PRESENTAZIONE
Bruno Colombino vive a
Torino, il suo è un
mestiere un po'
particolare, è un
"Mentore Olistico". A
lui si rivolgono molte
persone, chi per guarire
da dolori fisici, chi da
mali psicologici, chi
invece gli fa visita
senza alcun problema, ma
cerca qualcuno che lo
aiuti nel proprio
percorso di evoluzione
personale. Lo abbiamo
contattato e ci ha
gentilmente concesso
un'intervista in cui ci
spiega in cosa consiste
il suo lavoro, chi sono
le persone che si
rivolgono a lui e come
si integra la medicina
alternativa all'interno
della società attuale.
L'INTERVISTA
Come
definisci la tua
professione?
Credo che ogni persona
abbia in sé tutte le
potenzialità per vivere
una vita felice e sana
(che sono due cose che
vanno di pari passo), ma
molti faticano a
riconoscerle perché… non
hanno la mappa! Io cerco
di essere colui che dà
una mano a leggere la
propria mappa. Più
pedestremente la mia
posizione potrebbe
essere definita così: un
tizio, da sotto il
trampolino della
piscina, sta a guardare
gli altri che si tuffano
e si divertono, ma lui
ha timore di fare
altrettanto… magari
decide di provarci, sale
anche sul trampolino, ma
al momento cruciale
viene assalito dalla
paura e non riesce a
decidere di tuffarsi. Io
allora sono quello che
gli dà una spallata (nel
senso buono della
parola), e lo aiuta a
fare il grande passo.
Questo grande passo per
alcuni è “solo” superare
una paura, per altri è
guarire dalla sclerosi
multipla, per altri è
far pace con se stessi o
con il prossimo, con il
governo, con Dio.
Cosa significa Mèntore
Olistico?
Méntore è la figura
incarnata da Virgilio
allorché conduce Dante
per i tre regni:
inferno, purgatorio e
paradiso. Egli non si
pone propriamente come
un Maestro con la M
maiuscola, perché
comunque è Dante che
scriverà la Divina
Commedia, però è la
persona tramite la quale
Dante riesce a portare a
termine l’impresa.
Potremmo definirlo una
guida, un amico che ti
prende per mano e ti
aiuta a saltare il fosso
nel momento in cui ti
sembra che lo sforzo sia
eccessivo per le tue
possibilità (in quanto,
se così non fosse, lo
salteresti da solo).
“Olistico” è la sintesi
dell’appartenenza a un
tutto. Io ritengo che
noi, tutti, siamo
cellule di un corpo che
chiamiamo “universo” e
pertanto il nostro
benessere non può essere
disgiunto da un
equilibrio cosmico. Ciò
vale anche per il nostro
organismo: il nostro
corpo non può essere
felice o star bene se
una parte di esso sta
male; anche se abbiamo
un solo dito del piede
che duole, ne risultiamo
invariabilmente
condizionati! Tutto il
nostro essere
interagisce, dal sistema
corpo-mente all’umore,
per cui io ritengo che
sia assolutamente
necessario prendere le
cose non dal
particolare, cioè dal
dito del piede che
duole, ma considerare
tutto il sistema:
organismo, psiche,
emozioni, ecc. Questa è
più o meno la mia idea
del termine “olistico”.
Anche prima di avere i
mezzi per svolgere
quest’attività,
avvertivo comunque
l’istinto a farlo. Non
avevo ancora appreso
tecniche propedeutiche,
eppure sentivo già la
passione dell’ascoltare
i problemi della gente e
- magari - provare a
dare addirittura qualche
dritta, anche se sulla
carta non ero in grado
di farlo… ho sempre
avvertito bisogno di
armonia, di pace, anche
in tempi in cui mi
occupavo di altre cose.
Tanti anni fa ho
cominciato (per caso,
come spesso succede) ad
avvicinarmi al reiki e
tutto è partito da lì.
Io sono convinto che il
reiki sia un seme che
viene piantato nel cuore
di una persona e dopo un
po’ comincia a
germogliare. Così è
stato per me come per
tanta gente che ho
“iniziato”: a distanza
di qualche mese, un
anno, due anni si
comincia ad avvertire un
cambiamento evolutivo...
“Cambiare”… nel senso di
assumere una forma di
spiritualità diversa,
virare verso ideologie
più elevate, un po’ meno
legate al denaro, alla
competizione sociale, al
benessere inteso come
guadagno o all’apparire…
andare verso concetti
legati all’armonia, al
fatto che io posso esser
felice solo che anche
gli altri lo sono! Credo
non sia possibile star
bene se i miei
circostanti soffrono.
Questo è un principio
proclamato da buddisti,
cristiani, comunisti…
Il reiki mi ha
instillato questo seme,
che poi alla lunga è
cresciuto e, un po’ per
caso un po’ per volontà,
mi sono messo a studiare
una tecnica e poi
applicarla, poi
apprenderne una seconda
e aggiungerla, poi una
terza e così via.
Ho portato avanti
quest’attività in
sordina fino a quando
non ho avuto i titoli
per svolgerla
compiutamente da tutti i
punti di vista. In altre
parti del mondo è più
semplice; qui è
piuttosto complicato e
soprattutto il nostro è
un contesto infestato da
incompetenti e da
profittatori, i quali
strombazzano etica e
deontologia inseguendo
in realtà null’altro che
il lucro. Così c’è il
rischio di essere
confusi (sia a livello
fiscal-burocratico, sia
dal punto di vista
dell’efficacia di ciò
che si fa). Inutile
negare che ho visto
tanti maneggioni che…
Insomma, ho aspettato di
avere tutte le carte in
regola ed ho iniziato a
farlo full-time... il
che significa anche di
notte, sabato e
domenica, perché se ti
occupi del benessere
delle persone non puoi
dire: “No, io la
domenica non lavoro”… se
c’è uno che sta male,
vai fuori anche la
notte, ovviamente… e a
Natale…
Cosa fa esattamente un
méntore olistico? Quando
una persona viene da te
con un problema...
Dipende da che tipo è:
se è una persona aperta,
disponibile al dialogo e
soprattutto sincera il
percorso risulta
significativamente più
semplice e rapido. Ma le
bugie sono comuni,
specie all’inizio; non
per cattiva volontà, ma
perché molto spesso le
persone, di primo
acchito, tendono a
sottacere cose
particolarmente
intime... si tengono un
po’ abbottonate finché
non ci si rilassa.
Certo, l’ideale sarebbe
chiacchierare e scoprire
il più velocemente
possibile quali sono le
VERE radici delle
problematiche fisiche
e/o emotive… Nella
pratica è raro che si
riesca a farlo in
fretta: penso a quello
che fanno gli
psicoterapeuti…,
infatti, una classica
terapia psicanalitica
(anche a causa delle
ragnatele che ricoprono
storicamente i suoi
strumenti…) richiede
comunemente un sacco di
tempo perché prima che
le persone si aprono
davvero… Io, allora,
invece che far
raccontare alle persone
tutta la loro storia,
utilizzo tecniche che
permettono di sondarle
bypassando l’emisfero
cerebrale sinistro, cioè
quella parte razionale
che è in grado di
mentire. Riuscendo a
stabilire una
comunicazione con
l’emisfero destro,
invece, si riescono ad
intuire le problematiche
molto prima e ciò
permette di non creare
dipendenza. Già, perché
quando le persone
“convivono” troppo a
lungo con un farmaco,
un’erba, un decotto, un
feticcio, un cristallo,
una candela, un
terapeuta… insomma con
qualsiasi cosa che –
vero o falso che sia -
li aiuta a star bene, vi
si attaccano e in questo
modo si creano
dipendenze. E v’è il
pericolo che sorgano
convinzioni pericolose:
“Non starò mai bene
senza questa cosa (o
questa persona); da solo
non ce la faccio”.
Questo è un grosso
problema per chi svolge
un’attività affine alla
mia (anche psicologi,
ecc.), ed è importante
fare il possibile al
fine di evitare tale
rischio.
Le tue cure
sostituiscono quelle
proposte dalla medicina
tradizionale?
La medicina allopatica è
stata, e continua ad
essere, una benedizione
per l’umanità,
naturalmente. Nonostante
i suoi limiti e le sue
rigidità, essa non va
assolutamente
demonizzata. Però è un
fatto innegabile che
troppa gente, in quel
campo (anche a causa di
ragioni storiche,
pubblicitarie,
corporativistiche,
economiche, ecc.) ha un
atteggiamento manicheo.
Tutto può avere una sua
utilità, purché sia
corretta la
collocazione. Un farmaco
di sintesi in alcuni
casi è indispensabile,
un intervento chirurgico
alle volte è
indispensabile,
un’amputazione può
rivelarsi
indispensabile. D’altra
parte, cionondimeno,
spesso io constato che a
volte si può guarire
definitivamente anche
con altre tecniche (per
esempio quelle che
applico io, ma non
solo). E magari evitando
effetti collaterali o
traumi. Perché io sono
assolutamente convinto
che i problemi derivino
dall’atteggiamento, dal
modo di pensare, di
giudicare, di osservare.
Che non siano gli agenti
esterni (microrganismi,
ecc.) ad aggredirci e a
vincerci, ma che è
l’esercito personale del
nostro corpo
(solitamente pronto a
tutto e capace di tutto)
che improvvisamente si
arrende agl’invasori. Ed
allora la domanda
fondamentale è: perché?!
Magari perché le forze
dell’esercito nemico
sono preponderanti (ed
allora ci sarebbe
bisogno di un aiuto
esterno, un farmaco od
altro), magari perché il
proprio esercito è
demotivato, o è stanco;
magari perché si trova
in uno stato d’animo
particolare (un’euforia,
una tristezza, una
paura, un’ansia) …
Quando il nostro
esercito non è
efficiente… ebbene,
allora aiutarsi con una
sostanza chimica non è
indispensabile. Se si
riesce a rimuovere il
motivo di
quest’obnubilamento
mentale od emotivo dei
soldati, probabilmente
essi torneranno ad
essere in grado di
combattere e vincere la
battaglia senza bisogno
di assumere “mercenari
esterni” che combattano
in loro vece.
Comunque una terapia non
esclude l’altra… o sì?
Una terapia non esclude
mai l’altra. Occorre
solamente prestare
attenzione alla
questione del feticcio
di cui ho parlato
poc’anzi. Io ho pazienti
che considero
assolutamente guariti,
eppure essi continuano a
prendere farmaci perché
il medico continua a
dire loro: “Riduciamo,
riduciamo, riduciamo… ma
comunque non smettiamo,
perché..”. Dal mio
personale punto di vista
questo non è sano: è
assodato che i farmaci
hanno effetti esaltanti
sotto certi aspetti ma
conservano molti punti
interrogativi… e anche
sotto l’aspetto emotivo
- come dicevo prima -
dopo un po’ si crea
l’idea che tu non ce la
farai senza quella roba
lì; ricordo una persona,
diabetica ed
insulino-dipendente da
molti anni che, dopo
alcune sedute, si è
accorta
autoanalizzandosi
quotidianamente che non
aveva più bisogno di
iniettarsi l’insulina.
Ciononostante non
riusciva a smettere,
anche se i risultati
evidenziavano
clamorosamente una
guarigione totale. Le ci
è voluto un bel po’ (di
tempo e di coraggio)
prima che riuscisse a
smettere di continuare a
propinarsi l’insulina,
perché erano anni che
tutti i giorni, diverse
volte al giorno “si
faceva la punturina” ed
era diventato
assolutamente un
“drogato”! Gestualmente,
psicologicamente,
emotivamente. I suoi
occhi leggevano, sì,
sullo schermo valori
normali, però il suo
bambino interiore era
paralizzato dalla paura.
C’è voluto del bello e
del buono prima che ci
riuscisse! Tornando alla
tua domanda tengo a
sottolineare, però, che
a volte tutte le
tecniche del mondo non
valgono quanto una buona
parola, detta al momento
giusto. Questo si
evidenzia dalle persone
che si rivolgono a me
tramite il mio sito
internet (http://digilander.libero.it/brunocolombino
– ndr) e con le quali,
anche per problemi
logistici, non ho
contatti in persona ma
solamente telefonici o,
addirittura, epistolari.
Eppure si conseguono
risultati eclatanti
anche “solo”
interloquendo a voce o
per iscritto… per la
verità, devo confessare
che anche qui un po’ di
tecnica non guasta, eh?…
Che tipo di persone
si rivolgono a te?
Ahimè, spesso, i
disperati, almeno in
questo contesto storico…
la grande maggioranza
sono persone che hanno
gia fatto la
chemioterapia per un
cancro, oppure che
prendono da anni
psicofarmaci di vario
tipo per una
depressione, alcuni
asseriscono di aver già
provato di tutto, non
pochi sono andati anche
all’estero, cercando di
scovare cure particolari
per i loro malanni… e
poi vengono da me! Per
questo me ne dolgo:
perché incontro persone
che ormai per anni hanno
permesso che un problema
si radicasse
profondamente; come già
diceva Ovidio (vissuto
un bel po’ di tempo fa,
eh?!…) “Da quanto più
tempo si è radicato un
male, più ci vuol tempo
a guarire; se tu prendi
provvedimenti
celermente, fai in
fretta anche a
riacquistare la
normalità”. Purtroppo è
tendenza diffusa il
fatto di considerare la
cosiddetta “medicina
alternativa” come
l’ultima spiaggia. Ciò
fa sì che si presentino
a me persone afflitte da
molto tempo da un male
il quale nel frattempo
si è anche aggravato, ha
assunto complicanze
varie ed oltre a ciò,
magari, dette persone
hanno subìto alterazioni
farmacologiche, effetti
collaterali, operazioni
chirurgiche,
irradiazioni, ecc., e di
conseguenza hanno delle
complicazioni abbastanza
importanti per cui,
sovente, i miglioramenti
conseguiti qui vengono
reputati una specie di
miracolo!
Le tue pratiche
prevedono un certo tipo
di religiosità o sono
totalmente slegate dalla
fede religiosa?
Dovrò spiegare quello
che io ritengo essere
“religiosità… La mia
idea di religiosità è
sentirsi parte di un
tutto, di essere una
cellula di un organismo
vivente con la sua
unicità, con la sua
storia, con la sua
esclusività, ma comunque
non avulsa da tutto il
resto… del resto l’uomo
è un animale sociale.
Esso non sta bene da
solo, “il suo bisogno di
contatto è naturale come
l’istinto della fame”
(Giorgio Gaber). L’uomo
si crea i luoghi
propedeutici, le
discoteche, le chiese…
certo, esistono eremiti,
ma si tratta di persone
rare e molto speciali.
La normalità prevede che
noi umani ci si
aggreghi; siamo felici
quando abbiamo delle
persone intorno che la
pensano come noi… ci
sono i tifosi da stadio,
c’è il bisogno di
appartenenza a un club,
ad una congregazione, ad
un partito, ad una fede
religiosa… Proviamo una
sorta di godimento nel
sentirci sicuri
all’interno di un luogo
- anche onirico, anche
virtuale – formato da
persone che la pensano
come noi. Forse il
sentirsi parte di un
gruppo che la pensa come
te è tranquillizzante
nel senso che non devi
stare così tanto
all’erta… del resto gli
erbivori in natura fanno
gruppo per questo
motivo, tutto sommato,
no? Ebbene, questo
concetto del sentirsi
una goccia di un oceano…
è esattamente questo,
che io intendo per
religiosità. Non intendo
la fede in Allah
piuttosto che in Jahvè.
Non credo in un essere
superiore che in un
qualche modo:
a) programma gli
avvenimenti
b) magari sta alla
finestre e guarda come
funzionano le cose
c) ci giudicherà quando
sarà ora
d) procura le vergini
per i tizi che si fanno
esplodere…
e) organizza eventi
atmosferici anche su
richiesta (preghiere,
riti, sacrifici,
offerte…)
Certo che le mie
pratiche, le mie teorie
(che a volte discuto
nell’àmbito delle mie
sedute) funzionano
meglio in presenza di un
ideologia possibilista.
Ogni tanto ho qualche
persona che crede (o si
autoipnotizza e crede di
credere) di essere solo
al mondo. “Chi se ne
frega, degli altri?
Quando sono morto è
finito tutto! Carpe diem!”
Ecco, questo modo di
pensare sì, che osta
alle guarigioni! Perché
se ti senti da solo su
un’isola deserta… beh,
effettivamente non c’è
ragione perché tu stia
bene, non serve a
niente, non c’è un
obiettivo, o meglio non
v’è un obiettivo
condiviso. Mia
convinzione incrollabile
è che ogni persona, io
per primo, può e deve
essere utile agli altri.
E questo progetto di
utilità agli altri - che
può essere grande o
piccolo - è una delle
chiavi dell’esistenza,
per me.
C’è stato un caso in
cui hai ottenuto un
risultato che ha
lasciato sbalordito
anche te?
Tanti! Specialmente
all’inizio: tu studi una
tecnica che prevede, che
so, di toccare una
persona sul ginocchio al
fine di lenire la sua
emicrania. Tu, mentre la
studi, sei perplesso…
(mah, sarà mai
possibile?…),
l’istruttore ti dice:
“Il punto è questo,
prova!” però nessuno, in
quel frangente, ha il
mal di testa… ragion per
cui tu l’apprendi in
teoria e ti tieni la
perplessità. Quando poi
una persona viene da te
con l’emicrania e tu
tocchi quel punto sul
ginocchio e passa il mal
di testa… Wow! Certo, in
teoria lo sapevi, ma
quando succede davvero…
le prime volte ti appare
veramente miracoloso.
Questo avviene, per
esempio, utilizzando la
kinesiologia, tecnica
nella quale gli
accadimenti sono
repentini! Vi sono
collegamenti elettrici
nel corpo: toccando un
punto, risponde un
altro, magari molto
lontano. Nella terapia
del dolore si
sollecitano punti che
apparentemente non hanno
niente a che fare l’uno
con l’altro, eppure
succedono delle cose che
hanno del miracoloso
anche per la rapidità
con cui si verificano.
La stessa cosa succede
anche durante
l’applicazione di altre
tecniche (io ne ho
studiate – e ne applico
– alcune dozzine, a
seconda delle situazioni
e del tipo psicologico
della persona che mi si
presenta). Alcune
tecniche sortono effetti
rapidissimi, altre sono
più lente ma più
durevoli nel tempo,
altre servono per
stabilizzare una
situazione, altre per
rimuovere traumi o
preconcetti insani. Il
reiki, per esempio, per
me rappresenta
innanzitutto una
strategia evolutiva –
come ho già spiegato
prima – ma alcuni sono
attirati, in primis,
dagli aspetti più
immediatamente visibili
dei suoi effetti:
“Prendo il reiki, così
tutte le volte che mi
taglio, o mio figlio si
scotta con il ferro da
stiro, risolvo la
situazione!”… Ebbene, è
un fatto innegabile che
sulle ferite, sui tagli,
sulle scottature, sui
traumi quasi quotidiani
il reiki è miracoloso!
Due anni fa mia figlia
fu bruciata da una
medusa, ed appena
tornata a riva il
bagnino e tutti i
circostanti, nel
vederla, si
preoccuparono molto:
l’incidente sembrava a
tutti piuttosto grave,
si doveva chiamare il
118, l’ammoniaca… Fino
ad allora, io non avevo
mai trattato una
bruciatura di medusa,
però… ci appartammo per
un’oretta, sotto
l’ombrellone, lei ed io…
ed il giorno dopo non
aveva più niente! Il
bagnino non ci credeva,
insinuò addirittura che
avessi due figlie
gemelle e che
intendessimo burlarci di
lui!… ”Non è possibile!
– disse – per queste
cose ci vogliono
normalmente due
settimane! Io ne vedo
tutti i giorni…”
insomma: sì, accadono
cose che… ecco, talvolta
sorprendono anche me.
E invece un caso
divertente (o
peculiare)?
Anche questo ha un che
di miracoloso. Una
persona che è venuta da
me - da una città
lontana tra l’altro -
con una radiografia che
evidenziava alcune
metastasi nel fegato, le
quali erano state
segnalate con un
pennarello rosso dal suo
medico. Io, essendo
fermamente convinto che
l’insorgenza del cancro
è causata da motivi
psicologici ed emotivi,
ho cominciato a farle
discorsi, analizzare ed
applicare tecniche
specifiche che aiutano a
far venire a galla
emozioni e sentimenti
insabbiati… è venuto
fuori un trauma che lei
aveva rimosso, non lo
ricordava nemmeno più;
un trauma per lei
talmente grande e anche
vergognoso, al punto che
lei non era mai riuscita
a dirlo a nessuno! Dopo
alcune ore ha avuto una
crisi di pianto
irrefrenabile! Beh,
qualche giorno dopo è
riandata a fare le
lastre e non c’erano più
le metastasi…. Una vera
scoperta, nel senso che
anche in quei casi Spiritualità Olistica che studi e che
sai, ma quando poi si
avverano… ti senti
utile, ecco. Non è
orgoglio, il mio: non
penso sia merito mio…
Non è questo… Io penso
solamente di dare la
spinta affinché la
persona imbocchi la via
che la porterà alla
guarigione. Certo ci
sono anche persone che
sembrano essere
predestinate… ricordo
una paziente che mi
riferì di esser stata
dimessa dall’ospedale in
quanto non sapevano più
cosa fare (pare
soffrisse d’una malattia
sconosciuta). Lei non
mangiava più, non si
alzava più dal letto…
L’ho vista due, tre
volte, le ho prescritto
una vibrazione
anacamptica (fonoterapia)
e poi non l’ho più
sentita. Temevo il
peggio, invece non solo
non accadde ciò che
paventavo, ma dopo
qualche anno la rividi –
per caso, a passeggio) e
dichiarò d’esser
guarita! In seguito, le
insorse un tumore
all’utero e allora mi
recai nuovamente da lei.
Si trovava ancora una
volta in circostanze
gravi, camminava a
fatica, aveva il ventre
gonfio come fosse sul
punto di partorire…
Seguii lo stesso
percorso terapeutico:
qualche seduta e poi… il
suo angoscioso silenzio!
Dopo qualche mese, però,
mi telefonò
comunicandomi che le si
stava sgonfiando
l’addome e i medici, pur
non riuscendo a
capacitarsene, ne erano
contenti… Non molto
tempo fa ho ricevuto
tristi notizie dal suo
compagno: è morta a
causa di un’emorragia! È
caduta in casa, sola, e
quando l’hanno
rinvenuta, dopo ore, era
già spirata. Questo mi
ha dato l’impressione
che questa persona
dovesse morire… come
avesse una nuvoletta
nera sopra il capo! La
prima volta l’avevamo,
come si suol dire,
“presa per i capelli”;
nella seconda era in via
di guarigione; e visto
che stava guarendo il
fato è intervenuto …
Mah, detto così pare
ch’io creda allo
spiritismo, al malocchio
e alle fatture… Non è
questo, però sembra
quasi una specie di
sorte maligna ed
ineluttabile. Ricordi la
famosa favola, ripresa
anche da Roberto
Vecchioni in una
canzone, di Samarcanda?
Sappiamo che hai
elaborato una tua
tecnica di guarigione
che utilizzi in via
esclusiva. Potresti
spiegarci come funziona?
Le notizie volano,
eh?...
Potrei spiegarla nei
particolari, ma ciò
richiederebbe che voi
foste contemporaneamente
dei musicisti, degli
studiosi di acustica e
dei kinesiologi. Ci
proverò ugualmente. Il
suono è una sensazione
umana ed animale; di per
sé in natura non esiste
alcun suono, come non
esiste alcun colore, ma
esistono solo velocità
di vibrazioni ed
addensamenti di atomi i
quali definiscono la
materia solida, liquida
e gassosa. Tutto quello
che “è” ha una sua
vibrazione, sennò non
esisterebbe, come ha
ipotizzato Albert
Einstein postulando che
qualora si riuscisse a
portare alla temperatura
dello zero assoluto
(273,15 gradi
centigradi….) un
oggetto, questa cosa
smetterebbe di esistere
in quanto si
arresterebbe in essa
qualsiasi vibrazione.
Detto questo, posto che
quest’esperimento non è
mai stato portato a
termine per
impossibilità tecnica,
questa intuizione
ipotizza che le
vibrazioni di ogni cosa
(vivente o meno,
materia, corpi,
pensieri, luce, energia,
ecc.), possano essere
modificate. Gli stati
alterati (malati) di un
corpo fisico sono
effetto di una
vibrazione non
congeniale, non
naturale, non perfetta;
sia gli stati psichici
che quelli di natura
organica, che peraltro
per me coincidono.
Esiste un fenomeno, che
in acustica si chiama
eufonìa, che prevede che
un oggetto sottoposto ad
una vibrazione la
assecondi (sempreché
abbia le caratteristiche
fisiche per poterlo
fare) ponendosi a
vibrare alla stessa
frequenza. Chiunque può
sperimentarlo: ponete
due chitarre (accordate)
a tre metri di distanza;
pizzicando la corda di
una delle due, la stessa
corda dell’altra
chitarra si mette a
vibrare. Questo accade
perché le molecole che
vibrano ad una certa
frequenza trasmettono le
vibrazioni alle molecole
dell’aria e queste, a
loro volta, le
trasmettono alla corda
dell’altra chitarra.
Orbene, la mia teoria,
formulata tanti anni or
sono, è che il fenomeno
eufonico può essere
utilizzato
terapeuticamente. In
parole molto semplici;
se il tuo fegato ha
problemi, è perché le
vibrazioni delle sue
cellule sono alterate (a
causa dei più svariati
motivi, non importa);
potremo provare a fargli
“ascoltare” un suono che
abbia la sua vibrazione
congeniale, la sua
vibrazione primigenia;
tramite la kinesiologia
si può chiedere al corpo
qual è la vibrazione
primigenia (sana) e, una
volta stabilita la
risposta con un
apparecchio di mia
invenzione (una sorta di
oscilloscopio, per
intenderci),
“somministrare” in
termini acustici al
fegato una vibrazione
che lo riequilibrerà per
eufonìa. In natura non
esiste la possibilità di
sottoporsi a una
vibrazione di - poniamo
- 447 Hertz per un
quarto d’ora, o per due
ore e mezzo, con una
forma d’onda specifica…
Io creo una nota di
questo genere - su
indicazioni del corpo di
questa persona (più
precisamente del suo
emisfero destro, della
sua “sala macchine”,
insomma) e
somministrando questa
vibrazione ad intervalli
regolari, ho riscontrato
- ormai da anni -
risultati indubbi, sia
sul piano psichico che
organico. Preciso che la
somministrazione non
avviene necessariamente
a livello auditivo: noi
siamo abituati a pensare
che i suoni vanno
ascoltati con le
orecchie, ma in realtà
le vibrazioni sono moti
fisici, e ciò significa
che può essere anche che
sia preferibile
applicare una cuffia al
fegato, ad una coscia od
al “terzo chakra” onde
far sì che questa
vibrazione “scuota” le
cellule momentaneamente
in crisi anche senza che
le orecchie intervengano
in alcun modo
Sei religioso?
Credo che tutti siamo
religiosi, chi più, chi
meno e chi in maniera
“differente”… certo non
ritengo sia evolutivo
affidarsi ad un Dio con
la barba che è buono o
cattivo a seconda delle
situazioni, oppure che
sia un giudice, un papà,
un amico, un fratello,
oppure che ti organizza
un’orgia con le vergini
(sempreché se ne trovino
ancora…) se fai la
bravata di farti
esplodere su un pullman
pieno di bambini,
oppure… beh, potremmo
andare avanti per ore…
Io non dico che coloro i
quali hanno fede in
queste cose siano dei
deficienti, per carità;
però ritengo che molte
religioni siano nate dal
bisogno dell’uomo di
avere un “ombrello”
contro le intemperie che
si chiamano paura,
ansietà, senso di vuoto
interiore e di
impotenza. Ed ormai esse
risultano così incarnate
nella nostra società che
forse non possiamo più
evitare di prenderne
atto. Prova ne sia il
fatto che tutte le
religioni, presto o
tardi, s’intrecciano con
la politica, il potere,
la pecunia. Secondo me,
sarebbe il caso di
chiedersi come mai, per
esempio, migliaia di
anni fa qualcuno ha
sentito il bisogno di
dire agli altri: “Non
mangiate la carne di
porco!”… oppure: “Non
desiderare la donna
d’altri!”… Probabilmente
ci sono delle ragioni
più etiche, più storiche
(o più di convenienza),
che non veramente
religiose. A mio modo di
vedere, “religione” è
un’altra cosa: sento che
siamo gocce di luce che
percorrono un cammino di
ritorno al sole assoluto
– Dio – dal quale ci
siamo staccati, forse
per fare esperienza…
chissà? Il discorso
sarebbe un po’ lungo…
però… Dio siamo noi,
nella nostra unità!
Unità che ora non c’è (e
si vede!…) ma, non a
caso, siamo qui che
cerchiamo di crearla!
Fra migliaia di anni (e
forse ce ne vorranno
ancora migliaia), quando
sarà l’unione completa
tra le nostre anime, non
sarà più necessario
sostenere esami, su
questa terra o su altre,
per imparare delle cose
e per abbandonarne
altre: e allora sarà il
“paradiso”! Ma, come ha
detto il Buddha: “Il
paradiso sarà tale
quando tutti saremo là”…
Non è come in una gara
nella quale vince chi
arriva primo, ma è come
in una gita il cui senso
è veramente compiuto
quando è arrivato anche
l’ultimo. Ed in questo
caso quello che ha i
mezzi per arrivare
primo, invece di
tagliare il traguardo…
torna indietro per
aiutare gli altri,
finché sono arrivati
tutti; solo allora, con
un passo sublime,
taglieremo il traguardo
tutti insieme. È questo,
che io chiamo
“religiosità”!
Hai parlato di
Jainismo, potresti
spiegarci cos’è e in
cosa consiste?
Proprio in questi giorni
i tragici sconvolgimenti
sociali che si stanno
verificando in Birmania
stanno dando visibilità
ai monaci jainisti, tra
gli altri fieri e
indomiti combattenti
nella non-violenza: nei
– pur scarsi – documenti
filmati che ci giungono
da quella regione, si
possono osservare vari
monaci che portano una
pezzuola bianca dinanzi
alla bocca. Il Jainismo,
infatti, prevede
l’assoluta intenzione di
evitare di arrecare
danno a qualsiasi forma
di vita, anche perché
postula fermamente il
concetto di
reincarnazione, per cui
una zanzara che tu
uccidi potrebbe essere
tuo padre che
momentaneamente si è
reincarnato… Tra l’altro
questa è una storia che
tira in ballo anche la
moderna fisica
quantistica, perché noi
riteniamo che siano
relativamente poche le
anime esistenti. Molte
meno degli abitanti del
mondo che conosciamo,
senza contare gli altri
mondi, gli altri
universi e le altre
forme esistenziali...
Questo ci porta a
pensare che ciascuno di
noi stia facendo diverse
esperienze
contemporaneamente, su
diversi piani
dell’esistenza.
Il Jainismo, comunque,
non venera alcun Dio;
crede
nell’autodeterminazione
di ogni uomo e nella
coscienza individuale.
Vi sono circa 12 milioni
adepti (la maggioranza
si trova in India, ma ve
ne sono molti, per
esempio, anche negli
Stati Uniti… chissà cosa
ne pensa Bush?…). I
monaci, in particolare,
fanno voto di tenere
come sacri tre principi
fondamentali:
• Non mentire mai
• Non arrecare danno ad
alcun essere vivente
• Praticare la castità
In India i seguaci di
questo credo sono
veramente intransigenti
(agli occhi d’un
occidentale): molti,
come ho detto poc’anzi,
portano una mascherina
davanti alla bocca per
evitare di respirare i
batteri (non per paura,
ma per non ucciderli);
nell’incedere, spazzano
il terreno innanzi con
un’apposita scopettina,
prima di posare il
piede, onde evitare di
calpestare insetti od
altri esseri viventi;
non viaggiano dal
tramonto all’alba (al
buio si può correre il
rischio di calpestare
inavvertitamente
qualcosa di vivo…;
vestono esclusivamente
di bianco e, di più, le
persone più elevate
vivono assolutamente
nude e non posseggono
altro che la suddetta
scopettina ed una
ciotola; tralasciano di
nutrirsi di alcun
alimento che possa
contenere la vita, per
esempio i germogli, i
tuberi, le patate,
l’aglio. È evidente che
alcune di queste
pratiche paiono
veramente estreme, dal
nostro punto di vista…
insomma, sembra una vita
grama, eh?…
Probabilmente in India è
un poco più semplice
(qui non credo sia
possibile vivere secondo
questo tipo di
abitudini), però il mio
tentativo di vivere
all’occidentale pur
perseguendo l’obiettivo
di non recare danno ad
altri esseri viventi,
sta riuscendo. La prima
scelta è
un’alimentazione vegana,
vale a dire non solo non
nutrirsi di “cadaveri”,
ma neanche di prodotti
di animali sfruttati
(tipo, miele, uova,
latte e derivati…). E
neppure utilizzare lana,
seta, pelli, cuoio…
Molti Jainisti, in
oriente, ricoprono
importanti cariche
pubbliche e private (in
politica, dirigenze,
revisione dei conti,
presidenze di società e
di banche, ecc.), in
quanto è opinione
diffusa che coloro i
quali vivono secondo i
precetti succitati siano
persone assolutamente
affidabili e degne di
manovrare le leve del
potere secondo regole
etiche e socialmente
armoniose e giuste…
magari, da noi, si
verificasse la stessa
cosa!…
Non vi sono Dei da
adorare, nel Jainismo:
solo rappresentazioni
iconoclastiche elle
passioni e delle
compulsioni umane. E ciò
vale anche per i demoni,
naturalmente.
Il demonio è ciò che
contrasta il progetto
d’armonia universale (Ahimsa,
in sanscrito) di cui
parlavo. “Diavolo” (“diaballus”
nel greco antico) ha il
significato di
“separazione”. Quindi
l’esatto contrario di
comunità, di armonia, di
unione… Il concetto di
separazione è quello che
ci tiene incatenati alla
terra: “Siamo tante cose
diverse; se io posso ti
darò una mano, ma se
sono in crisi o se sono
in pericolo…abbi
pazienza... mi salvo io!
Tu, infine, sei un’altra
cosa da me!”… Questo
principio è negativo per
tutto il mondo; è
razzismo a tutti i
livelli: nel momento in
cui ci attaccano gli
alieni, verdi,
lucertolosi e maligni,
noi siamo umanità
solidale, tutti uniti;
allora ci aggreghiamo,
il nemico comune ci dà
il senso di avere una
bandiera… ma se non ci
sono gli alieni, allora…
aspetta un attimo: io
sono europeo, tu sei
americano, tu sei
africano, siamo
diversi!… E non è
finita: siamo europei,
sì, ma… aspetta un
attimo: lui è norvegese,
tu sei inglese, non ti
lavi… io sono italiano,
suono il mandolino e
sono simpatico… E poi,
certo, siamo tutti
italiani, ma… aspetta un
attimo: io sono del nord
e tu sei del sud, vuoi
mettere?… Siamo del
nord? Già, ma io sono
piemontese e tu sei
lombardo… Siamo tutti
piemontesi, qui? Eh, ma
io sono di Torino, il
capoluogo, tu sei di
Chivasso, un
provinciale, scusa,
neh?!… Finalmente siam
tutti di Torino? Sì, ma
io abito alla Crocetta,
mentre tu abiti alla
Falchera, vuoi mettere?
Siamo tutti della
Crocetta!… Dello stesso
palazzo! Uffa, ma non
capisci? Io abito al 4°
piano e tu abiti al 1°,
abbi pazienza, il 4°
piano costa il doppio!…
Siamo tutti del 4°
piano, anzi: siamo tutti
una famiglia, ma io sono
il padre, mentre tu sei
una donna, sia chiaro
ch’io ti rispetto (anche
perché è eticamente
corretto), ma nel
momento in cui ci sono
delle decisioni
importanti da prendere…
quelle le prendo io, tu
sei una donna: certe
cose non le capisci!… Si
fa così anche con i
figli, no? Questo è il
“diavolo”, per me: il
concetto di separazione,
che contrasta con il
concetto che dice: la
goccia di luce
(“anima”?) che sta
ognuno di noi è uguale.
Poi uno si è incarnato
in un truzzo, l’altro si
è incarnato in una
scimmia, l’altro si è
incarnato in una lumaca,
l’altro ancora nel
Mahatma Gandhi… però,
comunque, la goccia di
energia che c’è dentro
ogni corpo fisico è
sempre una goccia di
energia. Un essere
divino che ha il compito
ed il destino di
inseguire la felicità
suprema; cioè tornare a
far parte di Dio.
Tornando al Jainismo ed
al postulato che la
divinità risieda
nell’uomo stesso, trovo
significativa la
corrispondenza (pur se
con alcune non
indifferenti
discrepanze) con il
credo satanista, che
attribuisce a
ciascun’anima la propria
personale responsabilità
spirituale, senza
bisogno dell’emanazione
di un dio che svolga
anche le funzioni di
un’entità giudicante –
teologica o meno - .
Però sono convinto che
ci sia molta letteratura
fuorviante. Eticamente
parlando, nell’esegesi
della Bibbia, Lucifero
ha fatto esplodere il
“cielo” in cui ci
trovavamo, al fine di
buttar fuori queste
gocce di energia, che
ora stanno cercando di
tornare lassù; ed esse,
per riuscirci, devono
necessariamente
liberarsi delle zavorre
che il nostro mondo ha
caricato loro.
Recentemente sei
diventato monaco,
potresti spiegarci cosa
significa diventarlo,
esserlo e anche cosa
significa precisamente
per te “monaco”?
È vero che solo
recentemente l’ho
rivelato, ma lo sono già
da qualche anno. Sono
diventato monaco
Jainista. La
non-violenza, per me, è,
più che un’opinione, un
sentimento che coinvolge
le mie azioni ed i miei
pensieri, oltreché il
mio modo di concepire la
vita, la mia visione del
mondo, i miei acquisti,
la mia alimentazione.
Questo è un principio
assolutamente
incrollabile per me
(sono vegetariano da
40anni ed ora vegano).
Il precetto più
impegnativo è quello di
dire sempre la verità.
La castità, invece, è
quello che incuriosisce
maggiormente il mio
prossimo. Si tratta,
com’è intuibile, di
raggiungere una sorta di
rigenerazione
psico-fisica delle
energie che abitualmente
ti tengono legato alla
terra; se riesci a non
utilizzarle in quanto
tali, ti portano più in
alto. Cito ad esempio il
digiuno: di per sé,
apparentemente, non
significa molto (a parte
la purificazione –
fisica e mentale -,
certo), ma se ci si
“slega” dalle cose
terrene… ebbene, cominci
a sperimentare stati più
sottili. Essere monaco
prevede da parte mia,
nel mio intimo, nella
mia solitudine, alcune
scelte, alcuni riti,
alcune ore dedicate agli
altri, magari a trattare
la sofferenza nel mondo
invece che dormire e
gozzovigliare inseguendo
i miei egoismi. Ci tengo
a dire, infine, che
abbiamo ottimi
predecessori, eh? Gandhi
era della nostra
parrocchia! Su Hitler,
purtroppo, non ho
referenze…
In riferimento al
lavoro che fai, ti hanno
mai dato del
“truffatore”, da quando
eserciti questa
professione?
No, anche se è successo
che alcune persone mi
contattassero con
aspettative diverse
rispetto a quello che io
potevo offrire loro (e
di conseguenza, in
alcuni casi, non le ho
viste più; non me lo
hanno detto chiaramente,
ma in pratica è come se
mi avessero fatto capire
che non era quello che
si aspettavano). Non
molto tempo fa una donna
rumena mi ha telefonato,
su consiglio di un
amico, chiamandomi
“dottore” e quando è
stata qui (aveva una
schiena in condizioni
rigidissime), ho visto
che mi guardava in
maniera strana.
Evidentemente, ho poi
realizzato, lei si
aspettava un medico più
“classico” di me. Sono
intervenuto
delicatamente, come
sempre è raccomandabile
fare quando si approccia
un paziente in quelle
condizioni per la prima
volta, (consapevole che
se avessi esagerato le
avrei fatto più male che
bene) e mi sono
riservato nella seconda
seduta di intervenire
più profondamente…
sennonché lei, la volta
successiva… non si è
presentata! Credo di
aver capito che lei si
aspettasse un’altra
figura professionale,
forse l’ho delusa…
Cosa significa fare
il “guaritore” al giorno
d’oggi?
Significa far capire
alle persone quello che
ormai a parole sembra
abbiano capito un po’
tutti, ma che in realtà
i più faticano a
digerire… Persino in
televisione si sente
dire che i fondamenti
della nostra salute
psico-fisica sono una
buona nutrizione, il
benessere, la felicità;
e che invece lo stress,
l’infelicità, le paure
sono la causa dei nostri
mali più diffusi. Si
dice, certo!… Poi, nella
vita di tutti i giorni,
queste nozioni non si
applicano affatto. Io
vedo persone che
predicano l’importanza
di una corretta
alimentazione, che
bisogna fare attenzione
a quello che compri… e
poi vanno al
supermercato e comprano
i peperoni fuori
stagione, che arrivano
da chissà dove, il che
significa che:
a) non hanno valide
caratteristiche
organolettiche, cioè non
sono buoni… Ma questo
sarebbe il meno!
b) non hanno
caratteristiche di
contenuto, in quanto
sono raccolti verdi e
messi in un capannone
con atmosfera modificata
e hanno fatto un viaggio
lunghissimo e sono anche
eticamente scorretti da
un punto di vista
energetico poiché un
frutto fuori stagione
che viene programmato in
Israele, raccolto
immaturo, caricato su un
aereo e portato qui ha
consumato e inquinato in
modo inimmaginabile!
Per questo motivo, io mi
occupo anche di
nutrizione. Troppi
seguono il loro stomaco
come se esso fosse il
loro padrone e scordano
che il cibo è
innanzitutto un
combustibile (ed in
quanto tale dev’essere
ottimale) e solo
successivamente devono
essere presi in
considerazione il gusto
e le preparazioni
appetitose…
La gente comincia a
sapere queste cose ma
non le applica e lo
stesso si può asserire
di tutte le cose che
riguardano la salute ed
il benessere… Non amo
parlare di “malattia”:
preferisco parlare di
“salute”. Non è lo stato
alterato che mi
interessa: è lo stato
di… – “felicità” è una
parola grossa... - di
equilibrio. Gli
squilibri possono essere
– apparentemente - di
varia natura, ma a mio
modo di vedere si
possono riassumere
nell’arrendersi del
corpo a degli stress,
cioè a degli eventi
inaspettati (invasioni
di microrganismi, iper –
o ipo - tensioni
muscolari, paure, ansie,
sensi di colpa, livori,
rabbie… secondo me la
stragrande maggioranza
dei problemi umani sono
dovuti a queste cose.
Tuttavia, io non mi
considero solamente un
guaritore, anche se
molte volte –
conseguentemente a ciò
che faccio - la mia
opera ha l’effetto di un
miglioramento delle
condizioni di salute
della persona di cui mi
occupo…
Tu approcci una persona
che ha un problema
fisico o mentale e tenti
di riportarla in una
situazione di equilibrio
e di normalità, cioè in
una condizione in cui
può essere felice.
Sì, ma non tutte le
persone che vengono da
me hanno un malessere.
Alcuni hanno
semplicemente la voglia,
il bisogno di evolversi
e non sanno bene quale
sia la strada migliore
da percorrere. Però
avvertono questa spinta.
Anche alcuni di quelli
che hanno un malessere
sentono quest’impulso,
ma sono obnubilati dal
malessere stesso. Se hai
mal di denti, il resto
sembra meno importante!…
Però, in realtà, noto
che il problema molto
spesso è un alibi: vi
sono persone che vengono
da me perché hanno un
orzaiolo, un callo… Uso
anch’io una parabola:
hai litigato con tuo
padre, vi siete
riattaccati bruscamente
il telefono, per una
settimana non vi siete
più parlati e poi lui,
improvvisamente, ha
avuto un arresto
cardiaco. Tu senti
questo senso di
tristezza perché non hai
potuto dirgli che,
nonostante tutto, gli
volevi bene; sei andato
a trovarlo in ospedale,
ma lui era già in coma e
tu non sei riuscito a
chiedergli perdono…
Così, ora ti senti in
colpa. Orbene, la
kinesiologia afferma (e
la mia esperienza
conferma) che questo
senso di colpa
indebolisce la milza e
alcuni muscoli
collegati, per esempio i
tibiali (che sono i
muscoli che formano il
polpaccio). La debolezza
di questi muscoli
provoca il
disallineamento dei
piedi, per cui tu
cominci a camminare con
i piedi intraruotati
verso l’interno… Ovvio
che ti venga un callo,
no? E così tu vieni da
me per il callo. Sarebbe
assolutamente
inconcludente e stupido
che io ti curassi il
callo, perché tanto ti
tornerebbe, continuando
a camminare così, non è
vero? Infatti il
problema non è il callo:
il problema è la
debolezza dei muscoli
tibiali, che ha origine
da un malfunzionamento
della milza, il che
deriva da una sorta di
senso di colpa che tu
hai nei confronti di tuo
padre e che dovresti
risolvere. È chiaro?
Certo che è un percorso
un po’ difficile…
confrontato al gesto di
prendere una limetta e
togliere il callo! Però
l’unico percorso
risolutivo è cercare di
affrancarsi dal senso di
colpa e di perdonarsi
per quello che si è
fatto (o non si è
fatto). In questo senso
può sembrare ch’io possa
far le veci di un
guaritore: ed è vero,
che cerco di far sparire
il tuo callo, ma non
intervenendo su di esso!
Quel callo è la
conseguenza di uno
sfregamento innaturale
cui il tuo corpo ha
cercato, mirabilmente,
di porre rimedio
ispessendo la cute con
un accumulo “anomalo” di
cellule epiteliali…
voglio far notare che,
dal mio punto di vista,
quel callo è un
capolavoro della
sapienza del nostro
corpo! E noi lo
consideriamo un
fastidio!… Con ciò, sia
chiaro, non intendo
escludere l’eventualità
di effettuare un
intervento di emergenza:
magari se hai un dolore
lancinante, una
nevralgia ricorrente,
un’ulcera, dei calcoli
renali… Nei casi in cui
il dolore è forte
esistono interventi
d’urgenza che è logico
effettuare, in quanto se
un problema ti impedisce
di lavorare o di dormire
c’è bisogno di
intervenire a tampone,
ma non è questo che
bisogna fare in
assoluto, poiché queste
tecniche – senz’altro
utili, come i farmaci -
non risolvono il
problema alla radice.
Così, sempreché me ne si
dia occasione, io cerco
di risolvere il problema
in toto. C’è chi, una
volta guarito il callo,
non desidera niente di
più; ed è giusto
rispettare questa
scelta. Però,
normalmente, succede che
se io faccio un
intervento tampone - per
riprendere l’esempio di
prima – ed il callo
scompare, la persona si
accontenta e il percorso
non si completa. Ergo…
dopo un po’ il callo
ritorna: “Quello là non
ha fatto bene il suo
lavoro, ho di nuovo il
callo!”… Ed ecco: non è
servito a niente! È un
problema di evoluzione
personale: certe cose si
possono già spiegare ad
un bimbo di 5 anni, a un
ragazzo di 15 anni si
può spiegare ben altro,
a un uomo di 25 anni si
può spiegare altro
ancora e forse a 50
ancora di più; non si
può pretendere di
spiegare a un cane, a
parole, che non dovrebbe
fare la pipì dappertutto
in casa: bisogna parlare
una lingua che lui
comprenda (qualcuno dice
che sono le sberle,
quella lingua, qualcuno
ha altri sistemi...).
Non si può dirgli: ”
Fox, ascolta un po’: non
devi fare…” Fox non
capisce! Occorre parlare
la sua lingua, è chiaro!
Anche con le persone è
la stessa cosa: vi sono
persone che hanno
bisogno di “sberle” e
altre che hanno bisogno
di cinismo, logica,
anche di rilassamento,
comprensione,
compassione,
apprezzamento… una su
tre, delle persone che
si sdraiano su quel
lettino che stai
vedendo, ci si
addormentano! Questo è
chiarificatore, secondo
il mio punto di vista:
se uno viene qua e si
addormenta vuol dire che
ha bisogno di
rilassarsi, se va a casa
e non si addormenta
perché si mette a fare
qualche altra cosa e…
forse, a volte,
basterebbe prendersi del
tempo, no?
Sei in contatto o
collabori con altre
persone che svolgono
attività simili alla
tua?
Alcune, sì. Mi interessa
molto confrontarmi con
essi, sia dal punto di
vista delle tecniche sia
da quello del modo di
pensare. E poi c’è anche
un altro motivo: ho
riscontrato che alcuni
disturbi, nelle persone,
appaiono in maniera
simultanea. Per esempio,
mi accorgo che in un
certo giorno molti
accusino lo stesso
malessere. Anche 10, 20
persone hanno mal di
testa (o tachicardia, o
altro) nello stesso
periodo. Questo è
veramente sorprendente,
a pensarci bene! Chissà,
ciò potrebbe dipendere
dalle cause più svariate
(eruzioni solari,
pressione atmosferica,
ecc.). E sarebbe
interessante svolgere
ricerche in merito. Per
questo, ho bisogno di
interagire con altri
che, come me, abbiano il
polso della situazione
su un campione di
persone che sia il più
ampio possibile, anche
logisticamente.
Da quando eserciti
questa professione, è
cambiata la tua vita? E
in cosa?
Eccome, se è cambiata,
la mia vita! Intanto
ingrasso, perché non
esco più di casa…
Scherzi a parte, la vita
è stata stravolta dal
fatto che io, ora, penso
in termini
assolutistici; vi sono
argomenti che, benché
costituiscano punti
fondamentali della
società in cui viviamo,
per me, oramai,
rivestono un’importanza
praticamente nulla: il
guadagno, il
sopravanzare gli altri
in maniera da trarne
vantaggio, il mentire
acciocché la
socializzazione sia più
scorrevole, il “mors tua
vita mea”, l’apparire
benestante, talentuoso e
baciato dalla fortuna e
dal successo… Ma sai
quant’è più bella la
vita quando dici sempre
la verità? Gli altri,
dopo un po’, se ne
accorgono e non dubitano
più di te: sono tanti
anni che nessuno mi dice
più: ”Ma dai, non ci
credo…” oppure: ”Non è
vero, quello che dici!”…
La gente si fida:
evidentemente sente che,
se io so, dico; se non
so, dico: “Non so!”… E
questo, mi par di
riscontrare, è
abbastanza raro: un
sacco di persone sa
sempre tutto! In realtà
le opinioni imperanti
null’altro sono che idee
preconcette, molto
spesso: non sani e
liberi pensieri o vere
culture. Inoltre mi
sento più in pace con il
mondo. Nella mia vita io
ho svolto attività
disparate e l’attuale,
ai miei occhi, è un
punto di arrivo, non è
un arrabattarmi allo
scopo di fare qualche
soldo in modo diverso.
Al contrario, è quello
che ho sempre cercato:
la possibilità di
aiutare le persone a
stare meglio! Per il mio
sistema di credenza, non
c’è niente di così
appagante come il poter
ogni sera riflettere su
che cosa si è fatto
durante la giornata, e –
spesso – poter
rispondere: “Ho aiutato
qualche raggio di sole
ad entrare in qualche
casa buia; così ora è un
po’ più luminosa.” Lungi
dal creder d’essere il
sole (il sole è lassù…),
io magari schiudo
solamente un po’ le
imposte. Non penso di
aver chissà quali meriti
o facoltà sovrumane, per
carità… però è un fatto
che se nessuno apre le
imposte, il sole non
entra; le persone mi
chiedono –
consapevolmente o meno -
di aprir per loro
qualche finestra e io,
la sera, mi dico:
“Guarda, ho aperto due o
tre finestre, oggi, e
queste persone hanno un
po’ più di sole! Questa
è veramente una
sensazione
indescrivibile! Per me,
non c’è nessun’attività
che dia altrettanta
soddisfazione, amore,
tranquillità personale,
pace interiore,
serenità… forse,
felicità. Questo è
quello che io ritengo
abbia proprio cambiato
la mia vita, e questo è
ciò che mi sento dire
dalle persone che
conosco da tanto tempo;
di conseguenza dev’essere
vero, perché gli altri
ti vedono cambiare; tu
non ti accorgi di
crescere, invece gli
altri lo notano. E le
persone che mi conoscono
da anni, dicono ch’io
sia diventato più
sereno, più tranquillo,
meno sensibile ai
problemi della vita…
ragion per cui giudico
che l’aver avuto la
ventura di imboccare
questa strada sia una
cosa meravigliosa. Una
fortuna della quale
cerco di essere degno,
restituendo – magari con
gl’interessi - al mondo
ciò ch’esso m’ha dato.
Vahana abhaya - (è il
mio nuovo nome in
sanscrito, e significa:
“colui che libera dalla
paura”)
L'Associazione ringrazia
Bruno Colombino per la
gentile collaborazione |