Fra i Romani vi fu un
solo esempio di questo
supplizio, sebbene ve ne
siano state tracce anche
presso altri popoli. Si
tratta della pena subita
da Mezio Suffezio, sotto
il regno di Tullio
Ostilio. Ferveva la
guerra tra Roma e Fidene
e da ambe le parti si
combatteva con ugual
coraggio, quando la
sorte dopo una giornata
di sanguinosissima lotta
parve andare in favore
delle insegne romane. Il
dittatore degli Albani,
Mezio Suffezio (o
Fuffezio), che
trepidando, senza
muovere il suo carro,
aveva seguito con
incertezza, ma inerte,
le sorti della zuffa,
vedendo i Fidentini
piegarsi e retrocedere
sotto l'impeto crescente
delle legioni romane che
li incalzavano con le
spade corte alle reni
gettando il loro
tradizionale "barrito",
comprese ormai a chi
sicuramente sarebbe
andata la vittoria. E
senz'altro, spinti a
corsa veloce i due
bianchi cavalli che
trascinavano il suo
carro, si gettò all'
inseguimento dei
Fidentini, animosamente
e gagliardamente menando
le mani. Ma non era
sfuggito ai duci Romani
il subdolo oscillare di
Mezio fra luna e l'altra
fazione e il rimanere
inoperoso alla testa dei
suoi Albani prima che i
Romani chiaramente
prendessero sopra i
nemici un sopravvento
deciso e sicuro. Della
cosa, a battaglia
terminata e vittoria
conseguita, fu informato
il re Tullio Ostilio, il
quale arse di collera.
Spillarono le trombe a
parlamento e le armate
d'Alba e di Roma si
radunarono, le armi al
piede, intorno al vasto
campo che era stato
teatro del loro valore.
Di fronte ai valorosi
soldati era stato eretto
il podio sul quale il Re
salì accompagnato dai
suoi littori. Mezio
Suffezio, spogliato
delle sue armi e
caricato di catene,
venne fatto scendere in
campo e fu condotto
immediatamente alla
presenza dei notabili e
del Re. Tullio Ostilio
così lo apostrofò: "Mezio
Suffezio, se tu potessi
imparare ancora a tener
fede ai patti delle
alleanze, io ti lascerei
vivere per ricevere da
me questa lezione; ma la
perfidia è un male
invincibile! Che dunque
il tuo supplizio insegni
agli uomini a credere
alla santità delle leggi
che tu hai violato.
Così, come tu hai diviso
il tuo cuore fra Roma e
Fidene, al modo steso il
tuo corpo sarà diviso e
i suoi pezzi dispersi"
Dopodichè ebbe luogo il
supplizio che molti
storici dicono essere
stato eseguito col mezzo
di due alberi curvati e
quindi lasciati liberi
violentemente asportando
in aria le membra del
condannato divise in
due. Invece l'autorità
di Tito Livio ce lo
descrive in modo ben
diverso. Ecco come
scrive lo storico
latino, nel suo stile
conciso: "Si fanno
avvicinare due carri,
trainati ciascuno da
quattro focosi cavalli,
e Tullio fa legare Mezio
con una gamba ed un
braccio ad ognuno dei
carri. Quindi i cavalli,
incitati dagli aurighi,
si slanciano rapidi in
opposte direzioni
trascinando con se
ognuno metà del corpo
lacerato e sanguinoso
del traditore. Tutti
torcon lo sguardo
dall'orrendo
spettacolo". Questo fu
il primo ed ultimo
esempio, fra i Romani,
di un supplizio il quale
trasgrediva ogni umana
legge. E' anzi per i
Romani un titolo di
gloria quello di aver
sempre preferito dei
castighi meno crudeli.
Il supplizio dello
squartamento oltre che
nel caso dell'assassino
di Enrico IV, si ritrova
anche in qualche altro
punto della storia ma
rarissimamente. In ogni
caso è interessante
citare il capo dei Goti,
Amanarico, il quale con
invenzione diabolica,
degna dei più geniali
torturatori spagnoli,
immaginò per punire
meglio un disertore e
per spandere un salutare
terrore nel rimanente
delle sue truppe, di
fare subire l'orrendo
supplizio alla moglie
del reo. La giovane
donna dunque, secondo un
cronista dell'epoca, in
presenza dell'esercito
riunito, sotto gli occhi
del marito in ceppi,
venne spogliata nuda, e
le sue membra, braccia e
gambe, vennero attaccate
alle lunghe code di
quattro cavalli
selvaggi; questi,
incitati, partirono di
carriera sfrenata,
riducendo in cruenta
poltiglia quelle membra
che erano state
l'ammirazione e
l'invidia dei compagni
d'arme del Goto
disertore, il quale,
sciolto dai suoi lacci,
impazzì dalla
disperazione e dal
terrore.

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