L’esplorazione
ha come meta l’alessandrino. Acqui Terme per la precisione.
Con me Marco Faion, conosciuto come Dakaron. Ha con sé una
macchina fotografica con flash. Magari riesce ad immortalare
qualcosa di strano nel corso delle nostre visite. Vedremo.
Arriviamo ad Acqui Terme in tarda mattinata sotto un sole
cocente. Obbiettivo un agriturismo nella zona (anche se la
signora che lo gestisce ha assicurato di non avere remore in
merito preferiamo non dire il nome trattandosi di
un’attività commerciale, chi fosse interessato a visitare il
luogo per ricerche più approfondite può contattare via mail
Dakaron). Pare un posto interessante. Almeno da quanto mi
era stato riferito da Flavio Ranisi, già proprietario di una
libreria esoterica in Acqui Terme e conoscitore di alcuni
misteri locali. La Signora che gestisce l’agriturismo
assieme al marito ed al figlio, è una sua amica. Nella
cantina pare siano successe cose strane. Ne ragiono insieme
a Marco che mi mette in guardia. Raramente, quando si visita
un posto sul quale ci sono delle voci inerenti fenomeni
inspiegabili, succede davvero qualcosa di strano nel corso
della visita. Non devo quindi aspettarmi nulla. Intanto
imbocchiamo la stradina che ci porta all’agriturismo.
Avanziamo quasi a passo d’uomo e ci addentriamo nella
campagna assolata tra poche case sparse in lontananza e
campi coltivati. Il posto per essere isolato è isolato. Ci
stanno aspettando. Mi trovo di fronte ad una cascina
ristrutturata in cui non vedo nulla che possa avere un
aspetto inquietante. La signora Laura ed il marito ci fanno
entrare ed accomodare


in una sala. Loro stanno pranzando con la mamma del marito,
una signora novantenne ancora in forze ma che deve essere
guardata a vista. “Con la testa non c’è” ci spiega la
signora. Pranziamo con una serie abbondante di antipasti
piemontesi, roba genuina, di loro produzione. La signora
è gentile ma sembra glissare le mie domande sul posto. E se
non volesse parlarne più? Intanto mangiamo, poi si vede.
Dopo il caffè usciamo nell’aia. Stiamo all’ombra, al riparo
dal solleone. Marco chiede di fare delle foto. Permesso
accordato. Nel frattempo comincio a fare domande.
Prendendola alla lontana. Da quanto tempo gestisce
l’agriturismo, come si trova, etc,. La signora inizia a
sbottonarsi. E a raccontare. Le difficoltà, le questioni
amministrative, il lavoro e la fatica che ci vuole a gestire
il tutto. Io e Marco ci guardiamo. Sento che la signora ha
voglia di raccontare. Sicuramente, commento, ci sono tanti
problemi nel gestire un agriturismo ma tutto all’insegna
dell’ordinaria amministrazione. Infatti. Peccato che ci sia
anche la famosa cantina. “Volete vederla?”. Mascherando
l’entusiasmo rispondiamo che si’, certo, la vediamo
volentieri. La seguiamo per entrare da un altro ingresso.
Attraversiamo una grande sala con tavolini e sedie per
dirigerci verso una porta che da su una scala. Scendiamo e
voltiamo a sinistra. Mentre i faretti appena accesi si
illuminano mi guardo attorno. Tavolate, sedie, una stufa,
alcune bottiglie messe per fare arredamento e, proprio
nell’angolo da dove siamo scesi, un piccolo montacarichi.
Per le pietanze, ci spiega. Marco chiede di nuovo il
permesso di fare fo to,
nuovamente accordato. Starà per la gran parte del tempo
silenzioso. Io provo un senso di fastidio. Come se mi
mancasse l’aria. Certo, siamo in una cantina, ma gli sbocchi
per l’aria non mancano. Noto che i faretti hanno un calo
dell’intensità luminosa. A questo punto la signora comincia
a raccontare. “Stando a quello che so, in questo posto deve
essere successo qualcosa durante la Resistenza, forse ci
sono stati dei morti. Inoltre prima che lo acquistassi, qua
abitava un malavitoso agli arresti domiciliari. Doveva
andare a firmare in caserma ma sembra che ne abbia combinate
di tutti i colori lo stesso. Quando ho cominciato a
ristrutturare non ho avuto problemi, evidentemente non ero
ancora scesa qui, dove evidentemente procuro fastidio.” Ad
un tratto si interrompe. Sul pavimento c’è acqua. Quando
eravamo scesi il pavimento era asciutto. Strano. Eppure c’è
dell’acqua. Specie in alcuni punti. Tocco con la mano il
battiscopa. Umido. Tocco la parte di muro posta
immediatamente sopra. Asciutto. La luce ha un altro calo di
tensione. La signora ci spiega che questo è niente. In
passato a volte scendeva e il pavimento era una pozza
d’acqua. Ora il fenomeno è più limitato. “In passato è
successo di tutto. Mettevo vasi di piante che marcivano in
breve tempo. Appendevo quadri e
trovavo il vetro scheggiato. Una volta ho trovato il vetro
di un quadro rotto anche se lo avevo posto in orizzontale su
un tavolo. Per non parlare dei vari problemi che ho quando
la gente mangia qua sotto. Lamentele, qualcuno che scivola
sull’acqua, gente che ha freddo, o senso di malessere. Altri
mi dicono che si sentono oppressi.” Però, per quanto sia
ristrutturata, è sempre una cantina, commento. Marco è
sempre silenzioso. Si sentiva strano e a disagio, mi dirà
poi in macchina quando ripartiamo. La luce ha un nuovo calo
di tensione. “Li sotto ci sono dei morti, questo è sicuro”
mi confermerà poi Flavio al telefono pochi giorni dopo.
Anche se preferisco non indagare sul come, è stato lui che
ha aiutato Laura ha ritrovare un po’ di serenità anche
sdrammatizzando e dicendole che la gente non tornava da lei
per via delle sue maniere. “Ma io sono sempre la stessa e
sono gentile con tutti” si era difesa la signora. Prima di
descrivere i rumori strani che spesso provenivano dalla
cantina. Di giorno e di notte. Come dei mobili che cadono,
dei tonfi. Mentre Marco fa le ultime foto ci dirigiamo verso
le scale. Uno dei cagnolini è sceso con la padrona. “Ma da
solo no n
viene mai, nessun cane è mai sceso qui da solo. Eppure
scorazzano per ogni dove”. Mentre Laura parla udiamo
distintamente un suono. Crac. Proprio cosi’. Come un legno
che si spezza. In un momento di silenzio lo abbiamo sentito
tutti. All’improvviso. Proveniente da un luogo indistinto.
“Eccolo! Ma questo era piccolo.” Era un "rap", mi spiegherà
Marco. Un rumore inspiegabile di varia intensità che a volte
si sente nei posti infestati. Risaliamo le scale lasciandoci
alle spalle la cantina. Usciamo fuori. La signora ci mostra
con orgoglio i suoi conigli e le mucche. Allevati in modo
naturale. Divaghiamo un po’, anche per allontanare quel
briciolo di tensione che, magari per via
dell’autosuggestione, abbiamo provato nella cantina.
Salutiamo la signora ed il marito e partiamo. |