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Elliott O'Donnell

a cura di Elisa Palmieri

           

Una notte di sessant’anni fa, in una villa disabitata nei dintorni di Bristol, quattro uomini vegliavano in una stanza. Se ne stavano al buio, la torcia elettrica a portata di mano in silenzio. La quiete era assoluta. A parte i soliti rumori delle vecchie case, naturalmente. Ma i professionisti sanno distinguere i tarli da un diverso genere di creature. E a capo del quartetto c’era il più grande dei professionisti, una leggenda vivente, l’irlandese Elliott O’Donnell (1872-1965). Una quinta persona era appostata fuori della stanza, sul pianerottolo in cima alle scale. Non faceva parte della squadra, era un amico aggregatosi per spirito d’avventura. Aveva fatto a piedi tutta la strada da Bristol, 8 miglia nella nebbiosa ed umida brughiera del Somerset, vinto dalla stanchezza, si era addormentato. Alle tre di notte, la quiete fu spezzata da un urlo di terrore e da invocazioni di aiuto. I quattro si precipitarono sul pianerottolo. Il loro compagno era fuori di sé dalla paura. raccontò di avere avuto un incubo: un uomo alto e magro, dal viso cadaverico, aveva salito le scale a grandi balzi, quattro scalini alla volta, gli era passato vicino ed era entrato nella stanza attraverso la porta chiusa. La villa, si diceva, era infestata da due spettri: un monaco incappucciato e una figura alta e magra. La stanza scelta per la veglia notturna era quella infestata. Vi rientrarono tutti e cinque. Per più di un’ora non accadde nulla. Poi uno della compagnia si alzò sbadigliando Per questa notte ne ho abbastanza, ragazzi. Io tolgo il disturbo.” Si girò verso la porta e ricadde subito a sedere, con un grido strozzato. Elliott O’Donnell si guardò intorno. Sulle prime non notò nulla di strano, poi vide una fioca luminosità rossastra che aleggiava a un paio di metri da terra. Per una frazione di secondo O’Donnell provò una sgradevole sensazione di disagio. Quando furono accese le luci, i compagni gli dissero che quella cosa era passata attraverso di lui. L’uomo che aveva gridato spiegò di averla vista come una figura umana, alta e filiforme, dal viso bianco e sottile, simile ad un teschio. Qualche anno dopo O’Donnell ricevette da uno dei suoi assistenti la fotografia scattata nella stanza infestata durante un’altra apparizione dello strano fenomeno luminoso. Sviluppata, aveva rivelato il volto fluttuante del monaco, l’altro inquilino di Brockley Manor nel Somerset. Elliott O’Donnell amava dire di se stesso :” Non sono un membro di qualche augusta società che conduce le sue indagini sull’altro mondo con provette e bilancini; e neppure pretendo di essere un medium o un chiaroveggente. Sono solo un cacciatore di fantasmi”. O’Donnell vide il suo primo fantasma a cinque anni, nell’antica casa di famiglia nella contea di Limerick: un’apparizione bizzarra, un testone enorme con due occhi gialli. Fu come un presagio del suo futuro. Da allora ebbe decine di incontri con gli spettri. Non aveva bisogno di cercarli, perché li incontrava ovunque. La sua innata e arcana disposizione agli incontri spettrali era dovuta, secondo lui, alla purezza del suo sangue celtico. Così il giovane Elliott lasciò il teatro e seguì il suo destino. Per i primi 60 anni di questo secolo, dovunque ci fosse una casa infestata, c’era O’Donnell, armato di occhiali a pince-nez, mantello e bastone da passeggio. Se lo spettro c’era, di rado gli sfuggiva. Ma qualche volta furono i fantasmi ad avere la meglio. In una casa di Duke Street, a Glasnow, gli abitanti erano seguiti da passi misteriosi e vedevano sulle pareti l’ombra di un uomo privo della mano sinistra. I bambini avevano un compagno di giochi invisibile ai loro genitori, descritto come un grosso cane che però non è proprio un cane. Una notte, allungando la mano verso il comodino per spegnere la lampada, il padrone di casa toccò qualcosa di morbido e freddo: una mano senza dita che strisciava sul  comodino. La casa fu abbandonata la notte stessa. Qualche mese dopo O’Donnell vi si recò da solo, al tramonto. Si trovava lì da pochi minuti, quando sentì picchiare rudemente alla porta d’ingresso. Era un poliziotto, insospettito dalla luce della torcia elettrica nella casa sfitta. O’Donnell gli spiegò il motivo per il quale si trovava lì. L’agente sorrise ”Strano passatempo il suo. Ad ogni modo neppure io avrei paura in compagnia di un grosso cane come quello!” e puntò il dito verso la scala. O’Donnell si girò. Una grossa forma nera, che sembrava un cane, stava ferma a metà delle scale. Mentre O’Donnell la fissava, si dissolse, come assorbita dalla parete. Quella volta nonostante la sua familiarità con l’ignoto e il suo sangue freddo, Elliott O’Donnell sentì che non sarebbe riuscito a restare in quel luogo neppure un secondo di più, e abbandonò l’indagine. “Entrare di notte in una casa vuota – scrisse - e restare al buio, in costante attesa di non si sa cosa, non è molto salutare né per il corpo né per la mente, e prima o poi sfibra anche le persone dai nervi più saldi…Ma non posso farne a meno, perché la ricerca dell’ignoto mi attrae e mi affascina".

BIBLIOGRAFIA

· Secondo Almanacco della Paura - Articolo di Mauro Boselli
     

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