Santa
Maria di Sovereto e l'ombra del Bianco Mantello (Sovereto - Bari)
a cura di Andrea
Romanazzi
…AD HONOREM. DEI ET
VIRGINIS. MARIE…
A pochi chilometri dal comune di Terlizzi, in provincia di Bari, è sito uno dei più affascinanti e misteriosi luoghi di Puglia, crocevia per i pellegrini in transito lungo l’antica via Appia verso la Terrasanta e da sempre “centrum” di antiche conoscenze e scrigno di
antichi segreti templari. Sarà così per giungere al cospetto della Vergine dal volto scuro, “nigra sum sed formosa”, che dovremo addentrarci tra antichi culti preistorici e megalitici, misteriosi simboli di arcane religioni e affreschi templari, tracce indissolubili di un passato che ancora riecheggia tra le mura della bellissima chiesa di Santa Maria di Sovereto. Fin dal periodo protostorico il sito doveva essere ritenuto un “Omphalos”, un luogo ove, con una accezione simile all’Etemenanki biblica, il “divino” si unisce con il “terrestre” e dove non c’è confusione di lingue. Il concetto di centro sacro lo troviamo in moltissime tradizioni che tagliano trasversalmente l’intera Europa, dall’Italia alla Grecia, dalla Bretagna alla Scandinavia. E’ l’idea di una proiezione in terra di un centro celeste, il “loco” ove dimorano gli dei. In Omero, per esempio, l’isola di Ogigia è detta l’ombelico del mare, è solo in questo luogo ove umano e divino posson dialogare che Ulisse incontra una dea, Calipso, l’elemento femminile, che lo rigenera, lo rinsavisce e finchè vi rimarrà potrà esser immortale. Da sempre il primitivo ha così cercato di indicare ai suoi simili questi mistici luoghi di culto, questi “centri sacri” con Betili e menhir, tradizione che già ritroviamo nella Bibbia ove si narra di Giacobbe che, durante il suo viaggio “essendo giunto in un certo luogo, e volendo riposarsi dopo il tramonto del sole, prese una delle pietre che stavano per terra e, ponendola sotto la testa, dormì in quello stesso luogo. E vide in sogno una scala che poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo, e vide anche alcuni angeli che vi salivano e vi scendevano. E in cima alla scala vi era il Signore, che gli diceva :”il sono il Signore, il dio di Abramo, tuo padre, e il dio di Isacco. La terra sulla quale ti sei coricato la darò a te e alla tua discendenza”. Alla mattina, svegliatosi dal sonno e intendendo il potere della pietra che si era posto come guanciale, Giacobbe la alzò, la piantò sulla terra a mò di stele e sparse dell’olio sulla sua sommità e pronunciò queste parole:” Questa pietra, che ho innalzato come tempio, sarà chiamata casa di
Dio”: Bethel. E’ così seguendo questo mistici filo d’Arianna che approdiamo all’Ogigia pugliese, il mistico omphalos di Sovereto. Etimologicamente per diversi studiosi il suo nome sembrerebbe provenire da “Suberitum” e cioè da suber, sughero, ma intrigante è l’idea di una derivazione diversa, forse da “sovra ereto” o meglio “eretto sopra”, che fa pensare ad un qualcosa di importante sotto la contrada e che ci riporta nel grembo ctonio della madre terra. Del resto già nelle campagne limitrofe troviamo i segni di antichi rituali le cui pietre sono rimaste uniche e silenti testimoni, ed ecco così che nel vicino Bosco delle vergini sono presenti ben quattro menhir allineati, un piccolo leys sicuramente molto più fitto in passato, ma che pian piano l’ignoranza popolare ha distrutto.
IL MISTICO OMPHALOS
L’idea di “Centralità” del loco è ben espressa da un simbolo “Fuori dal Tempo” che va dal periodo protostorico a quello Rinascimentale e che ritroviamo nella Chiesa di Santa Maria e conosciuto con il termine “TRIPLICE CINTA”. Questo disegno che ritroviamo in moltissimi luoghi sacri è rappresentato da tre quadrati concentrici e da dei segmenti che uniscono i punti mediani dei lati e quasi stante ad indicare all’incauto viaggiatore la “centralità” e la sacralità del loco. Nella Bibbia indica il cortile con la triplice cerchia di mura del Tempio di Salomone, ma anche la Gerusalemme Celeste e quella Terrestre, in una idea di “coniunctio” tra mondi diversi che troviamo all’interno della chiesa stessa, ove, proprio vicino alla cripta, è rappresentato l’albero cosmico, il tramite tra cielo, i rami, e terra, le radici.
Ed ecco la prima particolarità, infatti questo strano simbolo è spesso presente in chiese attribuite o comunque collegate ai Templari come quella di Priverno dedicata alla Vergine e a S. Stefano iniziata nel 1187 o la chiesa gotico-cistercense di Alatri (FR) ove sulle gradinate è raffigurato il nostro simbolo non lontano da una croce patente Templare. Forse però il caso più interessante è quello della antica chiesa di Maria in Monte D’Elio in Capitanata ove, opposta ad un affresco raffigurante dei cavalieri crociati nell’atto di partire per la Terrasanta troviamo il nostro enigmatico simbolo. La scoperta ha portato alla luce un vero e proprio “percorso templare” che interessava 7 chiese da Lucera a Monte Sant’Angelo in ognuna delle quali è stata ritrovata una rappresentazione della TRIPLICE CINTA.
LA SANTA MARIA DI
SOVERETO E GLI ORDINI CAVALLERESCHI
Tornando alla nostra Chiesa la leggenda vuole che nell’anno 1000 un contadino, alla ricerca di una sua pecora scomparsa dal gregge, trovasse, in una grotta, una icona della madonna e una lampada accesa. Nacquè così, il culto di S. Maria di Sovereto. Se esaminiamo attentamente la leggenda essa nasconde echi di antichi culti pagani che riecheggiano nella mistica grotta da sempre il primo luogo di culto dell’uomo. Così magari l’antica raffigurazione di una divinità pagana, madre e vergine, si trasformerà, con l’avvento della religione Cristiana nella Madonna dal volto scuro, la Bruna Virgo di Sovereto, l’”eretto sopra” il ventre della sacra dea oggi magari identificabile con lo stesso ipogeo presente al di sotto la grata presente nella chiesa. Da sempre il sito, ricco di fascino e mistero ha attratto pellegrini e cavalieri medievali, richiamati anche dai taumaturgici poteri, diventando così importante crocevia di quel “movimento” di pellegrini e guerrieri che oggi definiremmo crociata, termine anacronistico già che si iniziò ad usare solo verso il 200-300, e che in realtà veniva comunemente definito con “iter”, “auxilium”, “succursum” o infine “passagium”. Verso la fine del 1100 il sito era diventato talmente importante da far realizzare ben due comunità conventuali, quella delle monache di San Marco e dei Cavalieri Ospedalieri di San Giovanni.
“…Divulgatasi la fama di questo santuario tutti coloro che andavano a Gerusalemme transitando per la via Appia, vicinissima al nostro santuario non mancavano di entrarvi…così si credè necessario di fondarsi in quel luogo e precisamente accanto al santuario un Ospedale…e quindi per tale istituzione furono chiamati i cavalieri…per tale particolare ufficio nel 1199…resta ben dimostrato e fermo che i cavalieri di Soverito appartenevano all’ordine Gerosolimitano …e si edificò diviso a forma di due monasteri, in uno dei quali vi erano i frati che asistevano gli uomini e nell’altro le Vergini Religiose per assistenza alle
femmine…” (P. De Giacò, Il Santuario di Sovereto a Terlizzi Bari 1872).
In realtà però molte sono le tracce e gli indizi celati nella chiesa che ci farebbero pensare ad un insediamento dei Cavalieri del Tempio, meglio noti come Templari sempre presenti nei luoghi di culto mariani e in particolare delle vergini brune. Sarà questa idea che ci guiderà alla ricerca degli indizi celati all’ombra del Bianco Mantello crociato. Per cercare di comprendere se il Santuario fosse davvero legato all’Ordine del Tempio cercheremo di seguire i vari indizi che il tempo non è riuscito a cancellare. La presenza templare nella zona non è fuori luogo, sappiamo che l’Ordine possiedeva delle proprietà terriere in agro di Molfetta, a Ruvo non si conosce il nome della Precettoria ma è certo che esistesse una casa templare “que est in Rubo”, mentre a Giovinazzo si conosce l’esistenza della Chiesa di San Pietro con ospedale annesso, una grancia in “loco piczani” e proprietà terriere. Sarà il nome di questa località che ci porterà a nuove e sconcertanti intuizioni. E’ poi certo che i Templari possedessero già nella zona di Terlizzi l’oramai scomparsa di Santa Maria del Muro come testimoniato da un documento datato 18 Febbraio 1279 ove il precettore del Tempio di Puglia, Viviano, cita appunto l’insediamento.
ALLA CERCA DELLE TRACCE
DEL TEMPIO
E’ così che con mistico silenzio entriamo nel sacro luogo alla cerca di segni e basta alzare lo sguardo nella corte che una croce “patente” spunta sotto l’intonaco dell’antistante ospedale eretto dai cavalieri di San Giovanni. Guardando nell’acquasantiera ecco celarsi, dietro lo stemma del casato come una strana croce a cosa di rondine, immagine che ritroviamo anche sul blasone all’interno della chiesa e che sembra cercare di celare l’antico passato del sito senza però cancellarlo. Come vedremo nel proseguo sarà questa una interessante “usanza” che ritroveremo anche in altre chiese dei Templari come nella Mater Domini di Matera. Nel Santuario sono poi presenti tre lastre tombali con rappresentati cavalieri anch’essi con insegne sul mantello che ricorderebbero le simbologie del Tempio. La nostra attenzione si sofferma sulla lastra sepolcrale di destra. A differenza delle altre due presenti e legate ad altri ordini cavallereschi, colpisce il particolare delle braccia poste in posizione crociata, la “X” del Xristos (da X in greco Chi) il nome del Messia da sempre venerato dai cavalieri “Non nobis, Domine, non nobis sed Nomini Tuo ad gloriam”. Era così usanza dei Templari farsi deporre con le braccia o le gambe incrociate a forma di “X”, idea che ricorda la morte e che è ancora utilizzata nelle rappresentazioni della stessa dall’incrocio delle due tibie. In particolare la rappresentazione presente sulla lastra può suggerire anche altre indicazioni su colui che sarebbe stato sepolto. Infatti l’incrocio degli “arti benedicenti”era tipico dei dignitari ecclesiastici e non dei cavalieri che avevano di contro incrociate le gambe, parte più importante per il guerriero, idea che potrebbe essere avvalorata anche della mancanza della rappresentazione di armi bianche, spade o pugnali, sulla tomba. In realtà la bellissima chiesa è geloso scrigno di meravigliose scoperte, parafrasando Dante potremmo ben
dire“…aguzza qui, lettor,
ben li occhi Al vero, che ‘l velo e’ ora ben tanto sottile, certo che ‘l trapassar dentro e’
leggiero…”(Purgatorio, VIII, 19-21). E’ così che celati dal velo di intonaco gettato proprio per nasconderli o proteggerli ecco che, il vento della reminiscenza fa disparire antichi affreschi dimenticati nell’ombra di quello sfortunato Venerdì 13 Ottobre 1307 [ Data della Messa al Bando dei Templari N.d.A.]
GLI AFFRESCHI DI
SOVERETO
Entrando così nel vano adibito ora a sacrestia, una volta base della torre del Ospitale, ed alzando gli occhi alla volta notiamo delle stranissime stelle a otto cuspidi, l’astro isideo presente anche nell’iconografia mariana sulla fronte o sulla spalla come nella Vergine Bruna Sipontina e indicante la centralità e l’origine spirituale dell’universo. Sulla parete di destra ecco che ritroviamo delle chiare simbologie templari come la scacchiera e la scala dal “duplice piolo”. Tutto all’interno dell’ambiente ci riporta all’antica conoscenza dei cavalieri del Tempio basata sul dualismo, idea che ritroviamo anche nel loro stesso sigillo, i due cavalieri su di un unico cavallo, per alcuni rappresentante la povertà dell’Ordine ma in realtà carico di un significato ben più profondo, la duplice natura dello stesso, monastico e combattente. Del resto per diversi studiosi i cavalieri del Tempio erano legati ad una “regula segreta” basata sulle dottrine Essene, una corrente eremitico-precristiana originaria della Terrasanta ove appunto si predicava la povertà del fedele che viveva “…Tra le montagne alla maniera delle bestie…”(Mac. 5-27) Questa concezione, anche se meno estrema, sarà descritta proprio nella regola di San Bernardo di Chiaravalle che, nel “De Laude novae militiae ad milites Templi liber”, diceva “…Essi portan gli abiti che egli (il commendatario n.d.a.) da loro, non ne cercano d’altri né altre provviste. Diffidano di ogni eccesso in viveri e in abiti, non desiderano che il necessario e per essere più vicini alla perfezione evangelica vivono tutti…senza alcun bene proprio…”. La concezione dualistica si basava su un concetto dell’eterna eterna lotta tra il bene e il male, Michael contro Beliat, l’Arcangelo simbolo della lotta per la fede e dunque degli stessi cavalieri che si sentivano rappresentati dal combattente celeste e al quale dedicarono molte delle loro costruzioni. E’ questo dualismo che spiega il significato del boucèant, il “bicolore”, il famoso gonfalone dell’Ordine, bianco e nero come la purezza e la forza e che non doveva mai cadere in battaglia, o il simbolismo dei due pesci, presente in molte chiese del Tempio o ancora nella duplicità cromatica dell’abito degli stessi, bianco per i cavalieri e nero per i sergenti. Saranno poi anche questi “segni” simboli della gnosi templare che porteranno poi alle accuse di eresia dell’Ordine. Ecco così che queste concezioni ritornano negli affreschi di Sovereto, la scacchiera, il simbolo del positivo e negativo, del bianco e del nero, del bene e del male, della guerra e della preghiera, dell’intelletto e della devozione. Questa simbologia doveva avere un carattere fortemente sacrale tanto che ai cavalieri del Tempio era proibito dilettarsi al gioco degli scacchi, quasi fosse una “profanazione” di un qualcosa di molto più profondo di un semplice gioco.
Stesso significato riappare nella scala, simbolo dell’eterno collegamento tra il mondo terrestre e quello celeste come nel sogno di Giacobbe, ma anche questa dal “duplice piolo” del bene e del male come le vie che portano o allontanano dal Signore. Tale significato è evidente nel simbolismo biblico della Scala di Giacobbe, lungo la quale gli angeli salgono e scendono. La scala di Giacobbe era simbolo ampiamente utilizzato della vita contemplativa, parte integrante, ad esempio, della spiritualità benedettina, ed esplicitamente citata nella Regola
"Fratelli miei, se vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell'umiltà e arrivare rapidamente a quella glorificazione celeste, a cui si ascende attraverso l'umiliazione della vita presente, bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo la scala che apparve in sogno a Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e salire gli angeli. Non c'è dubbio che per noi quella discesa e quella salita possono essere interpretate solo nel senso che con la superbia si scende e con l'umiltà si
sale."
Sul lato sinistro del vano il messaggio non cambia ecco così presente nell’ordine un esagono costituito da un doppio quadrato, una croce patente, un sole e ancora un esagono per terminare con una strana ruota dal doppio cerchi e dal quadruplice petalo. Il significato riporta ancora al dualismo precedentemente accennato, il doppio quadrato simboleggia il principio duale della Gerusalemme Terrestre e di quella Celeste che si fondano insieme nella creazione dell’ottagono, la figura che più si avvicina alla quadratura del cerchio per raggiungere la piena ascesi e la vera salvezza. L’ottagono è così il simbolo del rinnovamento, della resurrezione e delle otto beatitudini evangeliche ma anche dell’Ordine, infatti una leggenda vuole che nell’anno di fondazione del corpo, il 1118, l’Arcangelo Michele apparve al fondatore Hugues de Payens dicendogli che il loro simbolo sarebbe stata “la croce inserita nell’ottagono”. La resurrezione e purificazione può però avvenire solo nella luce del Cristo e così ecco l’immagine del radioso sole, l'Anastasis spirituale, l’immagine del Sole-Hèlios personificato dal Cristo, espressione esso stesso del dualismo templare essendo uomo e dio. Tipico simbolo templare, legato anche alla Trinità, è quello floreale, presente in tutte le pochissime chiese affrescate legate al Tempio. Simbolismi floreali sono molto diffusi nel mondo ebraico antico e nel periodo protocristiano dal quale i templari acquisiranno il loro linguaggio. In particolare secondo le Sacre Scritture il terzo giorno Dio creò la vegetazione che si va ad unire alla terra e all’acqua. Il fiore è poi spesso raffigurato proprio tra 2 cerchi, i due mondi che vengono a contatto nel momento della morte, quello celeste o spirituale e quello materiale o terrestre. I quattro petali, poi, nascondono a loro volta un importante simbolo cristiano, il Chrismon che, secondo la leggenda, l'imperatore Costantino, prima della battaglia contro Messenzio, avrebbe avuto la visione con le parole: "In questo segno vincerai". Il fiore è ancora riproposto nel piccolo vano a sinistra di colui che entra in quella forma che oggi è nota con il nome “Sole delle Alpi”. Si tratta di un simbolo solare costituito da sei "spicchi" regolarmente disposti a raggiera e generalmente racchiusi in un cerchio o in una decorazione circolare. Questo fiore sta ad indicare anzitutto il Sole, la vita, il calore, e dunque il Cristo, il "vero Sole", rappresentato da quel Chrismon al quale è sovrapposta la “P” (la X e P, sono le prime due lettere greche di Christos).
LA VERGINE DAL VOLTO
BRUNO
Gli Ordini cavallereschi sono da sempre fortemente legati alla figura della Vergine dall’iconografia “bruna”, spesso addirittura trafugata dalla Terrasanta come nel caso della Madonna di Czestochowa in Polonia. I Templari, insieme ai cistercensi, furono grandi promotori del culto in Europa, basti pensare alle chiese dedicate in Francia a “Nostra Signora”. Per ben comprenderne l'intensità, nulla vi è di meglio che rileggere gli antichi regolamenti dell' Ordine, in cui è scritto:
”…le orazioni a Nostra Signora si devono recitare ogni giorno, per prime, nella Magione, salvo la compieta di Nostra Signora che si recita tutti i giorni, nella Magione, per ultima, poiché nel Nome di Nostra Signora ebbe inizio il nostro Ordine, e in Suo onore, se Dio vuole, sarà la fine della nostra vita e dell'Ordine stesso, quando a Dio piacerà che ciò
accada”. Nel caso del postulante che, durante il giuramento, faceva una serie di promesse che andavano dalla fedeltà al Tempio a quella in Maria Vergine, l’Ordine rispondeva
"In nome di Dio e della Nostra Signora noi ti ammettiamo a tutti i benefici della casa, promettendoti la nostra fratellanza e il nostro aiuto, ma anche molti combattimenti, molta pena e molto
lavoro". In Puglia moltissimi sono gli esempi di Vergini Brune, dalla Nera Sipontina alla Madonna Incoronata di Foggia per giungere alla Vergine delle Tremiti. Anche Maria di Sovereto è una vergine dal volto scuro, particolare che la lega indissolubilmente alla Nostra Signora del Tempio.
LA CHIESA DI SANTA
MARIA DI PICCIANO E LE STRANE SOMIGLIANZE
Data l’incertezza sulle reali origini del Santuario di
Sovereto, per entrare nei mistici segreti e sollevare il mantello crociato che cela i segreti del Tempio dobbiamo spostarci in un altro magico luogo, il Santuario della Madonna di Picciano a Matera. Come l’area
terlizzese, anche il Santuario mariano lucano vanta una storia che parte dal Paleolitico per giungere al suo apice durante il Cristianesimo. Moltissimi sono i punti in comune tra i due siti. Da una parte tracce degli antichi culti preistorici e megalitici e dall’altra la mistica grotta, metaforico ventre della Grande Generatrice, fanno da sfondo ad un passato che pervade fortemente entrambi i siti. Moltissimi sono i reperti ritrovati nell’area della Gravina
Piccianese, ora conservati nel Museo di Ridola a Matera, che testimonierebbero la “pesante” eredità di un utilizzo della grotta per incontri di culto, abitazioni, laboratori e depositi che caratterizza l’intera area materna. Ed ecco che l’antro magicamente si ripropone nell’agro terlizzese nella leggenda della pecora il cui ricordo è celato ancora oggi in una lastra pavimentale presente nella Chiesa pugliese della Bruna Virgo di
Sovereto. E’ in questa etimologia che troviamo un ulteriore conferma della particolare similitudine tra i due luoghi, infatti il nome
Sovereto, per alcuni derivante da sughero, altro non è che una particolare varietà di quercia presente nella zona. E’ così il Sovero che, come filo di Arianna, ci guida nuovamente in
Lucania, infatti la leggenda della Vergine di Picciano racconta come un boscaiolo, nell’intento di tagliare un albero di quercia, “colpisce la Madonna tagliandola a metà”. Sarà così che in questo sacro luogo sarà realizzata prima una cappella e poi un Santuario. Altre però sono i punti in comune tra le due Chiese ed in particolare il legame con il Tempio. Il Santuario di
Picciano, stesso nome del comprensorio dei Templari in terra di Giovinazzo (Località
Pictzani), era una Commenda dei Cavalieri Crociati. Francesco Paolo Volpe nel 1818 scriveva:
"…La superstite chiesa di S. Maria di
Picciano, discosta dalla città circa sei miglia, verso l'ovest, era ben anco un Monistero di Benedettini. Si denomina S. Maria di Picciano dal monte di tal nome in cui è fondata….Questo
Monistero, una col detto Monte pervenne nel duodecimo secolo alla nobile Religione de' Tempieri e nel decimoquarto passò a quella dei Cavalieri Gerosolimitani ... a causa di caduta dei Tempieri in molti misfatti…ed una gran parte de' loro copiosi beni passò allora a' Cavalieri
Spedalieri, ossia di S. Giovanni Gerosolimitano, detti di Malta. Fra essi vi furono anche le pertinenze
Materane, le quali principiarono da quel tempo a formare una speciosa commenda di quest'altra illustre
Religione…". Forse una sorte del tutto simile a quella di
Sovereto. Inoltre aggiunge “…La Commenda di Picciano dava a godere ... varj diritti a' suoi Commendatori, che sono i seguenti, il Commendatore di Picciano esercitava ivi in tutti i tempi dell'anno, e segnatamente a' 21 di Marzo, tempo della celebrazione della festività della B. Vergine, ogni giurisdizione civile e criminale Il Commendatore godea l'elezione di quattro Cappellani, per le Chiese Commendali di Picciano e Mater
Domini…”. Dunque anche la chiesa Mater Domini era legata ai Templari e questo non è un particolare da poco. Infatti proprio sulla facciata dell’edificio spicca uno stemma del Commendatario che ci riporta fortemente a
Sovereto. Dietro questo spunta infatti una croce patente templare proprio come quelle celate negli stemmi dei commendatari pugliesi. Poteva essere dunque questa una tecnica per celare, ma non cancellare, le antiche origini? Senza purtroppo prove certe solo i paragoni con chiese e Santuari analoghi possono aiutarci a capire meglio la storia del borgo di Suberitum creando nuovi interrogativi che rendono sempre più intrigante questo meraviglioso gioiello pugliese.
BIBLIOGRAFIA
·Romanazzi A.: Sovereto e la Magia dell’Omphalos, Puglia d’oggi 10/6/2001
·Romanazzi A.: Sovereto e il Mistico Omphalos, Graal Magazine, Marzo/Aprile 2004
·Dell’Aere V.: Il Segreto di Federico II di Svevia: L’ultimo Faraone, Levante Editore
·De Giacò P.: Il Santuario di Sovereto a Terlizzi, Bari 1872
·Capone B.: Guida all’Italia dei Templari, Edizioni Mediterranee, 1989
·Capone B.: Vestigia Templari In Italia, Roma, 1979