In
vicolo de' Pepoli, parrocchia di S. Stefano in Bologna, nasce
Ulisse Aldrovandi, dal conte Teseo Aldrovandi, notaio e
segretario del senato bolognese, e da Veronica Marescalchi,
cugina di Ugo Boncompagni (che diverrà papa con il nome di
Gregorio XIII). Orfano del padre in giovane età (1529), viene
affidato, insieme coi due fratelli, Floriano e Achille, e le tre
sorelle, Cornelia, Isabella, Lucrezia, alla tutela della madre.
Apprende i primi rudimenti delle lettere da un precettore
privato. Non ancora dodicenne, si reca a Roma, all'insaputa dei
suoi, "senza danari, con animo ardito". Rientrato a Bologna,
studia aritmetica con Annibale della Nave. Su suggerimento di
questo, per la sua versatilità, i parenti lo impegnano "a tener
conti e scriver lettere" prima presso un mercante bolognese,
quindi, per circa un anno (1537), presso un mercante di Brescia.
Ritornato a Bologna, ripreso dal desiderio di viaggiare, parte
nuovamente per Roma, spingendosi poi in un lungo e avventuroso
pellegrinaggio in Spagna, fino a S. Maria di Compostella.
Tornato a Bologna, rinuncia ai viaggi per l'insistenza dei suoi
genitori e intraprende un corso regolare di studi: quelli
universitari di umanità e di diritto nell'ateneo bolognese e nel
1542 diviene notaio. Nel 1548 si trasferisce all'Università di
Padova, dove, per venti mesi, segue le lezioni di logica, di
filosofia nonché di medicina e di matematica. Il soggiorno
patavino appare determinante per la sua formazione
logico-filosofica e medica. Ritornato a Bologna, risulta
coinvolto in un processo per eresia, quale presunto seguace
dell'antitrinitario anabattista Camillo Renato. Arrestato con
altri sospetti il 12 giugno 1549, il 1° settembre pronuncia
pubblica abiura, senza che ciò gli eviti di venir comunque
condotto a Roma per la prosecuzione del processo. Qui rimane
circa otto mesi (settembre 1549-aprile 1550), parte dei quali
trascorsi in carcere, parte in libertà. Ne approfitta per
studiare filosofia e medicina. Al soggiorno romano risalgono i
primi interessi spiccatamente naturalistici: botanici e
ittiologici. Al soggiorno romano risale altresì la redazione
(1550) della sua prima opera a stampa: Delle statue romane
antiche, che per tuttaRoma, in diversi luoghi, et case si
veggono, pubblicata però nel 1556. Rientrato a Bologna, decide
di approfondire gli studi di botanica, zoologia, mineralogia, e
di completare quelli medici già intrapresi. L'interesse per le
dissezioni anatomiche rimarrà anche in seguito un tratto
fondamentale e costante della sua attività di scienziato. Nel
1551 in giugno organizza un'escursione scientifica a scopo di
erborizzazione, che gli consente di comporre i primi due volumi
dell'erbario di piante secche agglutinate. Nel 1552 si fa
promotore di un'escursione scientifica, a scopo di
erborizzazione, alle Alpi di Sestola, Fiumalbo, Frignano e Monte
Santo. Nel 1553, sempre nel mese di giugno, intraprende un
viaggio naturalistico sulle Alpi di Montegibbio (dove osserva
anche bitumi, pietre, terre), Sassuolo, Fiumalbo, Lagosanto,
Alpi del S. Pellegrino, Alpi della Pania nel lucchese. Passa poi
a Lucca e a Monte S. Giuliano dove annota tutte le piante
coltivate nel locale orto botanico. Si reca altresì a Livorno e
all'Isola d'Elba, dove raccoglie piante, minerali e pesci. Il
ricco materiale reperito gli serve per arricchire il proprio
museo naturalistico e per la composizione dei volumi quinto,
sesto e settimo dell'erbario. Il 23 novembre si laurea in
filosofia e medicina all'Università di Bologna: gli dà le
"insegne" il filosofo Mainetto Mainitti. Diventa membro del
collegio dei medici. Il Senato bolognese gli offre la lettura di
Logica per l'anno accademico 1553-1554, ma lui non accetta. Il 5
novembre inaugura pero’ il proprio insegnamento nell'ateneo
bolognese dalla cattedra di Logica tenendo un corso sul primo
libro degli Analitici secondi di Aristotele (a.a. 1554-1555).Nel
novembre 1555, sebbene fosse costume non trasferire alcun
docente dall'insegnamento di logica a quello di filosofia se non
trascorso un triennio, gli viene assegnato il corso di filosofia
straordinaria, vertente quell'anno sui Meteorologica di
Aristotele. Continua peraltro, a insegnare privatamente logica,
almeno fino al 1557. Nel 1556 inizia una serie di esperienze per
sostituire taluni elementi nella composizione della "teriaca",
diffuso medicamento dell'epoca. Nel 1559 si adopera, senza
esito, per trasferirsi all'università di Padova e per far venire
il Falloppia a quella di Bologna. Nel Novembre dello stesso anno
passa alla cattedra di Filosofia ordinaria dell'ateneo
bolognese, leggendo quest'anno i Parva naturalia aristotelici.
Nel 1560 quale protomedico (sovrintendente all'operato degli
"speziali") si occupa del controllo delle composizioni dei
farmacisti per "corregendovi ottanta errori encomissimi". Ha un
figlio naturale, Achille. Viene invitato da Cosimo de' Medici a
leggere nell'ateneo pisano scienze naturali, ma resta a Bologna.
Nel 1561, precisamente il 22 febbraio in corso di anno
accademico, inaugura la prima cattedra bolognese ordinaria (che
terrà fino al1600) di scienze naturali (lectura philosophiae
naturalisordinaria de fossilibus, plantis et animalibus),
leggendo il “De Theriaca ad Pisonem”. Nel 1562 si reca a Trento
con Camillo Paleotti, Antonio Giganti e altri per assistere
all'apertura del concilio, nonché per erborizzare ed esplorare
le miniere di quella regione. Nel 1563 si adopera affinchè sia
redatto un pubblico "dispensario" o "antidotario", che serva da
guida all'operato delle "speciarie". A tal fine riunisce anche
in casa propria per due mesi un gruppo di esperti ma il suo
progetto verrà realizzato nel 1574. Nello stesso anno sposa
Paola Macchiavelli. Comincia in seguito a chiedere con
insistenza alle autorità bolognesi un orto botanico pubblico. Ma
nel 1565, esattamente il 5 aprile muore sua moglie Paola.
Aldrovandi, profondamente colpito da questo lutto, si reca
presso il fratello Achille (divenuto canonico regolare di S.
Salvatore col nome di Teseo) a Ravenna, dove raccoglie marmi e
"molte bizarie maritime" per il proprio museo. Il 10 ottobre
dello stesso anno sposa pero’ Francesca Fontana, che diverrà sua
valida collaboratrice nella ricerca. Ottiene in seguito che sia
istituito in Bologna un orto botanico pubblico, che viene
situato, con sua insoddisfazione, in un cortile interno
dell'attuale palazzo comunale. A lui ne è affidata la direzione,
essendogli associato, fino al 1571, Cesare Odoni, che teneva il
corso straordinario De simplicibus.
Nel 1571 torna a Bologna ripassando da Ferrara. Portata a buon
punto la sintassi botanica e animale, concentra i propri studi
su una medicina e farmacologia a base mineralogica. Ragion per
cui, nel novembre del 1571, per il corso universitario, decide
di iniziare a trattare "la materia de la pharmaceutica,
cominciando da le cose inanimate, come terre, succi concreti,
metalli, etc., che s'usano in medicina". In questa "materia"
egli tenne più di 700 lezioni nell'arco di 10 anni (fino al
1581) onde esaurire "tutta questa parte farmaceutica",
considerando sistematicamente non solo le "cose inanimate", ma
anche le piante e infine "tutti gli animali sanguinei et
essangui, ovipari et vivipari, insecti, serpenti, crustacei,
testacei, et d'ogni specie d'animali specialissima ancora di
zoophiti" come attestano le "sue lettioni epitomali dette così
in comparatione a i suoi gran comentarii sopra Dioscoride". Nel
1574 scrive il primo Antidotario bolognese, prontuario per la
corretta composizione dei medicamenti, ad uso preciso dei
farmacisti. Nel 1575 si apre la controversia (che si concluderà
due anni dopo) sulla composizione della teriaca fra l'Aldrovandi,
gli "speziali" e il Collegio dei medici bolognesi. Ancora l'anno
precedente, l'Aldrovandi, quale protomedico, aveva fatto
comporre pubblicamente la teriaca, secondo modalità da lui
indicate, nel convento di S.Salvatore. Ma l'11 giugno di quest'anno
la Compagnia degli speziali decide di comporre una teriaca,
secondo criteri propri, in concorrenza con quella fatta fare
dall'Aldrovandi. Questi censura pubblicamente la teriaca degli
speziali e nella sua veste di protomedico ne proibisce la
distribuzione. La reazione degli speziali conduce (27 giugno)
all'espulsione dell'Aldrovandi dal Collegio dei medici e alla
decisione delle autorità bolognesi di sospenderlo per 5 anni da
tutte le sue cariche (protodicato, direzione dell'orto botanico,
ecc.). A sostegno delle proprie ragioni l'Aldrovandi scrive l'Echidnologia,
in cui confuta gli argomenti dei suoi avversari sulla teriaca;
ne invia copia ad autorevoli naturalisti dell'epoca chiedendone
ed ottenendone l'avvallo. Nel 1577 Ulisse si reca quindi a Roma
da Papa Gregorio XIII (suo parente per parte di madre), per
chiederne l'intervento sulla questione della teriaca, che
infatti viene conclusa con un motu proprio del Pontefice nel
maggio. Nel giugno dello stesso anno una lettera del cardinal
San Sisto al Reggimento bolognese chiede a nome del Papa, che l'Aldrovandi
sia riconfermato quale direttore dell'orto botanico e, inotre,
che venga aiutato finanziariamente a pubblicare le sue opere.
Successivamente Aldrovandi rientra a Bologna dove ottiene piena
soddisfazione sulla questione della teriaca, venendo reintegrato
ad omnes honores et dignitates. Con la morte del primo figlio
Achille si estingue la sua discendenza diretta giacchè altri due
figli, avuti dalla moglie Francesca, erano morti in tenerissima
età. Nel 1578 comincia a scrivere un'opera intitolata Historia
naturalis ma nel 1579, verso la fine di agosto, viene colpito da
una febbre che lo costringe a letto per sei mesi, impedendogli
di iniziare regolarmente le lezioni all'università. Nel 1584,
ripresosi ampiamente, inizia la redazione dell'opera Theatrum
biblicum naturale e nel 1586 si dedica alla stesura dell'opera
Admirandorum naturae et artis historia, nonché a quella
dell'autobiografia. Nel 1587 ottiene il trasferimento dell'orto
botanico bolognese in una sede più idonea, nei pressi di porta
S. Stefano. Egli stesso prefetto dell'orto, prende alloggio in
una delle due case della nuova sede. Nel 1593 l’Aldrovandi
comincia ad avere seri problemi alla vista. Ma cio’ non lo ferma
nella sua richissima produzione: nel 1594, avendo deciso di
iniziare a stampare il risultati delle proprie indagini
naturalistiche (in primis di quelle zoologichee mineralogiche),
il 16 dicembre firma un contratto con l'editore Francesco de
Franceschi, di Venezia, impegnandolo, per altro, a stampare a
Bologna, in una stamperia allestita ad hoc, per non sciupare,
nel trasportarle a Venezia, le tavole già incise. L'esecuzione
del contratto avverrà solo in minima parte, causa l'inadempienza
dell'editore, poiche’ - come si vedrà- solo i 3 volumi
dell'ornitologia e quello sugli insetti vedranno la luce con
ancora vivo l'Aldrovandi. Ma le sue condizioni di salute
peggiorano con l’eta’ e nel 1597 è costretto a letto 40 giorni
per una "febretta cattarale". In ragione dell'età, viene
esonerato dagli obblighi connessi con la sua carica di membro
del Collegio dei medici. Nel 1600 Aldrovandi chiede ed ottiene
di riportare l'orto botanico nella sua sede iniziale. Nuovamente
incaricato del trasferimento egli si avvale perciò della stretta
collaborazione del proprio discepolo prediletto Cornelio
Uterverio, che pare l'avesse già aiutato anche in occasione del
primo trasferimento a porta S. Strefano e che nel novembre dello
stesso anno fa designare quale proprio successore nella cattedra
di scienze naturali e nella direzione del giardino dei semplici.Il
6 dicembre dello stesso anno, su propria istanza viene collocato
a riposo, lasciando l'insegnamento universitario; unica cosa che
conserva è la direzione dell'orto botanico. Ma nel 1603 l'età
ormai tarda e le malattie con essa connesse lo costringono ormai
frequentemente a letto. Il 10 novembre fa testamento lasciando
le raccolte del museo naturalistico, la biblioteca di libri
stampati (circa 3600) e le opere manoscritte (circa 300) al
Senato bolognese, con l'impegno che il tutto venga conservato
assieme in un luogo idoneo. Nel 1605, esattamente il 4 maggio
muore a circa 83 anni. Viene sepolto nella tomba di famiglia
sita in una cappella della chiesa di S.Stefano in Bologna.
Aldrovandi e’ stato autore di alcune delle opere naturalistiche
e botaniche piu’ importanti oltre che autore di uno dei testi
più noti, in materia di mostri umani o naturali: la Monstrorum
Historia, pubblicata nel 1642 dopo la sua morte. L’opera
maggiore dell’Aldrovandi e’ pero’ giunta a noi rimaneggiata da
Bartolomeo Ambrosini (1588-1657) e da altri collaboratori che
hanno aggiunto le proprie considerazioni e integrazioni con
altri scritti di fatto modificando in parte l’impianto
dell’opera del maestro bolognese.
Il principale aspetto che ci fa valutare come scientifica
l’opera dell’Aldrovandi e’ un certo rigore nello studio della
natura tentando di superare quell’alone di mistero e magia che
circondava lo studio della natura prima di lui. Certo non si
puo’ dire che Aldrovandi utilizzasse un metodo “scientifico”
come viene inteso oggi (siamo ancora molto vicini
all’osservazione in natura di fenomeni e a volte addirittura l’Aldrovandi
raffigura nelle sue celebri tavole animali o mostri umani di cui
ha solo sentito parlare) ma di certo applica una certa
metodicita’ ed un tentativo di osservazione neutrale.
Alla citta’ di Bologna Aldrovandi ha lasciato alla sua morte un
vero e proprio museo che raccoglieva all'incirca 11.000
esemplari di animali e vegetali, 7.000 piante secche e 8.000
disegni a colori che, ancora oggi in parte, costituiscono il
nucleo del museo. Nella classificazione dei mostri che usa l’Aldrovandi
egli utilizza metri per suddividere e valutare le cause delle
malformazioni e degli ibridi che i suoi studi lo portano ad
incontrare dividendoli in quattro categorie principali : per
eccesso o per difetto di materia, per ibridazione tra animali di
specie diverse, per l'influsso dell'immaginazione su colui che
osserva oppure per cause superiori e divine
Sulla prima causa lo scienziato non fa che riproporre le teorie
in voga presso gli antichi greci, illuminati in molti campi ma
in evidente difficolta’ dinnanzi alla spiegazione di questi
fenomeni naturali, in particolareAristotele e Ippocrate, il
padre della medicina: l'abbondanza o la scarsità di seme durante
l’atto del concepimento generano mostri per eccesso o per
difetto.
In pratica questa teoria, che oggi puo’ fare sorridere e appare
molto fantasiosa, ci suggerisce che alcune deformazioni
sarebbero prodotte nell’atto stesso del concepimento di fatto
convalidando il punto di vista della “giusta” quantita’ di seme
che viene utilizzato.
Seguendo le teorie di Ippocrate, inoltre l’Aldrovandi spiega che
anche le dimensioni dell'utero (troppo largo o troppo stretto)
possono generare individui malformati,evidentemente troppo
grandi nel primo caso o troppo piccoli nel secondo. Dunque
secondo questo punto di vista la natura quando genera mostri
sarebbe impedita da agenti esterni a svolgere ottimamente il
proprio lavoro ma i mostri sarebbero una tipologia perfettamente
esistente in natura, sarebbero in pratica esseri corrotti
all’atto del concepimento da agenti esterni che hanno
danneggiato il regolare concepimento dell’essere vivente, così
come nell’uomo così come negli altri animali.
L'influenza di Aristotele si sente anche a proposito delle
malformazioni derivate dagli incroci tra diversi animali. Qui
tuttavia Aldrovandi dimostra molta meno scientificita’ che in
altri punti della sua trattazione in quanto prevede ibridazioni
tra specie animali che, alla luce delle scoperte scientifiche
sucessive, non potranno mai generare prole ma in questo modo
giustifica tutta una serie di “mostri” come il capriasino
(incrocio di un caprone con un'asina), l'hippotaurus (cavalla e
toro), il cicursus (capro e scrofa), l'equicervus (cervo e
cavalla). Addirittura Aldrovandi si spinge a spiegare con
l’ibridazione tra uomo ed animali l’esistenza di alcuni “mostri”
umani con sembianze animalesche: così alcuni uomini si sarebbero
accoppiati con pecore, alcune donne con tori e così via
giustificando cosi’ la presenza in Africa, a suo dire, di una
popolazione con la testa di cane.
Tra le altre cause naturali che portano alla formazione dei
mostri si ritrova in Aldrovandi la concezione della gravita’ del
coito con la donna mestruata. Il tabù delle donne mestruate
aveva origini antichissime e si ritrova ancora oggi in molte
culture, tra cui quella ebraica e cristiana. Nelle sacre
scritture la donna in quel periodo viene considerata come un
essere immondo che deve essere isolata e necessita di riti di
purificazione quindi il rapporto procreativo in quel periodo non
puo’ che portare a malformazioni e problemi nel feto.
Un'altra causa dell'insorgenza dei mostri è individuata nel
ruolo che Aldrovandi attribuisce all'immaginazione della madre
durante l'atto del concepimento o durante la gravidanza.
Anche in questo caso questa credenza trae origini antichissime,
vale la pena di ricordare che nella Bibbia si parla di alcune
pecore che avevano partorito agnelli striati perché negli
abbeveratoi erano stati piantati dei rami a strisce e nel libro
di Enoc si narra addirittura che alcuni angeli avrebbero
procreato con donne umane dando vita ad un a razza di umanoidi
giganti (e secondo Aldrovandi in America sarebbero state trovate
popolazioni di dimensioni gigantesche). L'idea che le fantasie
della madre potessero imprimere modifiche mostruose al feto si
ritrova in tutte le epoche sino al tardo 1700 e sopravvive anche
ai giorni nostri nel tentativo di evitare alle madri le “voglie”
in quanto il figlio le riporterebbe sulla propria pelle una
volta venuto alla luce.
Le credenze degli antichi si palesano in modo evidente anche
nella quarta categoria, quella degli eventi per cause superiori
e divine in cui l’Aldrovandi vede l’intervento di forze
soprannaturali su alcuni concepimenti particolari: cosi’ si
spiegano ad esempio le uova con le effigi umane rappresentate
con la testa piena di serpenti o altre stranezze di tale natura.
Aldrovandi ha un elenco fornitissimo di mostri umani ed alcuni
sono di certo incredibili e ai giorni nostri suscitano un po’ di
ironia.
Tra i piu’ famosi e tra i piu’ interessanti si notano parecchi
casi di animali bicefali, con malformazioni di arti di varia
natura, di gemelli siamesi, di esseri umani multiteste con
aspetti via via caprini, canini, bovini e di altre nature
animalesche.
Aldrovandi fa traspirare nei suoi disegni, che ancora oggi
suscitano molta emozione nello spettatore, quel suo ottimismo
scientifico, quel tentativo di catalogare e rinchiudere in un
campo familiare alla umana conoscenza tutte le meraviglie che la
natura ci puo’ offrire.
Aldrovandi come un novello pittore cattura sulla tela un
soggetto, nel suo caso mostruoso, e trasporta nell’immortalita’
l’immagine che ritrae.
Aldrovandi e’ famoso anche per la sua credenza sull’esistenza
dei draghi che inseri’ in molte sue opere accanto ad animali
realmente esistenti.
A Bologna venne convocato quando si trovo’ una specie ritenuta
“draghesca” ed il nostro con soddisfazione registro’ il caso
come un “ritrovamento di un piccolo drago nel bolognese”. Si
trattava probabilmente di un rettile gravemente malformato.
Aldrovandi pero’ e’ noto anche per le sue bellissime e
ricchissime tavole naturalistiche che comprendono animali,
piante, fiori e moltissimi altri organismi.
Vero fotografo d’altri tempi, l’Aldrovandi ci trasmette
attraverso l’amore e la passione per i suoi soggetti il
messaggio che la natura e’ di per se meravigliosa e che va amata
e rispettata nelle sue molteplici forme.
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