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Torino e la Geometria Sacra (Torino) |
a cura di Gaetano Barbella |
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La Città di
Torino nacque nel tratto di pianura che collega il Piemonte
settentrionale a quello meridionale, tra i rilievi morenici
di Rivoli e le colline del Po, in un'area delimitata dal
corso di due fiumi: la Dora Riparia a nord ed il Po ad est.
La città venne fondata e costruita ex novo - sul luogo di
preesistenti insediamenti di tribù celtiche-liguri (i
Taurini) - in epoca romana, ai tempi di Augusto.
I Taurini avevano ottenuto la cittadinanza romana ed era
stata insediata una prima colonia romana (Julia Taurinorum)
già alla morte di Cesare, nel '44 a.C. Verso il 28-29 a.C.
Augusto vi trasferisce una seconda colonia, ricostruisce
l'insediamento e da allora la città viene denominata - come
noto - Julia Augusta Taurinorum.
Con questi atti la città divenne il più importante
insediamento fortificato del Piemonte ed il suo impianto
urbanistico, tipico della colonia militare, o castrum, ebbe
un ruolo determinante per il successivo sviluppo della
città. Si trattava - in origine - di una forma urbis
quadrata, cinta da mura e lottizzata a scacchiera, con lati
di circa 720x 660 metri (secondo il
Promis). La superfìcie della città era, secondo alcuni,
di circa 53 ettari (180 jugeri romani), secondo altri di 45
ettari.
La popolazione allora residente era di 5000/7000 abitanti.
Le vie che componevano la griglia reticolare, a maglie
quadrate, si chiamavano cardines e decumani e delimitavano
una serie regolare di circa 70/100 isolati (insulae),
edificati con costruzioni di un solo piano, eccezionalmente
due.
Le vie romane erano lastricate e dotate di marciapiedi
rialzati, ed avevano una larghezza di 4/5 metri, al massimo
8 metri (secondo il Ruffa). L'interasse della griglia viaria
era di circa 75 metri ed era contrassegnato, sulla cinta
muraria, da una serie di torri (vedi la ricostruzione del d'Andrade).
La geometria regolare della viabilità dell'insediamento era
gerarchizzata funzionalmente con due assi viari principali,
ortogonali fra di loro ed attestati sulle 4 porte principali
della città: il "decumana maximus" (attuale via Garibaldi)
ed il "cardo maximus" (attuali vie S. Tommaso e Porta
Palatina), ambedue di larghezza circa doppia rispetto alle
altre vie. Le quattro porte principali erano:
∙
a ovest la "Porta Decumana" (sbocco
di via Garibaldi su via della Consolata),
∙
a est la "Porta Pretoria" (attuali
torri del Palazzo Madama in piazza Castello),
∙
a sud la "Porta Prìncipalis Dextera"
(sbocco di via S. Tommaso su via S. Teresa),
∙
a nord la "Porta Prìncipalis
Sinistra" (attuali Porte Palatine).
Il perimetro della città
romana insisteva approssimativamente sulle attuali vie:
Giardini Reali - torri del Palazzo Madama - via Accademia
delle Scienze a est; vie S. Teresa e Cernaia a sud; corso
Siccardi e via della Consolata a ovest; via Giulio, Bastion
verde e Giardini reali a nord. Dell'impianto viario
originario, in gran parte coincidente ancora oggi con la
griglia del nucleo storico centrale, esistono varie
ricostruzioni storiche; tra le più note citiamo quella
ottocentesca di Carlo Promis e quella di
Alfredo d'Andrade del primo '900. [Da sito internet
Mce Artevista] |
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A perfezionamento della
suddetta descrizione di come fu fondata Torino, è utile
sapere che la citata lottizzazione a scacchiera veniva
chiamata centuriazione. La centuriazione romana è lo schema
urbanistico geometrico di una pianta di una città o di un
territorio agricolo, che veniva tracciato, con l'aiuto di
una riga e una squadra, in ogni nuova colonia dove i Romani
si stabilivano.
Vi furono diversi schemi e varietà di sistemazioni adottate.
Lo schema più diffuso fu quello dell'ager centuriatus.
L'agrimensore, dopo aver scelto il centro della città (umbilicus)
tracciava per esso due assi stradali perpendicolari tra
loro: il primo di direzione est-ovest, chiamato "decumano
massimo" (decumanus maximus), il secondo di direzione
nord-sud, detto "cardo massimo" (kardus maximus). Dopo aver
delimitato la città si prolungavano queste due strade per
tutto il territorio agricolo circostante passando per le
quattro porte praticate nelle mura della città.
L'agrimensore si posizionava nell'umbilicus con lo sguardo
rivolto verso ovest e definiva il territorio: col nome ultra
ciò che vedeva davanti, citra quanto aveva alle spalle,
dextra quello che vedeva alla sua destra e sinistra quello
che vedeva alla sua sinistra.
Successivamente venivano tracciati da una parte e dall'altra
degli assi iniziali i cardini e i decumani secondari (limites
quintarii). Erano assi stradali posti paralleli ad
intervalli di 100 actus (circa 3,5 km). Il territorio
risultava così suddiviso in superfici quadrate chiamate
saltus. La rete stradale veniva ulteriormente infittita con
altre strade parallele ai cardini già tracciati ad una
distanza tra loro di 20 actus (710,40 m). Le superfici
quadrate risultanti da questa ulteriore divisione erano le
centurie. Le larghezze stradali, in piedi romani (29,6 cm):
∙
40 piedi romani (11,84 m) il decumano massimo
∙
20 piedi romani (5,92 m) il cardo massimo
∙
12 piedi romani (3,55 m) i limites quintarri
∙
8 piedi romani (2,37 m ) le altre
strade.
La sistemazione dei terreni era
successiva al completamento stradale. Ogni centuria era
suddivisa in 10 strisce, sempre con linee parallele ai
cardini e ai decumani, alla distanza tra loro di 2 actus
(71,04 m) formando 100 superfici di quadrate di circa 0,5 ha
chiamate heredia. (centum heredia = centuria). Ogni heredim
era suddiviso a metà nell'asse sud-nord costituendo due
iugeri (jugerum, da jugum, 2523 metri quadri, quantità di
terreno che poteva essere arata in un giorno da un paio di
buoi). Nell'area veneta la centuriazione romana è meglio
nota col nome di Graticolato romano.
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TRE DOMANDE
SULLA CENTURIAZIONE DI TORINO |
Non sapremo mai perché fu
scelta la configurazione della centuriazione di Torino che
si vede nell'illustrazione 1, poiché
gli studiosi che se ne sono occupati compiutamente, citati
nel capitolo precedente, ne avrebbero parlato. Tuttavia la
scelta di limitarla a 72 centurie, di stabilire che il
"cardo maximus" (attuali vie S. Tommaso e Porta Palatina)
sia nella posizione che si vede, infine di orientare le due
vie primarie inclinate di 26,5° rispetto ai punti cardinali
Est-Ovest, porta a tre domande cui sarebbe interessante
rispondere. E ben sappiamo quanta cura gli antichi
costruttori di monumenti e templi, per esempio, ponevano nel
proporzionarli secondo concetti geometrici, come la nota
sezione aurea e peculiari altre simmetrie. Torino, poi,
doveva valere molto per i romani che avevano bisogno di un
baluardo italico nel nord, una sorta di Roma del nord,
giusto a custodia dei confini con gli ostili galli limitrofi
ed altri. Quindi non è escluso che intonassero le 72
centurie di Torino planimetrica ad una geometria aurea per i
rituali buoni auspici che, se così fosse, con un indagine
geometrica accurata potrebbe rivelarsi a sorpresa. Infatti,
come farò vedere, le risposte non mancano e sono veramente
interessanti, peccato però che si debbano stimare pure
ipotesi, che tuttavia non possono essere nemmeno confutate.
E poi, quando tutto manca è un'occasione di utili esercizi
didattici sulla geometria per gli appassionati di queste
cose. |
Ipotesi della quadratura del
cerchio del papiro di Rhind |
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L'illustrazione sopra riportata
è sufficiente per spiegare l'ipotesi della quadratura del
cerchio che veniva risolto nell'antico Egitto in modo
soddisfacente. È possibile che la centuria in alto a destra
sia stata limitata alla sua diagonale, proprio per suggerire
il quadrato di area corrispondente al cerchio di diametro di
nove lati di ogni centuria.
Sappiamo che su questo problema i matematici del passato si
sono lambiccati il cervello nel tentativo di trovare una
frazione che esprimesse il rapporto costante tra la
lunghezza della circonferenza e il suo diametro, che come
noto si indica con la lettera π (pi greco).
La storia inizia con lo scriba egizio Ahmes che nel problema
n. 50 del papiro Rhind, risalente al 1650 a. C., indica nel
modo seguente come ottenere il valore di π, che è poi la
suddetta procedura:
«Dividi il diametro in 9 parti. Prendi
8 parti e costruisci un quadrato 8 per 8. Tale quadrato ha
una superficie praticamente uguale a quella del cerchio
assegnato».
Dai calcoli risulta che
l'area del cerchio, ottenuto col metodo di Ahmes, risulta
con un errore inferiore del 2% rispetto al giusto valore
applicando la nota regola del quadrato del raggio per pi
greco. Nondimeno si deve riconoscere che si tratta di una
approssimazione notevole per quei tempi e non si sa nemmeno
come Ahmes l'abbia trovata. |
IPOTESI DELLE
TERNE DI PITAGORA |
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Quando fu concepita sulla carta
la centuriazione di Torino bastò l'uso della riga e squadra,
ma allorché si trattò di riportare fedelmente sul terreno
ogni cosa del disegno relativo, gli attrezzi da disegno
suddetti non potevano più servire. Perciò è interessante
sapere come avveniva la centuriazione. Dunque gli
agrimensori romani, che erano dei legionari nel caso di
Torino da centuriare, lavoravano in squadra usando uno
strumento chiamato
groma. In un punto prescelto, il noto ombelico (illustrazione
2), che diventava il punto di incontro tra decumanus e
cardo maximus, si poneva un cippo e
la prima groma. Gli altri agrimensori si allineavano con lo
stesso strumento ponendosi alla distanza stabilita e così di
seguito, fino a tracciare tutti gli altri punti di groma.
Nell'illustrazione a fianco si osserva un legionario romano
nell'atto di traguardare attraverso i fili della groma. [Da
“Lessico Universale Italiano” dell'Enciclopedia Italiana
Treccani]. Ottenuto il rettifilo principale, si tracciavano
le linee perpendicolari fino a formare la serie di quadrati
(le centurie) necessarie per la città di Torino in
questione, ossia 72. Questo era il metodo seguito per
riportare sul terreno ciò che era stato previsto sulla
carta. Però poteva accadere di incorrere in errori nella
tracciatura degli angoli retti per la possibile imprecisione
dei groma piuttosto rudimentali come strumenti di precisione
se paragonati ai moderni tacheometri dei topografi. Ecco che
subentrava la cosiddetta “prova del nove” che consisteva nel
ricorrere alla definizione sul posto di triangoli rettangoli
i cui cateti erano pari a tre lunghezze e quattro lunghezze,
mentre l'ipotenusa, come si sa, è di cinque lunghezze in
base alla corda disponibile per le misurazioni. Si capisce
che l'ipotetico triangolo rettangolo COB che fa da emblema
al ricorso alla terna di Pitagora, essendo di notevole
dimensione tale da non potere essere misurato con la corda
disponibile, stanno solo a indicare il metodo per ottenere i
quattro angoli retti che confluiscono nel punto chiamato
umbilicus. Si tratta, come si sa, del ricorso alle note
terne di Pitagora che col suo teorema sui triangoli
rettangoli si spiega in modo matematico la relativa
fondatezza. |
IPOTESI DELLA
SEZIONE AUREA |
Come si
vedrà, non compare sulla scacchiera delle 72 centurie, di
lati 8 e 9, il segmento della sezione aurea, ma in cambio
basta capire come procedere geometricamente per ottenerla e
per questo si ricorre alla diagonale del noto rettangolo
d'oro formato da due quadrati (illustrazione
6). E qui subentra la particolare configurazione della
suddetta scacchiera orientata con un angolo di 26,5°
rispetto all'asse dei punti cardinali Est-Ovest. |
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Ecco una successiva ragione di
predisporre l'ultima centuria in alto a destra a mo' di
triangolo isoscele. Così oltre a segnalare la procedura per
ottenere la quadratura del cerchio, immaginata da Ahmes del
papiro di Rhind, si aggiunge questa per ottenere la sezione
aurea. Il disegno è chiaro e non c'è bisogno di spiegazioni
supplementari. |
La misura del mattone della
fondazione di Torino: il cubito reale egizio |
Le civiltà del passato non si
ponevano la necessità di spiegare le concezioni geometriche
che utilizzavamo, come si è visto, per le operazioni
agrimensorie, e costruzioni di templi, monumenti e palazzi.
Era la natura che suggeriva loro le regole matematiche, come
quella del triangolo rettangolo dai lati 3,4 e 5 che poi
Pitagora nel VI sec, a.C. spiega con il suo teorema.
E sappiamo che era il culto degli dei ad informare le opere
suddette, da considerare come "Entità" interattive col mondo
umano. Dunque se era la geometria a farvi da emblema, c'è da
immaginare che nel caso della fondazione di Torino da parte
dei romani, le concezioni geometriche del cerchio e la sua
quadratura del papiro di Rhind, delle terne di Pitagora e
del triangolo d'oro della sezione aurea, siano da spiegare
anche in modo metafisico.
Ma non è difficile trovare le relative giustapposizioni se
appena si riflette agli auspici che i romani cercavano di
tradurre con la centuriazione fra le pieghe delle terra
della sorgente Augusta Taurinorum. Perciò onorando la natura
dei segni che vi sono stati riposti avrebbe assicurato loro
la posterità e gloria.
La quadratura del cerchio è il segno della perfezione; le
terne di Pitagora portano alla rettitudine; infine
l'orientamento della pianta di Torino romana inclinata nel
giusto modo, attraverso la sezione aurea che vi deriva, lega
l'uomo all'armonia del creato.
Non c'è di meglio, si deve convenire, per fare di Giulia
Augusta Taurinorum un talismano dai poteri eccezionali,
resta da sapere però quali gli dei da venerare in causa,
quelli ellenici o altri? Sì, perché sorge il dubbio che gli
dei ellenici venerati a Roma non siano tanto in luce
attraverso il genere di centuriazione applicato dai
legionari romani, forse attirati da quelli locali.
Circolano diverse leggende sul conto dei primi abitatori
dove poi si insediano i romani conquistatori. Tutti gli
scrittori e storici antichi ci hanno tramandato il
Mito di Fetonte (versione greca), o di un certo Osiri
(versione egizia) chiamato anche Giove (il giusto). Da
questo racconto mitico, [similare (come esempio) per altro
ai racconti storico-mitici dei Re di Roma] veniamo a
conoscenza della fondazione, di Torino antica, su basi
altamente civili, come colonia egizia. I racconti citano,
che gli abitanti d'Italia (periodo pre Etrusco) subivano la
tirannia di non precisati "giganti" e che Osiri li
sconfisse, e fondò la città su basi di una civiltà molto più
avanzata. Dai diversi autori non è chiaro se Fetonte sia lo
stesso citato anche come Osiri, o se sia invece il fratello
o uno dei fratelli di quest'ultimo, oppure se sia Fetonte il
nome in greco di Osiri. Questa incertezza rimane poiché si
sa che allo stesso Osiri venivano attribuiti epiteti
diversi.
Detto questo, c'è da capire con certezza sulla probabile
inclinazione per le divinità egizie dei romani di stanza nel
Piemonte, sin dal tempo di Giulio Cesare morto nel 44 a.C.
in cui sembra che questa cultura religiosa sia di casa.
Questa ipotesi sembra avere sostegni in alcune deviazioni
procedurali nell'attenersi alle regole di centuriazione,
quasi a far trapelare una significativa dissonanza.
La prima è di aver posto la Porta Pretoria vero Sud Est e
non al contrario, poiché si conveniva che fosse il più
vicino ai nemici. Ma non meraviglia immaginare che Giulio
Cesare poneva seri dubbi sulla fiducia verso di lui da parte
del Senato romano, tant'è che decise di valicare il Rubicone
e marciare su Roma per risolvere con la forza questo stato
di cose a lui ostili. Quindi i nemici più temibili erano
quelli di Roma e non gli altri della Gallia che Cesare era
in grado di dominare con le sue legioni. L'altra deviazione
procedurale, peculiarmente agrimensurale, sembra quella di
non aver fatto uso preciso della misura romana nel
dimensionare il lato di ogni centuria che doveva essere di
due actus, ossia 71,04 metri (vedasi primo capitolo). In
effetti questa misura risulterebbe, secondo lo studioso
torinese, Carlo Promis citato nel primo capitolo, circa 75
metri. O altra misura perché non c'è concordanza con quella
di un altro studioso di Torino archeologica.
Per contro mette sulla strada del supposto culto egizio dei
romani di Augusta Taurinorum, l'origine delle tre concezioni
matematiche relative alle suddette tre ipotesi che spiega il
perché della particolare disposizione della centuriazione in
discussione.
Non resta che predisporre un altro disegno, simile a quello
della sezione aurea per scovare il mattone che è servito per
costituire il piano di base di Iulia Augusta Taurinorum. |
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Si tratta di concepire
un'ulteriore centuriazione dell'unità dei due quadrati che
sono serviti per disegnare la sezione aurea (illustrazione
6). Una volta eseguita questa operazione si definisce il
semi-mattone simile a quello di base costruito con i due
quadrati di 1 per lato. Di qui , dalla misura del perimetro
di questo semi-mattone, ossia 0,1 + 0,2 + 0,236... =
0,5236..., si ottiene il giusto valore del cubito reale
egizio espresso in metri, sul quale però non c'è molta
concordia. Tuttavia alcuni autori ritengono il suddetto
valore quello giusto del
cubito reale egizio. Ecco, in conclusione, la probabile
prova, che il mito di Osiri egizio, più che Fetonde greco,
ha lasciato il segno matematico attraverso le diverse
concezioni geometriche trattate in questo saggio. Non è
accademico dal punto di vista matematico parlare di segni ma
si tratta di interpretare il pensiero degli antichi
costruttori della nostra bella Torino che vi davano estrema
importanza con la loro matematica primitiva. Non è escluso
che la semi-centuria in alto a destra, già notata in
precedenza per suggerire l'ipotesi della quadratura del
cerchio del papiro di Rhind e la sezione aurea, porti per
associazione di idee, al semi-mattone del cubito reale
egizio. |
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