record di omicidi (53 in 12 anni) e, non a caso, venne definito dagli psichiatri il “Barbablù della foresta”, essendo le sue vittime soprattutto ragazzi e ragazze al di sotto dei sedici anni.

         

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