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Intervista a Massimo Polidoro: il ricercatore, lo scrittore, l'uomo
a cura di Marco Faion

PRESENTAZIONE

Bruno Colombino vive a Torino, il suo è un mestiere un po' particolare, è un "Mentore Olistico". A lui si rivolgono molte persone, chi per guarire da dolori fisici, chi da mali psicologici, chi invece gli fa visita senza alcun problema, ma cerca qualcuno che lo aiuti nel proprio percorso di evoluzione personale. Lo abbiamo contattato e ci ha gentilmente concesso un'intervista in cui ci spiega in cosa consiste il suo lavoro, chi sono le persone che si rivolgono a lui e come si integra la medicina alternativa all'interno della società attuale.

L'INTERVISTA

Come definisci la tua professione?
Credo che ogni persona abbia in sé tutte le potenzialità per vivere una vita felice e sana (che sono due cose che vanno di pari passo), ma molti faticano a riconoscerle perché… non hanno la mappa! Io cerco di essere colui che dà una mano a leggere la propria mappa. Più pedestremente la mia posizione potrebbe essere definita così: un tizio, da sotto il trampolino della piscina, sta a guardare gli altri che si tuffano e si divertono, ma lui ha timore di fare altrettanto… magari decide di provarci, sale anche sul trampolino, ma al momento cruciale viene assalito dalla paura e non riesce a decidere di tuffarsi. Io allora sono quello che gli dà una spallata (nel senso buono della parola), e lo aiuta a fare il grande passo. Questo grande passo per alcuni è “solo” superare una paura, per altri è guarire dalla sclerosi multipla, per altri è far pace con se stessi o con il prossimo, con il governo, con Dio.

Cosa significa Mèntore Olistico?
Méntore è la figura incarnata da Virgilio allorché conduce Dante per i tre regni: inferno, purgatorio e paradiso. Egli non si pone propriamente come un Maestro con la M maiuscola, perché comunque è Dante che scriverà la Divina Commedia, però è la persona tramite la quale Dante riesce a portare a termine l’impresa. Potremmo definirlo una guida, un amico che ti prende per mano e ti aiuta a saltare il fosso nel momento in cui ti sembra che lo sforzo sia eccessivo per le tue possibilità (in quanto, se così non fosse, lo salteresti da solo).
“Olistico” è la sintesi dell’appartenenza a un tutto. Io ritengo che noi, tutti, siamo cellule di un corpo che chiamiamo “universo” e pertanto il nostro benessere non può essere disgiunto da un equilibrio cosmico. Ciò vale anche per il nostro organismo: il nostro corpo non può essere felice o star bene se una parte di esso sta male; anche se abbiamo un solo dito del piede che duole, ne risultiamo invariabilmente condizionati! Tutto il nostro essere interagisce, dal sistema corpo-mente all’umore, per cui io ritengo che sia assolutamente necessario prendere le cose non dal particolare, cioè dal dito del piede che duole, ma considerare tutto il sistema: organismo, psiche, emozioni, ecc. Questa è più o meno la mia idea del termine “olistico”.
Anche prima di avere i mezzi per svolgere quest’attività, avvertivo comunque l’istinto a farlo. Non avevo ancora appreso tecniche propedeutiche, eppure sentivo già la passione dell’ascoltare i problemi della gente e - magari - provare a dare addirittura qualche dritta, anche se sulla carta non ero in grado di farlo… ho sempre avvertito bisogno di armonia, di pace, anche in tempi in cui mi occupavo di altre cose.
Tanti anni fa ho cominciato (per caso, come spesso succede) ad avvicinarmi al reiki e tutto è partito da lì. Io sono convinto che il reiki sia un seme che viene piantato nel cuore di una persona e dopo un po’ comincia a germogliare. Così è stato per me come per tanta gente che ho “iniziato”: a distanza di qualche mese, un anno, due anni si comincia ad avvertire un cambiamento evolutivo...
“Cambiare”… nel senso di assumere una forma di spiritualità diversa, virare verso ideologie più elevate, un po’ meno legate al denaro, alla competizione sociale, al benessere inteso come guadagno o all’apparire… andare verso concetti legati all’armonia, al fatto che io posso esser felice solo che anche gli altri lo sono! Credo non sia possibile star bene se i miei circostanti soffrono. Questo è un principio proclamato da buddisti, cristiani, comunisti…
Il reiki mi ha instillato questo seme, che poi alla lunga è cresciuto e, un po’ per caso un po’ per volontà, mi sono messo a studiare una tecnica e poi applicarla, poi apprenderne una seconda e aggiungerla, poi una terza e così via.
Ho portato avanti quest’attività in sordina fino a quando non ho avuto i titoli per svolgerla compiutamente da tutti i punti di vista. In altre parti del mondo è più semplice; qui è piuttosto complicato e soprattutto il nostro è un contesto infestato da incompetenti e da profittatori, i quali strombazzano etica e deontologia inseguendo in realtà null’altro che il lucro. Così c’è il rischio di essere confusi (sia a livello fiscal-burocratico, sia dal punto di vista dell’efficacia di ciò che si fa). Inutile negare che ho visto tanti maneggioni che… Insomma, ho aspettato di avere tutte le carte in regola ed ho iniziato a farlo full-time... il che significa anche di notte, sabato e domenica, perché se ti occupi del benessere delle persone non puoi dire: “No, io la domenica non lavoro”… se c’è uno che sta male, vai fuori anche la notte, ovviamente… e a Natale…

Cosa fa esattamente un méntore olistico? Quando una persona viene da te con un problema...
Dipende da che tipo è: se è una persona aperta, disponibile al dialogo e soprattutto sincera il percorso risulta significativamente più semplice e rapido. Ma le bugie sono comuni, specie all’inizio; non per cattiva volontà, ma perché molto spesso le persone, di primo acchito, tendono a sottacere cose particolarmente intime... si tengono un po’ abbottonate finché non ci si rilassa. Certo, l’ideale sarebbe chiacchierare e scoprire il più velocemente possibile quali sono le VERE radici delle problematiche fisiche e/o emotive… Nella pratica è raro che si riesca a farlo in fretta: penso a quello che fanno gli psicoterapeuti…, infatti, una classica terapia psicanalitica (anche a causa delle ragnatele che ricoprono storicamente i suoi strumenti…) richiede comunemente un sacco di tempo perché prima che le persone si aprono davvero… Io, allora, invece che far raccontare alle persone tutta la loro storia, utilizzo tecniche che permettono di sondarle bypassando l’emisfero cerebrale sinistro, cioè quella parte razionale che è in grado di mentire. Riuscendo a stabilire una comunicazione con l’emisfero destro, invece, si riescono ad intuire le problematiche molto prima e ciò permette di non creare dipendenza. Già, perché quando le persone “convivono” troppo a lungo con un farmaco, un’erba, un decotto, un feticcio, un cristallo, una candela, un terapeuta… insomma con qualsiasi cosa che – vero o falso che sia - li aiuta a star bene, vi si attaccano e in questo modo si creano dipendenze. E v’è il pericolo che sorgano convinzioni pericolose: “Non starò mai bene senza questa cosa (o questa persona); da solo non ce la faccio”. Questo è un grosso problema per chi svolge un’attività affine alla mia (anche psicologi, ecc.), ed è importante fare il possibile al fine di evitare tale rischio.

Le tue cure sostituiscono quelle proposte dalla medicina tradizionale?
La medicina allopatica è stata, e continua ad essere, una benedizione per l’umanità, naturalmente. Nonostante i suoi limiti e le sue rigidità, essa non va assolutamente demonizzata. Però è un fatto innegabile che troppa gente, in quel campo (anche a causa di ragioni storiche, pubblicitarie, corporativistiche, economiche, ecc.) ha un atteggiamento manicheo. Tutto può avere una sua utilità, purché sia corretta la collocazione. Un farmaco di sintesi in alcuni casi è indispensabile, un intervento chirurgico alle volte è indispensabile, un’amputazione può rivelarsi indispensabile. D’altra parte, cionondimeno, spesso io constato che a volte si può guarire definitivamente anche con altre tecniche (per esempio quelle che applico io, ma non solo). E magari evitando effetti collaterali o traumi. Perché io sono assolutamente convinto che i problemi derivino dall’atteggiamento, dal modo di pensare, di giudicare, di osservare. Che non siano gli agenti esterni (microrganismi, ecc.) ad aggredirci e a vincerci, ma che è l’esercito personale del nostro corpo (solitamente pronto a tutto e capace di tutto) che improvvisamente si arrende agl’invasori. Ed allora la domanda fondamentale è: perché?! Magari perché le forze dell’esercito nemico sono preponderanti (ed allora ci sarebbe bisogno di un aiuto esterno, un farmaco od altro), magari perché il proprio esercito è demotivato, o è stanco; magari perché si trova in uno stato d’animo particolare (un’euforia, una tristezza, una paura, un’ansia) … Quando il nostro esercito non è efficiente… ebbene, allora aiutarsi con una sostanza chimica non è indispensabile. Se si riesce a rimuovere il motivo di quest’obnubilamento mentale od emotivo dei soldati, probabilmente essi torneranno ad essere in grado di combattere e vincere la battaglia senza bisogno di assumere “mercenari esterni” che combattano in loro vece.

Comunque una terapia non esclude l’altra… o sì?
Una terapia non esclude mai l’altra. Occorre solamente prestare attenzione alla questione del feticcio di cui ho parlato poc’anzi. Io ho pazienti che considero assolutamente guariti, eppure essi continuano a prendere farmaci perché il medico continua a dire loro: “Riduciamo, riduciamo, riduciamo… ma comunque non smettiamo, perché..”. Dal mio personale punto di vista questo non è sano: è assodato che i farmaci hanno effetti esaltanti sotto certi aspetti ma conservano molti punti interrogativi… e anche sotto l’aspetto emotivo - come dicevo prima - dopo un po’ si crea l’idea che tu non ce la farai senza quella roba lì; ricordo una persona, diabetica ed insulino-dipendente da molti anni che, dopo alcune sedute, si è accorta autoanalizzandosi quotidianamente che non aveva più bisogno di iniettarsi l’insulina. Ciononostante non riusciva a smettere, anche se i risultati evidenziavano clamorosamente una guarigione totale. Le ci è voluto un bel po’ (di tempo e di coraggio) prima che riuscisse a smettere di continuare a propinarsi l’insulina, perché erano anni che tutti i giorni, diverse volte al giorno “si faceva la punturina” ed era diventato assolutamente un “drogato”! Gestualmente, psicologicamente, emotivamente. I suoi occhi leggevano, sì, sullo schermo valori normali, però il suo bambino interiore era paralizzato dalla paura. C’è voluto del bello e del buono prima che ci riuscisse! Tornando alla tua domanda tengo a sottolineare, però, che a volte tutte le tecniche del mondo non valgono quanto una buona parola, detta al momento giusto. Questo si evidenzia dalle persone che si rivolgono a me tramite il mio sito internet (http://digilander.libero.it/brunocolombino – ndr) e con le quali, anche per problemi logistici, non ho contatti in persona ma solamente telefonici o, addirittura, epistolari. Eppure si conseguono risultati eclatanti anche “solo” interloquendo a voce o per iscritto… per la verità, devo confessare che anche qui un po’ di tecnica non guasta, eh?…

Che tipo di persone si rivolgono a te?
Ahimè, spesso, i disperati, almeno in questo contesto storico… la grande maggioranza sono persone che hanno gia fatto la chemioterapia per un cancro, oppure che prendono da anni psicofarmaci di vario tipo per una depressione, alcuni asseriscono di aver già provato di tutto, non pochi sono andati anche all’estero, cercando di scovare cure particolari per i loro malanni… e poi vengono da me! Per questo me ne dolgo: perché incontro persone che ormai per anni hanno permesso che un problema si radicasse profondamente; come già diceva Ovidio (vissuto un bel po’ di tempo fa, eh?!…) “Da quanto più tempo si è radicato un male, più ci vuol tempo a guarire; se tu prendi provvedimenti celermente, fai in fretta anche a riacquistare la normalità”. Purtroppo è tendenza diffusa il fatto di considerare la cosiddetta “medicina alternativa” come l’ultima spiaggia. Ciò fa sì che si presentino a me persone afflitte da molto tempo da un male il quale nel frattempo si è anche aggravato, ha assunto complicanze varie ed oltre a ciò, magari, dette persone hanno subìto alterazioni farmacologiche, effetti collaterali, operazioni chirurgiche, irradiazioni, ecc., e di conseguenza hanno delle complicazioni abbastanza importanti per cui, sovente, i miglioramenti conseguiti qui vengono reputati una specie di miracolo!

Le tue pratiche prevedono un certo tipo di religiosità o sono totalmente slegate dalla fede religiosa?
Dovrò spiegare quello che io ritengo essere “religiosità… La mia idea di religiosità è sentirsi parte di un tutto, di essere una cellula di un organismo vivente con la sua unicità, con la sua storia, con la sua esclusività, ma comunque non avulsa da tutto il resto… del resto l’uomo è un animale sociale. Esso non sta bene da solo, “il suo bisogno di contatto è naturale come l’istinto della fame” (Giorgio Gaber). L’uomo si crea i luoghi propedeutici, le discoteche, le chiese… certo, esistono eremiti, ma si tratta di persone rare e molto speciali. La normalità prevede che noi umani ci si aggreghi; siamo felici quando abbiamo delle persone intorno che la pensano come noi… ci sono i tifosi da stadio, c’è il bisogno di appartenenza a un club, ad una congregazione, ad un partito, ad una fede religiosa… Proviamo una sorta di godimento nel sentirci sicuri all’interno di un luogo - anche onirico, anche virtuale – formato da persone che la pensano come noi. Forse il sentirsi parte di un gruppo che la pensa come te è tranquillizzante nel senso che non devi stare così tanto all’erta… del resto gli erbivori in natura fanno gruppo per questo motivo, tutto sommato, no? Ebbene, questo concetto del sentirsi una goccia di un oceano… è esattamente questo, che io intendo per religiosità. Non intendo la fede in Allah piuttosto che in Jahvè. Non credo in un essere superiore che in un qualche modo:

a) programma gli avvenimenti
b) magari sta alla finestre e guarda come funzionano le cose
c) ci giudicherà quando sarà ora
d) procura le vergini per i tizi che si fanno esplodere…
e) organizza eventi atmosferici anche su richiesta (preghiere, riti, sacrifici, offerte…)


Certo che le mie pratiche, le mie teorie (che a volte discuto nell’àmbito delle mie sedute) funzionano meglio in presenza di un ideologia possibilista. Ogni tanto ho qualche persona che crede (o si autoipnotizza e crede di credere) di essere solo al mondo. “Chi se ne frega, degli altri? Quando sono morto è finito tutto! Carpe diem!” Ecco, questo modo di pensare sì, che osta alle guarigioni! Perché se ti senti da solo su un’isola deserta… beh, effettivamente non c’è ragione perché tu stia bene, non serve a niente, non c’è un obiettivo, o meglio non v’è un obiettivo condiviso. Mia convinzione incrollabile è che ogni persona, io per primo, può e deve essere utile agli altri. E questo progetto di utilità agli altri - che può essere grande o piccolo - è una delle chiavi dell’esistenza, per me.

C’è stato un caso in cui hai ottenuto un risultato che ha lasciato sbalordito anche te?
Tanti! Specialmente all’inizio: tu studi una tecnica che prevede, che so, di toccare una persona sul ginocchio al fine di lenire la sua emicrania. Tu, mentre la studi, sei perplesso… (mah, sarà mai possibile?…), l’istruttore ti dice: “Il punto è questo, prova!” però nessuno, in quel frangente, ha il mal di testa… ragion per cui tu l’apprendi in teoria e ti tieni la perplessità. Quando poi una persona viene da te con l’emicrania e tu tocchi quel punto sul ginocchio e passa il mal di testa… Wow! Certo, in teoria lo sapevi, ma quando succede davvero… le prime volte ti appare veramente miracoloso. Questo avviene, per esempio, utilizzando la kinesiologia, tecnica nella quale gli accadimenti sono repentini! Vi sono collegamenti elettrici nel corpo: toccando un punto, risponde un altro, magari molto lontano. Nella terapia del dolore si sollecitano punti che apparentemente non hanno niente a che fare l’uno con l’altro, eppure succedono delle cose che hanno del miracoloso anche per la rapidità con cui si verificano. La stessa cosa succede anche durante l’applicazione di altre tecniche (io ne ho studiate – e ne applico – alcune dozzine, a seconda delle situazioni e del tipo psicologico della persona che mi si presenta). Alcune tecniche sortono effetti rapidissimi, altre sono più lente ma più durevoli nel tempo, altre servono per stabilizzare una situazione, altre per rimuovere traumi o preconcetti insani. Il reiki, per esempio, per me rappresenta innanzitutto una strategia evolutiva – come ho già spiegato prima – ma alcuni sono attirati, in primis, dagli aspetti più immediatamente visibili dei suoi effetti: “Prendo il reiki, così tutte le volte che mi taglio, o mio figlio si scotta con il ferro da stiro, risolvo la situazione!”… Ebbene, è un fatto innegabile che sulle ferite, sui tagli, sulle scottature, sui traumi quasi quotidiani il reiki è miracoloso! Due anni fa mia figlia fu bruciata da una medusa, ed appena tornata a riva il bagnino e tutti i circostanti, nel vederla, si preoccuparono molto: l’incidente sembrava a tutti piuttosto grave, si doveva chiamare il 118, l’ammoniaca… Fino ad allora, io non avevo mai trattato una bruciatura di medusa, però… ci appartammo per un’oretta, sotto l’ombrellone, lei ed io… ed il giorno dopo non aveva più niente! Il bagnino non ci credeva, insinuò addirittura che avessi due figlie gemelle e che intendessimo burlarci di lui!… ”Non è possibile! – disse – per queste cose ci vogliono normalmente due settimane! Io ne vedo tutti i giorni…” insomma: sì, accadono cose che… ecco, talvolta sorprendono anche me.

E invece un caso divertente (o peculiare)?
Anche questo ha un che di miracoloso. Una persona che è venuta da me - da una città lontana tra l’altro - con una radiografia che evidenziava alcune metastasi nel fegato, le quali erano state segnalate con un pennarello rosso dal suo medico. Io, essendo fermamente convinto che l’insorgenza del cancro è causata da motivi psicologici ed emotivi, ho cominciato a farle discorsi, analizzare ed applicare tecniche specifiche che aiutano a far venire a galla emozioni e sentimenti insabbiati… è venuto fuori un trauma che lei aveva rimosso, non lo ricordava nemmeno più; un trauma per lei talmente grande e anche vergognoso, al punto che lei non era mai riuscita a dirlo a nessuno! Dopo alcune ore ha avuto una crisi di pianto irrefrenabile! Beh, qualche giorno dopo è riandata a fare le lastre e non c’erano più le metastasi…. Una vera scoperta, nel senso che anche in quei casi Spiritualità Olistica che studi e che sai, ma quando poi si avverano… ti senti utile, ecco. Non è orgoglio, il mio: non penso sia merito mio… Non è questo… Io penso solamente di dare la spinta affinché la persona imbocchi la via che la porterà alla guarigione. Certo ci sono anche persone che sembrano essere predestinate… ricordo una paziente che mi riferì di esser stata dimessa dall’ospedale in quanto non sapevano più cosa fare (pare soffrisse d’una malattia sconosciuta). Lei non mangiava più, non si alzava più dal letto… L’ho vista due, tre volte, le ho prescritto una vibrazione anacamptica (fonoterapia) e poi non l’ho più sentita. Temevo il peggio, invece non solo non accadde ciò che paventavo, ma dopo qualche anno la rividi – per caso, a passeggio) e dichiarò d’esser guarita! In seguito, le insorse un tumore all’utero e allora mi recai nuovamente da lei. Si trovava ancora una volta in circostanze gravi, camminava a fatica, aveva il ventre gonfio come fosse sul punto di partorire… Seguii lo stesso percorso terapeutico: qualche seduta e poi… il suo angoscioso silenzio! Dopo qualche mese, però, mi telefonò comunicandomi che le si stava sgonfiando l’addome e i medici, pur non riuscendo a capacitarsene, ne erano contenti… Non molto tempo fa ho ricevuto tristi notizie dal suo compagno: è morta a causa di un’emorragia! È caduta in casa, sola, e quando l’hanno rinvenuta, dopo ore, era già spirata. Questo mi ha dato l’impressione che questa persona dovesse morire… come avesse una nuvoletta nera sopra il capo! La prima volta l’avevamo, come si suol dire, “presa per i capelli”; nella seconda era in via di guarigione; e visto che stava guarendo il fato è intervenuto … Mah, detto così pare ch’io creda allo spiritismo, al malocchio e alle fatture… Non è questo, però sembra quasi una specie di sorte maligna ed ineluttabile. Ricordi la famosa favola, ripresa anche da Roberto Vecchioni in una canzone, di Samarcanda?

Sappiamo che hai elaborato una tua tecnica di guarigione che utilizzi in via esclusiva. Potresti spiegarci come funziona?
Le notizie volano, eh?...
Potrei spiegarla nei particolari, ma ciò richiederebbe che voi foste contemporaneamente dei musicisti, degli studiosi di acustica e dei kinesiologi. Ci proverò ugualmente. Il suono è una sensazione umana ed animale; di per sé in natura non esiste alcun suono, come non esiste alcun colore, ma esistono solo velocità di vibrazioni ed addensamenti di atomi i quali definiscono la materia solida, liquida e gassosa. Tutto quello che “è” ha una sua vibrazione, sennò non esisterebbe, come ha ipotizzato Albert Einstein postulando che qualora si riuscisse a portare alla temperatura dello zero assoluto (273,15 gradi centigradi….) un oggetto, questa cosa smetterebbe di esistere in quanto si arresterebbe in essa qualsiasi vibrazione. Detto questo, posto che quest’esperimento non è mai stato portato a termine per impossibilità tecnica, questa intuizione ipotizza che le vibrazioni di ogni cosa (vivente o meno, materia, corpi, pensieri, luce, energia, ecc.), possano essere modificate. Gli stati alterati (malati) di un corpo fisico sono effetto di una vibrazione non congeniale, non naturale, non perfetta; sia gli stati psichici che quelli di natura organica, che peraltro per me coincidono. Esiste un fenomeno, che in acustica si chiama eufonìa, che prevede che un oggetto sottoposto ad una vibrazione la assecondi (sempreché abbia le caratteristiche fisiche per poterlo fare) ponendosi a vibrare alla stessa frequenza. Chiunque può sperimentarlo: ponete due chitarre (accordate) a tre metri di distanza; pizzicando la corda di una delle due, la stessa corda dell’altra chitarra si mette a vibrare. Questo accade perché le molecole che vibrano ad una certa frequenza trasmettono le vibrazioni alle molecole dell’aria e queste, a loro volta, le trasmettono alla corda dell’altra chitarra. Orbene, la mia teoria, formulata tanti anni or sono, è che il fenomeno eufonico può essere utilizzato terapeuticamente. In parole molto semplici; se il tuo fegato ha problemi, è perché le vibrazioni delle sue cellule sono alterate (a causa dei più svariati motivi, non importa); potremo provare a fargli “ascoltare” un suono che abbia la sua vibrazione congeniale, la sua vibrazione primigenia; tramite la kinesiologia si può chiedere al corpo qual è la vibrazione primigenia (sana) e, una volta stabilita la risposta con un apparecchio di mia invenzione (una sorta di oscilloscopio, per intenderci), “somministrare” in termini acustici al fegato una vibrazione che lo riequilibrerà per eufonìa. In natura non esiste la possibilità di sottoporsi a una vibrazione di - poniamo - 447 Hertz per un quarto d’ora, o per due ore e mezzo, con una forma d’onda specifica… Io creo una nota di questo genere - su indicazioni del corpo di questa persona (più precisamente del suo emisfero destro, della sua “sala macchine”, insomma) e somministrando questa vibrazione ad intervalli regolari, ho riscontrato - ormai da anni - risultati indubbi, sia sul piano psichico che organico. Preciso che la somministrazione non avviene necessariamente a livello auditivo: noi siamo abituati a pensare che i suoni vanno ascoltati con le orecchie, ma in realtà le vibrazioni sono moti fisici, e ciò significa che può essere anche che sia preferibile applicare una cuffia al fegato, ad una coscia od al “terzo chakra” onde far sì che questa vibrazione “scuota” le cellule momentaneamente in crisi anche senza che le orecchie intervengano in alcun modo

Sei religioso?
Credo che tutti siamo religiosi, chi più, chi meno e chi in maniera “differente”… certo non ritengo sia evolutivo affidarsi ad un Dio con la barba che è buono o cattivo a seconda delle situazioni, oppure che sia un giudice, un papà, un amico, un fratello, oppure che ti organizza un’orgia con le vergini (sempreché se ne trovino ancora…) se fai la bravata di farti esplodere su un pullman pieno di bambini, oppure… beh, potremmo andare avanti per ore… Io non dico che coloro i quali hanno fede in queste cose siano dei deficienti, per carità; però ritengo che molte religioni siano nate dal bisogno dell’uomo di avere un “ombrello” contro le intemperie che si chiamano paura, ansietà, senso di vuoto interiore e di impotenza. Ed ormai esse risultano così incarnate nella nostra società che forse non possiamo più evitare di prenderne atto. Prova ne sia il fatto che tutte le religioni, presto o tardi, s’intrecciano con la politica, il potere, la pecunia. Secondo me, sarebbe il caso di chiedersi come mai, per esempio, migliaia di anni fa qualcuno ha sentito il bisogno di dire agli altri: “Non mangiate la carne di porco!”… oppure: “Non desiderare la donna d’altri!”… Probabilmente ci sono delle ragioni più etiche, più storiche (o più di convenienza), che non veramente religiose. A mio modo di vedere, “religione” è un’altra cosa: sento che siamo gocce di luce che percorrono un cammino di ritorno al sole assoluto – Dio – dal quale ci siamo staccati, forse per fare esperienza… chissà? Il discorso sarebbe un po’ lungo… però… Dio siamo noi, nella nostra unità! Unità che ora non c’è (e si vede!…) ma, non a caso, siamo qui che cerchiamo di crearla! Fra migliaia di anni (e forse ce ne vorranno ancora migliaia), quando sarà l’unione completa tra le nostre anime, non sarà più necessario sostenere esami, su questa terra o su altre, per imparare delle cose e per abbandonarne altre: e allora sarà il “paradiso”! Ma, come ha detto il Buddha: “Il paradiso sarà tale quando tutti saremo là”… Non è come in una gara nella quale vince chi arriva primo, ma è come in una gita il cui senso è veramente compiuto quando è arrivato anche l’ultimo. Ed in questo caso quello che ha i mezzi per arrivare primo, invece di tagliare il traguardo… torna indietro per aiutare gli altri, finché sono arrivati tutti; solo allora, con un passo sublime, taglieremo il traguardo tutti insieme. È questo, che io chiamo “religiosità”!

Hai parlato di Jainismo, potresti spiegarci cos’è e in cosa consiste?
Proprio in questi giorni i tragici sconvolgimenti sociali che si stanno verificando in Birmania stanno dando visibilità ai monaci jainisti, tra gli altri fieri e indomiti combattenti nella non-violenza: nei – pur scarsi – documenti filmati che ci giungono da quella regione, si possono osservare vari monaci che portano una pezzuola bianca dinanzi alla bocca. Il Jainismo, infatti, prevede l’assoluta intenzione di evitare di arrecare danno a qualsiasi forma di vita, anche perché postula fermamente il concetto di reincarnazione, per cui una zanzara che tu uccidi potrebbe essere tuo padre che momentaneamente si è reincarnato… Tra l’altro questa è una storia che tira in ballo anche la moderna fisica quantistica, perché noi riteniamo che siano relativamente poche le anime esistenti. Molte meno degli abitanti del mondo che conosciamo, senza contare gli altri mondi, gli altri universi e le altre forme esistenziali... Questo ci porta a pensare che ciascuno di noi stia facendo diverse esperienze contemporaneamente, su diversi piani dell’esistenza.
Il Jainismo, comunque, non venera alcun Dio; crede nell’autodeterminazione di ogni uomo e nella coscienza individuale. Vi sono circa 12 milioni adepti (la maggioranza si trova in India, ma ve ne sono molti, per esempio, anche negli Stati Uniti… chissà cosa ne pensa Bush?…). I monaci, in particolare, fanno voto di tenere come sacri tre principi fondamentali:

• Non mentire mai
• Non arrecare danno ad alcun essere vivente
• Praticare la castità

In India i seguaci di questo credo sono veramente intransigenti (agli occhi d’un occidentale): molti, come ho detto poc’anzi, portano una mascherina davanti alla bocca per evitare di respirare i batteri (non per paura, ma per non ucciderli); nell’incedere, spazzano il terreno innanzi con un’apposita scopettina, prima di posare il piede, onde evitare di calpestare insetti od altri esseri viventi; non viaggiano dal tramonto all’alba (al buio si può correre il rischio di calpestare inavvertitamente qualcosa di vivo…; vestono esclusivamente di bianco e, di più, le persone più elevate vivono assolutamente nude e non posseggono altro che la suddetta scopettina ed una ciotola; tralasciano di nutrirsi di alcun alimento che possa contenere la vita, per esempio i germogli, i tuberi, le patate, l’aglio. È evidente che alcune di queste pratiche paiono veramente estreme, dal nostro punto di vista… insomma, sembra una vita grama, eh?… Probabilmente in India è un poco più semplice (qui non credo sia possibile vivere secondo questo tipo di abitudini), però il mio tentativo di vivere all’occidentale pur perseguendo l’obiettivo di non recare danno ad altri esseri viventi, sta riuscendo. La prima scelta è un’alimentazione vegana, vale a dire non solo non nutrirsi di “cadaveri”, ma neanche di prodotti di animali sfruttati (tipo, miele, uova, latte e derivati…). E neppure utilizzare lana, seta, pelli, cuoio…
Molti Jainisti, in oriente, ricoprono importanti cariche pubbliche e private (in politica, dirigenze, revisione dei conti, presidenze di società e di banche, ecc.), in quanto è opinione diffusa che coloro i quali vivono secondo i precetti succitati siano persone assolutamente affidabili e degne di manovrare le leve del potere secondo regole etiche e socialmente armoniose e giuste… magari, da noi, si verificasse la stessa cosa!…
Non vi sono Dei da adorare, nel Jainismo: solo rappresentazioni iconoclastiche elle passioni e delle compulsioni umane. E ciò vale anche per i demoni, naturalmente.
Il demonio è ciò che contrasta il progetto d’armonia universale (Ahimsa, in sanscrito) di cui parlavo. “Diavolo” (“diaballus” nel greco antico) ha il significato di “separazione”. Quindi l’esatto contrario di comunità, di armonia, di unione… Il concetto di separazione è quello che ci tiene incatenati alla terra: “Siamo tante cose diverse; se io posso ti darò una mano, ma se sono in crisi o se sono in pericolo…abbi pazienza... mi salvo io! Tu, infine, sei un’altra cosa da me!”… Questo principio è negativo per tutto il mondo; è razzismo a tutti i livelli: nel momento in cui ci attaccano gli alieni, verdi, lucertolosi e maligni, noi siamo umanità solidale, tutti uniti; allora ci aggreghiamo, il nemico comune ci dà il senso di avere una bandiera… ma se non ci sono gli alieni, allora… aspetta un attimo: io sono europeo, tu sei americano, tu sei africano, siamo diversi!… E non è finita: siamo europei, sì, ma… aspetta un attimo: lui è norvegese, tu sei inglese, non ti lavi… io sono italiano, suono il mandolino e sono simpatico… E poi, certo, siamo tutti italiani, ma… aspetta un attimo: io sono del nord e tu sei del sud, vuoi mettere?… Siamo del nord? Già, ma io sono piemontese e tu sei lombardo… Siamo tutti piemontesi, qui? Eh, ma io sono di Torino, il capoluogo, tu sei di Chivasso, un provinciale, scusa, neh?!… Finalmente siam tutti di Torino? Sì, ma io abito alla Crocetta, mentre tu abiti alla Falchera, vuoi mettere? Siamo tutti della Crocetta!… Dello stesso palazzo! Uffa, ma non capisci? Io abito al 4° piano e tu abiti al 1°, abbi pazienza, il 4° piano costa il doppio!… Siamo tutti del 4° piano, anzi: siamo tutti una famiglia, ma io sono il padre, mentre tu sei una donna, sia chiaro ch’io ti rispetto (anche perché è eticamente corretto), ma nel momento in cui ci sono delle decisioni importanti da prendere… quelle le prendo io, tu sei una donna: certe cose non le capisci!… Si fa così anche con i figli, no? Questo è il “diavolo”, per me: il concetto di separazione, che contrasta con il concetto che dice: la goccia di luce (“anima”?) che sta ognuno di noi è uguale. Poi uno si è incarnato in un truzzo, l’altro si è incarnato in una scimmia, l’altro si è incarnato in una lumaca, l’altro ancora nel Mahatma Gandhi… però, comunque, la goccia di energia che c’è dentro ogni corpo fisico è sempre una goccia di energia. Un essere divino che ha il compito ed il destino di inseguire la felicità suprema; cioè tornare a far parte di Dio. Tornando al Jainismo ed al postulato che la divinità risieda nell’uomo stesso, trovo significativa la corrispondenza (pur se con alcune non indifferenti discrepanze) con il credo satanista, che attribuisce a ciascun’anima la propria personale responsabilità spirituale, senza bisogno dell’emanazione di un dio che svolga anche le funzioni di un’entità giudicante – teologica o meno - . Però sono convinto che ci sia molta letteratura fuorviante. Eticamente parlando, nell’esegesi della Bibbia, Lucifero ha fatto esplodere il “cielo” in cui ci trovavamo, al fine di buttar fuori queste gocce di energia, che ora stanno cercando di tornare lassù; ed esse, per riuscirci, devono necessariamente liberarsi delle zavorre che il nostro mondo ha caricato loro.

Recentemente sei diventato monaco, potresti spiegarci cosa significa diventarlo, esserlo e anche cosa significa precisamente per te “monaco”?
È vero che solo recentemente l’ho rivelato, ma lo sono già da qualche anno. Sono diventato monaco Jainista. La non-violenza, per me, è, più che un’opinione, un sentimento che coinvolge le mie azioni ed i miei pensieri, oltreché il mio modo di concepire la vita, la mia visione del mondo, i miei acquisti, la mia alimentazione. Questo è un principio assolutamente incrollabile per me (sono vegetariano da 40anni ed ora vegano). Il precetto più impegnativo è quello di dire sempre la verità. La castità, invece, è quello che incuriosisce maggiormente il mio prossimo. Si tratta, com’è intuibile, di raggiungere una sorta di rigenerazione psico-fisica delle energie che abitualmente ti tengono legato alla terra; se riesci a non utilizzarle in quanto tali, ti portano più in alto. Cito ad esempio il digiuno: di per sé, apparentemente, non significa molto (a parte la purificazione – fisica e mentale -, certo), ma se ci si “slega” dalle cose terrene… ebbene, cominci a sperimentare stati più sottili. Essere monaco prevede da parte mia, nel mio intimo, nella mia solitudine, alcune scelte, alcuni riti, alcune ore dedicate agli altri, magari a trattare la sofferenza nel mondo invece che dormire e gozzovigliare inseguendo i miei egoismi. Ci tengo a dire, infine, che abbiamo ottimi predecessori, eh? Gandhi era della nostra parrocchia! Su Hitler, purtroppo, non ho referenze…

In riferimento al lavoro che fai, ti hanno mai dato del “truffatore”, da quando eserciti questa professione?
No, anche se è successo che alcune persone mi contattassero con aspettative diverse rispetto a quello che io potevo offrire loro (e di conseguenza, in alcuni casi, non le ho viste più; non me lo hanno detto chiaramente, ma in pratica è come se mi avessero fatto capire che non era quello che si aspettavano). Non molto tempo fa una donna rumena mi ha telefonato, su consiglio di un amico, chiamandomi “dottore” e quando è stata qui (aveva una schiena in condizioni rigidissime), ho visto che mi guardava in maniera strana. Evidentemente, ho poi realizzato, lei si aspettava un medico più “classico” di me. Sono intervenuto delicatamente, come sempre è raccomandabile fare quando si approccia un paziente in quelle condizioni per la prima volta, (consapevole che se avessi esagerato le avrei fatto più male che bene) e mi sono riservato nella seconda seduta di intervenire più profondamente… sennonché lei, la volta successiva… non si è presentata! Credo di aver capito che lei si aspettasse un’altra figura professionale, forse l’ho delusa…

Cosa significa fare il “guaritore” al giorno d’oggi?
Significa far capire alle persone quello che ormai a parole sembra abbiano capito un po’ tutti, ma che in realtà i più faticano a digerire… Persino in televisione si sente dire che i fondamenti della nostra salute psico-fisica sono una buona nutrizione, il benessere, la felicità; e che invece lo stress, l’infelicità, le paure sono la causa dei nostri mali più diffusi. Si dice, certo!… Poi, nella vita di tutti i giorni, queste nozioni non si applicano affatto. Io vedo persone che predicano l’importanza di una corretta alimentazione, che bisogna fare attenzione a quello che compri… e poi vanno al supermercato e comprano i peperoni fuori stagione, che arrivano da chissà dove, il che significa che:

a) non hanno valide caratteristiche organolettiche, cioè non sono buoni… Ma questo sarebbe il meno!
b) non hanno caratteristiche di contenuto, in quanto sono raccolti verdi e messi in un capannone con atmosfera modificata e hanno fatto un viaggio lunghissimo e sono anche eticamente scorretti da un punto di vista energetico poiché un frutto fuori stagione che viene programmato in Israele, raccolto immaturo, caricato su un aereo e portato qui ha consumato e inquinato in modo inimmaginabile!

Per questo motivo, io mi occupo anche di nutrizione. Troppi seguono il loro stomaco come se esso fosse il loro padrone e scordano che il cibo è innanzitutto un combustibile (ed in quanto tale dev’essere ottimale) e solo successivamente devono essere presi in considerazione il gusto e le preparazioni appetitose…
La gente comincia a sapere queste cose ma non le applica e lo stesso si può asserire di tutte le cose che riguardano la salute ed il benessere… Non amo parlare di “malattia”: preferisco parlare di “salute”. Non è lo stato alterato che mi interessa: è lo stato di… – “felicità” è una parola grossa... - di equilibrio. Gli squilibri possono essere – apparentemente - di varia natura, ma a mio modo di vedere si possono riassumere nell’arrendersi del corpo a degli stress, cioè a degli eventi inaspettati (invasioni di microrganismi, iper – o ipo - tensioni muscolari, paure, ansie, sensi di colpa, livori, rabbie… secondo me la stragrande maggioranza dei problemi umani sono dovuti a queste cose. Tuttavia, io non mi considero solamente un guaritore, anche se molte volte – conseguentemente a ciò che faccio - la mia opera ha l’effetto di un miglioramento delle condizioni di salute della persona di cui mi occupo…
Tu approcci una persona che ha un problema fisico o mentale e tenti di riportarla in una situazione di equilibrio e di normalità, cioè in una condizione in cui può essere felice.
Sì, ma non tutte le persone che vengono da me hanno un malessere. Alcuni hanno semplicemente la voglia, il bisogno di evolversi e non sanno bene quale sia la strada migliore da percorrere. Però avvertono questa spinta. Anche alcuni di quelli che hanno un malessere sentono quest’impulso, ma sono obnubilati dal malessere stesso. Se hai mal di denti, il resto sembra meno importante!… Però, in realtà, noto che il problema molto spesso è un alibi: vi sono persone che vengono da me perché hanno un orzaiolo, un callo… Uso anch’io una parabola: hai litigato con tuo padre, vi siete riattaccati bruscamente il telefono, per una settimana non vi siete più parlati e poi lui, improvvisamente, ha avuto un arresto cardiaco. Tu senti questo senso di tristezza perché non hai potuto dirgli che, nonostante tutto, gli volevi bene; sei andato a trovarlo in ospedale, ma lui era già in coma e tu non sei riuscito a chiedergli perdono… Così, ora ti senti in colpa. Orbene, la kinesiologia afferma (e la mia esperienza conferma) che questo senso di colpa indebolisce la milza e alcuni muscoli collegati, per esempio i tibiali (che sono i muscoli che formano il polpaccio). La debolezza di questi muscoli provoca il disallineamento dei piedi, per cui tu cominci a camminare con i piedi intraruotati verso l’interno… Ovvio che ti venga un callo, no? E così tu vieni da me per il callo. Sarebbe assolutamente inconcludente e stupido che io ti curassi il callo, perché tanto ti tornerebbe, continuando a camminare così, non è vero? Infatti il problema non è il callo: il problema è la debolezza dei muscoli tibiali, che ha origine da un malfunzionamento della milza, il che deriva da una sorta di senso di colpa che tu hai nei confronti di tuo padre e che dovresti risolvere. È chiaro?
Certo che è un percorso un po’ difficile… confrontato al gesto di prendere una limetta e togliere il callo! Però l’unico percorso risolutivo è cercare di affrancarsi dal senso di colpa e di perdonarsi per quello che si è fatto (o non si è fatto). In questo senso può sembrare ch’io possa far le veci di un guaritore: ed è vero, che cerco di far sparire il tuo callo, ma non intervenendo su di esso! Quel callo è la conseguenza di uno sfregamento innaturale cui il tuo corpo ha cercato, mirabilmente, di porre rimedio ispessendo la cute con un accumulo “anomalo” di cellule epiteliali… voglio far notare che, dal mio punto di vista, quel callo è un capolavoro della sapienza del nostro corpo! E noi lo consideriamo un fastidio!… Con ciò, sia chiaro, non intendo escludere l’eventualità di effettuare un intervento di emergenza: magari se hai un dolore lancinante, una nevralgia ricorrente, un’ulcera, dei calcoli renali… Nei casi in cui il dolore è forte esistono interventi d’urgenza che è logico effettuare, in quanto se un problema ti impedisce di lavorare o di dormire c’è bisogno di intervenire a tampone, ma non è questo che bisogna fare in assoluto, poiché queste tecniche – senz’altro utili, come i farmaci - non risolvono il problema alla radice. Così, sempreché me ne si dia occasione, io cerco di risolvere il problema in toto. C’è chi, una volta guarito il callo, non desidera niente di più; ed è giusto rispettare questa scelta. Però, normalmente, succede che se io faccio un intervento tampone - per riprendere l’esempio di prima – ed il callo scompare, la persona si accontenta e il percorso non si completa. Ergo… dopo un po’ il callo ritorna: “Quello là non ha fatto bene il suo lavoro, ho di nuovo il callo!”… Ed ecco: non è servito a niente! È un problema di evoluzione personale: certe cose si possono già spiegare ad un bimbo di 5 anni, a un ragazzo di 15 anni si può spiegare ben altro, a un uomo di 25 anni si può spiegare altro ancora e forse a 50 ancora di più; non si può pretendere di spiegare a un cane, a parole, che non dovrebbe fare la pipì dappertutto in casa: bisogna parlare una lingua che lui comprenda (qualcuno dice che sono le sberle, quella lingua, qualcuno ha altri sistemi...). Non si può dirgli: ” Fox, ascolta un po’: non devi fare…” Fox non capisce! Occorre parlare la sua lingua, è chiaro! Anche con le persone è la stessa cosa: vi sono persone che hanno bisogno di “sberle” e altre che hanno bisogno di cinismo, logica, anche di rilassamento, comprensione, compassione, apprezzamento… una su tre, delle persone che si sdraiano su quel lettino che stai vedendo, ci si addormentano! Questo è chiarificatore, secondo il mio punto di vista: se uno viene qua e si addormenta vuol dire che ha bisogno di rilassarsi, se va a casa e non si addormenta perché si mette a fare qualche altra cosa e… forse, a volte, basterebbe prendersi del tempo, no?

Sei in contatto o collabori con altre persone che svolgono attività simili alla tua?
Alcune, sì. Mi interessa molto confrontarmi con essi, sia dal punto di vista delle tecniche sia da quello del modo di pensare. E poi c’è anche un altro motivo: ho riscontrato che alcuni disturbi, nelle persone, appaiono in maniera simultanea. Per esempio, mi accorgo che in un certo giorno molti accusino lo stesso malessere. Anche 10, 20 persone hanno mal di testa (o tachicardia, o altro) nello stesso periodo. Questo è veramente sorprendente, a pensarci bene! Chissà, ciò potrebbe dipendere dalle cause più svariate (eruzioni solari, pressione atmosferica, ecc.). E sarebbe interessante svolgere ricerche in merito. Per questo, ho bisogno di interagire con altri che, come me, abbiano il polso della situazione su un campione di persone che sia il più ampio possibile, anche logisticamente.

Da quando eserciti questa professione, è cambiata la tua vita? E in cosa?
Eccome, se è cambiata, la mia vita! Intanto ingrasso, perché non esco più di casa… Scherzi a parte, la vita è stata stravolta dal fatto che io, ora, penso in termini assolutistici; vi sono argomenti che, benché costituiscano punti fondamentali della società in cui viviamo, per me, oramai, rivestono un’importanza praticamente nulla: il guadagno, il sopravanzare gli altri in maniera da trarne vantaggio, il mentire acciocché la socializzazione sia più scorrevole, il “mors tua vita mea”, l’apparire benestante, talentuoso e baciato dalla fortuna e dal successo… Ma sai quant’è più bella la vita quando dici sempre la verità? Gli altri, dopo un po’, se ne accorgono e non dubitano più di te: sono tanti anni che nessuno mi dice più: ”Ma dai, non ci credo…” oppure: ”Non è vero, quello che dici!”… La gente si fida: evidentemente sente che, se io so, dico; se non so, dico: “Non so!”… E questo, mi par di riscontrare, è abbastanza raro: un sacco di persone sa sempre tutto! In realtà le opinioni imperanti null’altro sono che idee preconcette, molto spesso: non sani e liberi pensieri o vere culture. Inoltre mi sento più in pace con il mondo. Nella mia vita io ho svolto attività disparate e l’attuale, ai miei occhi, è un punto di arrivo, non è un arrabattarmi allo scopo di fare qualche soldo in modo diverso. Al contrario, è quello che ho sempre cercato: la possibilità di aiutare le persone a stare meglio! Per il mio sistema di credenza, non c’è niente di così appagante come il poter ogni sera riflettere su che cosa si è fatto durante la giornata, e – spesso – poter rispondere: “Ho aiutato qualche raggio di sole ad entrare in qualche casa buia; così ora è un po’ più luminosa.” Lungi dal creder d’essere il sole (il sole è lassù…), io magari schiudo solamente un po’ le imposte. Non penso di aver chissà quali meriti o facoltà sovrumane, per carità… però è un fatto che se nessuno apre le imposte, il sole non entra; le persone mi chiedono – consapevolmente o meno - di aprir per loro qualche finestra e io, la sera, mi dico: “Guarda, ho aperto due o tre finestre, oggi, e queste persone hanno un po’ più di sole! Questa è veramente una sensazione indescrivibile! Per me, non c’è nessun’attività che dia altrettanta soddisfazione, amore, tranquillità personale, pace interiore, serenità… forse, felicità. Questo è quello che io ritengo abbia proprio cambiato la mia vita, e questo è ciò che mi sento dire dalle persone che conosco da tanto tempo; di conseguenza dev’essere vero, perché gli altri ti vedono cambiare; tu non ti accorgi di crescere, invece gli altri lo notano. E le persone che mi conoscono da anni, dicono ch’io sia diventato più sereno, più tranquillo, meno sensibile ai problemi della vita… ragion per cui giudico che l’aver avuto la ventura di imboccare questa strada sia una cosa meravigliosa. Una fortuna della quale cerco di essere degno, restituendo – magari con gl’interessi - al mondo ciò ch’esso m’ha dato.

Vahana abhaya - (è il mio nuovo nome in sanscrito, e significa: “colui che libera dalla paura”)
 
L'Associazione ringrazia Bruno Colombino per la gentile collaborazione