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Il Castello di Gropparello ed il fantasma di Rosania (Gropparello - Piacenza)

a cura di Stefano Tansini

      

Una fortificazione circondata dalla natura più aspra, arroccata su di una collina a strapiombo sul lento corso del Vezzeno, una fortezza quasi inespugnabile. Questa è l’immagine vivente dell’antica rocca di Cagnano, il castello di Gropparello dei nostri giorni. Una località tra le più nobili e ricca di storia dell’intera Val d’Arda. Molti personaggi un tempo illustri, oggi relegati all’anonimato dalla storia, detennero la signoria di queste lande e, per breve tempo anche Carlo Magno, non ancora incoronato imperatore, esercitò, seppur indirettamente, la sovranità su questo territorio. Le leggende che ancora si tramandano sul conto di questo maniero dall’aspetto imponente traggono origine dai convulsi anni medievali, dai mortali scontri tra guelfi e ghibellini, dalla realtà difficile di un’età dominata da signori della guerra e nella quale le imprese belliche imponevano sovrane la propria legge. 

Nel 1255 un primo, durissimo e vittorioso assedio da parte delle truppe di Azzo Guidoboi, condottiero al soldo della famiglia ghibellina dei Pallavicino. Un lustro dopo, nel 1260, un secondo assedio ancora più imponente condotto dal marchese Oberto Pallavicino in persona e volto a sbaragliare le residue forze guelfe asserragliate nelle mura del castello, ormai ridotte ad uno sparuto manipolo di eroi. Quattrocento fanti piacentini e cremonesi, per quattro lunghi ed estenuanti mesi, misero a ferro e fuoco la rocca di Cagnano. Sacrificarono numerose vite alla causa del loro signore, ma non riuscirono ad avere la meglio su un avversario determinato e sospinto a lottare fino allo stremo e poi oltre dalla forza della disperazione. I pochi difensori del castello, invero con l’aiuto della popolazione locale, tra atti di sommo eroismo e di gesta di infima vigliaccheria, ricacciarono alfine gli assalitori. Il destino degli sconfitti, sbaragliati sul campo, furono la sofferenza del corpo e la morte: condannati e giustiziati nei pressi delle mura della rocca, in parte condotti nell’ancora guelfa Piacenza per essere esposti al pubblico ludibrio, i nemici ghibellini furono arsi vivi. 

Ancora oggi le anime straziate dei disperati eroi di quelle battaglie vagano senza pace tra le terre del contado dell’antica Cagnano, innalzando al cielo i loro lamenti a perenne ricordo delle sofferenze patite. A Gropparello non ulula mai il vento nelle buie notti autunnali, quando la pioggia e le nebbie avvinghiano nel loro avvolgente abbraccio la terra di quelle colline… sono le anime defunte che esternano il loro infinito dolore. Le voci dei dannati udite nelle lunghe e fredde sere senza luna sono relegate nel limbo del folklore locale, tuttavia non tutto l’alone di mistero che pervade le antiche pietre della rocca viene dissipato dal pallido sole dell’alba…Durante una delle frequenti battaglie tra i feudatari locali, Pietrone da Cagnano, nemico dichiarato della città di Piacenza e signore dell’omonima rocca nella seconda metà del ‘200, abbandonò la giovane sposa Rosania Fulgosio, spinto dal dovere e dall’ardore bellico. Senza il suo signore il castello si espose agli attacchi nemici e nel breve volgere di pochi giorni cadde preda di un capitano di ventura, Lancillotto Anguissola il suo nome, condottiero fedele alla casata ghibellina dei Pallavicino, fiero e risoluto uomo d’arme, apprezzato per il coraggio e le gesta in battaglia. Lancillotto, alla ricerca di fama, terre e ricchezza per il suo signore, trovò invece un immenso tesoro da lui stesso agognato per anni tra le mura di quel castello: Rosania. Antico amore di gioventù e sua promessa sposa di un tempo, solo la diversa estrazione sociale e la passione per l’incertezza della vita guerresca lo privarono delle gioie del talamo nuziale. L’occasione di giacere insieme, seppur in circostanze profondamente avverse, era il coronamento di una lunga attesa, condivisa e mal tollerata da entrambi… 

La felicità intensa, carica del desiderio accresciuto in lunghissimi di lontananza e dall’incertezza di giungere al proprio appagamento, non fu altro che la rugiada del primo mattino, destinata ad evaporare ai primi raggi del sole. L’opprimente aria di guerra e il tributo di sangue richiesto dalle battaglie richiamarono Lancillotto alla realtà e ai suoi doveri di soldato. Portato dalla guerra al cospetto dell’amore della sua vita, ritornò ad impugnare le armi, congedandosi per sempre da Rosania. Pietrone, terminato il forzato esilio, ritornò sovrano indiscusso di Cagnano, della sua rocca e del suo feudo. Molte le sue incombenze insediatosi nuovamente sul proprio trono, ma un progetto in particolare catalizzò l’anima e il corpo di Pietrone, anche a scapito dell’amministrazione quotidiana delle sue ricchezze: la costruzione di una stanza segreta nel sotterraneo del castello, celata alla vista da pietre e massi. Pochi anni fa viveva ancora nel borgo di Gropparello un custode della rocca, che, sebbene giunto agli ultimi anni del suo cammino in terra, malcelava il profondo e intimo legame che lo univa al castello e alla sua storia: “Udivo spesso nelle notti di vento - era solito ripetere -, salire dalle forre del Vezzeno una voce lamentosa piena di pianti e di invocazione: era lo spirito dolente di Rosania, murata viva nella camera segreta”. 

Nel territorio piacentino e nella vicina provincia di Parma sono pochi coloro che non conoscono, certo a grandi linee, la sfortunata vicenda di Rosania e sono all’oscuro dell’alone di mistero che aleggia sul castello di Gropparello. La triste storia che pesa sulle ataviche mura della rocca, tuttavia, è generalmente relegata ad una dimensione favolistica e, troppo sbrigativamente, relegata al ruolo di appendice “di colore”. Tuttavia, variegate e costanti testimonianze minano alle fondamenta un approccio troppo semplicistico al problema. Lo spirito di Rosania mal si confà allo stereotipo del fantasma con il lenzuolo bianco e le catene, tanto caro all’immaginario comune - non appare avvolto in candide vesti, non disturba il sonno dei vivi con spaventosi rumori, non vaga senza meta per le stanze del maniero trascinandosi stancamente da un luogo all’altro - e proprio per questo motivo non è sufficiente la mancanza di apparizioni tradizionalmente intese per negare anche la sola possibilità di un qualcosa che sfugge agli assiomi della razionalità. Rosania non è un fantasma che, più o meno regolarmente, appare per spaventare o burlarsi. Il termine migliore per caratterizzarla è quello di “presenza”: non lascia segni tangibili, ma fa in modo che il suo spirito sia “avvertito” tra le stanze del castello, avvolgendo di sé ogni singola porzione del maniero e penetrando nell’animo di chi, tra le mura teatro del suo dramma, ne sente, vivendolo, il suo profondo dolore. Uno spirito dannato, che ricerca il contatto con il mondo dei vivi, un conato cosciente di sé e della propria condizione alla quale le imperscrutabili leggi divine hanno negato la pace eterna. 

Gianfranco Giorgio Gibelli, l’attuale proprietario del castello, è il migliore e più attendibile teste di questa fantastica avventura alla scoperta dell’irrazionale. Autore di un libro - “Indagine su di una presenza inquietante” - il cui soggetto è la progressiva presa di coscienza della presenza tangibile, a suo modo, di Rosania, riesce ad esprimere al meglio chi/cosa sia il “fantasma”: una incessante e continua presa di coscienza dell’esistenza di un qualcosa d’altro che, al di là del mero dato fattuale - l’esistenza di una camera segreta ancora inviolata, le testimonianze storiche dei protagonisti della storia prima e della leggenda poi - e in grado di dare costante testimonianza di sé sia in modo, in un certo senso, tangibile (ombre all’apparenza inspiegabili, cacofonie e suoni) sia insinuandosi nell’animo dei viventi.

                  

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