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Castello di Moncrescente (Acqui Terme - Alessandria)

a cura di Gianni Verdoliva

                  

L’esplorazione ha come meta l’alessandrino. Acqui Terme per la precisione. Con me Marco Faion, conosciuto come Dakaron. Ha con sé una macchina fotografica con flash. Magari riesce ad immortalare qualcosa di strano nel corso della nostra visita. Vedremo. Arriviamo ad Acqui Terme in tarda mattinata. In tempo per il primo appuntamento della giornata. Con Lionello Archetti Maestri, insigne storico. Nei giorni precedenti, in una delle tante telefonate che hanno preceduto il viaggio, ci aveva dato appuntamento al Bar Ligure, nel centralissimo Corso Bagni. La biblioteca dove lavora è chiusa, essendo sabato mattina. Peccato, avrebbe potuto farci vedere qualche documento sul Castello di Moncrescente comunemente conosciuto in zona come “La Tinazza”. Archetti Maestri è un fiume di parole. Lo si starebbe ad ascoltare per ore. Si vede che ha una grande cultura e conosce tanto della storia e della microstoria di Acqui e dintorni. Vicende storiche riferite in maniera dettagliata e minuziosa nelle quali, lo ammetto, un po’ mi perdo. Però la storia della Tinazza o, meglio, quel poco di storia che si conosce, è intrigante. “Non ci sono documenti storici relativi a chi l’ha fatta costruire, anche se sembra assodata la sua funzione di costruzione di natura militare. Dovrebbe essere stata eretta a cavallo tra il XIII ed il XIV secolo, con mattoni quasi tutti in pietra. Si trova su una collinetta che domina la zona dove l’Erro si unisce al Bormida. Ha una posizione privilegiata, una sorta di terrazza sulla pianura di Acqui. Molto probabilmente è un edificio eretto con la funzione di controllo dei percorsi medioevali legati al commercio. Ha la forma di un tino rovesciato, decisamente inusuale. Il fatto che sia stata costruita li’ e la quasi totale assenza di notizie storiche certe ha alimentato voci e dicerie di ogni tipo, incluse quelle legate alle pratiche di gruppi satanici. Accanto c’è una piccola cascina che veniva usata come deposito per la legna, oggi abbandonata”. Dati ufficiali pochi quindi. E, comunque, preferisco al momento non chiedere altro. Per non essere influenzato al momento della visita. Si riparte. Direzione Tinazza. Ci orientiamo tra le indicazioni avute da Flavio Ranisi che ci aveva segnalato il posto e da Archetti Maestri oltre all’ausilio del navigatore. Malgrado questo sbagliamo strada. Percorriamo un tratto in salita costeggiato da villette. Ci fermiamo a fianco a una di queste e chiediamo ad una signora. No. La Tinazza, non è li’. La signora si sbraccia, cerca di spiegarsi ma non riesce a dare le indicazioni precise. Sicuramente è su un’altra collina. Infatti. La vediamo. Sulla cima della collina di fronte. Arrivati sul posto parcheggiamo. C’è un tratto da fare a piedi. Un sentiero in salita. Ci incamminiamo. Alberi, prati incolti, camomilla selvatica ed altri fiori. Poi eccola di fronte a noi. Da vicino non si direbbe neanche un castello diroccato. Sembra una strana costruzione antica, indefinita. C’è calma nell’aria. Sentiamo gli uccelli cinguettare. C’è atmosfera di pace. Entriamo all’interno della costruzione attraverso un’ampia apertura. Dentro il terreno è ancora più incolto. Sterpaglie, terriccio, vegetazione sparsa. Si sente come un senso di ovattamento. A parte una mosca che ronza intorno non sentiamo nulla. Il cinguettare sentito fuori è scomparso. Eppure la costruzione è aperta e nulla impedisce fisicamente il passaggio dei suoni. Esco di nuovo fuori. Il cinguettio si sente. Rientro. Nulla. Strano. L’interno della costruzione non c’è praticamente nulla. Non c’è traccia di stanze o altro. Identifichiamo quella che potrebbe essere una cisterna, ci chiniamo attraverso il piccolo ingresso ed entriamo. Per terra sporco e ragnatele ai muri. Dall’apertura in alto entra la luce esterna. Usciamo dalla cisterna. Marco prosegue con le foto ed io mi aggiro sempre dentro. Ancora il senso di ovattamento. Fuori dalla Tinazza c’è un’altra costruzione. Molto più recente. Deve essere la cascina di cui ci ha parlato Archetti Maestri. Non si capisce se sia stata abitata ma è in evidente stato di abbandono. Ci avviciniamo, allontanando i rovi che ci ostacolano il cammino. C’è un ingresso senza porta. Davanti a noi una scala, a destra e a sinistra due ampie stanze. Sporco e calcinacci ovunque, vicino alle scale una vecchia scarpa bianca, da donna. Marco mi rassicura. Non ci sono segni di messe nere. Solo dei nomi e delle date. Sicuramente i ricordi di ragazzini che per fare i coraggiosi con gli amici si sono avventurati fin li’. Magari nottetempo. Contrariamente al senso di pace che proviamo fuori, li’ abbiamo una sensazione di disagio, di fastidio. Mi incammino per la rampa di scale. Vorrei vedere anche il primo piano ma desisto. La seconda parte della rampa è piena di detriti. Sarebbe facile scivolare. E poi il pavimento del piano di sopra non sembra molto saldo. Può bastare. Usciamo. Proviamo ad andare ancora oltre, superando un gruppo di cespugli. C’è uno strano rumore. Un animale. Forse un cinghiale. Ci avevano detto che ce ne sono. Meglio non rischiare. Facciamo marcia indietro e ripercorriamo il sentiero da cui siamo venuti lasciandoci alle spalle la Tinazza e la sua atmosfera incantata. Giorni dopo sono al telefono con Flavio. Mi informa che in passato al piano di sopra della cascina si erano svolti riti satanici. Da questo forse la nostra sensazione di negatività. “Ma lei gli uccelli vicino alla Tinazza li ha visti?” Mi chiede quando gli riferisco della stranezza sui suoni che scomparivano all’interno della costruzione. Accidenti, no non li ho visti, ma ci sono, ribatto. “Ma se non li ha visti come può essere totalmente sicuro che c’erano?” mi risponde senza scomporsi. Touché. C’era un’atmosfera magica li attorno. Ma no, figuriamoci. Solo sensazioni, sia chiaro. Eppure, se vogliamo, il dubbio può anche sorgere.
 

     

CASTELLO DI MONCRESCENTE
a cura di Sara Lassa

Sulla collina prospiciente Melazzo, al di là del torrente Erro, si scorgono isolati i resti del castello di Moncrescente, conosciuto localmente come la “Tinazza” per via della sua forma che ricorda quella di un tino rovesciato. L’edificio principale, databile alla prima metà del XIV secolo, presenta una pianta ottagonale, con quattro torri angolari, secondo una tipologia non consueta nel Monferrato. La fortificazione fu costruita per scopi esclusivamente militari e non abitativi, anche se non è possibile stabilire chi furono i committenti, e conserva alcuni elementi connessi alla difesa tra cui la porta di accesso, che doveva essere dotata di saracinesca e ponte levatoio, oggi scomparsi, e varie feritoie disposte lungo tutto il perimetro che consentivano la difesa per mezzo di armi da tiro (archi e balestre). L‘interno era costituito prevalentemente da strutture lignee che non si sono conservate. Una particolarità è rappresentata dall’elevato numero di latrine (se ne contano ben cinque!), piccoli ambienti dotati di un sedile forato che scaricava direttamente all’esterno delle mura. All’interno del recinto principale si individua la base di una torre a pianta quadrata che risale a un’epoca anteriore (XII - XIII secolo), unica testimonianza di un precedente complesso fortificato, che comprendeva strutture in terra e legno, di cui non rimangono tracce visibili. Il castello perse presto le sue funzioni militari risultando già in disuso alla metà del Cinquecento: questa circostanza ha fatto sì che l’edificio non subisse modifiche di rilievo, conservando cos’ì le sue caratteristiche originali.

        

    

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