Rimasto
orfano a soli due anni, venne raccolto da un ricco mercante di
Richmond, John Allan. Gli anni dal 1815 al 1820 li passò in Gran
Bretagna, frequentando diversi istituti di istruzione. Di lì passò
alla Virginia Università, dove condusse una vita disordinata,
tanto da venire ad una rottura col padre. Seguì, a Boston il
primo tentativo poetico con la stampa, a spese dell’autore, di
Tamerlane and Other Poems (1827; Tamerlano e altre poesie). Il
volumetto non ebbe successo e Poe si arruolò allora
nell’esercito. Si sottrasse tuttavia al contratto obbligatorio
quinquennale in capo a soli due anni quando, in seguito ad un
ravvicinamento col padre, questi pagò un sostituto il quale
ultimasse la ferma. Un secondo tentativo letterario - la
pubblicazione di Al Araaf, Tamerlano and Minorpoems (1829; Al
Araaf, Tamerlano e poesie minori) – non sortì miglior successo
del primo. L’autore si era intanto stabilito a Baltimora, presso
la zia materna Maria Clem, madre di quella Virginia che, nel 1836,
all’età di 14 anni, divenne la moglie bambina del platonico
cugino. A quel tempo Poe era già dedito all’alcool e, forse,
all’uso di oppiacei. Con il 1832, tuttavia, le porte della fama
parvero schiudersi: quell’anno il Philadelphia Satur Daj Courier
pubblicava infatti, anonimi cinque suoi racconti, e l’anno
seguente il Baltimore Satur Daj Visiter gli assegnava un premio
per il Manuscript Found in a Bottle (manoscritto in una
bottiglia). Incominciò allora la fortunosa, più che fortunata,
carriera giornalistica dello scrittore, il quale, pur riuscendo a
decuplicare la tiratura dei periodici presso i quali veniva
assunto, finiva sempre per rompere i rapporti con i rispettivi
proprietari. Nel 1838 è la pubblicazione della più lunga opera
narrativa di Poe: The Narrative of Artur Gordon Pjm (avventure di
Gordon Pjm) e del 1840 quella dei Tales of the Grottesque and
Arabesque (racconti arabeschi). Cessati nel 1840, per i soliti
motivi, i rapporti con il Gentleman Magazin , Poe ripiombò nella
miseria finchè – passato da Filadelfia a New York, dove continuò
a vivere di espedienti, nel gennaio del 1845 The Evening Mirror
gli pubblicava The Raven (il Corvo). La famosa lirica ottenne un
successo addirittura clamoroso. Nuovi eccessi alcolici e difficoltà
finanziarie vennero tuttavia a determinare una nuova parabola
discendente, che toccò il punto più basso nel 1847 con la morte
di Virginia, cui seguì un così vorticoso carosello di
“passioni bianche” che si direbbe esse andassero di pari passo
con il disgregamento della personalità del poeta. Al carosello
degli “amori” fa riscontro il carosello dei luoghi: conferenze
da un capo all’altro del paese con successi e rovesi memorabili,
seconda le condizioni di sobrietà o di ebbrezza dell’oratore.
Il cerchio si chiude: la data con il matrimonio con Elmira Royster,
vedova Shelton, risorta dalle nebbie del passato, ormai fissata al
17/10/1849; il pomeriggio del ottobre, a Baltimora, Poe fu trovato
in condizioni pietose davanti la porta di una taverna; ricoverato
d’urgenza in un ospedale, vi moriva il 7 ottobre dopo un lungo
delirio interrotto da brevi momenti di lucidità. Incominciava da
quel momento la ridda delle congetture e delle diatribe. La
fortuna europea e particolarmente francese, delle opere di Poe,
non trov a
riscontro nella critica americana e inglese, assai più severa
nell’indicare, soprattutto nei versi, quegli elementi che Aldous
Huxley non ha esitato a definire volgari. Sta di fatto che uomini
come Baudelaire (che prima lo tradusse e lo introdusse in Francia)
si lasciò affascinare dalla immagine di un Poe “poete maudit”
avanti lettera. Quanto la definizione di “poete maudit” gli si
attagli è discutibile. Rara lucidità di intelletto, spirito
analitico, rigoroso e al tempo stesso sottile, precisione quasi
matematica, presiedono in vero all’opera sua assai più che non
facciano le qualità di intuizione o di fantasia. Il dono che
consentiva a Poe di dare espressione letteraria agli spunti
narrativi che gli venivano dalla mente, era soprattutto quello che
egli stesso definì “fantasia analitica”: il processo mentale,
cioè, grazie al quale gli riusciva di percorrere a ritroso il
cammino sotterraneo compiuto da una sensazione o da una immagine,
così da ricostruire l’edificio dalle fondamenta, arricchendolo
al tempo stesso – attraverso un processo più razionale che
fantastico – di particolari quanto mai attendibili e minuti. I
suoi paesaggi sono innaturalmente fissi, vitrei, come in un
incubo: la monotonia martellante dei suoi ritmi è ossessiva. La
sua personalità letteraria è costituita da una fantasia
allucinata e immobile, da capacità raziocinanti da altissimo
grado, e da una costante gravitazione dell’opera intorno
all’io dell’autore.
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